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Motivazione culturale e categorie del reato

3. Motivazione culturale e antigiuridicità

3.2. Il consenso dell’avente diritto

Si è visto come il condizionamento della cultura di appartenenza incida sulla commissione dei reati culturalmente motivati, nel cui ambito accade talvolta che sia proprio la persona offesa a manifestare il suo consenso ad una lesione della sua integrità fisica. Abbiamo già parlato dell’esistenza di pratiche rituali che consistono nell’arrecare lesioni al corpo ritenute necessarie per l’affermazione dell’identità culturale dell’individuo e per la sua accettazione da parte del gruppo etnico. Mutilazioni genitali e scarificazione sono tipici esempi in cui è la vittima stessa (qualora sia maggiorenne e consenziente) a pretendere il riconoscimento della sua appartenenza culturale tramite il suo consenso. Ci si è chiesti se in questi casi il consenso dell’avente diritto abbia efficacia scriminante ex art. 50. Il problema riguarda più in generale il principio di autodeterminazione della persona offesa, che già suscita dubbi sulla necessità della salvaguardia del bene giuridico e che solleva maggiori perplessità se la rinuncia al bene proviene da un soggetto, appartenente ad un gruppo etnico di minoranza, che chiede il riconoscimento culturale193. Si tratta di capire fino a che punto il diritto penale sia legittimato ad intervenire ed interferire nella libertà di azione altrui.

La dottrina inglese liberale ottocentesca aveva già affrontato il tema dell'harm principle, chiedendosi quali fossero i limiti morali del diritto penale. Al quesito aveva cercato di dare una risposta John Stuart Mill, che                                                                                                                

192  Pretura di Torino 16 gennaio 1981  

aveva affermato: «Il solo aspetto della condotta per cui si è responsabili di fronte alla società è quello che concerne gli altri. Per la parte che riguarda solo se stesso, l'indipendenza dell'individuo è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sul proprio corpo, e sulla propria mente l'individuo è sovrano194». Lo stesso Mill riconosceva tuttavia un limite al principio di autoprotezione, che si applica «solo agli esseri umani nel pieno delle loro facoltà» e non si applica ai bambini o ai giovani minorenni195.

Sulla scia di questo filone, si cita un altro autore, Feinberg, che nell'approfondire lo studio del paternalismo giuridico ha distinto un paternalismo forte, che giustifica l'intervento penale anche quando la scelta del titolare di autodanneggiarsi sia libera e volontaria, e un paternalismo debole, che si giustifica solo in quanto la condotta dannosa dell'agente sia non volontaria. Di conseguenza secondo il paternalismo debole il problema si sposta sulla verifica dell'autenticità della scelta del soggetto e dei requisiti del consenso, che deve essere pienamente volontario e prestato da una persona adulta, libera, non minacciata o fuorviata da altri196.

E' sulla base di queste premesse che parte della dottrina considera l'incriminazione delle pratiche di mutilazione genitale femminile ex art. 583 bis una scelta espressiva di un paternalismo forte, nel momento in cui la repressione penale va a colpire anche i casi in cui la condotta sia voluta dalla vittima stessa, adulta e consenziente, per osservare una norma culturale del gruppo etnico di appartenenza197.

Il problema che si pone, in questo caso, non è tanto la protezione del soggetto dalle azioni dannose, ma quello di accertare se la volontà del consenziente sia effettivamente libera o se sia dovuta alla forte pressione proveniente dalla comunità. Si è già visto nel Capitolo III come la Mgf sia una pratica avvertita come un dovere sociale e morale e una condizione per                                                                                                                

194  Mill, Sulla libertà, tr. it., 2000, p. 55 195 Ibidem  

196  De Maglie, I reti culturalmente motivati, cit., in riferimento a quanto affermato

da Feinberg, Harm to Others. The Moral Limits of the Criminal Law, 1984, p. 24.  

essere accettate dalla comunità, dalla famiglia, dallo sposo; le donne che non si siano sottoposte all'intervento scontano l'emarginazione sociale. Può allora essere realmente libero il consenso prestato da una donna adulta, viste le premesse circa il contesto sociale in cui si forma la scelta di sottoporsi a Mgf?

La risposta dipende dalle condizioni in base alle quali si ritiene che il consenso sia volontario.

Secondo alcuni il consenso è valido solamente se scevro da qualunque vizio del volere, intendendosi per tale non solo la violenza assoluta o relativa, il dolo o l'errore, ma anche ogni forma di suggestione che porti il soggetto a subire la volontà altrui198.

