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Il trattamento giuridico della circoncisione maschile rituale

LE MUTILAZIONI GENITALI (A SCOPO NON TERAPEUTICO)

3. Il trattamento giuridico della circoncisione maschile rituale

I profili problematici della legge emergono soprattutto se si raffronta il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili con il diverso trattamento della circoncisione maschile. Quest’ultima non è infatti presa in                                                                                                                

162Il Tribunale dei minorenni del Piemonte e Val d’Aosta, con decreto 17.7.1997

ha reintegrato in famiglia una bambina operata.

163  Cattelan, Mutilazioni genitali femminili rilevanti per status di rifugiato, in

considerazione dal legislatore nella legge del 2006, che fa espresso riferimento alle sole «mutilazioni genitali femminili». Eppure la circoncisione maschile è di gran lunga più diffusa delle Mgf: si stima che ogni anno vengano circoncisi circa 13,3 milioni di bambini rispetto ai 2 milioni di bambine sottoposte a mutilazione genitale164. Inoltre anche la circoncisione può comportare delle complicazioni dal punto di vista fisico. Ciononostante la circoncisione è stata dichiarata ammissibile dal Comitato nazionale di bioetica con un rapporto del 1998.

Anche dal punto di vista giuridico la circoncisione maschile è di fatto lecita. Per capire se tale disparità di trattamento sia o meno giustificata, occorre preliminarmente capire in che cosa consista la pratica e quali siano i motivi socio-culturali che la motivano.

La circoncisione è stata definita dal Comitato nazionale per la bioetica come «l'asportazione totale o parziale dell'anello prepuziale maschile finalizzata a determinare una scopertura permanente del glande». Si tratta di un intervento che non comporta l'asportazione di organi.

La sussistenza di una lesione all'integrità fisica è una questione che rimane aperta: l'opinione prevalente la esclude, ritenendo che, se eseguita in modo corretto, non produca menomazioni o alterazioni della funzionalità sessuale e riproduttiva maschile; altri ritengono che vi sia comunque un indebolimento.

Secondo alcuni studi sarebbe un deterrente al contagio sessuale dell'AIDS, dato che si sarebbero riscontrate percentuali assai più basse tra le comunità musulmane africane rispetto alle zone subsahariane. Altri studi ritengono invece che la maggiore diffusione presso i Paesi islamici sia dovuta ai morigerati costumi sessuali islamici165.

Da un punto di vista antropologico e culturale la circoncisione assolve una funzione molto simile a quella delle Mgf: si tratta di un rito di                                                                                                                

164  De Maglie, I reati culturalmente motivati, cit., p. 46.

165  Miazzi-Vanzan, Circoncisione maschile: pratica religiosa o lesione

passaggio, che assume significati diversi a seconda della provenienza etnica del gruppo che lo pratica.

La circoncisione è infatti diffusa in più contesti, religiosi e non.

Per quanto riguarda i rapporti con le tradizioni religiose, essa è praticata principalmente da ebrei e musulmani, ma non mancano anche appartenenti ad alcune comunità cristiane (come i copti di Eritrea e Etiopia); il rito è praticato anche da numerose tribù africane, dagli aborigeni australiani e viene praticato anche in Occidente, in particolare negli Stati Uniti, dove si stima che il 50% della popolazione maschile sia circoncisa.

Per gli ebrei la circoncisione rappresenta una condizione per entrare nella comunità, sancita da una norma Talmudica. Si tratta di un rito che determina la «giudaizzazione» della natura umana, da effettuarsi nei primi otto giorni di vita del neonato. L'operazione è condotta spesso in sinagoga ad opera di un rabbino o di un suo fiduciario166.

Per i musulmani la pratica non è obbligatoria: non è prescritta né dal Corano, né da alcuna raccolta di hadith (detti e fatti riguardanti Maometto, che invece attestano l'approvazione delle mutilazioni genitali femminili, purché lievi). Tuttavia risulta che il Profeta fosse circonciso, come tutti gli appartenenti alle tribù arabe, e perciò il precetto fu sancito dalle tradizioni successive, grazie anche all'elaborazione di alcune scuole giurisprudenziali: per gli Shafiiti è obbligatoria, per i Malikiti è pratica approvata167.

Quanto al significato che la circoncisione ricopre nel mondo islamico, essa è sinonimo di purificazione (non a caso viene chiamata tahara, che significa appunto purificazione). A differenza degli ebrei, i musulmani effettuano l'intervento non sui neonati, ma sui bambini di età compresa tra i tre e i dodici anni; per questa ragione, oltre a costituire l'ingresso e l'accettazione nella comunità islamica, la pratica costituisce anche una prova di coraggio: la sua origine era infatti quella di atto di virilità che il neo sposo compieva di fronte alla famiglia della moglie, dalla quale poteva essere addirittura                                                                                                                

166  Miazzi-Vanzan, Ivi, p. 69 167  Ibidem  

ripudiato se non avesse sopportato il dolore con valore168.

