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Un’alternativa rituale all’infibulazione: la proposta del Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genital

LE MUTILAZIONI GENITALI (A SCOPO NON TERAPEUTICO)

2. Le mutilazioni genitali femminili

2.3. La questione in Italia Prima del 2006

2.3.1. Un’alternativa rituale all’infibulazione: la proposta del Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genital

femminili dell’ospedale Careggi di Firenze

La drammaticità delle stime emerse ha portato ad avanzare la proposta di sostituire la mutilazione con un rito simbolico alternativo (c.d. sunna) non lesivo, consistente in una puntura di spillo sul clitoride delle bambine tale da far fuoriuscire delle gocce di sangue, previa temporanea anestesia locale con crema anestetica. La proposta è stata avanzata dal ginecologo somalo Omar Abdulcadir del Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genitali femminili dell’ospedale fiorentino di Careggi. L’obiettivo era prevenire, nei limiti del possibile, interventi demolitori e tutelare l’interesse delle bambine a non subire un intervento fortemente lesivo. Si tratta di un atteggiamento realista, ispirato al principio della riduzione del danno, la cui proposta era rivolta alle famiglie irriducibili, sulle quali fossero stati inutili tentativi di                                                                                                                

120  Basile, La nuova incriminazione delle pratiche di mutilazione degli organi

genitali femminili : Legge 9 gennaio 2006, n. 7, in Diritto penale e processo, n. 6, 2006, p. 682

121Colombo, L’art. 583 bic, c.p., p. 63. 122

Salazar, Variazioni sul tema:“conflitti multiculturali e diritti delle donne”.

L’affaire du foulard in Francia e le mutilazioni genitali femminili in Italia, in

informazione ed educazione.

La proposta ha suscitato un acceso dibattito che ha visto contrapporsi posizioni favorevoli e contrarie.

Tra le principali argomentazioni di coloro che sono contrari, vi è innanzitutto il rifiuto della legittimazione di una pratica che è simbolo di sottomissione della donna; se la sunna riduce i danni fisici, resta il suo significato simbolico, che è ritenuto inaccettabile. Non a caso le critiche più accese provengono dalle correnti femministe che rifiutano qualsiasi tipo di compromesso (come medicalizzazioni o pratiche alternative) con le logiche sottese alle mutilazioni.

Queste sono sostanzialmente le motivazioni che stanno anche alla base del rifiuto della Regione Toscana, che, con la risoluzione 3 febbraio del 2004, ha escluso la possibilità di praticare la sunna rituale.

Sono state respinte anche proposte simili avanzate in alcuni Paesi africani e in due Paesi occidentali, come il rito simbolico proposto nei Pesi Bassi nel 1992 e quello presentato dal Complesso di Seattle nel 1996.

La proposta italiana era stata tuttavia esaminata e accolta dalla Commissione Regionale di bioetica nella riunione plenaria del 9 marzo 2004, con la seguente decisione123:

"La Commissione regionale di Bioetica ritiene, pertanto, che la proposta di tale procedura possa trovare accoglienza in ambito sanitario, solamente quale eventuale risposta da offrire a quei genitori che richiedono di poter effettuare sulle figlie minorenni, senza rischi per la loro salute, un rito simbolico sostitutivo all’infibulazione, in quanto atto compatibile con la legislazione italiana e con la deontologia degli operatori sanitari, purché essa, proprio per il suo carattere di ritualità, non venga inclusa nell’elenco delle prestazioni sanitarie che il servizio pubblico ha l’obbligo di erogare. Tale procedura, comunque, deve essere intesa come parte integrante di un                                                                                                                

123  Commissione Regionale di Bioetica, Prevenzione delle mutilazioni genitali

femminili: liceità etica, deontologica e giuridica della partecipazione dei medici alla pratica di un rito alternativo, 9.03.2004.  

percorso volto al completo superamento di ogni forma di mutilazione e manipolazione dei genitali femminili".

La relazione del gruppo di lavoro precisa il significato della proposta alternativa: essa non si propone come accettazione di un disvalore. Resta infatti chiara la condanna morale del significato sotteso alla infibulazione, che viene definita come pratica «assurda e riprovevole»; non a caso il rito si propone come «momentaneo tentativo di profilassi sociale», che si prefigge a breve termine l'obiettivo di «salvare almeno una bambina», nella logica del principio di riduzione del danno, e a lungo termine la graduale eradicazione della pratica.

