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4.2.2 (segue) Dolo ed errore sulla causa di giustificazione

5. Motivazione culturale e commisurazione della pena E’ molto probabile che nella prassi nessuna delle categorie analizzate finora

5.1. Commisurazione della pena in senso stretto Art 133 c.p.

Parte della dottrina ha individuato nell’art. 133 c.p. uno spazio che consente di valorizzare il suddetto fattore259.

L’articolo indica due fattori di cui il giudice deve tener conto nell’esercizio del potere discrezionale nell’applicazione della pena: la gravità del reato (comma 1) e la capacità a delinquere (comma 2).

La gravità del reato è desunta innanzitutto dalla modalità dell’azione (n. 1), che potrebbe essere condizionata dalla cultura di appartenenza dell’autore: il fattore culturale potrebbe rendere la modalità dell’azione espressiva di un modesto disvalore o di un disvalore più elevato (si pensi al caso in cui le modalità dell’azione risultino, agli occhi del giudice, particolarmente

                                                                                                               

ripugnanti)260.

Ai sensi del n. 2 il giudice deve tener conto anche della gravità dell’offesa, che potrebbe essere minore o maggiore a seconda delle particolari caratteristiche culturali dei soggetti coinvolti; in particolare, la vittima potrebbe subire una maggiore offesa per il fatto di appartenere ad un determinato contesto culturale261.

Ai sensi del n. 3 la gravità del reato è desunta anche dall’intensità del dolo o dal grado della colpa. Alcuni autori osservano come il fattore culturale possa incidere in modo diverso sul dolo e sulla colpa da un lato, e sulla colpevolezza dall’altro. E’ possibile infatti che tale fattore porti ad esempio a valutare l’intensità del dolo alla luce del grado di consapevolezza del disvalore del fatto, determinando parallelamente anche una minore rimproverabilità; ma è possibile anche che i due profili non coincidano e che il fattore culturale possa favorire un dolo di maggiore intensità, accompagnato ad una diminuzione della colpevolezza (poiché la presenza del fattore culturale implicherebbe, come ora si dirà, un minor coefficiente di ‘rimproverabilità’, alla luce del parametro di una meno accentuata ‘esigibilità’ dell’osservanza del precetto)262.

Più incisiva sembra l’influenza del fattore culturale sui criteri di cui al secondo comma dell’art. 133, in tema di capacità a delinquere, in particolare sui motivi a delinquere (n. 1) e sulle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo (n. 4).

Quanto al primo criterio, è stato affermato che «in capo a chi delinque per un motivo culturale, pertanto, potrebbero non ravvisarsi quelle motivazioni egoistiche e antisociali di solito ritenute rivelatrici di un’alta capacità a delinquere263».

Una simile valutazione, seppur non espressa, sembra stare alla base della                                                                                                                

260  Ibidem   261  Ibidem  

262  Bernardi, Ivi, nt. 222.  

decisione del Tribunale di Padova 9 novembre 2007 (v. Cap. III, § 3) che commisura una pena estremamente mite «considerando la particolarità del caso, e la probabile modesta coscienza del disvalore del fatto». E’ possibile tuttavia che la motivazione culturale giochi un ruolo sfavorevole per il reo, come nel caso Saleem (v. Cap. II, § 4.2), nel quale il giudice aveva sottolineato come una simile motivazione possa assumere un significato ancipite, inducendo anche ad una valutazione di maggiore severità.

Un secondo criterio è la condotta del reo contemporanea o susseguente al reato, che potrebbe dar luogo ad una valutazione sfavorevole: si è giustamente osservato come sia difficile che l’autore culturale “si penta” o rinneghi la cultura del suo gruppo d’origine.

Un ultimo criterio che può dar rilievo alla cultura del soggetto agente sono le condizioni di vita individuale, familiare e sociale, che fanno riferimento a «tutte le condizioni economiche, sociali, culturali, morali, tanto del soggetto quanto del gruppo familiare e sociale in cui il soggetto vive264». Si tratta di un criterio attraverso cui il giudice potrebbe tener conto della peculiare natura del reato culturalmente motivato; ma potrebbe anche acquisire una valenza opposta e negativa per l’imputato, soprattutto in un’ottica prognostico-preventiva. Il fatto che la cultura sia un «fattore imprescindibile e irrinunciabile nella costituzione dell’essere umano265» fa sì che gli immigrati che giungono in Occidente rimangano fedeli alle loro tradizioni e abbandonino difficilmente il loro bagaglio culturale.

Una considerazione simile è contenuta proprio in una sentenza (già citata supra, Cap. II, § 4.2)266 relativa a due pakistani che avevano commesso violenza sessuale ai danni di una studentessa. La difesa aveva chiesto l’applicazione di una pena mite proprio in base alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo, rilevando come i due imputati                                                                                                                

264  Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 642. 265  Dworkin, A Matter of Principle, Cambridge, 1985, p. 229.   266  Tribunale di Bologna 30 novembre 2006  

fossero ancora «intrisi della cultura del Paese di origine, che non solo è ben lungi dall’attribuire alle donne pari dignità e diritti, ma che le considera “naturalmente” esposte ad ogni forma di sopraffazione maschile». Il giudice aveva respinto tale assunto difensivo affermando che «non è possibile rapportare la valutazione di disvalore di una singola condotta ai parametri vigenti nell’ambiente del soggetto autore di reato» e riconoscendo al criterio di cui al n. 4 del comma 2 dell’art. 133 c.p. una valenza negativa, poiché «quanto più le “condizioni di vita individuale, familiare e sociale” rispecchiano un sistema di regole antitetiche a quelle cui si ispira la tutela penale, tanto più deve essere severa la sanzione, apparendo evidente la maggior pregnanza della finalità di prevenzione cui la pena deve ispirarsi nel caso concreto».

In definitiva pare che, nonostante i criteri dell’art. 133 c.p. si prestino, astrattamente, a dare rilevanza al fattore culturale, la loro ambiguità faccia sì che non possano costituire una soluzione soddisfacente al nostro problema, soprattutto se si considera l’alto livello di discrezionalità che il giudice impiega nella valutazione di tali criteri.

Si segnala che alcuni suggeriscono l’introduzione di un riferimento esplicito all’appartenenza culturale del reo tra i fattori da prendere in considerazione al fianco delle «condizioni di vita individuale, familiare e sociale», in modo da sancire chiaramente la rilevanza di tale elemento267.

5.2. Commisurazione della pena in senso lato