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La dimensione verticale della violenza

Parte I. La giustizia carolingia: il re, Dio e la licenza di uccidere

Capitolo 1. La realtà dei capitolar

1.2 La violenza nella legislazione romano-barbarica: il Pactus Legis Salicae

1.2.1 La dimensione verticale della violenza

Quale era dunque il mondo del Pactus? Quali indicazioni si possono trarre sulla sua rappresentazione della gestione della violenza?

La legge salica registrata nel Pactus fa riferimento a cause, assemblee e giudizi in un particolare contesto sociale, rurale e caratterizzata da forti autonomie locali, in cui i 250 Weitzel, Dinggenossenchaft, pp. 435-446; Modzelewski, Europa, pp. 101-120.

251 Sul Schulze, Grafschaftsverfassung, pp. 33-35. Sull’Aquitania si veda Ewig, Teilreiche, pp. 172–230;

Werner, Völker pp. 15–44, in particolare pp. 18ss..

252 Modzelewski, Europa, pp. 101-120; Guillot, Justice, pp. 653-731 e Wormald, Lex. 253 Fouracre, Placita, pp. 23-27; Wood, Disputes, pp. 1-16.

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segmenti di base dell’organizzazione delle popolazioni erano la parentale, a livello individuale, e la comunità di vicinato, a livello collettivo. Alla testa di una piccola comunità che era organizzata attorno al mallobergus e che occupava un territorio di dimensioni relativamente modeste, vi era solitamente un tungino. Il tungino non era un funzionario regio, ma il capo di un’assemblea giudiziaria della comunità locale. Presiedeva, ma non emetteva una sentenza. Dire la legge era compito dei richimburgio e il loro verdetto acquisiva forza grazie all’acclamazione dell’assemblea.254

All’assemblea giudiziaria doveva recarvisi ogni franco libero, secondo il suo luogo di residenza. La comunità assembleare era pertanto un gruppo sociale e territoriale: questa comunità aveva infatti un doppio volto, era un gruppo, un soggetto collettivo, capace di risolvere del tutto autonomamente i problemi della vita economica, di tutelare l’ordine consuetudinario, di bandire i malfattori e dirimere le liti. Al contempo era un’unità territoriale, un distretto con i suoi confini, in cui esistevano istituzioni e vigevano norme, più meno formalizzate, in grado di gestire le esigenze fondamentali della vita quotidiana e del lavoro, e, allo stesso tempo, di assicurare la pace e l’ordine, la giustizia e la sicurezza.255

Queste comunità territoriali di vicinato non erano opera della volontà regia, ma esistevano quale forma di organizzazione sociale locale. I re merovingi potevano al massimo pensare di sovrapporre a queste comunità i loro conti, in qualità di rappresentanti del potere regio. Per governare, in assenza apparato amministrativo regio stabile, era necessario però appoggiarsi alle strutture preesistenti, servirsi dei personaggi e delle istituzioni che avevano costituito in precedenza i cardini dell’organizzazione sociale.

Nonostante il ruolo della comunità di vicinato e il sistema giudiziario che la caratterizzava il mondo descritto dal Pactus è un contesto in cui la violenza era una risorsa comune a cui ricorrevano i protagonisti delle controversie, indipendentemente dalla propria appartenenza etnica o dal proprio status sociale. La maggioranza delle disposizioni contenuto nel corpo normativa si rivolgono infatti alla gestione di contenziosi in cui la violenza era lo strumento principale a cui si rivolgevano gli uomini: alcune clausole trattano la violazione o il danno alla proprietà, con incendi, con furti o uccisioni di animali,

254 Weitzel, Dinggenossenchaft, pp. 435-446.

255 Il titolo XLVII descrive nei dettagli questa procedura: MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus, XLVII, pp. 182-

