ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI PREVALENTI IN MATERIA DI EQUIVALENZA CAUSALE
2. ALCUNI PRONUNCIAMENTI SALIENTI DELLA MAGISTRATURA IN TEMA DI RAPPORTO DI CAUSALITÀ DELLE MALATTIE
PROFESSIO-NALI
Alcune recenti sentenze della Cassazione meritano di essere specificamente richiamate per le soluzione che indicano su fattispecie di comune riscontro.
A) Prima di tutto, tre sentenze che riguardano l’associazione tra tabagismo e rischio lavorativo per le malattie dell’apparato respiratorio.
1) La prima (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 2 dicembre 1999 n. 13453) si riferisce ad un lavo-ratore esposto a condizioni di polverosità in ambiente di lavoro che aveva sviluppato una forma morbosa a carico dell’apparato respiratorio nel cui determinismo avevano concorso anche una pregressa TBC polmonare e l’abitudine al fumo di tabacco. Il giu-dizio di merito formulato dal Tribunale di Terni concludeva per una scomposizione del danno respiratorio globale (30%) in una quota (15%) per la pregressa infezione specifi-ca e una quota (15%) per un processo ostruttivo, quest’ultima, a sua volta, scomposta
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in metà causata dall’inalazione di polveri in ambiente di lavoro e in metà dal tabagi-smo. Tali conclusioni sono state cassate dal Giudice di legittimità che ha affermato: “In tema di assicurazione contro le malattie professionali questa Suprema Corte ha sovente ribadito che, qualora la infermità invalidante derivi da fattori concorrenti, di natura sia professionale che extraprofessionale, trova applicazione il principio di equivalenza causale fissato in materia penale dall’art. 41 c.p., e pertanto a ciascuno di detti fattori deve ricono-scersi efficacia causativa dell’evento, a meno che uno di essi assuma rigorosi ed incontro-vertibili connotati di causa efficiente esclusiva; ed ha precisato, altresì, che il rischio di malattia da naturale predisposizione organica del soggetto non vale ad escludere del tutto quello professionale, in quanto un ruolo di concausa va attribuito anche ad un concorrente, minimo fattore di accelerazione evolutiva e di aggravamento di una pregressa od attuale patologia naturale, ove se ne riconosca in concreto la incidenza negativa (cfr. ex plurimis:
Cass. n. 535-1998)”.
2) Altra sentenza (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 3 maggio 2003 n. 6722) ha rigettato il ricorso per cassazione dell’Inail confermando la sentenza del Tribunale di Trento con la quale era stato riconosciuto il diritto dell’assicurato alla rendita per malattia professionale dell’apparato respiratorio (bronchite cronica) con incapacità del 50% concausata, oltre che da fattori lavorativi (polveri connesse alla lavorazione della ghisa), dal tabagismo. In particolare il Giudice di merito faceva riferimento al “principio di equivalenza delle cause di cui all’art. 41 c.p. applicabile anche alla materia infortunistica secondo la giu-risprudenza di legittimità”. La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso dell’INAIL, ribadiva: “L’affermazione che, nel caso che l’evento malattia sia prodotto da un con-corso di cause, l’indennizzabilità della malattia sia limitata alla quota di essa determi-nata dai fattori lavorativi collide con il principio dell’equivalenza di cause costantemen-te affermato dalla giurisprudenza di legittimità di questa Corcostantemen-te”.
3) La terza (Cass. Civ., Sez. Lav. 29/05/2004, n. 10448) si pronuncia sul caso di un lavo-ratore affetto da BPCO in cui, nel secondo grado di giudizio, la patologia in atto era stata attribuita dal Tribunale di Torino per metà al rischio lavorativo e per metà all’abitudine al tabagismo (in conformità al parere del CTU), con la condanna dell’INAIL alla costitu-zione di una rendita pari alla metà del danno totale.
Ricorreva per cassazione il lavoratore chiedendo che l’intero danno fosse posto a cari-co dell’Istituto, “avendo la cari-concausa lavorativa natura efficiente e determinante” per la malattia polmonare accertata, ed invocava, a tale riguardo, il principio dell’equivalenza causale sancito dall’art. 41 c.p.
La Cassazione si è pronunciata dando ragione al lavoratore così precisando: “La que-stione che la causa pone è sulla portata del principio dell’equivalenza causale di cui all’art.
41 c.p., ritenuto applicabile alla materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie profes-sionali dalla costante giurisprudenza di questa Corte, cfr. Cass. nn. 7679 del 1987, 1237 del 1992, 11559 del 1995, 535 e 1196 del 1998, 13453 del 1999, 7228 del 2000, 8165 del 2001, 8633 del 2002”. e, più avanti, la stessa sentenza aggiunge con riferimento all’art.
