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La rappresentazione delle mutilazioni genitali femminili nella letteratura occidentale tra sottovalutazioni del

LE MUTILAZIONI GENITALI (A SCOPO NON TERAPEUTICO)

2. Le mutilazioni genitali femminili

2.1. La rappresentazione delle mutilazioni genitali femminili nella letteratura occidentale tra sottovalutazioni del

fenomeno, pregiudizi etnocentrici e teorie femministe  

Le mutilazioni genitali femminili non sono del tutto sconosciute all Occidente, in cui vi era stata una modesta diffusione nel XIX sec. nella                                                                                                                

96  De Maglie, I reati culturalmente motivati, cit. p. 44.

97Brunelli, Prevenzione e divieto delle mutilazioni genitali femminili: genealogia

(e limiti) di una legge, in Quaderni costituzionali, n. 3, settembre 2007, p. 569 ss.

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Pasquinelli, Donne africane in Italia. (Mutilazioni dei genitali femminili, identità

convinzione che alcuni comportamenti sessuali eccessivi, come la ninfomania, e altri disturbi come l isteria, l epilessia, la depressione, l ansia, potessero essere curati attraverso l escissione del clitoride99. Una volta vietate a partire dalla fine dell Ottocento, la loro pratica è fortunatamente scomparsa; si può affermare quindi che non sono appartenute all’Occidente perlomeno come usanza secolare e culturale.

I flussi migratori di individui provenienti dai Paesi (soprattutto africani) in cui le Mgf sono diffuse hanno fatto sì che il fenomeno si sia esteso anche ai Paesi occidentali, che si trovano oggi ad affrontare il problema. Le mutilazioni genitali femminili sono infatti ormai al centro del dibattito pubblico italiano, che si pone come obiettivo la ricerca di uno strumento di contrasto. E’ infatti indubbio che le mutilazioni siano in contrasto con i diritti delle donne: ledono l’integrità del corpo, violano l’autodeterminazione individuale, fisica e sessuale, controllano e limitano la sessualità femminile.

Il problema però esige di essere affrontato con cautela e tenendo conto di una serie di considerazioni che rendono la questione delle Mgf difficile da trattare. Trattandosi di un reato culturalmente motivato, entrano di conseguenza in gioco tutti gli aspetti più delicati che caratterizzano il rapporto tra intervento penale e multiculturalismo, tra diritti umani e diritti culturali. E’ quindi opportuno affrontare il tema tenendo conto dei numerosi aspetti, che tuttavia sono spesso tralasciati dalla letteratura in materia di Mgf, oscillante tra atteggiamenti paternalisti ed etnocentrici e atteggiamenti eccessivamente giustificatori che sottovalutano il problema.

Alcuni contestano la terminologia utilizzata, che assume un significato ben preciso: il termine “mutilazione” sarebbe troppo crudo, carico di significati negativi e volutamente evocativo di scenari di violenza e di tortura100. La                                                                                                                

99  Venuti, Mutilazioni sessuali e pratiche rituali nel diritto civile, in S. Canestrari, G. Ferrando, C.M. Mazzoni, S. Rodotà, & P. Zatti (a cura di), Il governo del corpo, Giuffrè Editore, Milano, 2011, pp. 657-713.

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formula infatti conterebbe «una precisa valutazione della natura di questo intervento e una implicita condanna; essa riflette pienamente la prospettiva occidentale ed è fortemente contestata da molte persone, anche donne, delle culture che le praticano101». Per questa ragione vi è chi predilige termini differenti, considerati più neutri sul piano valutativo, come ad esempio “modificazione”, “ablazione” o “circoncisione”.

Altri ritengono invece che questo atteggiamento sottovaluti il problema si risolva in un’indifferenza “politicamente corretta” per il timore di offendere le culture minoritarie. Ritengono quindi doveroso parlare di “mutilazioni” per sottolinearne la gravità, sia a livello psico-fisico che simbolico, e rimarcarne l’assoluta inaccettabilità102; infatti le formule neutrali di cui sopra, «generiche quanto basta per essere prive di significato, sono a lungo servite per tacitare le coscienze e le accuse di inerzia da parte delle femministe occidentali. Con l’utilizzo della parola “mutilazione”, viceversa, si sono aperte le ostilità103».