In alcune chiese cristiane le pratiche sono effettuate in base ad una lettura letterale della Bibbia, che nella Genesi, 17,11, contiene un espresso riferimento ad un ordine di Dio di circoncidere il prepuzio come segno di patto.

Le motivazioni della pratica sono comunque varie e il Comitato nazionale di bioetica ha suddiviso la circoncisione in quattro categorie, a seconda della funzione:

circoncisione terapeutica circoncisione profilattica circoncisione rituale

circoncisione provvista di altre motivazioni

Non interessa soffermarsi, essendo pacificamente ammesse, su quella terapeutica o profilattica, ma su quella rituale.

Sul piano giuridico, come accennato sopra, la legge 7/2006 ha scelto di non prendere in considerazione la circoncisione maschile, nonostante l'originario disegno di legge n. 414 prevedesse una fattispecie che non distingueva tra modificazioni genitali maschili e femminili. Il comma 4 bis, che doveva essere aggiunto all'art. 583, puniva infatti chiunque cagionasse «una lesione o mutilazione degli organi genitali provocata in assenza di esigenze terapeutiche, al fine di condizionare le funzioni sessuali della vittima». Il disegno venne però modificato in seguito all'accelerazione che l'iter subì in risposta alla proposta, ritenuta provocatoria e inammissibile, di praticare il rito simbolico alternativo presso le strutture pubbliche (cfr. § 2.4.1).

Il problema, in mancanza di una specifica disposizione di legge, è capire se la circoncisione sia o non sia lecita nel nostro ordinamento, ricavandone                                                                                                                

la disciplina dalle norme ordinarie.

Il punto di partenza è l'art. 5 c.c. che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume.

Come già detto, l'opinione prevalente esclude la lesione all'integrità fisica, qualora la pratica sia eseguita in modo corretto senza comportare menomazioni o alterazioni. Il Comitato nazionale di bioetica escluderebbe quindi il contrasto con la legge, con l'ordine pubblico e con il buon costume, in quanto la pratica non si concretizzerebbe in atti osceni lesivi del sentimento del pudore in materia sessuale, ma osserverebbe precise regole di prudenza e di riservatezza.

Nell’incertezza, utile è vedere l'applicazione giurisprudenziale sulla circoncisione maschile.

La prima pronuncia è del Tribunale di Milano che, con sentenza 25/11/1999 si chiude con un patteggiamento e con una pena di 2 anni sospesa, e vede come imputato un padre egiziano, separato da moglie italiana, che senza il consenso di quest'ultima aveva fatto praticare in una vacanza in Egitto la circoncisione al figlio maschio e l'infibulazione alla figlia femmina.

Il tribunale afferma la qualificazione giuridica delle lesioni personali gravi. Un secondo caso è quello trattato dal Tribunale di Pavia con sentenza 26 settembre 2003, sostanzialmente confermata dalla Corte d'Appello di Milano, 11 luglio 2005 e dalla Cassazione, 8 maggio 2007, n. 17441. La vicenda riguardava alcuni genitori immigrati e italiani, tutti di religione islamica, che con la collaborazione di un medico avevano fatto sottoporre i propri figli ad interventi di circoncisione maschile, simulando di aver agito per finalità terapeutiche, facendo così gravare i costi sul servizio sanitario. Il tribunale tratta la questione della truffa, mentre tralascia quella relativa alla liceità della circoncisione rituale, in quanto «nulla impedì o impedisce a chi lo ritenga necessario o opportuno dal punto di vista religioso di sottoporsi a circoncisione o ad altra pratica che non comporti menomazioni permanenti

del proprio corpo. Ciò che non è lecito è l'utilizzo di artifizi o raggiri per porre indebitamente a carico della collettività i costi di un'operazione a valenza privata e in assenza di esigenze terapeutiche, fatto che non sarebbe lecito per nessuno, quale che sia la religione professata».

Il tribunale riconosce quindi la liceità della circoncisione maschile.

Un analogo implicito riconoscimento possiamo trovarlo in una vicenda passata a tre gradi di giudizio e risolta definitivamente dalla Cassazione con sentenza 24 novembre 2011.

La vicenda riguarda un'immigrata nigeriana, di religione cattolica, che fa sottoporre il figlio neonato a circoncisione rituale, praticata da una connazionale priva di abilitazione medica. La madre è costretta a portare il figlio al pronto soccorso in seguito ad una forte emorragia, che secondo i medici configura una condizione di pericolo di vita. La donna che aveva effettuato l'intervento non viene identificata, mentre la madre viene accusata di lesione dolosa grave e di concorso in esercizio abusivo della professione medica.