41 c.p.: “L’articolo regola il rapporto tra la concausa e l’evento, stabilendo che la prima è causa per intero del secondo, anche se sono presenti concause”. Per riaffermare l’applica-bilità di tale principio anche alla materia dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, precisa più avanti: “…va osservato che gli artt 2 e 3 del T.U. n. 1124 del 1965 non pongono una deroga a detto principio, in quanto si limitano ad affermare la necessità di un rapporto causale tra lavoro ed infortunio o malattia pro-fessionale, ma nulla dicono su eventuali concause”. L’Inail è condannato a costituire una rendita che copra l’intero danno accertato (70%) e non già solo la quota parte attribui-bile al rischio professionale.
Quindi in questa sentenza vengono anche rilevate i limiti degli articoli 2 e 3 del T.U.
che, se da un punto di vista affermativo ammettono la natura professionale della malattia solo se contratta “nell’esercizio e a causa” delle lavorazioni svolte, dall’altra non introducono elementi di esclusione rispetto alle forme nel cui determinismo agisco-no come concause anche condizioni agisco-non esclusive e proprie del lavoro.
B) Altre si occupano di malattie a “genesi multifattoriale”.
1) Così una sentenza (Cass. Civ., Sez. Lav., 22 agosto 2003, n. 12377) che si pronuncia a favore di un lavoratore che chiedeva all’Inail di corrispondergli una rendita in relazione alla spondiloartrosi lombare che lo affliggeva e che aveva visto rigettata l’istanza dal Giudice di merito, con la motivazione che “non poteva esistere un nesso causale tra atti-vità lavorativa esercitata dal P. (quella di muratore) e la spondiloartrosi, dal momento che dal punto di vista teorico, tale infermità, in base al motivato parere espresso dal consulente tecnico nominato nel giudizio di secondo grado, dipende da alterazioni verificatesi tra le proteine e i polisaccaridi e, quindi, da fattori chimico - enzimatici, ragion per cui si doveva escludere che, nel caso in esame, elementi di tipo meccanico quali *il sollevamento dei pesi iniziato prima della maturazione fisica del soggetto interessato*, avessero svolto un ruolo di concausa nella insorgenza della malattia, trattandosi di fattori solo favorenti”.
Avverso questa sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione ed il Giudice di legittimità si è così pronunciato: “Questa Corte, con riferimento alle malattie profes-sionali aventi rilevanza giuridica ai fini dell’assicurazione obbligatoria gestita dall’Inail, ha più volte affermato il principio secondo cui, in base alla diretta applicazione dell’art. 41 c.p., va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa esse-re con certezza ravvisato l’intervento di un fattoesse-re estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità - tanto da far degradare altre evenienze a sem-plici occasioni - deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (cfr., fra le tante sentenze, Cass 16 giugno 2001 n. 8165 e Cass. 5 febbraio 1998 n. 1196)”.
Entrando nel dettaglio del caso in esame la sentenza citata precisa: “Nel caso in esame, nella motivazione che sorregge la sentenza impugnata… si sostiene la non incidenza, sotto il profilo causale, dell’attività lavorativa per lungo tempo esercitata dal P. (di muratore, come è pacifico in causa) sulla spondiloartrosi che affligge lo stesso, in base al semplice rilievo che tale infermità sarebbe stata determinata… da *fattori chimico - enzimatici*, mentre *elementi di tipo meccanico, quale il sollevamento di pesi e il sovraccarico legato all’iperlordosi da postura, erano fattori favorenti*. Questo assunto, senza altra aggiunta, dimostra il vizio che inficia la decisione emessa”.
La Corte ha ritenuto che il riconoscimento, da parte del CTU di secondo grado, dell’origine multifattoriale dell’accertata forma morbosa a carico del rachide dorso lombare comporta che “l’eventuale sovraccarico meccanico di origine lavorativa” integra uno dei “diversi elementi eziopatogenetici” di cui tenere conto ai fini del riconoscimento della natura professionale. In conclusione cassa la sentenza impugnata ad assegna ad altro giudice che “dovrà uniformarsi al principio di diritto sopra enunciato in ordine alla diretta applicazione dell’art. 41 c.p. nella valutazione delle malattie professionali aventi rilevanza giuridica ai fini dell’assicurazione obbligatoria gestita dall’INAIL”.
Quindi, in questo caso, ai fini del riconoscimento della natura professionale della pato-logia a carico della colonna, viene stabilito che deve essere tenuto in conto ogni antece-dente di tipo lavorativo che abbia contribuito, non importa se con ruolo prevalente o meno e “anche in maniera indiretta e remota”, all’insorgenza della forma morbosa. In presenza di una malattia multifattoriale, insulti di origine lavorativa concorrenti con
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fattori di origine extralavorativa, purché agiscano in modo efficiente, integrano i requi-siti per la qualificazione della natura professionale della forma morbosa diagnosticata.
