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4.2.2 (segue) Dolo ed errore sulla causa di giustificazione

4.3. Motivazione culturale e possibilità di conoscere l’illiceità del fatto

4.3.2. Dolo ed errore sul precetto

Una questione che è spesso emersa rispetto a reati commessi da imputati provenienti da un Paese straniero, è quella dell’ignoranza della legge penale. Come si è avuto modo di accennare nelle pagine precedenti, una simile ignoranza non era considerata rilevante ai fini dell’esclusione della colpevolezza secondo l’originaria formulazione dell’art. 5 c.p., che esprimeva il concetto racchiuso nel noto brocardo «ignorantia legis non excusat». Una ratio che mostrava il volto autoritario del regime, che non ammetteva deroghe al dovere di obbedienza del cittadino nei confronti dello                                                                                                                

Stato.

Con la sentenza 364/1988, che ha dichiarato illegittimo l’art. 5 nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile, la Corte riconosce un dovere di informarsi in capo ai consociati, in base al principio solidaristico espresso dall’art. 2 Cost. che richiede dai singoli soggetti «la massima, costante tensione ai fini del rispetto» degli interessi altrui.

Ad un tale dovere in capo al cittadino, corrisponde però anche l’impegno dello Stato a far conoscere al cittadino i contenuti della legge. Quando lo Stato disattenda questo “contratto” di reciproco impegno con testi legislativi oscuri, o con discontinui e contraddittori atteggiamenti interpretativi degli organi giudiziari, il cittadino sarà scusato, con esclusione della colpevolezza. Un’identica soluzione viene a prospettarsi anche nei casi in cui l’errore non dipenda dalla condotta “inadempiente” dello Stato, ma dal processo di formazione della decisione del soggetto di agire tenendo la condotta incriminata; ciò non significa dare spazio esclusivamente alla particolare situazione del singolo (la conseguenza sarebbe altrimenti quella di ritenere l’errore sempre scusabile), ma significa dare un giudizio individualizzato e contestualizzato che tenga conto delle circostanze in cui versava l’agente. Si tratterà allora di valutare se vi fosse una ragione valida ad indurre il soggetto a domandarsi se la sua condotta fosse lecita, tenendo conto delle cognizioni ed esperienze del suo ambito professionale e delle concrete possibilità che l’agente aveva per adempiere al dovere di conoscenza.

La Corte opera la distinzione (già richiamata supra) tra reati naturali e artificiali, dimostrandosi più sensibile rispetto ai secondi piuttosto che ai primi.

Nei reati naturali si riscontra una generale difficoltà a riconoscere la configurabilità di un errore scusabile; la stessa Corte ha infatti affermato che «risulterebbe quasi impensabile che un soggetto “imputabile” commetta i c.d. delitti naturali nell’ignoranza della loro illiceità»; una simile situazione potrebbe verificarsi in casi limite in cui «si tratti di reati che, pur

presentando un generico disvalore sociale, non sono sempre e dovunque previsti come illeciti penali, ovvero di reati che neppure presentino un generico disvalore sociale…».

E’ soprattutto rispetto ai reati artificiali che la Corte riconosce una più facile configurabilità dell’errore sul divieto.

Si può allora spiegare perché la giurisprudenza, in materia di reati culturalmente motivati, abbia talvolta accolto l’assunto difensivo secondo cui l’imputato avrebbe incolpevolmente ignorato che il fatto commesso costituisse reato nel Paese ospitante.

Si citano i casi:

- del cittadino senegalese che rivende accendini privi di bollo, ignorando che tale condotta sia penalmente lecita in Italia;

- di due tunisini che vengono trovati in possesso di una carabina ad aria compressa;

- di due minorenni tunisini che omettono di presentarsi, entro tre giorni dal loro ingresso nel territorio italiano, all’autorità di pubblica sicurezza; - di un cittadino francese quindicenne che usa un apparecchio radio- ricetrasmittente senza che sussistano i requisiti che secondo la legge italiana consentono il lecito uso dell’apparecchio.

In altri casi la giurisprudenza ha negato la sussistenza di un errore inevitabile sul divieto (in casi di violenza sessuale intraconiugale, di riduzione in schiavitù, di atti sessuali con minorenne ecc).