184.Sul termine gamallus si vedano gli studi linguistici di Ruth Schmidt-Wiegand, Mallus, pp. 216-217 e Schmidt-Wiegand, Mallobergus, pp. 215-216. Sul funzionamento del mallus si veda Schmidt-Wiegand, Recht pp.269–274. Su questa comunità di vicinato si veda Modzelewski, Europa, p. 291.

o con il saccheggio256; altre affrontano casi più gravi come il rapimento, lo stupro, le aggressioni, fisiche e verbali, e infine l’omicidio.257

Nella gestione di questi conflitti il ruolo diretto dell’autorità costituita era limitato. Gli ufficiali regi intervivano principalmente nei casi che si riferiscono a realtà più vicine alla civitas in cui i rappresentati del re avevano un ruolo riconosciuto.258 Nelle area rurali la situazione era differente. La maggior parte delle cause erano divise tra quelle giudicate dalla comunità e quelle prese in esame dal re. Nel primo contesto a giudicare, proclamare la legge e riscuotere le eventuali ammende nei casi dei banditi erano gli stessi abitanti del distretto o vicinato; l’eventuale presenza del rappresentante regio non faceva che dare peso, a livello esecutivo, alla decisione presa da loro. Nel secondo, invece, erano i rappresentanti regi, insieme ai richimburgi, a emettere le sentenze, e per queste riscuotevano un eventuale pagamento. Come si vede nelle disposizioni del Pactus lo spazio per la giurisdizione comitale o regia era, però, limitato ai singoli casi in cui l’onore e la protezione del re erano violati o alla cause che erano state portate all’attenzione delle corti regie.259 Nella maggior parte delle sentenze, infatti, abbiamo a che fare non con la realtà della civitas, ma con aree rurali, in cui i protagonisti della disputa erano le parentele e la comunità in cui vivevano. Per questo, il Pactus non si occupa direttamente di porre un controllo alla violenza, emanando sentenze e condanne contro i criminali, definendo la legittimità e l’illegittimità di atti violenti. Per la gestione delle controversie i capitoli non prescrivono punizioni o pene pecuniarie da commissionare ai rei, ma si limitano a far seguire alla precisazione del torto le indicazioni relative alle compensazioni necessarie per riparare al danno.260 Il pagamento di queste non era al re o ai suoi rappresentanti in quanto garanti della pace pubblica o protettori del popolo, ma alla vittima. Più precisamente alle loro parentela, dal momento che nella società franca i singoli non esistevano e agivano come singoli individui, bensì come membri di un gruppo familiare. A loro spettava la decisione su come proseguire l’inimicitia, ossia lo stato di ostilità generato dalla lite, contro la famiglia del reo. Tale fenomeno andava al di là del semplice atteggiamento di

256 Drews, Law, pp. 17-39.

257 La distinzione è assente tra reato civile e crimine penale. A questa duplice procedura la cultura giuridica

barbarica, formatasi tra il III e V secolo, parallelamente al processo di volgarizzazione del diritto romano, ha sostituito una nozione generica e indifferenziata di torto, o ingiuria: quando qualcuno subiva un’ingiustizia, e la colpa veniva in qualche modo provata, la vittima avrebbe dovuto ottenere soddisfazione per l’offesa subita; e questo avrebbe concluso la disputa con la rappacificazione tra le due parti. Si veda Harries, Law, pp. 47- 44 e Drew, Law, pp. 33-39: Harries, Violence, pp. 85-120; sull’influenza del diritto romano sul Pactus si veda Wood, Codex, pp. 161-177; Esders, Römische Rechtstradition, p. 43.

