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5. Atti sessuali con minorenne

5.1. Atti sessuali con minorenne e fattore culturale

Vi sono stati casi in cui gli atti sessuali con minorenne sono stati commessi da un soggetto che in giudizio ha invocato, a propria scusa, la sua cultura di origine; in alcuni ordinamenti infatti il compimento di atti sessuali con minori di quattordici anni non costituisce reato.

Una questione di tal genere è stata posta all’attenzione della Cassazione, con sentenza 7 dicembre 1993. Un immigrato marocchino si congiunge ripetutamente con una bambina di nove anni, affidatagli dalla madre perché la ospitasse in casa sua. I giudici di merito lo condannano per il delitto di violenza sessuale presunta (ex art. 519 c.p.). L’uomo ricorre in Cassazione, sostenendo che ricorra l’ipotesi dell’inevitabilità e della scusabilità dell’ignoranza della legge penale, poiché nel suo ordinamento la congiunzione con minori di quattordici anni è lecita.

La Corte esclude che la mera differenza tra la legge penale italiana e la legge penale del Paese di origine possa determinare una situazione di ignoranza inevitabile. Infatti l’imputato viveva in Italia da tre anni e aveva precedentemente vissuto a lungo in Germania.

Un caso simile è quello affrontato dal Tribunale di Brescia 22 luglio 2009.

Una ragazza serba appena dodicenne viene assegnata in moglie, dopo una trattativa economica conclusasi con il pagamento di 17.000 euro ai suoi genitori, ad un connazionale ventunenne; gli sposi convivono nella casa dei genitori di lui, dove hanno ripetuti rapporti sessuali “consenzienti”. La ragazza, tenuta in una condizione di emarginazione e segregazione, è privata di qualsiasi contatto con l’ambiente esterno, fino a quando, rimasta incinta,

viene portata in ospedale nell’imminenza del parto.

Il Tribunale di Brescia condanna a otto anni, diminuiti a cinque per il rito scelto, lo sposo e i suoi genitori per il reato di riduzione in schiavitù ex art. 600 c.p., in cui viene assorbito il reato di atti sessuali con minorenne. Il Tribunale respinge l’argomento difensivo del richiamo alle tradizioni sociali e culturali gitane, secondo cui i genitori dello sposo ottengono il consenso al matrimonio tramite il pagamento di una somma di denaro ai genitori della sposa.

Secondo il giudice non ha rilevanza per l’ordinamento italiano qualsiasi tradizione che si ponga in contrasto con i diritti fondamentali della persona; inoltre nemmeno nella cultura gitana, nella quale sono certamente diffusi i matrimoni tra giovani non ancora maggiorenni, è riscontrabile l’abitudine di dare in spose bambine dodicenni in età appena puberale.

Tuttavia il giudicante concede le attenuanti generiche in considerazione del contesto, ossia un nucleo familiare fortemente condizionato dallo sradicamento dal paese di origine e da una mancata completa integrazione nella società.

Anche in Inghilterra vi sono stati casi relativi ad atti sessuali con minorenni compiuti da soggetti il cui paese di origine considera tali condotte lecite. La giurisprudenza inglese ha dimostrato un approccio più indulgente, in considerazione della cultura d’origine.

I primi due casi riguardano due imputati provenienti dalle isole caraibiche, che avevano compiuto atti sessuali con ragazze giovanissime. Gli imputati, di fronte al giudice d’appello, si ritengono inconsapevoli dell’illiceità dei loro atti, in ragione delle usanze diffuse nei Paesi di origine. Tale argomento difensivo viene valutato a loro favore, in quanto le pene inflitte vengono diminuite rispetto alla condanna in primo grado.

