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Il Pactus e la violenza sociale

Parte I. La giustizia carolingia: il re, Dio e la licenza di uccidere

Capitolo 1. La realtà dei capitolar

1.2 La violenza nella legislazione romano-barbarica: il Pactus Legis Salicae

1.2.2 Il Pactus e la violenza sociale

La questione del fuorilegge porta all’attenzione la problematica delle dinamiche delle relazioni violente riconosciute dall’autorità, sia da quella della legge che da quella del re. Ma quali erano le norme che regolavano la violenza legittima dal basso? Qual era l’attitudine comunitaria nei confronti della violenza? Nonostante la legislazione promuova solitamente la dimensione verticale della violenza e della sua gestione, il contenuto del Pactus registra anche altre informazioni implicite sulla dimensione orizzontale. Questi riferimenti ci raccontano di un mondo in cui la violenza legittima esisteva al di fuori dei contesti trattati dal Pactus. Tali ambiti possono essere ricostruiti dal capitolo XLI/11: «se

culpabilis iudicetur.». Nell’Ottocento la nozione di Wargus è stata associata dagli storici del diritto a quella di friedlhos, equiparando l’allontanamento dalla comunità al banno regio. A questo proposito si veda Brunner, Abspaltung; Liebermann, Friedlosigkeit, p. 20 e Von Unruh, Wargus, pp. 2-34, in particolare p.16. Per un’interpretazione più attuale, che fa del wargus una nozione riferita a colui che violava le norme più sacre della comunità si veda Schmidt-Wiegand,Wargus, pp. 472-480 e Schmidt-Wiegand, Spuren, pp. 575- 587. Per una riflessione sulla relazione tra la nozione di wargus e quella di extra sermonem si veda Lupoi- Belton, Origins, pp. 368-377.

qualcuno, mentre si trova in viaggio, incrocia sulla strada un uomo libero, senza mani o piedi, che i suoi nemici hanno lasciato presso un crocicchio, e lo uccide, deve pagare una somma di 4000 denarii»284.

Il caso propone un normale e legittimo ricorso alla violenza in un contesto di inimicitia. Nella legislazione tra VII e IX secolo il termine inimicizia compare come il perfetto contrario del rapporto di amicizia, legame su cui si reggevano gran parte delle relazioni politiche e sociali durante l'Alto Medioevo. Entrambi si fondavano su una logica dello scambio secondo le dinamiche studiate e teorizzate da Marcel Mauss285. Nei suoi studi sulla società merovingia Regine Le Jan ha precisato, giustamente, che l'inimicizia era una relazione fondata su uno scambio negativo: il debito creato dalla perdita materiale e simbolica subita attraverso l'offesa rendeva necessario ripristinare un equilibrio nel nuovo rapporto creato dall'azione che aveva generato l'ostilità tra le parti.286 La relazione veniva dunque condotta con l'intento di difendere la legittimità del proprio diritto leso e delle proprie pretese, provocando all’avversario un danno morale o materiale equivalente all'offesa originaria; nel caso il contesto lo impedisse, invece, la ritorsione mirava ad attirare l’attenzione della comunità sulla disputa per favorire la rappacificazione, con atti di violenza limitati, rivolti contro i beni.287

Il Pactus sembra conoscere e accettare queste dinamiche: infatti nel capitolo XLI/11 vi rivolge la sua attenzione, assegnando la compensazione, non per la mutilazione, ma per l’omicidio commesso da colui che aveva scoperto la vittima al crocicchio. Il testo non affronta le motivazioni della condanna dell’uccisione. Non sappiamo se il passante avesse dovuto lasciare la vittima viva per non interferire con le dinamiche dell’inimicizia, per il rischio di sminuire il valore dell’atto originale della vendetta, o se fosse stato condannato semplicemente per aver ucciso ingiustamente un uomo impossibilitato a combattere. Considerando lo svolgimento della vicenda, sembra plausibile che la legislazione cercasse di impedire a terzi di interferire nella pubblicizzazione della vendetta,

284MGH LL.nat.Germ. 4.1 Pactus XLI/11, pp. 158: «Si quis 〈uero〉 hominem [ingenuum] inuenerit in

quadruuio sine manibus et sine pedibus, quem inimici sui 〈ibid(e)m〉 demiserunt, et eum perocciderit, cui fuerit adprobatum, mallobergo friofalto uuasbucho hoc est, IVM denarios qui faciunt solidos c culpabilis iudicetur».

285 Il principio della reciprocità di alcune prassi sociali fu analizzato dal sociologo francese nella sua opera

dedicata all’approfondimento del tema del dono. Si veda Mauss, Essai, pp. 30-186. Su questo Le Jan,

Famille, pp. 34-53.

286 Le Jan, Famille, p. 54. Sull’inimicitia si veda n.315. In particolare si veda anche Bougard, Avant-propos,

pp. 1-6.

