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Quella fra Lambardi e Vescovado fu una relazione in certo modo ambivalente: da un lato, la domus di Staggia volle ricollegarsi al benemerito operato del vescovo Gunfredo; dall’altro riuscì probabilmente a inserire un proprio membro, Ildebrando detto Pesce, nell’“apparato amministrativo” di Curia. All’interesse per l’azione pastorale dei presuli si sommava dunque quello più propriamente mondano per la Sede episcopale quale nerbo di potenza politica ed economica10.

Sul legame fra la schiatta di Staggia e l’Episcopato volterrano c’istruisce un contratto fra il vescovo Gunfredoe Pietro «abbas de monesterio Sancti Salvatori»: il primo allivellò al secondo «decimationem de padule qui est in loco de suprascripta Isula qui est prope suprascripto monasterio», in particolare ad Acquaviva, «que est de potestate eclesie

9 Un moderno e valido contributo per approcciarsi alla fondazione di enti monastici in questo periodo

è costituito dal saggio di Ilana Friedrich Silber, “Gift-Giving in the Great Traditions: The Case of Donations to Monasteries in the Medieval West”, in European Journal of Sociology, XXXVI (1995), II, pp. 209 – 243. Gli atti per S. Maria di Paurano in AVV, nn. 64 e 66 (ed. in Inghirami, I più antichi

documenti, cit., nn. 54 e 55). Per un inquadramento del movimento canonicale in Toscana cfr.

Cosimo Damiano Fonseca, “Il movimento canonicale a Lucca e nella diocesi lucchese tra XI e XII secolo”, in Allucio da Pescia (1070 ca. - 1134). Un santo laico dell'età postgregoriana. Religione e

società nei territori di Lucca e della Valdinievole, a c. di C. Violante, “Pubblicazioni del

Dipartimento di Medievistica dell'Università di Pisa”, 2, Jouvence, Roma, 1991, pp. 147 – 157. L’autore individua un doppio movimento verso la creazione di organismi capitolari: da un lato premeva un’azione vescovile «particolarmente insistita»; dall’altro, all’iniziativa episcopale «si affianca quella di alcuni sacerdoti e di qualche laico» (pp. 153 – 154).

episcopatui nostro Sancte Marie». Tali beni, si specifica poco dopo, erano «quantum pos morte Teuzi et Berizi laborata fuit, tam de labores quamque de qualecumque fruibus terre». Il canone previsto, da corrispondersi ad agosto, era di 12 denari, e la datatio topica riporta «actum loco Insula intus strata, territurio voloterrense»11. Con ogni probabilità i figli di Ildebrando avevano donato alla Diocesi – forse a mezzo di un testamento – le decime delle proprie Eigenkirchen a ridosso dell’edificio religioso costituente il perno della consorteria, segno tangibile di una forte consonanza di intenti che è probabilmente da correlare alla fondazione, da parte dello stesso Gunfredo, del monastero dei Santi Giusto e Clemente (1034) o comunque alla sua energica opera pastorale. È come se i Lambardi avessero voluto

11 Il doc. nell’ed. di Cammarosano, Abbadia a Isola. Un monastero toscano nell'età romanica. Con una edizione dei documenti: 953–1215, Società Storica della Valdelsa, Castelfiorentino, 1993, doc.

n. 16. Per Acquaviva cfr. REPETTI, I, p. 41. I Lambardi fondarono il proprio monastero in diocesi di Volterra, nella zona orientale, a est di Colle Valdelsa. Pur non essendo titolare di un ufficium pubblico, Ildebrando riuscì a entrare nell’orbita del marchese Oberto e a contrarre matrimonio con Ava, figlia del conte Zenobi; anche i figli della coppia, Berizo e Tegrimo, sposarono figlie di pubblici ufficiali. Ai Lambardi erano legati i Gheradeschi per il tramite dei visconti di Siena, poiché Rolando, figlio del visconte Ugo, era fratello di Sindrada e dunque cognato di Tegrimo: proprio con Rolando, Gherardo e la moglie Willa (dei Gheradeschi il primo, dei Berardenghi la seconda) conclusero un’importante compravendita articolata in due atti. Nel primo Gherardo cedette «integra medietate que est meam pars de casis et cascinis et casalinis et de integris casis e rebus massaritiis et de domnicatis que sunt sex in loco Pastina et sunt infra plebe Sancti Iohanni sito Casale», vale a dire «tres in predicto loco Pastina». Il negozio fu «actum voloterrense locus intus in casa donicata Gerardi iuxta castello de Serina», e la contropartita era di un nappo d’argento del valore di 20 lire. Atto analogo compì la moglie, figlia di Bernardo «ex genere Franchorum» ma vivente, insieme al marito, nella legge longobarda. In relazione – seppure indiretta – i Gheradeschi entrarono anche con la badia di Isola: la nipote di Gherado II, Adelaita figlia di Tedice I, vendette nel luglio del 1009 una serie di beni a un tale Guglielmo figlio di Guinizo (cfr. Abbadia, cit., docc. nn. 6, 7 e 8). Era un ammontare di 12 mansi, venduto a Guglielmo per il prezzo simbolico di due spade, e poi in parte donato dallo stesso Guglielmo al cenobio di Isola dopo un anno. Il legame fra la famiglia di Adelaita e quella di Guglielmo doveva essere stretto – di parentela? – giacché la donazione avvenne «pro Dei timore et remedium anime me et remedium anime Berizi et Alberichi et Adaleite et de genitores et de genitrices illorum». Un Berizo figlio di un fu Tedice compare nel 1005, ma non può essere fratello di Adelaita, visto che né c’è alcun accenno al titolo comitale portato dal supposto padre né le madri dei due sono la stessa persona (Emma per Berizo, Berta per Adelaita); egli è però certamente genero del già menzionato Suppo «ex genere Franchorum» perché sposato alla figlia Ermengarda. I doc. di Gherardo e Willa sono in ASFi, Diplomatico, Volterra, Comune, entrambi datati all’ottobre 1008, tutti e due in copia del tempo di Federico I imperatore. Per un cursorio accenno alle vicende dei

