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LA INVALIDITÀ PENSIONABILE DERIVANTE DA INFORTUNIO O MALATTIA PROFESSIONALE

A. CAVALLI*, F. CATTANI*, T. DI BIAGIO**

* COORDINAMENTO GENERALE MEDICO LEGALEINPS

** CENTRO MEDICO LEGALE- DIREZIONE SUBPROVINCIALEINPS, ROMAMONTESACRO

L’art. 1, comma 43, della L. 8 agosto 1995, n. 335, ha stabilito che le pensioni di inabi-lità, di riversibilità o l’assegno ordinario di invalidità a carico dell’assicurazione genera-le obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, liquidati in conseguenza di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, non sono cumulabili con la rendita vitalizia corrisposta per lo stesso evento invalidante a norma del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.

La sintetica formulazione del citato comma, alla luce delle diverse fattispecie concreta-mente evocabili sotto il profilo medico-legale, in particolare nel caso in cui i requisiti sanitari per la prestazione erogata dall’INPS derivino in parte da cause lavorative ed in parte da cause comuni, ha prospettato sin dall’entrata in vigore della disposizione numerose difficoltà interpretative.

La norma stessa è stata oggetto di una circolare esplicativa da parte dell’INPS, è stata modificata per quanto attiene al divieto di cumulo con i trattamenti di riversibilità -dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, ha quindi subito il vaglio della Corte Costituzionale ed ha giustificato numerose pronunce della Corte di Cassazione. Infine, allo stato attuale, più di una proposta di legge si prefigge di apportare ulteriori modifiche al provvedimento, sostanzialmente tese al superamento del divieto di cumulo.

La complessa attuazione della disposizione deriva in gran parte dall’artic olato del provvedimento in esame che, pur prefiggendosi di non evocare direttamente questioni medico-legali, spostando tuttavia a livello concessorio il baricentro della incompatibi-lità dei trattamenti ha aperto la strada ad una serie di difficoltà strettamente attinenti alla sfera certativa sanitaria.

Non a caso, già nel 1996 l’Istituto emanava, con la circolare n. 153 del 23 luglio, dispo-sizioni in materia, posto che da alcune Sedi era stato chiesto se la patologia alla base della liquidazione della rendita vitalizia per infortunio sul lavoro o per malattia profes-sionale dovesse essere tale da determinare da sola (o meno) la liquidazione dell’assegno ovvero della pensione.

Nella citata circolare si osservava, prima di affrontare le concrete fattispecie medico-legali, che l’incumulabilità delle prestazioni risultava aderente al cosiddetto “principio indennitario”, in virtù del quale un sinistro non può diventare fonte di lucro per chi lo ha subito, conforme alla regola generale per la quale le prestazioni previdenziali sono erogate nell’interesse pubblico e tendono, per quanto è possibile, esclusivamente a rea-lizzare la liberazione dal bisogno del lavoratore invalido o inabile.

Al tempo stesso, si aggiungeva che il divieto di duplicazione dell’indennizzo previsto dalla norma trova ragion d’essere anche nell’art. 1910 del codice civile, il quale afferma

espressamente che «l’assicurato può chiedere a ciascun assicuratore l’indennità dovuta secondo il rispettivo contratto, purché le somme complessivamente riscosse non superino l’ammontare del danno».

La correttezza di tale impianto sarebbe stata, in un secondo tempo, confermata dalla stessa Corte Costituzionale la quale, con ordinanza 29 maggio 2002, n. 227, ha ammes-so che il legislatore, nel disciplinare la tutela in favore del lavoratore in situazione di bisogno, può ben tener conto del fatto che l’ordinamento contempli già altri interventi a sua protezione, derivandone che rientra nella discrezionalità del legislatore medesi-mo, nel prevedere un regime di incompatibilità o di divieto di cumulo, catalogare le plurime prestazioni che in tale regime ricadono e valorizzare la circostanza che «il lavo-ratore assicurato abbia già beneficiato di una prestazione assicurativa e quindi gli sia già stata apprestata una provvista che astrattamente lo rende meno vulnerabile di fronte al secondo possibile evento pregiudizievole».

