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Il primo contatto fra i Gualandi e Volterra risale forse al 1107 (7 giugno)31, e riguarda una refuta di beni alla badia dei Ss. Giusto e Clemente. Il monastero, come si ricorderà, era il

29 Tabacco, “La storia politica”, cit., p. 146.

30 Cfr. AVV, n. 116 (RV, n. 157). Santa Fiora è presso Colle Valdelsa (cfr. REPETTI, I, p. 561);

mentre Castello è il capoluogo del piviere a cui appartengono, fra le altre località, Staggia e Paurano (cfr. PIEVI, 8.0).

31 Biblioteca Guarnacci, fondo Badia; reg. compilato da don Gherardini, Index, cit. (d’ora in poi:

frutto di un investimento diretto del vescovo Gunfredo, il quale aveva voluto fondare il cenobio non soltanto come rafforzamento dell’autorità episcopale sulla città, ma anche per godere di tutti quei vantaggio che i patroni traevano dai propri Eigenkloster. Ed ecco che uno di questi vantaggi – la tessitura di relazioni con le famiglie eminenti di un territorio – dava adesso i propri frutti: Imilda figlia del fu Ugo e vedova del fu Gualando, insieme ai figli Mirangiuso, Bonaccorso, Guido e Saraceno, promise, dietro un merito di 100 soldi, di non molestare l’abate nel possesso dei beni ceduti «in curte di Miemo», ovvero alcuni terreni con relativi massari. L’atto fu «actum loco intus castrum de Buriano32», e vi testimoniarono Guido e Subito fu Martino, Britturo e Ottolino fu Bonanno e Azzo.

Il 16 novembre del 1108, fu direttamente la Curia a interfacciarsi con la famiglia, attraverso una convenzione di mutuo soccorso: nella prima parte del documento, Gualando del fu Saraceno offrì al presule, in cambio di un anello d’oro, «medietatem ex integram de curte et castello de Buriano et medietatem de curte et castello de Miemo»; nella seconda, invece, veniamo a sapere di una precisa garanzia a sanzione di un’alleanza: Gualando del fu Saraceno avrebbe dovuto far giurare il nipote, una volta maggiorenne, di mettere a disposizione del vescovo i propri beni; la Curia, in cambio, lo avrebbe aiutato a recuperare il patrimonio avito33. In questo scambio, Miemo e Buriano servivano da garanzia politica. La triangolazione funzionò, giacché, nel luglio 1110, Gualando detto Malconte, nipote di Gualando del fu Saraceno, donò a Santa Maria la metà dei propri beni in Monteburlo, Castro,

32 Miemo si trova non lontano da Montecatini Valdicecina (cfr. REPETTI, III, pp. 206 – 208); mentre

Buriano è in Valdicecina, 7 miglia a ovest di Volterra (cfr. REPETTI, I, p. 375).

33 Cfr. AVV, n. 95 (Cavallini, II, n. 14): «ista cartula facta est eo tinore. Si Gualandus fecerit facere

cartulam nepotem suum Gualando […] Marie vulterrensis de medietate omnium bonorum suorum qui obvenerunt ad patre vel matre et […] mittere in possessione episcopus vel nuntius Ecclesie eorum quibus ipse possiderit tempore quod cartulam fiat excepto servis et ancillis de Buriano et de curte eius. Post completa etatem decem et octo annorum infra […]es quod episcopus vel certus Ecclesie missus inquisierit eum excepto Dei impedimento mortis vel alterius inevitabilis casus […] impedimento transierit recuperabit infra quindecim dies si inquisitus fuerit et cartula illa quam nepos Gualandi deb[…]re debet fieri super tali condictione si episcopus adiuverit eum per bonam fidem recuperare bona patris et matris […] eo usque ad finem quam ipse faciet cum Rainerio fratre suo. Si hec omnia sicut superius supra promist predicto Gualando […] ecclesia hec cartula et rebus quibus in ea legitur revertat in potestate predicti Gualandi vel suis eredes et si ec omnia […] non opservaverit adversus istam ecclesiam abeat et teneat predicta ecclesia cartulam et rebus qui in ea legitur [proprietario] nomine».

Bibbona, Lajatico, Acqui e Montecatini; il rogito è «actum infra plebem de Pava»34. È la prima volta che ci troviamo davanti a patti così espliciti fra vescovo e lambardi, che nascevano evidentemente dalla volontà da parte di Ruggero di presidiare la parte occidentale della sua diocesi: quella sì al confine con Pisa, ma anche quella che era dirimpetto al nucleo cadolingio di Morrona, teatro della spedizione militare della marchesa Matilde nel 110735.

