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L’(in)effettività del sistema di collocamento.

LE POLITICHE REGIONALI PER L’INSERIMENTO LAVORATIVO DELLE PERSONE DISABIL

8. L’(in)effettività del sistema di collocamento.

Solo la piena operatività del c.d. collocamento mirato, per il tramite di politiche attive davvero “mirate”, potrebbe riuscire a rendere effettiva la tutela delle persone con disabilità. Tuttavia occorre rilevare lo scarto inevitabile che si registra tra le soluzioni normative espresse nella legge n. 68 del 1999 e la sostanziale generalizzata inadeguatezza dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi per l’impiego su cui si dovrebbe innestare la realizzazione del collocamento mirato stesso. Pertanto, occorre tornare a chiedersi se tale organizzazione amministrativa che non ha saputo gestire il collocamento ordinario e che ha di fatto disapplicato il collocamento obbligatorio possa produrre risultati differenti con riguardo al collocamento mirato, posto che di per sé la pubblica amministrazione non è incline a svolgere funzioni di servizio alla collettività essendo

dalla legge n. 68 del 1999 richiede pur sempre un’iniziativa da parte dell’ufficio pubblico, il quale ha la facoltà di promuoverla e stipularla, ma non l’obbligo.

piuttosto orientata a esercitare un potere in modo burocratico e autoritativo332.

Di fatti, anche la recente riforma di cui al d.lgs. n. 151 del 2015 ha confermato un disegno basato sul potere imperativo della pubblica amministrazione, che continua a trovare giustificazione nella condizione di debolezza oggettiva delle persone con disabilità che aspirano a entrare nel mondo del lavoro333.

E’ innegabile come la legge n. 68 del 1999 abbia prodotto risultati piuttosto scarsi; eppure, nonostante tali esiti sconfortanti, il legislatore del 2015 ha confermato, seppure con qualche miglioramento, il disegno normativo e la struttura del sistema del collocamento lavorativo delle persone con disabilità.

Per le caratteristiche intrinseche del mercato, è difficile che “le ragioni dell’economia possano trovare un governo attraverso l’esercizio di poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione”, la quale, come già emerso con riguardo al collocamento ordinario, è inadeguata a garantire l’occupazione nel mercato del lavoro334.

Il crollo delle iscrizioni nelle liste per il collocamento obbligatorio avvenuto negli anni della recente crisi economica, così come emerge dai dati statistici, è emblematico anche di una certa sfiducia degli stessi aspiranti lavoratori verso la capacità del sistema pubblico di favorire la loro collocazione lavorativa, nonostante l’aumento della disoccupazione dovrebbe avere l’effetto esattamente contrario di portare a un forte aumento di tali iscrizioni.

A maggior ragione a seguito dell’ampliamento e della generalizzazione della libertà di scelta in capo ai datori di lavoro obbligati, il disegno del collocamento mirato può condurre a risultati più appaganti solo valorizzando l’importanza dell’adozione di specifiche politiche attive e il coinvolgimento dei soggetti privati, soprattutto con riguardo alle persone affette da forme di disabilità più gravi, la cui emarginazione è destinata a aumentare.

Ad oggi le vere protagoniste del collocamento dei disabili sono le imprese, mentre la pubblica amministrazione intesa quale erogatrice di un servizio assume, o dovrebbe assumere, un ruolo di promozione e di sostegno attraverso politiche attive finalizzate a favorire l’occupazione, pur con la consapevolezza che un servizio pubblico non può non essere anche prettamente burocratico e che comunque le attività di orientamento e di formazione, se possono migliorare la condizione soggettiva del prestatore, non possono però incidere sul mercato del lavoro e nemmeno sulla libertà di scelta e sulla volontà

332 MARESCA A., Rapporto di lavoro dei disabili e assetto dell’impresa, in CINELLI M.-SANDULLI

P. (a cura di), cit., 30

333 GRAGNOLI E., Il Collocamento obbligatorio e le politiche attive, in Riv. giur. lav., 2016, 3, 533 334 GRAGNOLI E., op. cit., 536

dell’impresa335.

In questo quadro, la conferma e il rafforzamento della struttura pubblica a presidio della realizzazione del collocamento lavorativo delle persone con disabilità assume le vesti di un sistema di protezione sociale del lavoratore svantaggiato e compensa lo spazio di libertà e flessibilità concesso alle imprese336.