In definitiva, sempre secondo la Corte, non può ritenersi contrario ai principi della Costituzione un intervento legislativo che, per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica e con criteri di gradualità, porti all’introduzione di un divieto di cumulo tra prestazioni previdenziali o assistenziali, prima non previsto, sempre che «nel rispetto del principio di solidarietà sociale (art. 38 della Costituzione) e di eguaglianza sostanziale (art. 3, secondo comma, della Costituzione), sia garantito il soddisfacimento delle esigenze di vita cui erano precedentemente commisurate le prestazioni considerate».

Ponendo di nuovo attenzione alla circolare INPS n. 153 del 1996, dal punto di vista tecnico vengono fornite indicazioni a tenore delle quali, in caso di coesistenza di infer-mità riconducibili all’INAIL e di inferinfer-mità comuni:

a) se gli esiti dell’infortunio sul lavoro o la malattia professionale sono di per sé suffi-cienti a giustificare il riconoscimento dell’assegno di invalidità o della pensione di inabilità e le altre patologie comuni non realizzano da sole analogo effetto, vige il divieto di cumulo ed il medico dell’INPS, nel riconoscere comunque lo stato di inva-lidità o di inabilità, è tenuto a segnalare tale situazione per gli aspetti amministrativi del caso;

b) se gli esiti dell’infortunio sul lavoro o la malattia professionale sono di per sé suffi-cienti a giustificare il riconoscimento dell’assegno di invalidità o della pensione di inabilità, e anche le altre patologie comuni risultano da sole invalidanti o inabilitan-ti, il divieto di cumulo non sussiste, per autonoma idoneità delle infermità di compe-tenza dell’INPS a costituire il diritto alla prestazione previdenziale;

c) se gli esiti dell’infortunio sul lavoro o la malattia professionale non sono di per sé sufficienti a giustificare il riconoscimento dell’assegno o della pensione, e la soglia della invalidità o della inabilità viene raggiunta per effetto di una pluralità di meno-mazioni, ivi comprese le patologie comuni (menomazioni plurime “eterogenee” in veste di concause di invalidità) non vige il divieto di cumulo; sarà compito del medi-co INPS quello di segnalare, tra la varie medi-concause di invalidità o di inabilità, quelle derivanti da infortunio sul lavoro o da tecnopatia, indicando al tempo stesso che la valutazione di sintesi ha tenuto conto del complesso delle infermità;

d) se gli esiti dell’infortunio sul lavoro o la malattia professionale sono di per sé suffi-cienti a giustificare il riconoscimento dell’assegno di invalidità, ma l’assicurato è riconosciuto inabile per il ruolo concausale di altre patologie comuni, non vige il divieto di cumulo in ordine ala pensione di inabilità; sarà comunque compito del medico INPS quello di segnalare che l’infermità INAIL è da sola idonea alla con-cessione dell’assegno perché, in caso di revoca della pensione di inabilità e di

liqui-dazione, in sostituzione, dell’assegno di invalidità, verrebbe applicato il divieto di cumulo.

Nella medesima circolare trova distinta previsione il caso di concessione di assegno o di pensione per la concorrenza, e non per la coesistenza (prima esaminata) di più infer-mità, laddove si assume che se l’infermità riconducibile all’INAIL è successiva (in ter-mini cronologici) alla patologia comune, il maggior danno riconosciuto all’INAIL alla infermità di natura lavorativa giustificherebbe la idoneità di questa, da sola, alla pre-stazione di invalidità o di inabilità, derivandone l’applicazione del divieto di cumulo.

Di contro, in caso di verificazione, per ultima, della patologia comune concorrente con la preesistenza lavorativa, non sarebbe applicabile il divieto di cumulo.

Occorre, però, porre attenzione al fatto che in caso di minorazioni plurime policrone eterogenee e concorrenti, quando l’infermità extra-lavorativa precede quella lavorativa, l’INAIL giunge solo ad una più favorevole valutazione (con formula di Gabrielli) del danno indennizzabile, senza però attrarre la patologia comune nel novero delle infer-mità per le quali è stata costituita la rendita.

La prassi suggerita dalla circolare INPS, peraltro, è in linea con quanto più volte riba-dito dalla giurisprudenza di legittimità, a tenore della quale, perché operi il divieto di cumulo, occorre che vi sia lo “stesso evento invalidante” quale cerniera tra le due pre-stazioni previdenziali, ovverosia che l’inabilità conseguente ad infortunio o a malattia professionale rilevante al fine di far sorgere il diritto alla rendita INAIL sia la medesi-ma che ha comportato la liquidazione della prestazione previdenziale a carico dell’INPS.