Alla luce dell’orientamento oscillante della giurisprudenza, parte della dottrina si è chiesta quali possano essere i fattori da cui può dipendere la valutazione di inevitabilità dell’ignoranza della norma penale violata245. Un primo fattore potrebbe a prima vista essere individuato nella naturalità o artificialità del reato. Nei reati in cui lo straniero invoca la liceità della sua condotta nel Paese di origine, i giudici si dimostrano più indulgenti verso gli autori di reati artificiali, mentre tendono a negare spazio all’ignoranza                                                                                                                

inevitabile agli autori di reati naturali.

Tuttavia è stato correttamente osservato come la distinzione tra reati naturali e artificiali in una realtà multiculturale perda significato e sia espressione di una concezione etnocentrica della società, che individua ciò che è “reato naturale” in base alle consolidate norme etico-sociali occidentali. Come qualcuno ha rilevato, può darsi che «reati pacificamente considerati come “naturali” per la generalità dei consociati, possano divenire “artificiali” rispetto a particolari categorie di autori246».

Un secondo fattore potrebbe essere il grado di eterogeneità tra la cultura italiana e quella d’origine: «quanto più è grande la distanza tra le due culture, tanto più è plausibile l’inevitabilità dell’ignorantia legis247».

In realtà rispetto a questo requisito si pongono alcune perplessità. Innanzitutto non è detto che la mera distanza culturale dell’imputato determini, per ciò solo, un’ignoranza inevitabile della legge penale italiana. In un caso la Cassazione ha infatti affermato che non può affatto «ritenersi che ogni straniero, proveniente da Paesi in via di sviluppo, è esonerato, almeno per la prima volta, dall’osservanza delle disposizioni penali»; la Corte lamenta il fatto che il giudice di merito abbia motivato la sentenza non in base ad uno studio del carattere, del sistema di vita e grado di istruzione della persona dell’imputato (che, contumace, non è neppure stato visto), ma su considerazioni generali in base alle quali si dovrebbe scusare, almeno per la prima volta, lo straniero dall’osservanza delle disposizioni penali.

Per converso, non è detto che una situazione di ignoranza inevitabile possa riconoscersi solamente a chi proviene da una cultura distante dalla nostra; in tale errore potrebbe versare anche uno straniero proveniente da un Paese culturalmente vicino all’Italia. Si pensi all’esempio del francese che                                                                                                                

246  Bernardi, L’ondivaga rilevanza del “fattore culturale”, in Pol. Dir., 2007, p.

27; in senso adesivo, v. Basile, Immigrazione e reati culturalmente motivati, cit., p.394 ss; De Maglie, I reati culturalmente motivati, cit., p. 224 ss.

compie atti sessuali con la propria nuora: secondo l’ordinamento francese una tale condotta non configura incesto, che è considerato lecito dal 1811. Sarebbe ragionevole escludere a priori la configurabilità dell’errore scusabile, solo in ragione del grado di omogeneità della cultura francese con quella italiana?

Un altro fattore che potrebbe in astratto essere preso in considerazione è la durata del soggiorno nel Paese di arrivo: minore è la durata del soggiorno, minori erano le possibilità di conoscere la legge.

Non è tuttavia un fattore decisivo: anche soggetti che vivono in Italia da un periodo prolungato potrebbero non essere venuti in contatto con la comunità italiana. Del resto, se è possibile configurare una situazione d’ignoranza inevitabile in capo a soggetti italiani che non abbiano avuto la possibilità di conoscere il precetto, a maggior ragione perché mai dovrebbe escludersi una simile ignoranza in capo allo straniero?

Potrebbe infine rilevare l’esistenza o meno, nel Paese d’origine, di una norma penale dal contenuto analogo a quella violata nel Paese di accoglienza. Ma preso in considerazione singolarmente, si rivela anche questo un fattore non decisivo, poiché vale la considerazione detta appena sopra: se anche nel Paese di origine esistesse una norma analoga a quella violata nel Pese d’arrivo, per quale motivo ciò dovrebbe escludere impedire allo straniero di invocare l’ignoranza inevitabile della legge violata, quando può farlo il cittadino italiano nel suo Paese di origine? Inoltre va considerato anche un altro aspetto importante: in certi Paesi talvolta la norma culturale è più forte ed effettiva di quella penale, registrandosi una concorrenza del diritto statale con quello praticato dall’etnia. Si pensi alla pratica di mutilazione genitale femminile: sono molti gli Stati africani che la prevedono come reato; tuttavia la regola che incrimina la pratica soccombe alla regola culturale che impone al genitore di sottoporre la figlia all’intervento.