Anche in questo caso i giudici di merito169 non contestano la liceità della circoncisione maschile in quanto rituale, che può anche «apparire come volta al raggiungimento di un migliore stato di salute, ad una forma corporea corrispondente all'idea di perfezione fisica e di soddisfazione psichica propria della singola persona, anche al fine di adeguarsi ad un'identità etnica o culturale».

La madre viene considerata colpevole del reato di lesioni, ma a titolo colposo, in quanto la circoncisione maschile, se correttamente effettuata, non produce di norma menomazioni o alterazioni nella funzionalità sessuale riproduttiva maschile, e la grave emorragia sarebbe un evento imprevisto e non voluto. La colpa starebbe nell'aver scelto con imprudenza l'operatrice. Non essendo le lesioni colpose gravi perseguibili d'ufficio, in mancanza di querela il reato diventa improcedibile e pertanto la madre viene prosciolta.                                                                                                                

La donna viene però ritenuta colpevole di concorso nel delitto di esercizio abusivo di una professione, poiché «l'eventuale mancanza di consapevolezza di sottoporre il bambino ad un intervento di chirurgia minore di competenza medica» viene considerata dal tribunale un errore non scusabile su norma integrativa del precetto penale, dal momento che non risulta che la donna abbia assunto alcuna informazione prima di decidere di non avvalersi di un medico. Il tribunale esclude che l'imputata possa invocare a propria scusa usanze diffuse nella propria comunità o nel proprio paese di origine, poiché «l'ordinamento può e deve esigere che un genitore presti la massima attenzione alla salute del proprio figlio, e quindi richiedere che una legittima pratica tradizionale sia eseguita con modalità tali da garantire la sicurezza del minore. Nulla impedisce che il costume sociale di una comunità possa evolversi affinché il rispetto di una tradizione non rischi di pregiudicare questo superiore interesse».

Tale decisione, confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza 12 ottobre 2009, viene ribaltata dalla Cassazione che, riconoscendo la natura di reato culturalmente motivato e la sussistenza di un conflitto esterno all'agente tra le norme della sua cultura e quelle dell'ordinamento di accoglienza, non ravvisa l'elemento soggettivo del reato contestato.

La Corte osserva che sul tema della circoncisione non esiste in Italia alcuna espressa normativa di legge. Un implicito riconoscimento è contenuto nella legge 8/3/1989 n. 101, attuativa dell’Intesa stipulata il 27/2/1987, che contiene norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Secondo la Cassazione «la circoncisione rituale praticata dagli ebrei su neonato deve, pertanto, ritenersi non in contrasto con il nostro ordinamento e ha una preminente valenza religiosa che sovrasta quella medica, con l'effetto che giammai il mohel potrebbe incorrere nel reato di esercizio abusivo della professione medica e la sua condotta, che oggettivamente integra il reato di lesione personale, è scriminata, se non determina una apprezzabile lesione permanente e non mostra segni di negligenza, imprudenza o imperizia». Quanto al delitto di lesione personale, ritenuto astrattamente ipotizzabile, «la causa di

giustificazione a favore del mohel trova titolo nel consenso dell'avente diritto (art. 50 cod. pen.), prestato validamente ed efficacemente dai genitori del neonato, per il compimento di un atto che rientra tra quelli consentiti di disposizione del proprio corpo (art. 5 cod. civ.), in quanto non determina una menomazione irreversibile con indebolimento permanente e non modifica sostanzialmente il modo d'essere dell'individuo sotto il profilo dell'integrità funzionale o sotto quello della capacità di vita di relazione». Nel caso di specie, non essendo l’imputata ebrea ma cristiana, la circoncisione non è riconducibile a motivazioni religiose, ma a tradizioni culturali interiorizzate nell’ambito della comunità di provenienza e pertanto non è invocabile il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa. La Corte afferma che la circoncisione è sostanzialmente un atto di natura medica che non può essere affidato a chiunque, ma deve essere eseguito da un medico. Di conseguenza il reato di cui all’art. 348 c.p. è in astratto configurabile.

La sentenza impugnata non ha però adeguatamente approfondito il processo di formazione di volontà dell’imputata alla luce dell'art. 5 c.p., nel nuovo testo risultante a seguito della sentenza additiva n. 364/1988 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima detta norma «nella parte in cui esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile».

La Corte si sofferma sull’origine dell’imputata, «persona di etnia africana, che, migrata in Italia, non è risultata essere ancora integrata nel relativo tessuto sociale» e riconosce la sua oggettiva condizione di difficoltà nel recepire valori e divieti a lei ignoti.