In altri termini, l’applicazione del divieto di cumulo è subordinata alla totale identità di eventi generatori del diritto alle due attribuzioni previdenziali, cioè alla totale coinci-denza tra le cause determinanti da un lato l’inabilità o l’invalidità pensionabili e, dall’altro, l’evento invalidante (infortunio o malattia) che dà diritto alla rendita infor-tunistica.

Solo in tale caso «la previsione del divieto di cumulo può legittimamente, operare [...]

perché solo con riferimento a queste situazioni può ragionevolmente ipotizzarsi quella duplicazione di tutele con la quale si giustifica la scelta legislativa di un unico intervento del complessivo sistema di sicurezza sociale» (15).

Alla luce di quanto delineato e ribadita la ammissibilità, sancita dalla Corte Costituzionale (9), di interventi legislativi tesi, con criteri di gradualità, alla introduzio-ne di un divieto di cumulo tra prestazioni previdenziali o assistenziali, è parere degli scriventi che l’attuale impianto legislativo generi non secondarie difficoltà applicative della norma e possa causare difformità di trattamento tra soggetti in pari misura invali-di.

Sul punto, le inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica - che attual-mente subordinano la incumulabilità delle prestazioni alla totale identità di eventi generatori del diritto in ambito INPS ed INAIL - con tutta verosimiglianza potevano più efficacemente e più semplicemente essere assolte consentendo all’INPS di sottrarre dall’assegno (o dalla pensione) l’equivalente corrisposto dall’INAIL a titolo di rendita per infortunio sul lavoro o per malattia professionale, anche quando i postumi di natu-ra lavonatu-rativa fossero di per sé necessari, ma non sufficienti, a rendere l’assicunatu-rato inva-lido o inabile.

Giova richiamare, al riguardo, le argomentazioni a fondamento dell’eccezione di inco-stituzionalità della norma prospettata nel 2001 dal Tribunale di Pisa, per il quale risul-tava violato l’art. 3 della Costituzione - sotto il profilo della “irragionevolezza

intrinse-ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE

ca” - perché il divieto di cumulo opera solo se l’invalidità deriva dal medesimo evento,

«onde possono aversi due soggetti entrambi privi di capacità lavorativa ai quali saranno attribuiti trattamenti quantitativamente diversi solo perché in un caso gli eventi invalidanti sono stati diversi e nell’altro si è trattato di un unico evento».

E, ancor più, è ipotizzabile che uno stesso assicurato, titolare sia di rendita INAIL, sia di assegno o pensione INPS, nel corso del tempo perda la possibilità di cumulare le provvidenze economiche a causa del riconoscimento di una più elevata percentuale di inabilità derivante da infortunio lavorativo o da tecnopatia (per esempio, a seguito di revisione a norma dell’art. 83 del T.U.).

Il che porterebbe, a fronte del peggioramento del quadro invalidante, ad un ridimensio-namento del corrispettivo economico concretamente percepito.

Ancora, il Tribunale di Pisa aveva ritenuto violato l’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della disparità del trattamento perché, dopo che l’art. 73 della L. 23 dicembre 2000, n. 388 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2001”) aveva soppresso il divieto di cumulo tra il trattamento di reversibilità a carico dell’AGO e la rendita ai superstiti erogata dall’INAIL per il decesso del lavoratore conseguente ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, ne risulterebbe, a parità di condizioni, una disciplina privilegiata dei trattamenti di reversibilità rispetto a quelli diretti.

Nonostante le difformi conclusioni della Corte Costituzionale (11), i dubbi sollevati dal Tribunale rimettente appaiono tuttora ragionevoli e, soprattutto, ancora privi di ade-guata risposta dal punto di vista medico-legale.

Ed è proprio la tormentata storia dell’art. 1, comma 43 della L. 8 agosto 1995, n. 335, che giustifica la pluralità di iniziative parlamentari, intensificatesi negli ultimi anni, volte a proporre un diverso regime di cumulo, nel senso di un superamento del divieto di percepire prestazioni erogate dall’INAIL e dall’INPS (16-17).

