• Non ci sono risultati.

Motivazione culturale e categorie del reato

1. Diritto alla cultura e diritti fondamental

L’ordinamento penale di fronte al fattore culturale quale movente del reato può reagire in modo diverso.

Può scegliere di ignorarlo, assumendo un atteggiamento d’indifferenza ispirato ad un principio di uguaglianza formale; abbiamo già visto nel Capitolo I come tale modello assimilazionista sia tipico dell’ordinamento francese, che sceglie di non tener conto delle differenti appartenenze culturali sul piano pubblico e penale.

Una seconda alternativa consiste nel considerare il fattore culturale penalizzandolo; il fatto di compiere un certo comportamento illecito per motivi culturali determina un aumento di pena, come nel caso del reato di mutilazioni genitali femminili, che prevede una pena più elevata rispetto a quella prevista dal reato di lesione personale.

Infine un’ultima scelta, effettuata dal modello anglosassone c.d. multiculturalista, è quella di tener conto del fattore culturale attraverso un trattamento favorevole da riservare all’autore culturale, nell’ottica di un principio di uguaglianza sostanziale che riconosce le diversità culturali. Attualmente negli ordinamenti giuridici dei Paesi occidentali non sono previste norme generali di esclusione della pena per i reati culturalmente motivati.

La dottrina si è interrogata sul motivo di una simile assenza, soprattutto in riferimento agli ordinamenti che, seguendo il modello multiculturalista, si

dimostrano più propensi ad accettare la diversità culturale; questi ordinamenti preferiscono adottare singole, specifiche disposizioni che accordino un trattamento favorevole (come nel caso della disposizione che permette agli indiani sikh di indossare il turbante in luogo del casco protettivo), piuttosto che disposizioni di parte generale, per il timore che queste ultime possano legittimare gravi violazioni dei diritti fondamentali, in particolare dei membri più deboli del gruppo di appartenenza176.

Il riconoscimento della diversità culturale non può infatti essere assoluto e incondizionato; si tratta allora di individuarne i limiti, di capire se e quando il fattore culturale meriti di essere preso in considerazione in modo favorevole e se il diritto alla cultura sia un diritto fondamentale e possa essere invocato in un giudizio penale.

Il diritto alla cultura gode di un riconoscimento, nel novero dei diritti dell’uomo, relativamente recente. La riflessione sui diritti umani ha preso avvio a partire dal 1789, strutturandosi inizialmente su un piano strettamente individuale; successivamente l’attenzione si è focalizzata non più soltanto sui diritti individuali, ma anche su quelli culturali, riferiti all’appartenenza culturale, etnica, religiosa che determina l’identità di una persona in riferimento ad una collettività177.

Il diritto alla cultura risulta collocato tra i diritti fondamentali nella legislazione internazionale: si pensi all’art. 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, che fa divieto agli Stati di privare i membri delle minoranze etniche, religiose o linguistiche del diritto ad avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo; e all’art. 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che enuncia: «L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica».

                                                                                                               

176  Basile, Immigrazione e reati culturalmente motivati, p. 356 ss.  

177  Famiglietti, I diritti dell’appartenenza culturale tra diritti individuali e diritti

collettivi, in Religione e Religioni: prospettive di tutela, tutela della libertà, a cura

Secondo una recente teoria di Luigi Ferrajoli i diritti fondamentali possono essere oggetto della seguente distinzione: vi sono innanzitutto i diritti umani, diritti primari della persona, che in quanto universali «spettano a tutte le persone naturali semplicemente in quanto tali178»; nel loro ambito vengono individuati i diritti di libertà, che garantiscono «l’eguale valore di tutte le differenze personali, a cominciare da quelle culturali179».

Non vi è quindi dubbio che il diritto alla cultura sia un diritto fondamentale, ma ciò non significa che debba sempre prevalere su tutti gli altri diritti; può darsi che esso contrasti con altri diritti fondamentali, che costituiscono limiti invalicabili ad abusi, violazioni, lesioni e coazioni fisiche. Tra questi si collocano il diritto alla vita e la categoria dei diritti di libertà personale, che comprende l’esclusione della schiavitù, l’immunità da torture e da pene corporali e l’immunità delle donne e dei soggetti deboli; quindi rientrano in questo “nucleo forte” di diritti inviolabili la libertà sessuale, la libertà dalla costrizione fisica e, più in generale, l’intangibilità del corpo umano. Ne consegue che tali libertà costituiranno limiti invalicabili, anche per altri diritti fondamentali come il diritto alla cultura. Esso potrà prevalere fintantoché non violi tali diritti, mentre, in caso contrario, la motivazione culturale non potrà essere valorizzata ai fini di un trattamento sanzionatorio favorevole per l’autore180.

Poste queste ultime premesse e ritornando a quelle iniziali, pare sicuramente inaccettabile l’opzione di penalizzare la motivazione culturale attribuendole addirittura un’efficacia che va nel senso di aggravare la pena. Altrettanto impraticabile sembra la scelta di ignorare la diversità culturale, che trascura il conflitto che si va a creare nel soggetto appartenente al gruppo etnico minoritario; un tale conflitto determina una diversa capacità che l’autore culturale ha, rispetto al reo “comune”, di rispettare la norma penale, di farsi motivare da essa, di recepirne i valori.

                                                                                                               

178  Ferrajoli, Principia iuris. 1. Teoria del diritto, 2007, p. 737 ss.   179  Ferrajoli, Ivi, p. 739.

La scelta che si ritiene più giusta è quella che tiene conto favorevolmente del fattore culturale, nella convinzione che un diritto penale non orientato all’accettazione delle diversità culturali abbia effetti negativi, sia sul piano della prevenzione generale sia sul piano della prevenzione speciale (sul punto si avrà modo di tornare in seguito).

L’analisi che segue sarà allora volta ad affrontare la questione della rilevanza penale del fattore culturale su due fronti: de iure condito si tratta di capire se il mezzo attraverso cui giungere ad una situazione sanzionatoria favorevole sia già contenuto nell’ordinamento penale stesso e possa individuarsi in uno degli elementi del reato; de iure condendo si tratta di vedere se sia opportuno inserire una soluzione generale ad hoc che permetta di valorizzare il fattore culturale.