Quanto ai profili giuridici, la Commissione si è avvalsa di un autorevole parere penalistico124, che sottolinea gli aspetti problematici.

Sotto il profilo di principio, l'atto si porrebbe in contrasto con il principio di salvaguardia della dignità della persona umana e, di conseguenza, in contrasto con l'ordine pubblico di cui all'art. 5 c.c.

Sotto l’aspetto strettamente penale, l'intervento potrebbe configurare il reato di percosse (art. 581), inteso nella sua accezione ampia di «ogni assoggettamento del corpo altrui ad una azione violenta, idonea a produrre una sensazione dolorifica125». Apparirebbe inoltre configurabile il reato di violenza privata (art. 610).

Quanto al profilo dell'effettuazione dell'intervento all'interno e a carico delle strutture sanitarie, la conclusione, anche in questo caso, dovrebbe essere negativa, in quanto, essendo il fatto illecito per i motivi di cui sopra, ne sarebbero chiamati a rispondere gli operatori sanitari. Anche ammettendo poi che il fatto sia lecito, non essendo la prestazione terapeutica e a fini terapeutici, l'utilizzo di risorse finanziarie a tal fine potrebbe dar luogo al                                                                                                                

124  Mantovani, Le Mutilazioni Genitali Femminili (documento allegato al Parere

della Commissione di bioetica della Regione Toscana, espresso nella seduta del 9 marzo 2004 relativamente a «Prevenzione delle Mutilazioni Genitali Femminili: liceità etica, deontologica e giuridica della partecipazione dei medici alla pratica di un rito alternativo».

delitto di peculato per distrazione (art. 314).

Tuttavia viene osservato, a conclusione della relazione, che la proposta del rito simbolico alternativo non è da sottovalutare né da ritenersi impraticabile, pur con le dovute garanzie e sempre che sia vista come fase transitoria per il conseguimento dell'abbandono delle pratiche di mutilazione. Dal punto di vista dell'opportunità pratica, la proposta può quindi essere «oggetto di un ponderato bilanciamento coi rischi di azioni giudiziarie penali contro medici e genitori. Rischi che sul piano concreto fuori dagli ipotetici casi di gravi complicazioni per la salute della minorenne – sono pressoché inconsistenti126».

Si ritiene che gli aspetti problematici della proposta non siano tanto da apprezzarsi sui piani giuridico e assiologico.

Non su quello giuridico poiché l’integrità fisica è tutelata: alcuni infatti osservano che «la puntura è meno invasiva del pearcing ai genitali che si fanno praticare tante ragazze e ragazzi, e forse non più invasiva della foratura delle orecchie delle bambine che in molte famiglie italiane si pratica in casa, con aghi da cucito che a volte provocano reazioni allergiche127». Oltre al fatto che, secondo alcuni, essa sarebbe stata in teoria praticabile senza autorizzazione e senza intervento medico, poiché la puntura di spillo ricade tra il penalmente irrilevante e le lesioni minime, punite solo su querela di parte. Praticarla poi in una struttura medica garantirebbe una tutela maggiore, poiché la renderebbe controllabile128. Dal punto di vista simbolico, a coloro che obiettano come la pratica implichi la sottomissione della donna, si può rispondere che, non comportando alcuna chiusura dell’apparato genitale femminile e alcuna escissione del clitoride, essa perde quel significato si sottomissione. Tale significato non è solamente simbolico-astratto, ma strettamente legato alla dimensione fisica.                                                                                                                

126  Ibidem

127Santoro, Una proposta scandalosa? in Forum sulle mutilazioni genitali, Jura

Gentium.

128

Perdendo tale “fisicità” attraverso la sostituzione con il rito simbolico, l’unico significato che rimarrebbe sarebbe quello del rito propiziatorio di passaggio della bambina allo status di donna.

Il problema potrebbe porsi sul piano dell’efficacia pratica: alcuni hanno giustamente osservato che «l’elaborazione simbolica del rito non può essere eterodiretta e soprattutto non può essere rimessa all’autorità sanitaria» e che «i processi di sublimazione debbano essere elaborati dalle culture di appartenenza129». Infatti non è detto che per alcune comunità di migranti il

rito simbolico riesca a sostituire in modo equivalente le pratiche di infibulazione; presso alcune comunità (in particolare quelle somale) sono libere di muoversi, di avere rapporti sociali e di indossare abiti sgargianti solo le donne che hanno subito l’infibulazione, in quanto maggiormente protette, mentre perdono la libertà di movimento e vengono “coperte” le donne a cui è stata effettuata una forma più lieve di mutilazione (come la sunna)130.