287 La distinzione tra la funzione della violenza tattica e quella strategica, volta ad attirare l’attenzione della

comunità, è esemplificata da Halsall, Violence, pp. 1-15 che riprende le nozioni da Wickham, Rural, pp. 12- 14.

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perché preoccupata dalle conseguenze del gesto. La possibilità di una riapertura delle ostilità, qualora la pubblicizzazione della ritorsione fosse stata disturbata, sembra rappresentare un problema reale. In ogni caso, il messaggio della normativa è chiaro: l’autorità conosceva le norme che regolavano le relazioni violente nella comunità e, in base a queste, considerava la violenza legittima. 288

La conferma a questa ipotesi si trova nelle due clausole successive, contenute entrambe in una delle varianti della tradizione manoscritta del Pactus. La prima tratta la compensazione nel caso in cui qualcuno avesse tentato di togliere un uomo libero dalla forca senza averne il permesso, imponendo una compensazione di 1800 denarii289. La disposizione non spiega chi avesse eseguito l’impiccagione e per quale infrazione, né quale permesso fosse necessario per rimuovere la vittima; comunque ci informa di un’ulteriore risarcimento imposto a coloro che disturbavano la violenza legittima nei conflitti “privati”. La seconda clausola è sicuramente più significativa: «chi rimuove la testa di un uomo che i suoi nemici avevano posizionato su un picca è punibile con il versamento di 600 denarii»290. Ancora una volta il Pactus racconta di un’inimicitia. Ancora una volta la legislazione si impegna contro l’interferenza di soggetti esterni, riconoscendo sia il valore della relazione di inimicitia sia della violenza impiegata dalle parti in causa. La violenza non è osteggiata dall'apparato regio franco, bensì, in casi come quello sopra descritto, è legittimata.

La punizione per chi rimuoveva la testa dal palo ci informa di una prassi, l'esposizione del corpo del nemico o di una sua parte, che avrebbe avuto la funzione di pubblicizzare la “sanzione” imposta dagli stessi nemici contro il proprio offensore. Questa azione comunicava alla comunità la colpa commessa e la punizione a cui il nemico era stato soggetto291. Il tutto sembra avvenire con il consenso dell'apparato regio, che sanciva la legittimità dell'atto prescrivendo che la testa potesse essere rimossa solamente per volontà dei nemici.

288 Sulla legittimità delle pratiche si veda la conclusione della miscellanea di Davis-Fouracre(a cur.di)

Settlements, pp. 230-240 e l’introduzione di Halsall, Violence, pp. 1-40 che riassume le posizioni della

storografia sulla violenza medievale. A questo prosito si vedano anche i contributi prensenti in Goreki(a cur.di), Conflict.

289 MGH LL.nat.Germ. 4.1 Pactus XLI/11a, p. 158: «Si quis hominem ingenuum de barco abbatiderit sine

uoluntate, 〈MDCCC denarios qui fa ciunt〉 solidos XLV culpabilis iudicetur».

290 MGH LL.nat.Germ. 4.1 Pactus XLI/11b, p. 158: «Si quis caput de homine, quod inimici sui in palum

miserunt, sine uoluntate alterius deposuerit, mallobergo rabanal, 〈DC denarios qui faciunt〉 solidos XV culpabilis iudicetur».

291 La nacessità di publizzare per legittimare la violenza o come segno di comunicazione rituale è

Non sembra errato vedere in queste testimonianza del Pactus un legame con alcune delle storia raccontate da Gregorio di Tours, in particolare con il famoso conflitto tra Sicario e Cramnesindo. Dopo essere stato deriso da Sicario durante la cena che avrebbe dovuto sancire la loro nuova amicitia, Cramnesindo ripensò a come la sua famiglia avrebbe giudicato le sue azioni: sicuramente, scrive Gregorio, «lo avrebbero accusato di essersi comportato come una donna per non essersi vendicato contro l’assassino del suo parente». In seguito a questo episodio, Cramnesindo si precipitò a casa di Sicario, lo uccise ed espose il suo corpo su un palo dello steccato che recintava la proprietà del nemico. Re Gontrano non interferì con il conflitto e intervenne solo a titolo personale, per via del legame di amicizia tra Sichario e sua moglie, assicurandosi che Cramnesindo avesse agito per vendicare l’insulto292.