Un altro caso affrontato dai giudici inglesi vede come imputato un uomo di venticinque anni che, dopo aver sposato in Nigeria una ragazza di tredici anni, si era trasferito in Inghilterra. Disposto l’allontanamento da parte della Juvenile Court della ragazza dal marito, quest’ultimo fa ricorso alla Divisional Court, che scagiona l’uomo da qualsiasi imputazione di abusi

sessuali in considerazione del «modo di vivere in cui questa ragazza e questo uomo sono stati educati»; in particolare uno dei giudici della Divisional Court afferma che «non c’è nulla di aborribile, dal punto di vista del loro modo di vivere, se una ragazza di tredici anni sposa un uomo di venticinque anni».

Vi sono stati poi dei casi, nella giurisprudenza americana, in cui la responsabilità dell’agente è stata esclusa in ragione del diverso significato che assumono gli atti sessuali nella cultura d’origine del soggetto.

Nel caso Kargar73, un rifugiato afgano residente nel Maine viene accusato

di abusi sessuali gravi (gross sexual assault) nei confronti del proprio figlio di diciotto mesi. L’uomo era stato visto dai vicini mentre baciava i genitali del figlio durante la cerimonia di battesimo.

Secondo il codice penale dello Stato del Maine è punito come violenza sessuale «qualunque contatto tra la bocca di un adulto e l’organo genitale di un bambino», essendo irrilevante l’intenzione dell’appagamento sessuale. L’imputato si difende sostenendo l’inoffensività dell’atto, che nella sua cultura non è né illecito, né sessuale, ma espressivo di amore.

La difesa, chiamati a testimoniare esperti di antropologia culturale che confermano la normalità della pratica nella cultura afgana, chiede la concessione della de minimis defense, che nel sistema penale americano scatta qualora ricorra una delle tre seguenti situazioni:

la condotta dell’agente

« 1) deve essere abitualmente permessa o tollerata; (…) oppure

2) non ha cagionato il danno né ha esposto a pericolo (…) il bene tutelato dalla norma incriminatrice, o lo ha realizzato in modo irrilevante; (…) o

3) si è realizzata in altre condizioni, che il legislatore non può avere ragionevolmente incluso nell’incriminazione».

La richiesta della difesa viene respinta dalla Corte di primo grado e accolta                                                                                                                

73  State v. Kargar, N. 679 A.2d 81, Supreme Judicial Court of Maine, 20 giugno

invece dalla Corte di secondo grado, secondo la quale il comportamento di Kargar integra gli estremi del terzo comma della defense. La Corte esclude quindi la responsabilità dell’agente, poiché la sua condotta «non era stata prevista dal legislatore al momento della formulazione della norma incriminatrice».

La cultura d’origine dell’agente, l’assenza di sessualità della condotta e la mancanza di impatto sulla vittima sono fattori che hanno giocato a favore del riconoscimento della de minimis defense.

Simile è il caso Jones74, in cui un eschimese, durante la festa di

compleanno di suo nipote, intraprende per gioco una lotta con il nipote e un suo amico non eschimese, toccandoli ripetutamente nelle parti intime. Jones si difende dall’accusa di abusi sessuali su minori sostenendo di essere caduto in un errore sul fatto, poiché non si sarebbe reso conto che tale atto avesse per il bambino non eschimese una valenza sessuale, del tutto mancante secondo la sua cultura d’origine. La Corte accoglie le sue argomentazioni difensive e lo assolve.

In entrambi i casi, essendo gli atti sessuali un elemento normativo, si ripropone la solita questione (vedi retro, Cap. I, § 5): in base alla cultura di chi si valutano gli elementi normativi?

Qualora si ritenga che essi debbano essere valutati in base alla cultura del soggetto agente, si dovrà escludere la tipicità del fatto. Qualora si ritenga invece opportuno valutarli in base alla cultura della maggioranza degli italiani, si potrà eventualmente escludere il dolo per errore di fatto sull’elemento normativo della fattispecie.

Nell’ultimo capitolo, in relazione agli ultimi due casi, sarà esaminata nello specifico la soluzione proposta dalla dottrina circa la rilevanza penale della motivazione culturale.

                                                                                                               

SEZIONE II

Delitti contro la morale familiare