I servizi per l’impiego pubblici si configurano quali strumenti di concretizzazione del diritto al lavoro e proprio per questo dovrebbero offrire qualcosa di più rispetto a mere attività burocratiche, quali l’iscrizione nelle liste, tenuta di graduatorie, e atti di avviamento. Di fatti è innegabile che le strutture amministrative concorrono a garantire l’effettività dei diritti sanciti a livello normativo337.

Tuttavia, tale impostazione deve scontrarsi con il problema legato alla scarsezza delle risorse economiche che limita in modo inevitabile la possibilità delle pubbliche amministrazioni di offrire servizi idonei ed efficaci.

Il potere autoritativo dei servizi pubblici unito alla mancanza di politiche attive efficaci non ha promosso l’occupazione delle persone con disabilità, al contrario aprendo la strada a logiche di tipo assistenziale338.

Una via d’uscita può essere offerta dalle maggiori opportunità di cooperazione con il c.d. terzo settore, in particolare con gli enti non profit e con le cooperative sociali, ma, anche in tal caso, la cooperazione tra iniziative private e pubbliche non appare molto convincente, se si considerano le difficoltà di dialogo tra i due settori e il fatto che le imprese sono in ogni caso obbligate a rivolgersi direttamente alle istituzioni pubbliche al fine di assolvere all’obbligo di impiego339.

D’altra parte occorre riconoscere che i soggetti privati sono maggiormente propensi, e in grado, di prestare la dovuta attenzione alle singole esigenze personali dei lavoratori disabili, nonché di gestire liberamente le proprie risorse economiche. Di fatti il d.lgs. n. 151 del 2015 ha confermato l’importanza delle convenzioni quale strumento di avviamento al lavoro delle persone con disabilità. Pertanto, il coinvolgimento delle strutture private ha la funzione di sopperire alla mancanza di politiche attive pubbliche340. Anzi, la stessa maggiore integrazione fra i soggetti privati e quelli pubblici rappresenta una forma di politica attiva, in cui i secondi debbono vigilare sui primi affinché siano

335 GRAGNOLI E., Il Collocamento obbligatorio e le politiche attive, cit., 537

336 DONINI A., Effettività dei servizi per l’impiego: forme e garanzie nella ricerca di lavoro, in

Lav. dir., 2016, 2, 297

337 DONINI A., op. cit., 305

338 GRAGNOLI E., op. cit., 542; DI STASI A., Il diritto al lavoro dei disabili e le aspettative tradite

del “collocamento mirato”, cit., 901

339 GRAGNOLI E., op. cit., 539 340 GRAGNOLI E., op. cit., 543

rispettate e garantite le finalità del collocamento mirato341.

Questo tuttavia non deve portare a deresponsabilizzare la pubblica amministrazione e non sminuisce l’importanza del suo buon funzionamento e della necessità di risorse in capo agli uffici pubblici, i quali, in assenza della possibilità di assunzione diretta, continuano ad avere il monopolio del collocamento lavorativo delle persone con disabilità. Se tali soggetti intendono reperire un’occupazione è a servizi per l’impiego che devono necessariamente rivolgersi. Pertanto, occorre prendere coscienza del fatto che di fronte al fallimento del collocamento pubblico per le persone con disabilità non esiste un’alternativa di tutela del proprio diritto al lavoro, ma solo misure di sostegno assistenziali.

Quanto il legislatore abbia veramente scommesso sul maggiore coinvolgimento di soggetti privati nel collocamento delle persone con disabilità non è così chiaro. Se è vero che le stesse linee guida finalizzate all’inserimento lavorativo dei disabili di cui all’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 151 del 2015, prevedono alla lett. b) la “promozione di accordi territoriali con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari, nonché con le altre organizzazioni del terzo settore rilevanti”, è anche vero che al comma 2 è previsto che “all’attuazione del presente articolo si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”342.

Il problema del costo dei diritti sociali esiste da sempre e da sempre si accompagna a quello della effettività della loro realizzazione a fronte della scarsità di risorse finanziarie, soprattutto nei periodi di crisi economica. Finché la gestione del collocamento lavorativo delle persone con disabilità sarà affidata al sistema pubblico di Stato e Regioni, il diritto al lavoro si configura quale diritto sociale “finanziariamente condizionato”343.

341 GRAGNOLI E., Il Collocamento obbligatorio e le politiche attive, cit., 546

342 Anche l’attività di monitoraggio circa gli effetti della riforma sul collocamento lavorativo delle

persone con disabilità non prevede un investimento di risorse finanziarie, v. art. 7, comma 1 ter, l. n. 68 del 1999; Così come l’istituzione della “Banca dati del collocamento mirato” di cui all’art. 9, comma 6 bis.

343 OCCHINO A., I diritti sociali nell’interpretazione costituzionale, in Riv. dir. sic. soc., 2017, 1, 3,

ss.; VECCHIO G.- GAGLIANO M.C.- MAURO I., Cittadinanza, diritti sociali finanziariamente condizionati e politiche pubbliche condizionate dai diritti. La solidarietà come principio di sistema, pubblicato il 2 marzo 2016, reperibile al sito internet www.csdle.lex.unict.it, in cui ci si chiede se “la garanzia costituzionale riguardi il contenuto essenziale dei diritti con riferimento alla loro mera esistenza oppure se, in senso contrario, tale tutela non debba anche estendersi al quantum dei diritti medesimi”, e si osserva come di norma il controllo di costituzionalità non metta in discussione la discrezionalità del legislatore nel dare attuazione ai principi e ai diritti fondamentali.

In realtà, per lo Stato queste persone rappresentano in ogni caso un costo, ma se anziché favorirne la passività, e dunque l’avvio verso forme di assistenza sociale, lo Stato utilizzasse quelle risorse per finanziare politiche attive di inserimento vi sarebbero più persone produttive, più introiti per le casse pubbliche, in termini di contributi, meno disoccupazione, e una maggiore eguaglianza e integrazione sociale, oltre alla soddisfazione personale344.

Se il sostentamento economico del diritto al lavoro delle persone con disabilità ha un costo eccessivo per lo Stato e le istituzioni locali, finanche quelle europee, a maggior ragione questo rischia di divenire insopportabile per le imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni. A tal fine, sono da apprezzare misure normative volte a prevedere incentivi e/o sgravi contributivi a favore delle imprese che assumono soggetti disabili, così come il sistema di incentivo alle assunzioni previsto dall’art. 13, l. n. 68 del 1999, che, in un’ottica di uniformità, al comma 3, estende tali benefici anche ai datori di lavoro privati che pur non soggetti all’obbligazione di impiego assumano lavoratori disabili. Anche dopo la riforma dell’art. 13, l. n. 68 del 1999 relativo agli incentivi alle imprese per le assunzioni, iniziative come la “Dote Impresa” in Lombardia continuano a rivestire una grande importanza, anche se entrambi sono legati alla capienza dei rispettivi Fondi, quello nazionale e quello Regionale, e soprattutto lo stanziamento delle risorse per primo dovrà pur sempre fare i conti con il vincolo di bilancio posto dall’art. 81 Cost.345.

Il tema del diritto al lavoro delle persone con disabilità ha fatto emergere la connessione esistente tra la crisi economica e la crisi sociale; di fatto, la prima ha frenato quell’influenza di responsabilizzazione sociale che avrebbe potuto avere l’attenzione del livello internazionale ed europeo con riguardo alla promozione dei diritti delle persone con disabilità, facendo sì che il recepimento di quei principi a livello nazionale restasse finora solo sulla carta.

344 CINELLI M.-GIUBBONI S., Cittadinanza, lavoro e diritti sociali. Percorsi nazionali ed europei,

Giappichelli, Torino, 2014, 69

345 CINELLI M.-GIUBBONI S., op. cit., 83, in cui si evidenzia come “tra diritti economici [e, dunque,

le ragioni dell’impresa] e diritti sociali non possa non intercorrere un ideale rapporto di strumentalità dei secondi rispetto ai primi: senza effettività e tempestività di godimento, i diritti sociali è come se, semplicemente, non esistessero.”, auspicando il superamento del pregiudizio che vede nella spesa sociale “un costo (aggiuntivo) da sostenere, piuttosto che un’opportunità da sfruttare in funzione dello stesso progresso economico e sociale del Paese.”.

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