vicecomites senesi cfr. Cammarosano, “La nobiltà del Senese dal secolo VIII agli inizi del secolo

XII”, in I Ceti dirigenti in Toscana, cit., pp. 223 – 256, p. 235. Una breve genealogia offre la Ceccarelli in Il monastero di S. Giustiniano di Falesia, cit., p. 90. I vicecomites senesi sono attestati come possidenti nel Volterrano, specificamente in Valdelsa, in quanto dalle confinanze indicate in una permuta del 1014 (RV, n. 109, con datazione errata; AVV, n. 50) sappiamo che Rolando del fu Ugo deteneva beni a Colle Alto, località tutt’oggi esistente nei pressi di Gambassi.

istituire un collegamento fra l’azione del vescovo volterrano e la propria badia, vistoché, dopo la loro morte, il presule cedette in livello all’abate Pietro le terre del padule messe a coltura.

4.2.1.1. Ildebrando chiamato Pesce.

A un placito di Matilde, tenuto a Marturi (Poggibonsi) nel 1078, si presentò «Ildibrando, qui Pisce vocatur, advocatus de ecclesia et episcopato Sancte Marie de Vulterre», al cospetto, fra gli altri, di «Alberto de Monte Gabbro» e Gerardo di Sambria. Zambra era appunto il castello avito di Gerardo figlio del fu Ildebrando, marito di Berta e genero di Ranieri-Falco dei Lambardi di Staggia12.

Non sappiamo attraverso quali canali Ildibrando divenne poi avvocato della cattedrale volterrana; forse con l’appoggio proprio dei Lambardi, i quali avevano certamente interesse che un loro alleato tenesse i cordoni della borsa della Mensa vescovile (considerato anche che Tegrimo, zio di Berta, era stato vescovo di Massa dal 1059 al 1062)13. Probabilmente la carica di avvocato ricoperta da Ildebrando s’inserì nella vacatio fra la dipartita di Erimanno e l’elezione di Pietro IV, ma nulla di più è lecito affermare; si può solo ritenere che in questo momento di passaggio la Chiesa volterrana avesse trovato nella domus di Staggia un valido appoggio. Ildebrando Pesce, impetrando la tuitio della Marca, ottenne che Matilde ponesse il banno marchionale su «terras et res, plebes et decima de plebe de Molle et de plebem de Pernina et ecclesiam, que est hedificata in villa de Personate, que est de plebe Sancti Iusti, et omnes terras et res, ecclesias et decimationes positas in is tribus plebibus de Molle et de

12 Il placito di Matilde in MGH, “Die Urkunden und Briefe der Markräfin Mathilde”, a c. di Elke e

Werner Goez, “Laienfürsten- und Dynastenurkunden der Kaiserzeit”, 2, 1908, n. 24. Vista la datatio

topica del placito, doveva trattarsi di Montegabbro in Valdelsa (cfr. REPETTI, II, p. 368), non

lontano da Pulicciano. Cfr. Cammarosano, Abbadia a Isola, cit., p. 59: «dal matrimonio provenne una cospicua discendenza maschile (quattro figli di Berta e Gerardo e almeno quattro nipoti documentati nella generazione successiva), che ereditò la quota patrimoniale già spettante a Ranieri Falco […] ma non la potestà sul monastero dell’Isola». Mi è riuscito di trovare Ildebrando Pesce solo in un’altra occasione: egli doveva essere un membro dell’entourage dei Lambardi, giacché nel 1047 fece da testimone alla vendita da parte della vedova di Tegrimo detto Teuzzo di due terreni, uno nel piviere di Santa Maria di Marmoraia, l’altro presso la stessa pieve. L’atto, «actum intus turre de castello de Strove, territurio voloterrense», vide apposto proprio il «signum manum Ildibrandi qui Pisscio vocatur rogatus testes». Ed. in Cammarosano, Abbadia a Isola, cit., n. 20. Per Santa Maria di Castello (di Marmoraia) cfr. PIEVI, 8.0.