La questione terminologica non sembra ad ogni modo essere tra le più rilevanti, così come la diatriba sulla gravità delle conseguenze fisiche negative delle Mgf.

Nonostante le riconosciute complicazioni psicofisiche delle Mgf, alcuni ritengono opportuno segnalare studi che metterebbero in luce la mancanza di riscontri probatori delle ricerche che riportano le conseguenze devastanti della pratica104. Si tratta dello studio di Carla Obermeyer del 1999, che considera esagerate e prive di fondamento scientifico le ricerche che attestano le complicazioni delle Mgf; l’Autrice ritiene infatti che tali complicazioni rappresentino l’eccezione, non la regola, e che le pratiche non inibiscano il piacere sessuale della donna.

Se è apprezzabile la ragione di completezza per cui tali ricerche alternative                                                                                                                

101  A. Facchi, I diritti nell’Europa multiculturale, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 78. 102Brunelli, Prevenzione e divieto delle mutilazioni genitali femminili, cit., p. 567

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103Favali, Fra legge e modelli ancestrali: prime osservazioni sulle mutilazioni

genitali in Eritrea, Torino, Giappichelli, 2002, p. 123-124.

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sono riportate, tuttavia rimangono poco chiare l’utilità e la finalità della loro segnalazione. Questa argomentazione viene infatti utilizzata per evidenziare quanto le rappresentazioni occidentali delle Mgf risentano di pregiudizi etnocentrici e discriminatori, espressivi di una visione “colonialista della storia”105. E’ indubbio che i media diano un’immagine delle Mgf spesso eccessivamente minacciosa, descrivendola come una pratica barbara e primitiva e diffondendo cifre spesso gonfiate106. Ma il fatto che le

conseguenze devastanti riportate dalla letteratura siano solamente “possibili” e rappresentino “l’eccezione, non la regola” (circostanza comunque ancora controversa e da dimostrare), può forse contribuire a mitigare la gravità e il disvalore di una pratica fortemente lesiva dei diritti delle donne e, soprattutto, delle bambine? La risposta pare essere negativa, poiché tale circostanza non sembra determinante al fine di un dibattito sulla necessità di un intervento penale in materia, che pare essere necessario (sebbene non sufficiente) per tutelare un bene giuridico che, indipendentemente dalle gravi complicazioni, è senza dubbio gravemente violato dalla pratica.

Si deve però osservare come in effetti il dibattito non si limiti scoraggiare le Mgf, ma finisca a volte per sindacare il contesto culturale in cui esse sono effettuate. La presa di coscienza della loro diffusione suscita (comprensibili) reazioni di sconcerto. Spesso si tende però a passare dal contrasto della pratica alla stigmatizzazione di essa come espressione di una cultura che viene considerata incivile e arretrata, con l’uso di una particolare terminologia che in questa materia assume un significato importante e dovrebbe pertanto essere misurata: l’opuscolo informativo distribuito dal Ministero delle pari opportunità parlava ad esempio di pratica «crudele e disumana»; i mass media parlano spesso di “tradizione barbara”, di “barbarie inaccettabile”.

                                                                                                               

105  De Maglie, I reati culturalmente motivati. Ideologie e modelli penali, Pisa,

2010, p. 44 ss.

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Secondo alcuni «sono termini che fomentano e stigmatizzano ineluttabilmente una parte del mondo femminile come oscurantista e tribale107». Si tratta di termini che finiscono per marcare le differenze e tracciare un confine tra “noi” e “loro” e porre la questione in termini di contrapposizione tra culture “civili” e “incivili”.

Non pare essere questa la soluzione al problema, per due principali ragioni. Innanzitutto perché produce un effetto di chiusura del mondo femminile su se stesso. Le donne africane sono restie a parlare di una questione così intima e segreta come il loro corpo; l’attenzione che gli occidentali rivolgono ai loro corpi offende la loro sensibilità e viene vista come un’indebita ingerenza nella loro vita e nelle loro usanze. Significativa è la posizione assunta nella Conferenza di Copenaghen del 1980 dalle donne africane che, nonostante l’insistenza delle femministe occidentali affinché fosse posta la questione delle Mgf, respinsero l’iniziativa. In generale ciò che le infastidisce è la presunzione degli occidentali di volerle liberare da una pratica “barbara” che si ritiene essere loro imposta con la forza, senza tener conto del fatto che spesso sono le donne stesse a volersi sottoporre alla mutilazione. La pressione culturale è infatti così forte da far sì che la mutilazione genitale sia spesso ritenuta il male minore, se paragonata al danno che può derivare dall’espulsione dalla comunità o all’impossibilità di trovare marito.