Da questa corrispondenza, o semplicemente dalle parole del Pactus, sembra possibile ricavare un principio generale riguardo la violenza nella società franca: commettere un atto violento in pubblico, o pubblicizzarlo, sembra equivalere a una dichiarazione della sua legittimità. 293Al contrario, l’occultamento di un omicidio era socialmente condannato come un crimine grave: la legislazione prevede infatti un risarcimento di 3000 denarii, contro i normali 2500 denarii, per coloro che coprono il corpo della vittima con bastoni o cortecce294. Vi sono varie ragioni che spiegano questa particolare attenzione della legislazione: innanzitutto, nascondere un corpo avrebbe potuto essere visto come un’ammissione del fatto che non vi fosse motivo legittimo per giustificare l’omicidio; oppure si trattava della prova di un gesto disonorevole, come nel caso in cui la vendetta era state commessa senza rispettare il codice dell’onore su cui si basavano le inimicitiae, aggredendo di un indifeso o uccidendo un uomo nel sonno; o, infine, collegato alle ultime due considerazioni, l’occultamento del cadavere potrebbe essere stata una prassi comune in caso di uccisione di un innocente, che, se scoperta, avrebbe portato alla punizione o alla ritorsione della famiglia della vittima. Connessa a questa idea, una valutazione particolarmente negativa è attribuita alla violenza indiretta o

sotterfugi, ad esempio con l’avvelenamento o di notte. Per una revisioni abbastanza completa delle disposizioni nelle leges barbariche su questo tema si veda Halsall, Violence, pp. 17-18.

292 MGH SS.rer.Merov. 1 Historia Francorum, IX/19, pp. 256-259; Wallace-Hadrill, Bloodfeud, pp. 460-495;

Monod, Aventures, pp. 259 - 290; Fustel de Coulange, Analyse, pp. 5- 35; Depreux, Faide, che rivede l’interpretazione classica di Monod e Fustel de Coulange; si veda anche Halsall, Violence, pp. 1-15. Per un approfondimento sul dibattito storiografico si veda Geary, Monod, pp.87-99.

293 Halsall, Violence, pp. 17-18.

294 MGH LL.nat.Germ. 4.1 Pactus XLI/6 e 7, p. 150: «Si uero eum in aquam aut in puteum miserit, 〈LXXIIM

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mascherata, per cui la legislazione prevede compensazioni più elevate: l’assunzione segreta di un assassin 295 ; l’uccisione attraverso il ricorso alla magia 296 o

l’avvelenamento297.

In conclusione, considerando la natura delle disposizioni, è possibile ipotizzare che l’autore del Pactus registrasse principalmente i casi in cui i due antagonisti, in una relazione di inimicitia, avessero entrambi deciso, o fossero stati forzati dalla pressione della comunità e dei membri della propria parentela, a una risoluzione non violenta della disputa. Infatti, nonostante in questa testimonianza molti degli atti violenti siano rappresentati come illegittimi, torti da dover ricompensare, la legislazione non vi si opponeva. Al contrario, aldilà del campo di azione della norma scritta, il Pactus rivela una mondo in cui il ricorso ad azioni violente, pur brutali, era considerato legittimo. Gli antagonisti che si rifiutavano di sistemare la controversia in modo pacifico, e che la comunità, re compreso, non riusciva o si rifiutava di sanzionare, avevano la possibilità di condurre l’inimicitia attraverso diverse strategie. La scelta e il valore attributo a eventuali ritorsioni dipendevano da diversi fattori, alcuni legati alle circostanze e al potere socio- politico dei protagonisti delle controversie, altri condizionati da alcune regole che sembrano definire la legittimità della violenza a livello comunitario.

In sostanza, mentre in alcuni casi la pressione comunitaria o la paura per le possibili conseguenze della ritorsioni spingeva le parti a ricorrere alle procedure giuridiche descritte dalla legislazione e all’autorità regia, in altre situazioni la violenza seguiva il suo corso senza alcuna interferenza; in entrambe le eventualità la vittima otteneva comunque la soddisfazione per il torto subito. Ciò accade perché le azioni violente che si verificavano al di fuori delle legge non erano considerate ipso facto illegittime. L’autorità centrale interveniva per eliminarle e delegittimarle solo quando colpivano specifiche categorie di persone, indifesi o dotati di una speciale protezione, come gli antrustones, o nel caso fossero attaccati i beni, o, infine, quando il conflitto comportava un danno diretto al re.

Nel Pactus non c’è però alcun segno evidente che la potestas regia si caratterizzasse per il possesso di un diritto speciale di esercizio della violenza legittima, né che il re merovingio e i suoi ufficiali vogliano, e siano in grado, di controllare e regolare la violenza della popolazioni locali, in modo autonomo. In occasioni particolari, il re sembra

supercooperuerit aut de quibuslibet rebus celatur(u)s texerit, mallobergo matteleodi hoc est, LXXIIM denarios qui faciunt solidos MDCCC culpabilis iudicetur».

295 MGH LL.nat.Germ. 4.1 Pactus XXVIII/3, p. 117. 296 MGH LL.nat.Germ. 4.1 Pactus XIX/2, p. 82.

poter accrescere il senso di ingiustizia e illegittimità di un atto violento, decidendo di estendere la propria protezione su determinate persone. Altre volte, invece, aveva facoltà di legittimare le ritorsioni dei protagonisti delle inimicitiae, dichiarando qualcuno fuorilegge. Ma, in linea generale, i re e i loro rappresentanti si muovevano all’interno dello stesso sistema di norme che governava la violenza e l’inimicitia a cui erano legati gli altri attori sociali e loro medesimi.