Su tutto vige un’ulteriore sfera di alea, inerente al mutato contesto valutativo dei postumi indennizzabili in sede INAIL, con passaggio dal concetto di inabilità lavorati-va a quello di danno biologico.

Si osserva, infatti, che la legge 335/95 risale ad un epoca nella quale le rendite venivano concesse per fenomeni morbosi di natura lavorativa incidenti sulla attitudine al lavoro e che il D. Lgs 23 febbraio 2000, n. 38, ha modificato parzialmente la disciplina in mate-ria, prevedendo che, in luogo della rendita per l’inabilità permanente di cui all’art. 66, punto 2, del DPR 30 giugno 1965, n. 1124, venga erogato un indennizzo sulla base non più della riduzione della capacità lavorativa dell’assicurato, ma della «lesione all’inte-grità psico-fisica» dello stesso, intesa come danno biologico permanente e valutata in base alla specifica “Tabella delle menomazioni” emanata con DM 12 luglio 2000.

Orbene, ci si domanda se è ancora ragionevole ritenere che una menomazione, per la quale si abbia contemporaneamente titolo ad una rendita erogata dall’INAIL ed a una presta-zione di invalidità o di inabilità erogata dall’INPS, possa configurare lo “stesso evento invalidante” ed essere ritenuta “cerniera” comune tra i due ambiti di tutela, quando in un caso il bene tutelato e la mera integrità psicofisica e, nell’altro, è la capacità lavorativa.

Non appare fuori luogo, al riguardo, evocare la sentenza della Corte Costituzionale (10) con la quale si stabilì, sotto un duplice profilo, la autonoma caratterizzazione del danno biologico rispetto al danno lavorativo all’epoca tutelato.

Ritenne la Corte, infatti, che l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile, previsto dall’art. 10 del DPR 30 giugno 1965, n. 1124, non poteva riguardare anche il risarcimento del danno biologico, ma doveva essere limitato al pregiudizio derivante dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa. Questo perché le indennità

all’epoca previste dal T.U. erano collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psico-fisica aveva sull’attitudine al lavoro dell’assicurato, mentre nes-sun rilievo assumevano gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comportava in riferimento agli altri ambiti ed alle altre modalità con le quali il soggetto svolgeva la sua personalità nella propria vita.

Con la medesima sentenza e conforme agli stessi principi, l’art. 1916 del codice civile -che non esclude dal regresso dell’assicuratore le somme dovute dal terzo danneggiante per titoli di danno diversi da quelli che costituiscono oggetto del rischio assicurato -veniva dichiarato costituzionalmente illegittimo (per violazione dell’art. 32 della Costituzione) nella parte in cui consentiva all’assicuratore di avvalersi, allo scopo, anche delle somme dovute al danneggiato a titolo di risarcimento del danno biologico, che non formasse oggetto della copertura assicurativa.

Tanto premesso, allo stato attuale non appare del tutto convincente, sotto il profilo tecnico-guridico, un regime di non cumulabilità tra prestazioni che, sottese da diversi requisiti invalidanti, sono “collegate e commisurate” in via esclusiva ai riflessi su due distinte attribuzioni dell’assicurato: da un lato l’integrità psico-fisica e dall’altro la capacità lavorativa, entrambe meritevoli di distinta tutela costituzionale.

Ne deriva l’opportunità di una definitiva revisione della materia che sia improntata, oltre ad inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, anche a principi di corretta sistematizzazione medico-legale.

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ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE

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Camera dei Deputati, XI Commissione Lavoro, n. 1450/C e abb., iniziativa parlamen-tare On. CORDONI, rel. On. SANTORI, sedute del 2 luglio 2002, 8 marzo 2005, 21 settembre 2005, 19 ottobre 2005: “Modifica del comma 43 dell’articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di cumulo tra le prestazioni erogate dall’INAIL e dall’INPS”.

Camera dei Deputati, XI Commissione Lavoro, n. 6223/C, iniziativa governativa del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali On. Maroni, rel. On. SANTORI, sedute del 13 dicembre 2005, 22 dicembre 2005, 17 gennaio 2006, 18 gennaio 2006, 26 gennaio 2006: “Modifica del comma 43 dell’articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335, in mate-ria di cumulo tra le prestazioni erogate dall’INAIL e dall’INPS”.

IL RAPPORTO DI CAUSALITÀ NELL’AMBITO

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