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Le altre font

3. Lo scopo della ricerca

4.7 Le altre font

Per supportare le informazioni dalle fonti annalistiche, biografiche e cronachistiche, gli storici hanno utilizzato fonti di altra natura. Tra questi vi sono i diplomi e i report dei placiti.213 I re carolingi hanno emanato diplomi per garantire beni terrieri, diritti e altri privilegi sia agli enti ecclesiastici sia ai loro sostenitori laici. Nel periodo preso in esami si registrano circa 700 diplomi emanati dal re, per una media di quattro diplomi all’anno per i regni di Carlo Magno, Ludovico il Germanico e Lotario I, di dodici-diciotto diplomi l’anno per il governo di Ludovico il Pio e Carlo il Calvo.214 Accanto a questi documenti regi, un numero notevole di cartulari sono registrati e prodotti dai monasteri e dai vescovadi del regno. Nonostante il numero elevato di transazioni registrate, però, solo il 5% di questi documenti riportano casi di dispute e di conflitti. In questa percentuale, inoltre, la menzione di un eventuale ricorso alla violenza o alla vindicta regia è quasi assente. Sebbene i diplomi regi siano costruiti per enfatizzare il potere regio e la sua autorità donata da Dio, tendono infatti a oscurare il contesto politico e a riflettere un’immagine irenica della procedura giuridica, a causa del linguaggio formulare.215 Alla luce di queste considerazioni, si è deciso di non utilizzare questa fonte, se non in modo limitato per integrare le informazioni sui conflitti politici e sulle ribellioni avvenute all’interno del regno carolingio: i diplomi registrano infatti eventi politici come le campagne militari e le assemblee regie e, in casi isolati, forniscono brevi valutazioni sui provvedimenti presi dal re in questi due ambiti dell’amministrazione del regno.

Un ultimo corpo di testimonianze non narrative comprende i decreti emanati dal re e dalla chiesa. A differenza dei propri predecessori merovingi, i re carolingi hanno infatti governato sistematicamente attraverso la prescrizione di documenti legislativi, a cui la storiografia moderna ha dato il nome di capitolari in virtù della comune struttura suddivisa

Hagiography; Davril, Monastic Ritual; Davril, Monastère, pp. 43–55

213 Per convenienza, distinguo tra i diplomi formalmente proclamati dal re e trascritti dagli scribi della corte e

gli atti non regi. Quest’ultimi mi rifaccio alla definizione di Wendy Davies, Paul Fouracre e Warren Brown: «qualsiasi documento-eccetto i diplomi- che registra il trasferimento o la conferma dei diritti di proprietà, o privilegi o altre transazioni.» Si veda Davies-Fouracre, Settlement, p.270 e Brown, Unjust-Seizure, p. 17.

214 Durante il regno di Carlo Magno, si conservano 180 diplomi. Un numero è comparabile con quello dei

regni di Lotario I(158) e Ludovico il Germanico(170), mentre per i regni di Ludovico il Pio(450, di cui 40 solo nel primo anno di impero) e Carlo il Calvo(360) si registra un notevole incremento nei numeri. Sul di Carlo Magno si veda Bautier, Chancellerie, pp. 1-60; Bollough, Aula, pp. 120-130. Sui diplomi e sulla cancelleria di Ludovico il Pio si veda Dickau, Studien, pp. 35-156. Sui diplomi e sulla cancelleria di Ludovico il Germanico si veda Kehr, Kanzlei, pp. 1-32; Kehr, Schreiber, pp. 1-105; Brousseau, Urkunden, pp. 95-119.

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in capitula. Questa è tuttavia considerata eccessivamente rigida, poiché si tratta di una tipologia di documenti varia e fluida: il termine capitolare indica infatti documenti prodotti in contesti diversi per scopi e funzioni differenti. Ciò che identifica il genere e che lega insieme tutte le funzioni per cui i capitolati erano utilizzati è l’emanazione dal potere regio o imperiale. Nonostante la concezione sul significato dell’autorità sia cambiata da quando Ganshof cinquant’anni fa l’ha definita come il comando assoluto posseduto dal re, l’autorità regia è ancora considerata la chiave per la creazione e la promulgazione dei capitolari. Tenendo ciò a mente, tentiamo di dare una definizione più comprensiva. I capitolari rappresentano la più diretta testimonianza della volontà regia- del re e della sua corte- in forma scritta. Affrontano problemi amministrativi, ordinano l’implementazione della legge, servono da testamenti regi, contengono istruzioni per i rappresentanti del re e prescrivono misure per problemi specifici attraverso in tutto il regno216. L’editto di Pîtres (864) è l’esempio perfetto di questa molteplicità di funzioni assolte dai capitolari. In un singolo documento, il re afferma lo statuto di immunità sui terreni concessi dalla famiglia regia, implementa le procedure per perseguire e punire i latrones che avevano tratti vantaggio dal caos creato dalle invasioni dei Normanni per appropriarsi dei beni ecclesiastici, impone una riforma del conio per il regno dei Franchi occidentali, prescrive una serie di provvedimenti in materia militare per le guerre contro i Normanni, ordina una censita della forza militare in tutto il regno e legifera sui rifugiati dai territori devastati dalle invasioni. Questo esempio mostra come i capitolari fossero spesso emanati per rispondere a esigenze specifiche o per risolvere i problemi di una particolare regione del regno. Non rappresentano dunque l’espressione di un sistema legislativo.217

