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Seguendo le orme dei propri concorrenti laici, la Diocesi si fece essa stessa fondatrice di un monastero. Il «decretum securitatis et firmitatis pro futuris temporibus» stilato da Gunfredo fu un atto fondamentale nella storia cittadina, direi quasi uno spartiacque: se da un

34 Il doc. del sinodo è in RV, n. 133, ed è edito in Puglia, “Forme e dinamiche”, cit., pp. 28 – 31. Le

vicende con trattazione a pp. 18 e segg. Sono sostanzialmente d’accordo con quanto rilevato da Cavallini (I, cit., p. 24): «L’atto, che ci è rimasto, ha piuttosto la forma e il tono sicuro di un decreto vescovile, con il quale Erimanno, pure appellandoli al consenso dell’assemblea, impone forte e sicuro la sua volontà di vescovo». Sulla Riforma della Chiesa nell’XI secolo cfr. Giovanni Miccoli, “La storia religiosa”, in Storia d’Italia, cit., II, tomo I, pp. 431 – 1079, spec. pp. 480 – 516. L’affidamento ai Camaldolesi di Fonte Pinzaria nel 1073 in Mittarelli – Costadoni, Annales Camaldulenses, cit., II, pp. 238 – 240 (cfr. IP, p. 301).

35 Ed. della bolla in GIACHI, Appendice, XXII.

36 Cfr. Jean Pierre Delumeau, Arezzo: espace et sociétés, 715-1230. Recherches sur Arezzo et son contado du VIII au dédut du XIII siècle, École française de Rome, Rome, 1996, pp. 301 e sgg.

lato, infatti, esso «rappresenta anche l’ultima menzione di rapporti dei conti con la città: dopo tale data nessun gherardesco compare più in relazione con Volterra e con il territorio immediatamente circostante, né con enti o personaggi cittadini», dall’altro fa inequivocabilmente emergere una Chiesa a ranghi serrati, all’interno della quale il vescovo occupava a quell’altezza una posizione di leadership indiscussa. Sul piano del governo pastorale si dava oltretutto seguito a tendenze più generali, riferibili a quel bisogno di «far ordine entro le diocesi» e a quell’«orientamento episcopalistico» per cui i presuli, agevolando essi stessi la nascita di enti monastici e canoniche regolari, assecondavano gli orientamenti della Corte imperiale e parimenti garantivano alla Diocesi prestigio e autorevolezza37.

Un modello di riferimento fu fornito nel 1032 da Jacopo vescovo di Fiesole: egli (parla in prima persona), volendo operare «studio tamen sermonum et operum ad reparandos Ecclesie […] honores», «dum ad meliorem statum reparare omnia studerem, ordinata regere, inordinata ordinare ad canonicorum ordinem usque decrevi quem ita corruptum reperi, atque in opere, at vix pacavi animo, nullus ibi esset, qui temporalibus commodis fultus Domino libere militare valeret: quod ego videns, valde dolui […] canonicam facere, atque fratres in ea ordinare decrevi, qui regulariter viventes studio sancta conversationis pollerent». I canonici regolari, così commessi alla tutela e alla disciplina vescovile, avrebbero potuto efficacemente pregare per la famiglia regia e per quella marchionale38. A Volterra un Capitolo della cattedrale esisteva già, e fu proprio col consenso dei canonici («presentia

37 Il doc. di fondazione è edito in GIACHI, Appendice, X. La citazione in M. L. Ceccarelli Lemut,

“Le strutture del potere laico ed ecclesiastico”, in Ottone I e l’Europa, cit., pp. 18 – 24, p. 21. Nell’atto si fa infatti menzione di un possedimento che la Diocesi aveva acquistato dalla famiglia comitale per 20 lire. Per notizie specifiche sugli effetti che la fondazione del monastero dei Ss. Giusto e Clemente ebbe sulla cura d’anime cfr. M. E. Ducci, “La giurisdizione spirituale”, cit.