Alcuni invitano quindi a «stemperare la nostra visione di giuristi occidentali improntata ad un rigoroso giuspositivismo, tale per cui è “legge” solo la norma scaturente dalle fonti statali ufficiali» e ad adottare una «chiave di

lettura suggerita dal paradigma del “pluralismo giuridico di tipo soggettivo”248», riconoscendo in tal modo che l’esistenza nel Paese d’origine di una norma penale di contenuto analogo a quella violata, non può essere di per sé un sicuro indice di conoscibilità del divieto.

Constatato che nessuno dei fattori esaminati, preso singolarmente, può essere decisivo per riconoscere l’errore scusabile sul divieto, si deve allora dar rilievo ad una pluralità di fattori, come risulta da alcune sentenze che hanno preso in considerazione la provenienza dell’imputato, la sua conoscenza della lingua italiana, il grado di alfabetizzazione ed integrazione, la giovane età249.

Attenta dottrina ha tuttavia colto una certa confusione nell’inserire certi casi, visti sopra, nella categoria dei reati culturalmente motivati250.

Si prenda il caso del senegalese che rivende accendini privi di bollo, ignorando che tale condotta sia illecita in Italia: il fatto che il soggetto provenga da un contesto culturale completamente diverso dal nostro e versi in una situazione di “insufficiente socializzazione” non basta a qualificare il fatto come “reato culturalmente motivato”, di cui si è accolta un’accezione piuttosto ristretta (v. Cap. I § 2). Nel caso citato «la giurisprudenza non ha fatto altro che procedere alla semplice applicazione delle regole in materia di errore di diritto alla luce dell’orientamento della Corte Costituzionale251»; manca infatti la motivazione culturale alla base della condotta dell’autore, o, in ogni caso, manca un’analisi volta ad accertarne l’esistenza.

L’autore culturale non va confuso con il soggetto che versa nella situazione di inferiorità tratteggiata dalla Corte Costituzionale nella sentenza 364/1988; certo, non si può escludere a priori che le due condizioni possano coincidere, ma si tratta di due profili distinti, che non possono essere automaticamente abbinati.

                                                                                                               

248  Basile, Immigrazione e reati culturalmente motivati, cit., p. 400 ss. 249  Ibidem

250  De Maglie, I reati culturalmente motivati, cit., p. 236 ss.   251  Ibidem  

Si ripropone anche in questo caso una considerazione simile a quella già vista a proposito dell’impraticabilità dell’imputabilità in relazione ai reati culturalmente motivati: equiparare l’autore culturale al “rusticus” carente di educazione e socializzazione implica dare un «giudizio sfavorevole, che etichetta il destinatario e tradisce una mentalità assimilazionista, per cui le culture non sono tutte uguali, ma ci sono culture carenti e una sola cultura superire: quella occidentale, in cui il diverso è auspicabile che si integri252».

Un’ultima, ma non meno importante osservazione, concerne il profilo più problematico del ricorso all’ignoranza inevitabile della legge penale in relazione ai reati culturalmente motivati: una tale soluzione è inapplicabile ai casi (che sono la maggior parte) in cui l’autore non versi in un errore sul precetto, ma sia ben consapevole di mettere in atto una condotta vietata. Certe scelte sono, per l’autore culturale obbligate, in quanto il soggetto sembra mostrare «un atteggiamento di sostanziale estraneità ed indifferenza» rispetto alle scelte dell’ordinamento ospitante; conosciute o meno che siano «esse non si prestano a rimuovere (…) la convinzione secondo la quale, laddove si tratti di seguire i propri modelli culturali, simili regole non possano costituire un canone di comportamento alternativo a quello imposto dalle proprie tradizioni d’origine253».

Il ricorso all’errore sul divieto per risolvere la questione sembra allora impraticabile, sia sotto il profilo sistematico, sia sotto il profilo politico- criminale254.