• Non ci sono risultati.

La questione sul piano internazionale Le esperienze straniere europee ed extraeuropee

LE MUTILAZIONI GENITALI (A SCOPO NON TERAPEUTICO)

2. Le mutilazioni genitali femminili

2.2. La questione sul piano internazionale Le esperienze straniere europee ed extraeuropee

Le gravi conseguenze delle mutilazioni genitali femminili hanno attirato l’attenzione della comunità internazionale sulla questione fin dagli anni Cinquanta; sono infatti diverse le fonti internazionali nel cui ambito ricadono le Mgf. Alcune di esse non condannano esplicitamente le mutilazioni genitali femminili, ma riguardano comunque questioni a cui è possibile ricondurre la pratica.

Appartengono a questa tipologia di fonti:

- la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, che all’art. 2 riconosce a ogni individuo tutti i diritti e tutte le libertà enunciate dalla Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o                                                                                                                

111

Facchi, Ivi, p. 16.

sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. L’art. 3 statuisce il diritto dell’individuo alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona. L’art. 5 vieta i trattamenti o le punizioni crudeli, inumani e degradanti;

- la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (1969);

- la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (1989), ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, con la quale gli Stati si impegnano a far sì che nessun bambino sia soggetto a tortura o a trattamenti e punizioni crudeli, inumani e degradanti (art. 37) e ad abolire pratiche tradizionali contrarie alla salute dei bambini (art. 24);

- la Convenzione contro ogni forma di discriminazione contro le donne (1979), con la quale gli Stati condannano la discriminazione contro le donne in tutte le sue forme e si impegnano a prendere ogni misura appropriata, comprese disposizioni legislative, per modificare o abrogare leggi, regolamenti, consuetudini e pratiche esistenti che costituiscono una discriminazione contro le donne (art. 2);

- la Convenzione sullo statuto dei rifugiati (1951).

Tra le fonti che condannano espressamente le mutilazioni genitali femminili si annoverano:

- la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993) che, nel definire il concetto di “violenza contro le donne” ricomprende espressamente anche le mutilazioni genitali femminili; afferma infatti l’art. 2 che la violenza dovrà comprendere «la violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene in famiglia, incluse le percosse, l'abuso sessuale delle bambine nel luogo domestico, la violenza legata alla dote, lo stupro da parte del marito, le mutilazioni genitali femminili e altre pratiche tradizionali dannose per le donne, la violenza non maritale e la violenza legata allo sfruttamento». Si afferma poi all’art. 4 che gli Stati dovrebbero «adottare tutte le misure appropriate, specialmente nel campo dell'educazione, per modificare i modelli di comportamento sociali e

culturali degli uomini e delle donne e per eliminare i pregiudizi, le pratiche consuetudinarie e ogni altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità o della superiorità di uno dei due sessi e su ruoli stereotipati per gli uomini e per le donne».

- le Risoluzioni ONU n. 48/104 del 1993 e n. 53/117 del 1998, con le quali è stato chiesto agli Stati di elaborare politiche nazionali di contrasto delle pratiche di mutilazione;

- la Quarta (Conferenza di Pechino) e la Quinta Conferenza dell’ONU sulle donne del 1995 e del 2005, in cui si chiede agli Stati di «adottare ed applicare disposizioni normative contro gli autori di pratiche e abitudini dannose, comprese le mutilazioni genitali femminili»;

- la Risoluzione ONU A/RES/67/146, adottata il 20 dicembre 2012, che richiama gli Stati membri a promuovere e realizzare non solo attività di sensibilizzazione e formazione, ma anche misure punitive, al fine di eliminare la pratica;

- la Risoluzione ONU A/C.3/69/L.22 adottata il 18 dicembre 2014, con la quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riafferma la sua richiesta di mettere al bando universalmente le Mgf.