38 Documento in Ughelli, Italia sacra, cit., III, pp. 229 – 231. Cfr. anche Davidsohn, Storia di Firenze,

cit., I, pp. 234 e segg. La citazione in Sergi, “Le istituzioni politiche del secolo XI: trasformazioni dell'apparato pubblico e nuove forme di potere”, in Il secolo XI: una svolta?, a c. di C. Violante e Johannes Fried, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 73 – 97, p. 80. «Sono altresì noti i rapporti specifici di Enrico II con le riforme monastiche, in particolare con quella cluniacense, oltre ai suoi propri tentativi di riforma che sono particolarmente caratterizzati dalla pressione esercitata sui monasteri più antichi nel senso di riportarli a uno stile di vita ascetico, con la conseguenza di una maggiore utilità dei monasteri agli scopi del regno […] Questa politica venne proseguita dal suo primo successore Corrado II» (Gerard Tellenbach, “Impero e istituzioni ecclesiastiche locali”, in , Le

presbiterorum diaconorum seu inferioris ordinis clericorum») che Gunfredo, «pro maiori veneratione» dei santi Giusto e Clemente, presso gli altari sui quali si praticava il culto a questi ultimi dedicato, istituì il monastero: esso assorbì la cura d’anime e i possessi fondiari delle due chiese a cui si sovrappose, oltre a essere dotato della curtis di Maiano (con annessa la chiesa di San Quirico), di località cittadine (il Prato Marzio e il «castello Albuini»), della curtis di Fagiano e di «terras et mansos quos de Ugone comite Teudici comite filius viginti libras argenti comparavimus». La «condotta filomonastica, addirittura con propensione a riconoscere ai monaci qualche funzione nella cura animarum» di Gunfredo può essere letta in più modi, gli uni degli altri effetto e conseguenza insieme39.

Non solo, come è stato affermato, la badia «mirava a rafforzare la posizione e la preminenza vescovile, consolidando […] il controllo episcopale dell’area occidentale della città»; ma, nello specifico, essa costituiva l’ingresso dell’Episcopio nell’arena signorile delle fondazioni monastiche private. In un contesto nel quale «la più complessiva sperimentalità del secolo XI accentuò le vocazioni signorili di vescovi e abati, tra i principali protagonisti della ristrutturazione del territorio nella crisi del regno e dei suoi ordinamenti», la Diocesi si faceva essa stessa patrona di un cenobio, utilizzando gli stessi strumenti egemonici dei concorrenti laici, che utilizzavano i propri Eigenkloster come caneve patrimoniali e laboratori d’interazione con i maggiorenti delle zone limitrofe40. La vicinanza della

fondazione alla civitas ci dice inoltre due cose: in primo luogo che il presule voleva salvaguardare la città da spinte potenzialmente centrifughe esercitate da un monastero signorile che le fosse sorto troppo vicino; e che, in secondo luogo, il capoluogo della diocesi era sempre più una corsia preferenziale del potere vescovile, in pendant con l’allontanamento da Volterra dei comites Gheradeschi. Infine, in una certa simiglianza con il caso aretino, il cenobio cittadino funzionò da polo d’attrazione per gli elementi più ragguardevoli del territorio diocesano, i quali, inserendosi nella rete di relazioni monastica, si avvicinavano di riflesso all’autorità dell’ordinario diocesano (che era perdipiù il patrono): esempio di quest’assunto sono i Gualandi di Buriano, schiatta i cui primi rapporti con la città

39 La cit. in Sergi, L’aristocrazia, cit., p. 21.

40 Cfr. REPETTI, II, p. 97. Fagiano è appunto nel suburbio della città (cfr. comunque Furiesi, “Le

pergamene”, cit., pp. 21 – 31). Per un’analisi dettagliata e puntuale delle vicende rimando a Ducci, “La giurisdizione”, cit. La prima cit. in Sergi, L’aristocrazia, cit., p. 21; la seconda in Ceccarelli, “Le strutture del potere”, cit., p. 21.

e i suoi vescovi, come si vedrà, furono mediati proprio dalla badia dei Ss. Giusto e Clemente41.