Ma altri hanno osservato come la volontà umana non sia mai completamente libera, in quanto risente sempre delle pressioni sociali che influenzano lo stile di vita dell'individuo. Si pensi ad esempio a certi interventi di chirurgia estetica, anche radicali e irreversibili, che taluni effettuano per una scelta sì libera, ma comunque condizionata dall'ambiente circostante all'individuo. Se non si vuole giungere alla conclusione che anche simili scelte non siano volontarie, si devono allora ritenere libere anche le scelte che, pur non perfettamente spontanee, sono sufficientemente volontarie per escludere la coartazione assoluta dell'autodeterminzione199. Si dovrebbe poi tener conto del contesto concreto e delle circostanze in cui la scelta è maturata e non come sarebbe stata in situazioni “normali”. Soprattutto perché, in una prospettiva multiculturale, sensibile e rispettosa delle diversità culturali, non è dato stabilire cosa si intenda per “normalità” e men che mai identificare tale concetto con la cultura dominante nel nostro ordinamento. Il giudice che si trovi a valutare l'efficacia scriminante del consenso prestato dall'autore culturale non dovrà quindi valutarne la volontarietà, chiedendosi se il soggetto avrebbe effettuato la medesima                                                                                                                

198  Pedrazzi, Consenso dell'avente diritto, in Diritto penale, I, Scritti di parte

generale, 2003, p. 247.  

scelta se fosse stato inserito nel nostro contesto culturale, ma dovrà esaminare l'intensità dell'influenza del gruppo d'origine dell'autore. Qualora l'influenza si sostanzi in un mero condizionamento della tradizione del suo gruppo, la scelta dovrà essere considerata libera; se invece la scelta risulta essere frutto di pressioni psicologiche intollerabili o minacce, il consenso dovrà essere considerato invalido200.

Premessa questa soluzione di principio, è allora possibile affrontare la questione del consenso in relazione alle singole fattispecie, le più caratterizzanti, di reati culturalmente motivati, quali la scarificazione e le mutilazioni genitali femminili.

Quanto alla pratica dello scarring, vi è chi esclude addirittura che la pratica costituisca uno “sfregio permanente del viso”, che rientra nelle lesioni gravissime. Il concetto di sfregio è infatti considerato elemento normativo extragiuridico, la cui accezione cambia in base ai diversi canoni estetici propri di ciascuna cultura. Se per la nostra lo sfregio viene considerato un «turbamento irreversibile dell'armonia, dell'euritmia delle linee del viso» ed un «effetto sgradevole se non proprio ripugnante», nella cultura di alcuni gruppi etnici esso viene positivamente considerato un simbolo di coraggio201.

Esclusa la riconducibilità dello scarring all'ipotesi di sfregio, rimane da valutare se il consenso possa scriminare il reato di lesioni personali. La disponibilità del proprio corpo incontrerebbe i limiti dell'articolo 5 c.c., che secondo alcuni sono tuttavia anacronistici e soprattutto inadeguati se calati in un contesto multiculturale. Ciò spinge a dare una lettura più dinamica del concetto di integrità fisica, da intendersi con quello di “salute”, che comprende non solo l'aspetto fisico, ma anche quello psichico. Il diritto disponibile andrebbe poi valutato non in astratto, ma in seguito ad un bilanciamento concreto tra l'offesa all'integrità fisica e altri interessi meritevoli di protezione che renderebbero lecita la condotta attraverso il                                                                                                                

200  Ibidem   201  Ibidem  

consenso. La pratica dello scarring è quindi ritenuta scriminata dal consenso del soggetto202.

Quanto alle mutilazioni genitali femminili, secondo alcuni vi è il limite posto dall’art. 5 c.c. che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica (nel caso del delitto di mutilazione di cui al primo comma) o quando siano contrari all’ordine pubblico (nel caso del delitto di lesione che, pur non comportando una mutilazione, contrasterebbe con i principi costituzionali della dignità della persona e della non discriminazione in ragione del sesso); per quanto riguarda poi i soggetti minorenni, i genitori, in quanto rappresentanti legali, potrebbero legittimamente consentire soltanto agli interventi terapeutici (ma tali non sono le pratiche in questione)203.

Altri invece non escludono la configurabilità di una scriminante. Sicuramente la volontà del legislatore è quella di escludere qualsiasi rilevanza del consenso; lo conferma il d.d.l. 414-B che prevedeva infatti l’incriminazione delle pratiche «anche con il consenso della vittima». Tale inciso era poi stato soppresso in quanto ritenuto superfluo.

Tuttavia secondo alcuni non tutte le pratiche di Mgf trovano un limite nell’art. 5 c.c.: i diritti offesi dalle condotte potrebbero essere considerati relativamente disponibili. Si tratta quindi di individuare quali pratiche comportano un’offesa tale da rendere il diritto indisponibile e quali invece fanno sì che il consenso abbia efficacia scriminante204.

Le pratiche di mutilazione di cui al primo comma comporterebbero sempre una diminuzione permanente dell’integrità fisica della donna e dovrebbe pertanto essere negata la rilevanza del consenso. Alcuni tuttavia nutrono perplessità circa questa conclusione: poiché il nostro ordinamento, in virtù di un principio di autodeterminazione della persona, consente alcune diminuzioni permanenti dell’integrità fisica (come ad es. la circoncisione                                                                                                                

202  Ibidem  

203  Mantovani, Diritto penale, cit., p. 162.   204  Basile, La nuova incriminazione, cit., p. 688.  

maschile, il mutamento di sesso), anche la donna che consenta alla Mgf in modo libero e consapevole potrebbe prestare un consenso valido205.

Le pratiche di lesione di cui al secondo comma potrebbero determinare una diminuzione non permanente dell’integrità fisica; non sarebbero contrarie alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, e pertanto potrebbero essere scriminate dal consenso206.