A livello europeo, si citano:

- la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 1371/1998 concernente i “Maltrattamenti inflitti ai fanciulli” che chiede agli Stati di adottare efficaci disposizioni contro le Mgf;

- la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 1450/2000 sulla “violenza contro le donne in Europa”, che ribadisce quando affermato nella precedente Raccomandazione ed invita gli Stati ad attuarla;

- la Risoluzione del Parlamento europeo n. 2035/2001 che condanna le Mgf come una violazione dei diritti fondamentali umani e chiede agli Stati di considerare reato le Mgf, introducendo, se necessario, normative ad hoc. - la Risoluzione del Parlamento europeo del 24 marzo 2009

- la Risoluzione del Parlamento europeo del 14 giugno 2012 - la Risoluzione del Parlamento europeo del 6 febbraio 2014

Vi sono poi atti che sono stati adottati nei paesi in cui le pratiche di mutilazione genitale femminile sono diffuse, quali:

- il Protocollo aggiuntivo alla Carta Africana dei Diritti Umani e dei Popoli sui Diritti delle Donne in Africa (Protocollo di Maputo), adottato nel 2003 dai Paesi dell’Unione Africana, che dispone che gli Stati debbano prevedere «la proibizione, anche attraverso provvedimenti legislativi forniti di adeguata sanzione, di tutte le forme di mutilazione genitale femminile, scarificazione, trattamento medico o paramedico delle mutilazioni genitali femminili e ogni altra pratica, al fine di sradicarle»;

- la Carta africana sui diritti umani e dei popoli (1986), di cui sono rilevanti l’art. 5 (contro ogni forma di degradazione, umiliazione e trattamento degradante e disumano), l’art. 16 (sul diritto di ciascuno di godere del maggior livello di salute fisica e psichica ottenibile), l’art. 18(3) (contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e per la tutela dei diritti delle donne e dei bambini)113.

- la Carta sui diritti e il benessere dei bambini africani, il cui art. 21 prevede: «i Paesi che ratificano la Carta dovranno prendere tutte le misure appropriate per abolire le pratiche consuetudinarie dannose per il benessere, la crescita morale e lo sviluppo del/della bambino/a e in particolare: a) i costumi e le pratiche pregiudizievoli per la salute e la vita del bambino/a; b) i costumi e le pratiche discriminatorie per il bambino/a sulla base del sesso o di altro status».

Le Mgf, come si è visto, sono diffuse principalmente in 28 Paesi africani, di cui quasi tutti vietano la pratica, o con previsione specifiche (si segnalano Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Gibuti, Ghana, Guinea, Kenya, Mali, Niger, Nigeria, Repubblica Centro Africana, Senegal, Tanzania, Togo) o facendo ricorso ad altre fattispecie penali, quali le lesioni                                                                                                                

personali.

Nonostante i divieti, il diritto consuetudinario si dimostra essere più cogente e vincolante di quello statale: le pratiche continuano ad essere svolte in clandestinità, soprattutto nelle zone rurali114.

Esemplificativo di questo conflitto tra diritto ufficiale e diritto culturale è il caso dell’Egitto, dove il divieto, introdotto fin dal 1959 in tutti gli ospedali, era stato abolito nel 1994 con la previsione della possibilità di effettuare gli interventi in ospedale (c.d. medicalizzazione)115. A seguito delle pressioni di

associazioni contrarie alla medicalizzazione, il divieto è stato reintrodotto con un decreto del Ministero della Sanità del 1996.

Con la diffusione della pratica in Occidente per effetto dell’immigrazione, anche i Paesi occidentali hanno dovuto affrontare il problema.

Per quanto riguarda i Paesi extraeuropei, hanno adottato disposizioni incriminatrici ad hoc: gli Stati Uniti, con il Federal Prohibition of Female Genital Mutilation Act del 1995; il Canada, con un emendamento del 25 aprile 1997; la Nuova Zelanda, con il Crimes Amendment Act del 1995; alcuni Stati confederati dell’Australia, con vari atti legislativi adottati tra il 1994 e il 1996116.

Per quanto riguarda l’Europa, i Paesi hanno assunto posizioni diverse. Secondo la prima, incentivata e ritenuta preferibile dal Parlamento Europeo, viene creata una fattispecie ad hoc. Hanno adottato questa soluzione la Svezia, primo Stato a prevedere un reato specifico di mutilazione genitale femminile, con la legge 1° luglio del 1982; il Regno Unito, con il Prohibition of Female Circumcision Act del 1985 (aggiornato con il Female Genital Mutilation Act del 2003); la Norvegia, con la legge n. 74 del 1995; il Belgio, con la legge 28 novembre 2000; la Spagna, con la legge 29                                                                                                                

114Pitch, Ivi, p. 504. 115

Ibidem

116  Basile, Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati

(comprese le mutilazioni genitali femminili), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, ottobre 2007, p. 53.

settembre 2003.