258 Schulze, Grafgenossenschaft, pp. 35-40. 259 Wood, Merovingian Kingdom, pp. 119-125.

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solidarietà tra parenti. In gioco c’era la rappresentazione della soggettività collettiva, l’onore, caratteristica comune delle culture tradizionali. Dalle norme sui conflitti e sul wergeld presenti nel testo risulta che le aggressioni, dagli omicidi fino ai semplici furti, venissero trattate come un colpo inferto alla stirpe della vittima. Ad essere lesi non erano solo gli abitanti della casa, ma anche i cugini più lontani fino a terzo anello di parentela.261 Nelle relazioni conflittuali, infatti, i parenti condividevano le colpa per i torti commessi da un suo membro; allo stesso tempo, se l’ingiustizia fosse stata subita da uno dei familiari, avevano l’obbligo di cercare di ottenere soddisfazione per il danno, ed eventualmente il diritto alla compensazione. Questa responsabilità comune era riconosciuta anche dalla legislazione, che regolava la suddivisione del risarcimento nei casi di omicidio262 o la sequenza dei parenti che avrebbe dovuto prendersi carico del pagamento di un guidrigildo, nell’eventualità di insolvenza del colpevole263.

Nei conflitti tra parentele, l’impiego della violenza, però, non sempre era la scelta privilegiata. Diverse variabili influenzavano la decisione dei familiari su come proseguire una disputa o un’inimicitia: la situazione, il capitale materiale e simbolico sui potevano contare loro e i propri avversari, la pressione comunitaria per la rapida conclusione di un conflitto. Se non ricorrevano alla ritorsione personale per rifarsi di un torto subito, le famiglie potevano valutare a due alternative, ossia trovare un accordo con gli avversari o appellarsi agli organismi che gestivano l’amministrazione della giustizia. Nel contesto dell’Austrasia riportato dal Pactus queste istituzioni erano l’assemblea di vicinato e le corti regie.

Ma quale era il ruolo dell’autorità nella delegittimazione e nella gestione della violenza, se la violenza non era considerata una violazione contro la pace del regno, garantita dal re e dai suoi ufficiali, quanto piuttosto un’ingiustizia commessa contro la vittima e la sua parentela?

260 Modzelewski, Europa, pp. 130-140; Brunner, Sippe, p. 138; Murray, Germanic Kingship, pp. 142ss. 261 Sui legami familiari e la nozione comune di colpa si veda Modzelewski, Europa, pp. 130-140; Brunner,

Sippe, pp. 115ss.. Sulla relazione tra parentela e inimicitia si veda Le Jan, Familie, pp. 165-168; Fruscione, Zur Familie, pp. 195–222; Esders, Wergeld, pp. 141–159; Camby, Wergeld Ou Uueregildus; Modzelewski,

La stirpe, pp. 423–438.

262 MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus, LVIII, pp. 218-221: «1. Si quis hominem occiderit et, tota facultate data,

non habuerit, unde 〈conponat, ut〉 totam legem impleat, XII iuratores donet, quod nec super terram nec subtus terram plus a de facultate nonhabeat, quam iam donauit. 2. Et postea sic debet in casa sua intrare et de quatuor angulos terrae [puluerem] in pugno colligere 〈debet〉, et sic postea in duropello, hoc est in limitare, stare debet, intus in casa respiciens, et sic de sinistra manu de illa terra trans scapulas suas iactare super illum, quem proximio rem parentem habet».

Alcuni capitoli sembrano associare la legittimazione e il controllo della violenza all’autorità regia. I più interessanti sono quelli in cui si fa menzione del termine fredus, che è generalmente tradotto come pagamento per la pace.264 Il fredus compare come una pena pecuniaria che viene commissionata in aggiunta al pagamento per il torto commesso. La storiografia “classica”, caratterizzata da un’impostazione di carattere legalistico, lo aveva considerato un’ammenda generica commissionata per la violazione della pace pubblica.265 Le testimonianze delle fonti, però, sono ambigue e non consentono di sostenere con certezza questo tipo di interpretazione.266 Nel Pactus, infatti, si parla di fredus solo in otto

occasioni: in due di queste è semplicemente menzionato, senza alcuna precisazione su chi debba riceverlo e perché267; gli altri sei riferimenti riguardano effettivamente casi in cui è protagonista l’autorità costituita, a volte in occasione dell’intervento speciale dei rappresentati della giustizia regia, vale a dire i conti o i giudici, altre volte quando la protezione speciale e i diritti del re sono violati. «Se un creditore era obbligato a servirsi dell’aiuto di un conte per ottenere il pagamento del debito, un terzo della somma sarebbe dovuto andare al conte, come fredus».268