E’ quindi fondamentale il coinvolgimento e la consultazione delle comunità, il cui punto di vista dovrebbe sempre essere preso in considerazione prima dell’adozione di leggi o di attuazione di proposte che le riguardino. Pare che questa consultazione sia effettivamente avvenuta, dal momento che risulta che i promotori della proposta abbiano ottenuto il consenso dei rappresentati delle comunità africane della Toscana ad accettare la sunna rituale. Per quanto possa apparire sessista, pare purtroppo inevitabile ottenere l’adesione degli uomini, il cui parere gioca un ruolo fondamentale nel determinare o meno le donne a sottoporsi alla pratica.

Ma ancor più importante è il consenso delle dirette interessate: la proposta è praticabile solo se accompagnata da una approfondita consultazione delle donne africane.

                                                                                                               

129  Cesqui, Le mutilazioni genitali femminili e la legge, in Questione giustizia n.4,

2005, p. 753.

130  Brunelli, Prevenzione del divieto delle mutilazioni genitali femminili, cit., p.

La proposta non solo è stata respinta, ma ha forse determinato l’accelerazione dell’iter che ha portato all’approvazione di una normativa ad hoc sulle mutilazioni genitali. Considerate le cifre (supra) delle donne mutilate in Italia e messe in rapporto con il numero di casi giudiziari (solo due) avvenuti in Italia prima della nuova incriminazione del 2006, è risultata evidente l’inefficacia della legge penale, che può essere spiegata innanzitutto con l’assenza di denunce; il fatto che le operazioni comportino conseguenze fisiche rilevanti, ci spinge a chiederci per quale motivo manchino segnalazioni da parte di medici, pediatri, operatori scolastici e dei servizi.

Ciò può essere dovuto alla coesione della comunità coinvolta, presso la quale si registra un alto grado di consenso della pratica (che come si è visto costituisce un dovere morale e sociale); quanto all’assenza di denunce da parte degli operatori sanitari e scolastici, alcuni individuano la causa nella non conoscenza della questione e in una «accettazione passiva di un “costume” straniero131».

I dati mostrano quindi come la pratica avvenga in clandestinità, con la noncuranza della minaccia penale.

Ne è conseguita una riflessione sulla gravità del fenomeno e sull’inefficacia della disciplina, che prima del 2006 riconduceva il reato di mutilazione genitale al reato di lesioni personali, fattispecie ritenuta non idonea a scoraggiare la pratica.

L’assenza di denunce è stata motivata anche dalla mancanza di un divieto esplicito nella legislazione italiana a cui appigliarsi per sottrarre le proprie figlie alla mutilazione.

Il dibattito ha preso le mosse dalla convinzione della necessità di un intervento penale specifico in materia, peraltro fortemente sollecitato da più documenti internazionali (cfr. supra, 2.3), tra i quali si segnalano i più importanti: le Raccomandazioni del Consiglio d’Europa (1998, 2000); la                                                                                                                

Risoluzione del Parlamento europeo del 20 settembre 2001, che invita gli Stati membri ad adottare e dare attuazione alle disposizioni legislative specifiche in materia di mutilazione genitale femminile; la Quinta Conferenza sulle donne (2005).

L’iniziativa parlamentare ha avuto inizio alla Camera con i disegni di legge n. 150, 3282, 3867, 4204, 3884 su iniziativa di Lega, AN e Forza Italia, riuniti in un’unica discussione, poi sospesa in attesa dell’approvazione in Senato del disegno di legge S414/B, approvato dalla Camera il 4 maggio 2004. Il disegno si componeva di un unico articolo che proponeva delle modifiche all’art. 583: la mutilazione degli organi (nella prima formulazione non si specificava “femminili”) integrava un’aggravante del reato di lesioni se finalizzata al condizionamento delle funzioni sessuali della vittima. Inoltre, per espressa previsione legislativa, eventuali circostanze attenuanti non avrebbero potuto essere ritenute equivalenti o prevalenti: era infatti preoccupazione del legislatore punire non lievemente le Mgf, evitando il bilanciamento tra circostanze ex art. 69 c.p.

2.4. La nuova incriminazione delle pratiche di mutilazione