L’incriminazione della pratica non pare però aver prodotto gli effetti sperati, soprattutto nel Regno Unito: nonostante l’Health & Social Care Information Centre abbia registrato, ad esempio, solo nell’arco dei mesi di aprile, maggio e giugno del 2015 1.036 casi117, non vi sono mai stati processi; almeno fino al 2015, quando un medico è stato accusato di aver effettuato la pratica su una donna che aveva partorito. Il medico è stato assolto, lasciando inalterato il dato per cui ad oggi non vi sono stati casi di condanna.

Altri Stati invece non fanno ricorso ad una fattispecie autonoma di reato, ma riconducono la pratica a figure di reato già esistenti nell’ordinamento penale. Un esempio è la Francia, al primo posto tra i Paesi europei per il numero di processi celebrati; l’inesistenza di una norma ad hoc non è infatti sintomo di una maggiore tolleranza. La maggior parte delle imputazioni sono state ricondotte al reato di lesioni personali, ad opera di una significativa decisione della Corte di Cassazione che, nel 1983, ha considerato l'ablazione una forma di mutilazione sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 312,3 del vecchio c.p.

Questo articolo, a protezione dei minori dalle violenze e dai maltrattamenti, prevedeva un'aggravante di pena se gli autori della violenza fossero i genitori che, nel caso ne fosse derivata una mutilazione permanente, potevano essere condannati all'ergastolo, e da dieci a venti anni di reclusione se complici.

Tuttavia, nonostante il numero di casi giurisprudenziali (se ne contano circa una ventina nell’ultimo ventennio) e l’elevato trattamento sanzionatorio, le pene comminate sono state lievi e sospese.

Alla luce dei risultati ottenuti dalle legislazioni dei Paesi europei, sia quelli che prevedono una fattispecie di reato autonoma, sia quelli che riconducono le Mgf ad altre fattispecie di reato, il quadro pare piuttosto deludente; alcuni hanno osservato infatti come, nel primo caso, si sia scelto                                                                                                                

di criminalizzare ma di non perseguire, e nel secondo caso si sia scelto di perseguire, ma di non punire118.

2.3. La questione in Italia. Prima del 2006

 

 

La consapevolezza della presenza di donne che hanno subito Mgf sul territorio nazionale si è avuta nel corso dei primi anni novanta, quando le donne straniere, grazie ad una maggiore integrazione, hanno avuto accesso ai servizi sanitari sia per ricevere assistenza nel periodo di gravidanza e nel momento del parto, sia per curare patologie specifiche derivanti dalle MGF. Il primo caso giudiziario italiano risale al 1997119, quando i genitori nigeriani di una bambina furono denunciati dai medici dell’A.S.L. di Torino per lesioni personali gravissime. I genitori avevano fatto sottoporre la figlia di sei mesi ad un intervento di escissione parziale delle piccole labbra e del clitoride in occasione di un viaggio nel Paese di origine.

Il caso si concluse con l’archiviazione delle indagini per «mancanza di condizioni per legittimare l’esercizio dell’azione penale per violazione degli artt.110, 582, 583 c.p., in quanto sia i genitori che la minore sono cittadini nigeriani e hanno inteso sottoporre la figlia a pratiche di mutilazione genitale, pienamente accettate dalle tradizioni locali e (parrebbe dalle leggi) del loro Paese».

Dello stesso caso si era occupato il Tribunale dei minorenni di Torino, chiamato a valutare l’idoneità dei genitori a svolgere i compiti di educazione e di crescita della figlia; dopo un primo provvedimento provvisorio restrittivo della potestà genitoriale, aveva riaffidato la bambina ai genitori.

                                                                                                               

118  Pitch, Il trattamento giuridico delle mutilazioni genitali femminili, cit., p. 510.

119

Tribunale di Torino luglio 1997, come riportato da Basile, Immigrazione e reati