13 Per Tegrimo vescovo di Massa cfr. Gabriella Garzella, “Cronotassi dei vescovi di Populonia-Massa

Pernina et Sancti Iusti, et omnes terras et res pertinentes ad iura suprascripti episcopatus», forse perché i centri attiravano le mie della Diocesi di Siena14.

4.2.2. I Gherardeschi.

L’intesa fra Gherardeschi e Diocesi, durante l’episcopato di Gunfredo, doveva essere discreta, almeno al momento della fondazione del monastero di San Giustiniano di Falesia, in diocesi di Populonia e nelle vicinanze dall’attuale Piombino. Del cenobio l’atto di fondazione assegnava ai Gherardeschi la facoltà di prendere parte all’elezione dell’abate qualora fossero sorti dissidi fra i monaci; ma, in loro vece, avrebbe dovuto agire proprio il vescovo di Volterra: «volumus ac precipimus, ut episcopus vulterrensis ibidem congreget abbas cum consilio et electione suprascriptorum fratrum, quale eis secundum Deum et Regulam beati Benedicti comparuit». Alla Sede populoniese era invece affidato un ruolo secondario, successivo in ordine d’importanza rispetto a Volterra. Per converso, se fosse sorta fra i monaci «intentione vel discordia», i prelati volterrano e populoniese sarebbero dovuti intervenire – stavolta collegialmente – «amore ad concordia».

Ci si potrebbe chiedere come mai la collegialità fra le due Sedi non fosse stata sancita anche per l’elezione dell’abate. La risposta a parer mio non può essere trovata solo negli interessi patrimoniali e d’ufficio dei Gherardeschi a Volterra («ciò è facilmente comprensibile se si pone mente alla situazione istituzionale, politica e patrimoniale della famiglia dei fondatori in Volterra»), ma va cercata anche nella considerazione di cui l’azione di Gunfredo evidentemente godeva anche agli occhi dei laici: assegnandogli il ruolo di supplente al momento della scelta dell’abate, i fondatori gli tributavano una parte importante dell’imprinting sull’Eigenkloster, e contestualmente esprimevano esplicito appoggio e vicinanza alla sua adesione alla riforma della Chiesa15.

14 Per Molli, la cui pieve era dedicata a san Giovanni (cfr. PIEVI; 28.0), località in Valdelsa e poco

lontano da Sovicille, cfr. REPETTI, III, pp. 248 – 249. Per Pernina, la cui chiesa pievana era dedicata a san Giovanni (cfr. PIEVI, 40.0), cfr. REPETTI, IV, p. 106. Personata si trova in Valdimerse, poche miglia a nord di Sovicille (cfr. REPETTI, IV, p. 108); l’intitulatio completa del piviere era ai Santi Giusto e Clemente (cfr. PIEVI, 21.0). Non so se il Pesce del fu Pagano che testimoniò a un rogito vescovile fra il 1064 e il 1073 sia identificabile con l’advocatus (cfr. AVV, n. 72; ed. Inghirami, I

più antichi documenti, cit., n. 64).

15 L’atto di fondazione in Carte dell’Archivio arcivescovile di Pisa. Fondo Arcivescovile 1 (720 – 1200) – d’ora in poi: CAAPi – a c. di S. P. Scalfati e A. Ghignoli, Pacini, Pisa, 2006, n. 91; trattazione

Bisogna infine, da un lato, ricordare che Falesia sorse nell’ambito della politica “marittima” della Sede apostolica e del pontefice Benedetto VIII, che guardava alle coste e al Mediterraneo come uno spazio da strappare alle incursioni saracene e che sia i Gherardeschi che la Sede volterrana avevano interesse ad assecondare; dall’altro, è parimenti interessante ravvisare che, nello stesso torno di anni, a Montieri veniva probabilmente costruita la Canonica di San Niccolò, in quella che sempre più appare oggi, dopo gli scavi degli archeologi senesi, come una joint venture fra Vescovado volterrano e comites in funzione di una spartizione della Valdimerse in rispettive aree d’influenza16.