2) Nella sentenza che segue (Cass. Civ., Sez. Lav., 16 giugno 2001, n. 8165), con riferi-mento ancora alla patologia degenerativa del rachide, viene ripreso il principio dell’equivalenza causale sancito dall’art. 41 c.p. per ammettere la natura professionale di una malattia multifattoriale, risultante dal concorso di fattori lavorativi e no. Al riguardo si legge: “Si deve infatti rilevare che anche in materia di infortuni e malattie pro-fessionali trova applicazione la regola contenuta nella denunciata norma penale, per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condi-zioni, principio per cui va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente, che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo il tem-peramento previsto dallo stesso art. 41 c.p., in forza del quale il nesso eziologico è inter-rotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far decadere le cause antecedenti a semplici occasioni (Cass. 7 marzo 1998 n. 2554, oltre a Cass. 5 febbraio 1992 n. 1237)”.
In questa sentenza viene però sottolineato un altro punto per noi interessante: Il lavo-ratore aveva addotto come motivazione del riconoscimento della natura professionale della patologia anche il fatto che avesse già riconosciuta la medesima patologia come dipendente da causa di servizio. Al proposito si legge: “Correttamente il Tribunale ha escluso che ai fini della rendita da malattia professionale possa aver decisiva rilevanza il riconoscimento della medesima malattia come dipendente da causa di servizio, in quanto in tal modo si è adeguato all’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che ha più volte messo in luce la diversità dei presupposti sui quali si fondano i due Istituti e la differente intensità del rapporto causale tra attività lavorativa ed evento protetto, che per la rendita di cui al D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 è più stretto rispetto all’altra ipotesi”.
Viene ancora ribadita dunque la sostanziale differenza tra causa di servizio e riconosci-mento di malattia professionale Inail. Nel primo caso si pongono come antecedenti capaci di determinare la menomazione “tutti gli accadimenti comunque connessi con gli obblighi di servizio” ( concause equiparate alle cause ). In ambito Inail la malattia è pro-fessionale e dà luogo alla tutela assicurativa prevista “allorché sia contratta dal lavora-tore nell’esercizio e a causa della lavorazione cui è addetto e l’attività lavorativa nella ipo-tesi delle malattie a genesi multifattoriali deve costituire pur sempre causa sufficiente alla ridotta attitudine al lavoro dell’assicurato, ossia conditio sine qua non della malattia”. Si fa ricorso all’espressione “causa sufficiente”, non rileva se preponderante o meno.
C) Altre sentenze affrontano il problema del rapporto di causalità con riferimento all’infarto del miocardio.
1) Merita di essere richiamata una sentenza (Cass. Civ., Sez. Lav., 22 maggio 2003, n.
8019) che si pronuncia sulla indennizzabilità dell’infarto del miocardio per precisare che
“lo sforzo fisico compiuto o lo stress emotivo o psicologico subito durante il lavoro può inte-grare la causa violenta prevista dall’art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 idonea a deter-minare con azione rapida e intensa la lesione”. E, a proposito dell’equivalenza causale, la sentenza prosegue: “Peraltro la predisposizione morbosa non esclude il nesso causale tra lo sforzo compiuto o lo stress emotivo o psicologico subito e l’evento infortunistico, avuto anche riguardo al principio di equivalenza delle condizioni di cui all’art. 41 c.p., che trova applica-zione nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con la conseguen-za che un ruolo di concausa va attribuito anche a una minima accelerazione di una pregressa malattia, salvo che questa non sia sopravvenuta in modo del tutto indipendente dallo sforzo compiuto o dallo stress subito nella esecuzione della prestazione lavorativa”.
Con questa sentenza si sottolinea che l’efficienza concausale, non importa di quale importanza, anche minima, di un determinato antecedente di natura lavorativa consen-te di ammetconsen-tere a tuconsen-tela l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale che soprag-giunge in un soggetto già portatore di un pregresso stato morboso.
2) Sempre a proposito dell’infarto del miocardio un’altra sentenza (Cass. Civ. Sez.
Lavoro, 23 dicembre 2003 n. 19682) si pronuncia su un caso sopraggiunto in un diri-gente già portatore di patologia cardiaca. Nella sentenza si legge: “Ha ritenuto in propo-sito questa Corte che uno sforzo fisico, cui possono equipararsi stress emotivi ed ambien-tali, costituisca la causa violenta ex art. 2 D.P.R. 30/06/1965 n. 1124, che determina, con azione rapida e intensa, la lesione; che la predisposizione non esclude il nesso causale tra sforzo ed evento infortunistico, in relazione anche al principio della equivalenza causale di cui all’art. 41 del cod. pen. che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro e