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Illegittimità del licenziamento e regimi sanzionator

LE PROBLEMATICHE CONNESSE AL RAPPORTO DI LAVORO E LE FORME DI TUTELA DEL LAVORATORE DISABILE

6. Illegittimità del licenziamento e regimi sanzionator

Una volta ricostruiti i limiti posti dalla l. n. 68 del 1999 al potere di recesso datoriale, si pone il problema di individuare quale sia il regime sanzionatorio applicabile per ristorare il pregiudizio subito dal lavoratore disabile estromesso in modo illegittimo.

In virtù del disposto di cui all’art. 10, comma 1, l. n. 68 del 1999, trova applicazione lo stesso trattamento normativo previsto per tutti gli altri lavoratori e, pertanto, in generale, la tutela sarà quella prevista dall’art. 18 St. lav., così come modificato dalla l. 28 giugno 2012, n. 92, nonché quella prevista dal d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, con riguardo alle assunzioni effettuate dopo il 7 marzo 2015.

Un regime “speciale” è previsto solo nell’ipotesi in cui l’illegittimità del licenziamento discenda dalla violazione delle disposizioni contenute negli artt. 4, comma 4 e 10, comma 3, l. n. 68 del 1999, al fine di garantire al lavoratore una tutela più forte qualora sul provvedimento di recesso abbia inciso la sua condizione personale di disabilità, sia originaria che sopravvenuta.

Seguendo l’ordine temporale delle riforme in materia di licenziamenti, la riscrittura dell’art. 18, comma 7, St. lav. ha attratto all’interno della c.d. “tutela reintegratoria attenuata” il “licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente

442 V. ut supra nota 72; VALLEBONA A., La nuova disciplina delle assunzioni obbligatorie, cit.,

481, il quale rileva che la norma presuppone una “lecita scopertura della quota di riserva” e dunque sarebbe da rispettare solo per ipotesi diverse dall’art. 10, comma 4, l. n. 68 del 1999.

443 OCCHINO A., sub Art. 10, in SANTORO PASSARELLI G.-LAMBERTUCCI P. (diretto da), cit., 1351,

1425, in cui si obietta che l’obbligo di cui all’art. 10, comma 5, debba essere rispettato in ogni caso di risoluzione del rapporto di lavoro stante la funzione informativa della previsione normativa verso gli uffici, al fine sia di consentire la sostituzione del lavoratore licenziato con un nuovo avviamento, che il suo reinserimento in graduatoria, posto che il recesso “anche se annullabile, potrebbe non essere concretamente annullato”.

nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore”444. Così, trova applicazione “per rinvio” la sanzione di cui all’art. 18, comma 4, St. lav., ovvero la reintegrazione nel posto di lavoro e il pagamento di un’indennità risarcitoria (commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto) dal giorno del licenziamento a quello della reintegra, fino a un massimo di 12 mensilità, tenuto conto di quanto il lavoratore abbia percepito o avrebbe potuto percepire dallo svolgimento di altre attività, oltre al pagamento dei relativi contributi previdenziali e assistenziali445.

Con l’entrata in vigore del d.lgs. 23 del 2015, per gli assunti a partire del 7 marzo 2015, il legislatore ha voluto prevedere una tutela ancora più forte a favore del lavoratore disabile, sancendo, all’art. 2, comma 4, che il licenziamento intimato “per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4 e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68”, comporta l’applicazione della sanzione prevista dai commi 1 e seguenti della stessa norma con riferimento al licenziamento discriminatorio, nullo, o intimato in forma orale, ovvero la c.d. “tutela reintegratoria piena” con condanna del datore di lavoro anche al pagamento di un risarcimento del danno (commisurato all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto), dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegra, dedotto quanto eventualmente percepito per lo svolgimento di altre attività, e comunque non inferiore a 5 mensilità, oltre agli oneri previdenziali e contributivi446.

La formulazione delle norme poste a confronto, l’art. 18, comma 7, St. lav. e l’art. 2, comma 4, d.lgs. n. 23 del 2015, è sensibilmente diversa, sia dal punto di vista lessicale,

444 V. Art. 18, comma 7, l. n. 300 del 1970

445 CASALE D., Malattia, inidoneità psicofisica e handicap nella novella del 2012 sui

licenziamenti, in Arg. dir. lav., 2014, 2, 401 ss.; TOPO A., Il licenziamento del lavoratore malato e del lavoratore disabile, in PERSIANI M. (a cura di), La disciplina dei licenziamenti nel primo anno di applicazione della legge 92/2012, in Giur. it., 2014, 2, 438 ss..