Secondo la Cassazione «non possono essere ignorati (…) il basso grado di cultura dell'imputata e il forte condizionamento derivatole dal mancato avvertimento di un conflitto interno, circostanze queste che sfumano molto il dovere di diligenza dell'imputata finalizzato alla conoscenza degli ambiti di liceità consentiti nel diverso contesto territoriale in cui era venuta a trovarsi». Riconoscendo quindi la sussistenza di un errore scusabile, la Corte annulla senza rinvio la sentenza perché il fatto non costituisce reato.

Come si è visto dalle sentenze esaminate, la circoncisione può essere ricondotta al reato di lesioni personali; alcuni allora sottolineano la contraddittorietà dell’orientamento prevalente, che afferma la liceità della pratica, rispetto all’evocazione della lesione all’integrità fisica170.

Si apprezza inoltre la diversità di trattamento giuridico, a parità di condotta, rispetto alla mutilazione genitale femminile, cui è dedicata una fattispecie ad hoc che prevede una pena più elevata rispetto a quella prevista dalle lesioni personali.

Nel caso di cui al secondo comma dell’art. 583 bis, se la lesione, che comporta una durata inferiore ai venti giorni, riguarda una bambina, è punita con pena minima di 3 anni, mentre per i maschi è punita con pena minima di 3 mesi; nel caso di lesioni di durata inferiore ai 40 giorni la pena massima per le lesioni femminili è di sette anni (che diventano 9 anni e quattro mesi con l'aggravante del fatto commesso in danno di minore) mentre per le lesioni maschili è di 3 anni.

La mutilazione vera e propria è punita fino a 7 anni, se ai danni di un maschio, e fino a dodici anni se ai danni di una femmina171.

Questa disparità di trattamento e la mancata presa in considerazione della circoncisione maschile nella legge vengono spiegate con la constatazione che la pratica è da tempo diffusa e accettata in Occidente; si ipotizza anche che «essa ci è comunque familiare anche attraverso il tramite della tradizione ebraica, che sentiamo molto più vicina a noi di quella islamica, e che quindi non è oggetto del nostro pregiudizio culturale172». Pare infatti che la circoncisione goda di un consenso sociale in quanto rito praticato dai seguaci della religione ebraica, «che appartengono all’élite sociale, culturale ed economica di Paesi dominanti come gli Stati Uniti; altri riti come le FGM, seppure nelle forme più lievi, assimilabili in tutto e per tutto alla CM,                                                                                                                

170  Miazzi-Vescan, Circoncisione maschile, cit., p. 77.    

171  Miazzi-Vanzan, Modificazioni genitali: tradizioni culturali, strategie di

contrasto e nuove norme penali, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1 2006,

p. 30 ss.  

sono espressione di culture non conosciute, non accettate e comunque respinte come “barbare”173».

Questo aspetto lascia poi intravedere una disparità di trattamento non solo tra Mgf e circoncisione maschile, ma anche nell’ambito della circoncisione maschile stessa, che pare essere accettata quando compiuta nell’ambito di una religione riconosciuta come l’ebraismo, mentre è meno tollerata se praticata all’esterno di un contesto religioso riconosciuto, nell’ambito di un rituale tradizionale che trova le sue radici in un contesto culturale e non religioso. Il Tribunale di Padova 9 novembre 2007 e la Cassazione 24 novembre 2011 hanno infatti operato questa distinzione tra circoncisione rituale e religiosa, che non tiene conto del fatto che anche chi pone in essere la circoncisione per motivi culturali e rituali può avvertirla come doverosa174.

Inoltre, l’affermata liceità della circoncisione pare non tener conto del problema del consenso. Essendo la pratica effettuata su minori, si pone il problema del potere dei genitori di sottoporre i figli alla circoncisione; secondo l’opinione maggioritaria l’atto rientrerebbe nel diritto dei genitori di educare i figli secondo la loro religione (art. 19 Cost.). Ma la soluzione è stata ritenuta insoddisfacente e incompleta, poiché non risolve il problema del contrasto tra i genitori (soprattutto quando siano di religioni o di idee diverse), come si è visto nel caso del Tribunale di Milano 25 novembre 1999: rimane da chiedersi se per escludere il reato sia necessario il consenso di uno solo o di entrambi i genitori175.

                                                                                                               

173  De Maglie, I reati culturalmente motivati, cit., p. 47.   174  Ibidem  

175  Miazzi-Vanzan, Modificazioni genitali, cit., p. 31; Miazzi-Vanzan,

CAPITOLO IV

LA RILEVANZA DELLA MOTIVAZIONE