5.3.2. I Da Pichena.

Se la relazione fra Gualandi e Diocesi passò prima dalla badia cittadina, fu caratterizzata da una strumentazione giuridica inedita per Volterra (l’impegno dello zio per il nipote) e si concretizzò nelle primissime fasi dell’episcopato di Ruggero, l’aggancio dei Da Pichena con la Curia fu per certi versi opposto: arrivò quando il presule era (probabilmente) già morto, e fu attuata grazie alla mediazione del pievano di Sillano. I membri di questa schiatta – Fraolmo e Pietro figlio di Gualfredo – avevano partecipato, nel 1100, al placito con cui Matilde ascoltò le deposizioni in favore di alcuni diritti rivendicati dal vescovo di Lucca

34 Cfr. AVV, n. 100 (RV, n. 145, con una lacuna: manca il castello di Castro! e con datazione errata):

«Integram medietatem ex omnibus terris et rebus meis que mihi pertinere videtur ex parte patris mei et matris et mihi hodie in parte et in sorte divisionis advenerunt a Rainerio germano meo et uxore sua Dina et per cartulam ab ipsemet comuniter consentientibus rogatam mihi tradites in presentia et notitia iudicis et causidicorum qui ibi aderant nominative medietatem de castello et curte et pertinentia de Monteburli et medietatem de castello et curte et pertinentia de Castro et medietatem mee portionis de castello et curte et pertinentia de Bibboni et medietatem mee portionis de castello et curte et pertinentia de Laiatico et medietatem de mea portione ex omnibus terris et rebus infra curte de Acqui et in eius finibus et medietatem de curte et pertinentia de Montecatini exceptatis et antepositis ceteris omnibus». Per il rapporto fra zio e nipote nelle famiglie aristocratiche medievali cfr. Cinzio Violante, “Alcune caratteristiche delle strutture familiari in Lombardia, Emilia e Toscana durante i secoli IX e XII”, in Famiglia e parentela nell’Italia medievale, a c. di Georges Duby e Jacques Le Goff, Il Mulino, Bologna, 1977, pp. 19 – 82. In assenza del padre, lo zio faceva da supplente; e (p. 44) «al momento del raggiungimento della maggiore età, coloro che erano risultati minorenni alla morte del padre o del nonno compivano atti giuridici di conferma delle disposizioni prese a suo tempo», proprio come nel nostro caso. Monteburlo è per me sconosciuto; mentre per Castro, in Valdicecina, cfr. REPETTI, I, p. 439, e PIEVI, 2.1: il piviere è quello di Casaglia.

35 Cfr. Davidsohn, Storia, I, cit., pp. 533 – 534. Le fonti parlano di una «caballaria comitatu

volterrensi iuxta Cecinensem fluvium» (cfr. Alfred Overmann, La contessa Matilde di Canossa, Multigrafica, Roma, 1980 (ed. it. a c. di Gino Badini con trad. di Guerrino Beda dall’orig. Gräfin

Mathilde von Tuscien, ihre Besitzungen, Geschichte ihres Gutes von 1150 – 1230 und ihre Regesten,

Verlag der Wagner’schen Universitäts-Buchhandlung, Innsbruck, 1895), 25 luglio 1107, p. 161). La Pescaglini Monti colloca infatti la distruzione di Montevaso nel contesto della «guerre combattute durante l’ultimo soggiorno di Matilde in Tuscia, quando, dopo aver conquistato Prato, la Contessa intraprese con i suoi vassalli ‘della Lombardia e della Tuscia’ una spedizione di uomini a cavallo nella contea volterrana» (“La plebs”, cit., p. 26).

Rangerio36. Il 25 marzo del 1133 i Da Pichena fanno il loro ingresso nella documentazione volterrana allorquando «Walfredus filius bone memorie Gualfredi de Pichena et Isimbardus filius suprascripti Gualfredi» consegnarono «presbitero Azoni ad honorem Dei et ecclesie Sancte Lucie de Sillano» «quantum terre retinuerunt nomine fei Petrus filius Guidoni et Rollandus filius Eldizi de Canuioli in Perita»; il prezzo pagato dal sacerdote era di 23 soldi, e l’atto fu vergato «apud castrum de Ripapoiori»37. Poco sotto, fu apposto un breve

recordations «ad memoriam habendam vel retinendam de decima supradicte terre necnon omnium rerum supraradicti fei quam dominus Gualfredus et Dania iugalis eius et Isimbardus in manus domini presbiteri Azonis ad honorem Dei et ecclesie Sancte Lucie dimiserunt et refutaverunt et hoc in presentia supradictorum testium fecerunt». In effetti, l’utilizzo dei pievani quali agenti per conto della Diocesi nei negozi di compravendita sarebbe diventato un filo rosso dell’azione dei presuli degli anni a venire. La capillarità della rete della cura d’anime e il prestigio sociale dei rettori delle chiese matrici forniva indubbiamente al vescovo un’efficace ed efficiente penetrazione sul territorio, risvolto di quella superiorità amministrativa del mondo chiesastico più volte sottolineata da Tabacco. Tutto ciò sottintendeva non solo, genericamente, un’autorità vescovile forte, ma anche che essa fosse riconosciuta al di fuori delle faccende della mera cura animarum, al punto che i rettori delle chiese si comportavano come dei veri e propri agenti signorili38. Il legame coi Da Pichena – imparentati coi Gualandi – si spiega con la deviazione politica degli ultimi anni di Ruggero,