446 Per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, il regime sanzionatorio è quello previsto dall’art. 2,

comma 4, d.lgs. n. 23 del 2015. Il recesso legato all’inidoneità, fisica o psichica, del lavoratore configura un licenziamento discriminatorio, essendo la disabilità uno dei motivi di differenziazione vietati dall’art, 15 St. lav., nonché dalla normativa antidiscriminatoria, v. PASQUALETTO E., Il licenziamento discriminatorio e nullo nel “passaggio” dall’art. 18 St. lav. all’art. 2, d.lgs. n. 23/2015, in CARINCI F.-CESTER C. (a cura di), Il licenziamento all’indomani del d.lgs. n.23/2015 (contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutela crescenti), Adapt Labour Studies, e-book series n. 46, 2015, 48, 64 ss.; MARAZZA M., Il regime sanzionatorio dei licenziamenti nel Jobs Act, in Arg. dir. lav., 2015, 2, 310, 333; GIUBBONI S., Disabilità, sopravvenuta inidoneità, licenziamento, cit., 621 ss.; GIUBBONI S., Il licenziamento per sopravvenuta inidoneità alla mansione dopo la legge Fornero e il Jobs Act, in WP C.E.S.D.L.E. «Massimo D’Antona», 2015, n. 261; FERRARO G. (a cura di), I licenziamenti nel contratto «a tutele crescenti», in Quad. arg. dir. lav., 2015, n. 14; VOZA R., Sopravvenuta inidoneità psicofisica e licenziamento del lavoratore nel puzzle normativo delle ultime riforme, in Arg. dir. lav., 2015, 4-5, 771 ss.; CANGEMI V., Riflessioni sul licenziamento per inidoneità psico-fisica: tra ingiustificatezza e discriminatorietà, cit., 164 ss.; LAMBERTUCCI P., Il lavoratore disabile tra disciplina dell’avviamento al lavoro e tutela contro i licenziamenti: brevi note a margine dei provvedimenti attuativi del c.d. Jobs Act alla “prova” della disciplina antidiscriminatoria, cit., 1147 ss.

che per quanto riguarda il trattamento offerto al lavoratore disabile.

Sul primo aspetto, mentre la norma statutaria parla di “invalidità”, l’altra si riferisce alla “disabilità”. Così la prima disposizione sembra poter avere una platea di destinatari più ampia ricomprendendo anche ipotesi di invalidità che non costituiscano anche delle disabilità, e dunque patologie temporanee e di durata contenuta.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, anche in questa materia si possono riproporre i dubbi di legittimità costituzionale in ordine ai due diversi regimi di tutela, in quanto, a parità di situazioni, le misure sanzionatorie risultano differenziate in ragione della data di instaurazione del rapporto di lavoro.

Infine, mentre la tutela “forte” di cui al d.lgs. n. 23 del 2015 si applica a tutti i datori di lavoro, quella “attenuata” dell’art. 18 St. lav. presuppone il possesso dei requisiti dimensionali ivi previsti, anche se bisogna ricordare che sotto la soglia dei 15 dipendenti (computati secondo i criteri di cui alla legge n. 68 del 1999) l’obbligo di impiego non sussiste.

La scelta del legislatore del 2015 di inasprire il regime sanzionatorio e di ricondurlo nell’ambito delle tutele previste in caso di licenziamento discriminatorio deve essere valutata in modo positivo; essa realizza una maggiore garanzia del posto di lavoro per la persona con disabilità e appare coerente da un punto di vista logico posto che un licenziamento basato su un “motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore” presenta un forte carattere discriminatorio.

Allo stesso modo, un altro momento di coerenza è rappresentato dal fatto che il d.lgs. n. 23 del 2015 trova applicazione anche nei confronti delle piccole imprese; di fatti, se è vero che al di sotto della soglia occupazionale dei 15 dipendenti non sussiste l’obbligo di impiego, è pur vero che nella l. n. 68 del 1999 è sempre più spesso richiamata l’ipotesi che l’assunzione possa essere fatta anche ad opera di un soggetto non obbligato e, in tal caso, appare logico che un lavoratore assunto in via obbligatoria e poi licenziato in modo ingiustificato possa beneficiare delle medesime tutele, a prescindere dai requisiti dimensionali del datore di lavoro presso cui è stato avviato.

Per quanto riguarda i licenziamenti economici, infine, l’art. 10, comma 4, l. n. 68 del 1999, non indica quale sia la sanzione da riconnettere alla annullabilità del licenziamento operato in violazione della stessa norma, né si può rinvenire un riferimento specifico a tale disposizione nell’art. 18 St. lav., né nel d.lgs. n. 23 del 2015 o nella l. 223 del 1991. Con riguardo all’ipotesi in cui il licenziamento illegittimo derivi da una procedura di licenziamento collettivo, appare corretto applicare la sanzione prevista dall’art. 5, comma 3, relativa alla violazione dei criteri di scelta, ovvero, per rinvio, quella di cui all’art. 18,

comma 4, St. lav..

Qualora l’art. 10, comma 4, risulti violato in esito a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la sanzione applicabile sembra essere sempre quella prevista dall’art. 18, comma 7, il quale a sua volta rimanda anch’esso a quanto previsto dall’art. 18, comma 4, St. lav..

Con riguardo alle ipotesi rientranti nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23 del 2015, ovvero per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi, la violazione dell’art. 10, comma 4, sembra dover condurre all’applicazione dell’art. 2, stante il richiamo operato dal comma 4 alle ipotesi in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, “anche (ma non solo) ai sensi degli articoli 4, comma 4 e 10, comma 3…”, mentre, a norma dell’art. 10 dello stesso decreto, alla violazione dei criteri di scelta in esito a una procedura per licenziamento collettivo il legislatore ha ricollegato la sanzione prevista dall’art. 3, comma 1, ovvero la estinzione del rapporto di lavoro con condanna del datore al pagamento di un’indennità di importo pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, ma comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.

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