Da queste disposizioni non sembra possibile sostenere l’ipotesi della storiografia classica secondo cui il fredus era una pena pecuniaria per la violazione della pace pubblica. Sembra, piuttosto, più plausibile considerarla una tassa che il re poteva esigere occasionalmente quando la sua giuridizione non era rispettata o quando i suoi ufficiali erano direttamente coinvolti nella risoluzione della controversia. Nel regno franco, tra il IV e l’inizio del V secolo, l’autorità centrale, sia nella persona del re che dei suoi funzionari, non sembra occuparsi di gestire autonomamente la violenza, vale a dire definire la legittimità e l’illegittimità degli atti violenti dei suoi sudditi.

A questo proposito è utile osservare quanto prescritto da alcune clausole del Pactus riguardo la condanna della violenza da parte dell’autorità regia. La prima su cui soffermare l’attenzione è il capitolo XXXVII/1-3, che descrive le procedure da seguire in un caso

264 La visione della storiografia classica è ben rappresentata da Brunner, Deutsche Rechtsgeschichte, v.1, pp.

230-1.

265 Brunner, Deutsche Rechtsgeschichte, v.1, pp. 230-1 e pp. 333-334. La questione sul significato del fredus

è ampiamente dibattuta e l’interpretazione classica è ancora presente e sostenuta da diversi studiosi si veda Hermann, Von den Leges Barbarorum, p. 29; Wallace-Hadrill, Kings, p. 188; Dilcher, Friede, pp. 203-207.

266 Harries, Law, pp. 47- 44.

267 MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus, XXIV/7, p. 92; MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus XXXV/9, p. 132.

268 MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus LIII/2-8, pp. 201-203: «Si uero plus ad manum suam redemendam dederit,

fredus [exinde] grafione soluatur, quantum de causa illa, si conuictus fuisset, redditurus erit». Analogo il significato che si trova a MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus LXV/1-11, p. 235 e MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus L/3, pp. 192-195: MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus XIII/6, p. 60: «6. Si uero puella 〈ipsa〉, quae trahitur, in uerbo regis fuerit posita, fredus exinde MMD denarios qui faciunt solidos LXII semis exegatur».

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particolare di disputa sulla proprietà di un bene: se un uomo avesse subito il furto di un animale e, successivamente, ritenesse di aver trovato qualcuno in possesso dell’animale sottrattogli, si legge, avrebbe dovuto far in modo di affidare il bene a un terzo soggetto e lasciare la decisione alla corte. Se però si fosse rifiutato, e avesse cercato di recuperare l’animale con la forza, avrebbe dovuto pagare 1200 denarii per l’animale, e un indennizzo per il tempo in cui la vittima non aveva potuto usufruire del bene.269

Il capitolo XXXVII/3 ci aiuta a capire meglio il rapporto tra la violenza impiegata dagli attori sociali e il potere coercitivo di cui erano dotati gli ufficiali regi in Austrasia, agli inizi del VI secolo. La clausola descrive una controversia circa il possesso di un bene, nata probabilmente dopo il tentativo di uno dei due protagonisti di recuperare con la forza l’animale che riteneva essergli stato sottratto. Da quanto si legge, però, sembra che l’avversario avesse formulato un’accusa presso un mallus, coinvolgendo anche i rappresentanti del re. In caso di contesa sulla proprietà di un bene, la disposizione precisa quindi che sarebbe stata la corte, a cui si era rivolta la vittima della violenza, a decidere in merito al possesso del bene, prescrivendo un’ammenda a colui che avesse usato la forza.270 Questo capitolo potrebbe fare pensare che la legislazione considerasse illegittima qualsiasi decisione di preferire la violenza rispetto alle procedure delle corti di giustizia una violazione della prerogative regie e ne sanzionasse i colpevoli. Tuttavia non si tratta di un precetto generale. Infatti il passo in questione afferma semplicemente che era un torto scegliere la violenza rispetto alle procedure legali in un caso specifico, quello di una controversia sul possesso di un animale in cui entrambe le parti in causa avrebbero potuto rivendicare di aver subito un danno, sia chi reclamava la proprietà del maiale sia colui a cui era stato sottratto con la forza. Osservando il funzionamento del mallus descritto dalla legislazione e le altre disposizioni presenti nel Pactus, sembrerebbe plausibile che la vicenda fosse stata portata all’attenzione delle corti regia dalla parentela del soggetto a cui

