ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI PREVALENTI IN MATERIA DI EQUIVALENZA CAUSALE
3. GLI INDIRIZZI OPERATIVI DELL’INAIL SUL NESSO DI CAUSALITÀ DELLE MALATTIE PROFESSIONALI
accelerazione di una pregressa malattia”. Nello specifico del caso in esame precisa: “Il preponderante rilievo concausale della malattia del Ricci non esclude la concausa da lavo-ro per l’equivalenza delle cause di cui all’art. 41 c.p., principio generale dell’ordinamento in tema di rapporto eziologico”. Dunque viene ribadito, con riferimento specifico al caso dell’infarto infortunio, ma pacificamente estensibile anche alle malattie professionali, il principio che anche “una minima accelerazione”, per causa lavorativa, di un pregresso stato morboso che porta all’insorgenza di un danno alla salute dell’assicurato integra i presupposti per l’ammissione del rapporto di causalità tra il fatto di origine lavorativa e la menomazione sopraggiunta.
3. GLI INDIRIZZI OPERATIVI DELL’INAIL SUL NESSO DI CAUSALITÀ DELLE MALATTIE PROFESSIONALI.
Prima della recente lettera del 16/02/2006 del Direttore Generale INAIL, avente per oggetto “Criteri da seguire per l’accertamento della origine professionale delle malattie denunciate”, gli organi centrali dell’istituto si erano già occupati del problema del rap-porto di causalità delle malattie professionali con le disposizioni contenute in alcuni provvedimenti fra cui:
1. circolare n. 35 del 16 luglio 1992, a proposito delle malattie da microtraumi e postu-re incongrue: “Non si può ppostu-regiudizialmente escludepostu-re che in alcuni casi esercitino una influenza anche fattori professionali i quali, tuttavia, per assumere rilevanza in sede assicurativa, devono svolgere una azione diretta ed efficiente, anche in concorso con cause extralavorative purché quest’ultime non interrompano il nesso eziologico in quanto capaci di produrre da sole l’evento morboso.”.
2. circolare n. 71 del 17 dicembre 2003, a proposito dei disturbi psichici da costrittività organizzativa: “I disturbi psichici quindi possono essere considerati di origine profes-sionale solo se sono causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particola-ri condizioni dell’attività e della organizzazione del lavoro.”.
3. circolare n. 25 del 15 aprile 2004, “Malattie del rachide da sovraccarico biomeccani-co”: “La sussistenza in soggetti esposti a rischio lavorativo di patologie preesistenti, congenite o acquisite (come, ad esempio, marcati dismorfismi lungo i vari assi, spondi-lolisi e spondilolistesi, esiti post-traumatici, spondilite anchilosante, ecc.) deve indurre alla massima cautela nel riconoscimento della patologia lavoro-correlata.”
Si tratta, in sostanza, di una serie di indicazioni che, pur tenendo conto del possibile concorso di cause extralavorative (concausa di lesione) nel determinismo della forma
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morbosa denunciata come professionale, non esprimono una chiara posizione dell’Istituto in ordine al consolidato orientamento giurisprudenziale della Cassazione sull’applicazione della teoria condizionalistica e del principio dell’equivalenza causale ex art. 41 c.p., anche in materia di infortuni sul lavoro e di malattie professionali.
Solo con la recente lettera del 16 febbraio 2006, firmata dal Direttore Generale e curata congiuntamente dalla Direzione Centrale Prestazioni, dalla Sovrintendenza Medica Generale e dall’Avvocatura Generale dell’INAIL, sono stati forniti indirizzi operativi modulati sull’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità. In partico-lare si legge: “Nel caso di concorrenza di fattori professionali con fattori extraprofessio-nali trovano, infatti, applicazione i principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., che, in quanto principi generali dell’ordinamento giuridico, sono applicabili anche alla materia dell’assi-curazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali… Ne consegue che, una volta che sia accertata l’esistenza di una concausa lavorativa nell’eziologia di una malat-tia, l’indennizzabilità della stessa non potrà essere negata sulla base di una valutazione di prevalenza qualitativa o quantitativa delle concause lavorative nel determinismo della patologia”.