36 Il placito di Matilde in Goez, “Die Urkunden und Briefe der Markräfin Mathilde”, cit., n. 59; cfr.

A. Overmann, La contessa, cit., reg. n. 60. Del tutto priva di appigli documentari risulta la notizia riportata al reg. n. 64, secondo cui Matilde avrebbe confermato qualche tempo dopo ai Da Pichena (Fraolmo e Pietro di Gualfredo e Ugo di Fraolmo) i loro possedimenti. Overmann la riprende, con beneficio d’inventario, da A. Cinci, Storia volterrana, cit., p. 47.

37 AVV, n. 120. Pichena è località della Valdelsa, per cui cfr. REPETTI, IV, p. 189. Perita rimanda

al toponimo Pereta, nome di una via tuttora esistente fra Bibbona e Casale Marittimo; mentre «Ripapoiori» era una località nel piviere di San Giovanni di Silano, dove esisteva un altare di San Martino (cfr. PIEVI, 49.11). Come si vede, tuttavia, l’intitulatio della pieve di Silano dovette essere in origine a santa Lucia.

38 Me ne danno ragione anche due carte conservate nel Diplomatico arcivescovile dell’Archivio

diocesano di Lucca (citate in Mortolini, San Salvatore, cit., pp. 138 – 139, con collocazione ††F51D2

e ††F51G2, datate al 26 aprile 1118): alcuni beni in Cappiano (boschi e diritti di pesca sul fiume

Usciana) furono permutati dal pievano di Chianni, agente in vece del vescovo Ruggero, con cospicui possedimenti in Catignano ceduti dall’abate di San Salvatore di Fucecchio.

quando la Chiesa volterrana, in funzione anti-senese e anti-gherardesca, cercò di diversificare le proprie clientele, connettendosi anche ai Pannocchieschi39.

5.3.3. I Pannocchieschi.

Fra le condizioni che contraddistinguono il periodo del Gisalbertini come punto di svolta c’è sicuramente l’inizio del rapporto coi conti Pannocchieschi40. Recita infatti un atto del

tempo di Crescenzio: «dominus episcopus Rogerius sibi iamdicto Rainerio convenit et promisit […] quod si umquam tempore in suprascripto monte Gerfalchi castrum facturum erit, fuisset medietas iamdicte Ecclesie domus vulterrane et medietas iamdicto Rainerio; et medietas castri de Travale cum medietate sue curtis est de iamdicto feudo; et similiter est de iamdicto feudo quarta pars Petre Corbarie»41. Che cosa ci consente di inferire questo atto? Per prima cosa, anche se non sappiamo la data precisa essendo il documento arrivatoci per tradizione indiretta, che la Curia cercava – siamo a cavallo fra gli anni Venti e Trenta del XII secolo – di diversificare le proprie clientele aristocratiche: se ancora non si giunse proprio a una guerra aperta coi Gherardeschi, Ruggero aveva intuito che la situazione sarebbe presto degenerata in un conflitto.

Ed è per questo che, coi conti Pannocchieschi, mise in piedi un articolato accordo di fortificazione e infeudazione, che va oltre i meri patti de placito et de besonnio: è in assoluto la prima volta che si fa esplicita menzione di “feudo” costruito su un incastellamento ex novo; di “feudo” teso alla costruzione di un consorzio castrense, da gestire a metà fra la Diocesi e una schiatta aristocratica. Ne troveremo esempi più avanti – penso al condominio instaurato a Montecastelli fra il vescovo Ildebrando e i Guaschi – ma questo è il primo riferimento concreto ed esplicito, apertis verbis. Occorre da ultimo considerare che Gerfalco e Pietra Corbaia sono località nella parte meridionale del districtus volterrano, quasi al confine con Siena, città diventata ostile alla fine degli anni Venti, di modo che l’alleanza coi Pannocchieschi può essere letta in chiave anti-senese.

39 Cfr. Davidsohn, Storia, cit., I, pp. 600 – 601. 40 AVV, n. 129.

41 Per l’identificazione puntuale dei toponimi cfr. Riccardo Francovich e Renato Farinelli, “Potere e

attività minerarie nella Toscana altomedievale”, in La storia dell’alto medioevo italiano alla luce

dell’archeologia, secoli VI-X. Atti del convegno internazionale di studi (Siena, 2-6 dicembre 1992),

a c. di R. Francovich e Ghislaine Noye, All’Insegna del Giglio, Firenze, 1994, pp. 1 – 29, pp. 20 – 22. Si tratta comunque di località nei dintorni di Fosini e in prossimità di Radicondoli.