215 Heidecker (a cur. di), Charters; McKitterick, Carolingians, pp. 77-134.

216 Per una discussione sul ruolo dei missi e sulla struttura dell’amministrazione carolingia, si veda Werner,

Missus, pp. 191-239. Sulla funzione della legislazione carolingia il dibattito è stato molto acceso. Halphen, Charlemagne et L’empire Carolingien, in cui si sottolinea ancora la novità dell’organizzazione

amministrativa carolingia, di cui si dà una interpetazione da una prospettiva statualista. Ganshof, Use, pp. 125–142 e Ganshof, Charlemagne, pp. 394–419 che sostiene la centralità della scrittura nella burocratuzzazione dell’apparato amministrativo durante il regno di Carlo Magno, ma mette anche in evidenza l’inefficacia del sistema di governo carolingio. Cfr. con le prospettive più recenti che hanno messo in un luce il carattere sociale della scrittura nel governo del regno, sia a livello pratico e teorico: Nelson,

Literacy, pp. 162-165 Fouracre, Carolingian Justice, pp. 771–803; McKitterick, Perceptions, pp. 1075–1104.

Sulla capacità di influenzare e propagandare l’immagine regia attraverso la legislazione si veda Davis,

Patterns.

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Si veda MGH Capti II, pp. 310-328, in particolare c. 5, cc. 6-7, cc. 8-24, c. 25, c. 27, c. 30, c. 31, e c. 36. La genesi dei capitolari e la loro associazione con l’assemblea regia sono problematizzate da Pössel, Authors, che sostiene l’anacronismo di continuare a classificarli come legislazione una volta considerati separati dal contesto assembleare che li produce. Per una definizione più ampia della legislazione altomedievale si veda invece Reynolds, Medieval Law, pp. 486-489.

Considerando l’ampio spettro di funzioni svolte dai capitolati, è utile utilizzare delle categorie per classificarli. Riprendendo la distinzione rigida dei documenti fatta da Boretius per l’edizione dei capitolari nei Monumenta Germaniae Historica, Ganshof distingue tra i capitolari di materia ecclesiastica e quelli di pertinenza laica. Inoltre divide quest’ultimi in tre sottogruppi: i capitula legibus addenda che modificano o integrano le leges; i capitula per se scribenda che prescrivono provvedimenti per situazioni correnti; infine i capitula missorum che contengono le istruzioni per i rappresentanti regi o imperiali.218

Questa divisione riflette l’impostazione giuridico-istituzionale di Ganshof. Osservando le forme in cui i capitolari sono diffusi, però, è possibile osservare come le collezioni manoscritte di capitolari non fossero utilizzate solo per motivi amministrativi: potevano essere impiegati come testi di scuola o essere utilizzati come uno strumento di propaganda regia. La varietà di funzioni delle collezioni risulta dall’insieme di tipologie documentarie preservate insieme nei manoscritti: i capitolari sono integrati con le leges, le lettere le vitae o trattati ecclesiastici. Alla luce dell’analisi dei manoscritti, Rosemund McKitterick ha giustamente rivisto la classificazione di Ganshof, scegliendo di distinguere i capitolari programmatici, in cui la corte carolingia propaganda la propria riflessione sul ruolo del re nella società cristiana e l’immagine irenica della giustizia carolingia, da quelli amministrativi, in cui il nucleo dei provvedimenti è rappresentato da prescrizioni utili a risolvere questioni concrete nell’amministrazione del regno e della giustizia. Questa categorizzazione permette non solo di dare ragione della funzione concreta con cui sono redatti, ma soprattutto di considerare la finalità retorica e propagandistica nei confronti del progetto di potere e degli ideali della regalità che i capitolari sostanziavano.219

Inoltre, seguendo la tradizione carolingia, i sinodi della chiesa franca emanano canoni, che non solo affrontano problematiche legate alla riforma ecclesiastica, ma anche questioni di governo e politica secolare. La storiografa moderna ha mostrato come sia difficile determinare con certezza l’estensione con cui i provvedimenti elencati negli atti conciliari siano effettivamente seguiti. Tuttavia, come nel caso dei capitolari, questi testi

218 Ganshof, Recherches, p. 11 critica la classificazione dei Monumenta Germaniae Historica; per la

classificazione di Ganshof, si veda Ganshof, Recherches, pp. 11-16. Cfr. ulla qualità, la classificazione e lo stile della legislazione carolingia gli studi più significativi sono Ganshof, Kapitularen, la cui classificazione presenta tuttavia divere problematiche; Nelson, Kingship, pp. 383-430; McKitterick, Written Word, pp. 25- 37; Mordek, Bibliotheca; Mordek, Kapitularen.Sul pubblico dei capitolari si veda McKitterick, The Written, pp. 89–112; McKitterick, Carolingians; McKitterick, History, pp. 941–981.

219 McKitterick, Charlemagne, pp. 33-67. Le prospettive più recenti che hanno messo in un luce il carattere

retorico del discorso dei capitolari carolingi: Fouracre, Carolingian Justice, pp. 771–803; McKitterick,

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legali riflettono le preoccupazioni specifiche e i valori dell’aristocrazia ecclesiastica in determinati momenti storici del regno, rappresentando una fonte fondamentale nell’analisi del valore attribuito alla violenza nella società carolingia.220

220 Hartamann, Synoden

Parte I. La giustizia carolingia: il re, Dio e la licenza di