Non è infatti così certo quale sia l’interesse delle donne; esso dipende in gran parte dalla durata del soggiorno nel Paese di accoglienza. Quando il progetto migratorio è temporaneo, la mancata mutilazione può costituire un grosso danno per la donna che rientri nella comunità di origine, dalla quale verrà esclusa. Porre quindi la questione sul piano della tutela dell’interesse delle vittime non è sempre risolutivo, perché dipende da come si intende l’interesse, che varia a seconda del rapporto tra individuo e cultura                                                                                                                

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AA. VV., Sessualità e culture. Mutilazioni genitali femminili: risultati di una

ricerca in contesti socio-sanitari, Morrone- Sannella (a cura di), Milano, 2010, p.

d’origine108.

Adottare quindi un atteggiamento più aperto alla comprensione delle profonde implicazioni culturali, che non etichetti come “incivile” l’altrui cultura e che non faccia sentire le dirette interessate oggetto di giudizi negativi, è senz’altro preferibile.

In secondo luogo la stigmatizzazione della cultura altrui, in quanto ritenuta lesiva dei diritti delle donne, non sembra essere un lusso che l’Occidente può concedersi. Si dimentica spesso che la subordinazione della donna accomuna tutti gruppi sociali, compresi quelli dei Paesi più ricchi e sviluppati. D’altronde non è necessario andare troppo indietro nel tempo per ricordare alcune previsioni (già viste nel Capitolo II, § 4.3) fortemente lesive della autodeterminazione e della dignità della donna nel nostro ordinamento, quali il delitto d’onore, l’istituto del matrimonio riparatore, la punibilità del solo adulterio commesso dalla donna, l’impunità della violenza sessuale inframatrimoniale. Pertanto, alla luce di ciò, giustamente vi è chi invita «ad affrontare la questione con una certa umiltà109». Interessante è affrontare il problema in rapporto alle teorie femministe, secondo una prospettiva di genere che si pone l’obiettivo di evitare contrapposizioni tra diritti della donna e diritti della cultura, trovando soluzioni che possano realizzare un compromesso tra i due diritti. Questa impostazione mette in luce innanzitutto l’esistenza «di tanti tipi di donne e di tanti modi di combattere contro la loro oppressione», e, di conseguenza, l’importanza «di evitare atteggiamenti assimilazionisti, che riconducano le donne ad un unico modello creato dal femminismo occidentale110».

Uno dei punti fondamentali del femminismo è sempre stato il rifiuto del paternalismo, ossia il rifiuto che le questioni (e soprattutto le leggi) che                                                                                                                

108  Pitch, Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili, in Questione

giustizia n. 3, 2001, p. 506.

109  Brunelli, Prevenzione e divieto delle mutilazioni genitali femminili, cit., p. 569.   110  Facchi, Politiche del diritto, mutilazioni genitali femminili e teorie femministe:

riguardano le donne e il loro corpo siano decise da altri, che ritengono di sapere ciò che è bene per loro. «L’interesse delle donne non può che essere deciso da loro stesse e non da altri111». Questa riflessione suggerisce quindi di coinvolgere le dirette interessate nella formazione delle norme giuridiche che le riguardano. Nell’ambito delle Mgf significa evitare soluzioni che vengano percepite dalle donne come imposte dall’alto, ma che siano frutto del loro coinvolgimento, attraverso audizioni dei rappresentanti delle comunità e delle associazioni impegnate a combattere le Mgf.

Non è però questa la strada intrapresa dal legislatore nel processo di legiferazione, che ha preferito svolgere audizioni informali di cui non vi è traccia nei resoconti parlamentari112.

 

2.2. La questione sul piano internazionale. Le esperienze