Con la presente nota sembra che l’Inail voglia ricondurre al riconoscimento in sede amministrativa almeno una parte del consistente numero di malattie professionali ammesse alle prestazioni solo a seguito di sentenza, facendo propri, nell’ambito dell’istruttoria e definizione amministrativa delle domande, criteri valutativi cui la Magistratura fa ampiamente ricorso da tempo traendoli dal diritto penale.
In conformità rileva riportare un autorevole pronunciamento (Fiori, A., “Il nesso cau-sale e la medicina legale: un chiarimento indifferibile”, Riv. It. Medicina Legale, 2002, 2, 247): “Non sussiste dunque alcun dubbio, nell’ambito della Medicina Forense, sul fatto, di cui il medico legale deve prendere atto operando in conseguenza, che la teoria condiziona-listica della causalità - non già quella della causalità adeguata - è quella che sta alla base del nostro attuale ordinamento” e, più avanti: “Poiché il giudizio sul rapporto causale deve essere motivato, la motivazione non può dunque essere basata se non sul modello della sussunzione sotto leggi scientifiche: un antecedente può essere considerato come con-dizione necessaria (condicio sine qua non) solo se rientra nell’ambito degli antecedenti che, sulla base di una successione regolare, conforme ad una legge dotata di validità scien-tifica (cosiddetta legge generale di copertura), producono eventi del tipo di quello verifi-catosi in concreto”. Secondo Fiori, dunque, il criterio di possibilità scientifica richiede l’accertamento che, secondo leggi scientifiche di copertura, un determinato anteceden-te, da solo o con il concorso di altri, si configuri come la condizione potenzialmente idonea alla produzione di un evento. In concreto verranno poi in aiuto “leggi universa-li” o “leggi statistiche”.
Esempio: se viene provato che Tizio spara un colpo al cuore a Caio e questi muore l’etiologia di tale condotta è in re ipsa dimostrata, in quanto coperta da norme univer-salistiche che accertano le conseguenze letali di un colpo sferrato in simil modo.
Dobbiamo dunque ricorrere a leggi generali che individuano rapporti di successione regolare tra azione ed evento, considerati come accadimenti non unici ma ripetibili, individuando di volta in volta il caso concreto che stiamo esaminando.
La cosa è meno agevole quando è sconosciuta, anche in astratto, la legge di copertura di un processo causale, come nel caso di alcune malattie professionali (es.: esposizione a sostanze le cui conseguenze sono sconosciute dalla scienza ma che i fatti sembrano, almeno indiziariamente, dimostrare effetti nocivi per la salute). Quando sembra manca-re la legge scientifica di copertura e in tutti i casi in cui non è utilizzabile alcuna legge universale, si deve ricorrere ai dati statistici, se disponibili per quella determinata
ipote-si, con un giudizio di probabilità, che permette di asserire che un evento discende da un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa.
L’Autore si pone quindi il quesito: “Che fare dunque per colmare le enormi distanze che spesso separano la possibilità scientifica e certezza del nesso causale come condizione necessaria ?”, per concludere “…superato positivamente il criterio di possibilità si affron-ta l’acceraffron-tamento in concreto del nesso causale” e riconosce che nell’ambito del giudizio civile ed amministrativo può essere ammesso il giudizio probabilistico, “non necessaria-mente vicino alla certezza”.
Concludendo pare di poter affermare che il criterio di una corretta metodologia medico legale, magari riletta in senso migliorativo, non debba essere tralasciato, tenendo comun-que presente che il criterio di possibilità scientifica non può essere soddisfatto con stru-menti univoci, data l’eterogeneità della casistica a ns disposizione. Consapevoli del fatto che la possibilità scientifica è dunque una via aperta sull’auspicabile traguardo della cer-tezza, che molte volte ci è comunque impossibile raggiungere, ci avviciniamo quanto più possibile con il criterio della probabilità elevata, da ritenere ragionevolmente vicina alla certezza.
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