269 MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus XXXVII/1-2, p. 135: «1. Si quis bouem aut 〈uaccam〉, caballum uel

quemlibet animal in furtum perdiderit et eum, dum per uestigium sequitur, consecutus fuerit usque in tres noctes, 〈si〉 ille qui eum ducit aut emisse aut cambiasse 〈se〉 dixerit uel proclamauerit, ille qui per uestigium sequitur res suas per tertia manu debet achramire Si uero iam tribus noctibus exactis qui res suas quaerit eas inuenerit, ille apud quem inueniuntur, si eas emisse aut cambiasse dixerit, ipse liceat achramire ».

270 MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus XXXVII/3, p. 135: «Si ille uero qui per uestigium sequitur, quod se

agnoscere dicit, illo alio reclamante nec offerre per tertia manu uoluerit nec solem secundum legem culcauerit et ei uiolenter, quod se agnoscere dicit, tulisse conuincitur, mallobergo mithio frastatitho sunt, MCC denarios qui faciuntsolidos XXX culpabilis iudicetur»; si veda anche MGH LL.nat.Germ 4.1 Pactus LXI/3, p. 155: «Si non fallaniuit, mallobergo moantheuthi, sunt denarii VIII(M) qui faciunt solidos CC culpabilis iudicetur». Sul funzionamento del mallus si veda Wood, Dispute, pp.7-23 e, soprattutto, Schmidt- Wiegand, Recht, pp. 141–158; Schmidt-Wiegand, Gesetz, pp. 269–274. Sul significato del termine mallus si veda Schmidt-Wiegand, Mallus che mostra come le procedure descritte si basessero fondamentalmente su un sistema accusatorio.

il maiale era stato sottratto con la forza, e solo secondariamente l’accusato si fosse giustificato reclamando la precedente proprietà del bene. Per quest’ultimo, però, il recupero del bene attraverso la violenza era da considerarsi una pratica comune e legittima.

Secondo quanto emerge dal caso, l’autorità costituita avrebbe potuto rivendicare un ruolo nella disputa solo dopo che il caso era posto all’attenzione della corte di giustizia tramite un’accusa ai rachimburgi. Sicuramente la decisione da parte dei redattori di inserire questa prescrizione cercava di trasformare in un procedura generale la richiesta di presentata alla corte da parte di una delle parti in causa in una lite locale. Tale procedura sarebbe servita a inserirsi nel contesto rurale, collegando le assemblea giudiziarie locali alla giustizia regia.

Osservando quanto registrato dalla disposizione, è evidente però che in questo contesto politico le dispute non si risolvessero sempre con una compensazione e una rappacificazione delle due parti in causa. Ancora una volta, dunque, erano le famiglie dei due antagonisti ad essere le protagoniste principali, a valutare il danno subito e a scegliere la strategia più appropriata per gestire la disputa.271 Il coinvolgimento dell’autorità comitale e l’accusa presso il mallus publicus erano considerate da parte delle parentele protagoniste nelle controversie solamente una delle opzioni possibili. Un’alternativa all’utilizzo della violenza che, però, come dimostrato dalla scelta di una delle parti di riappropriarsi del maiale con la forza, rimaneva sempre una scelta valida a cui fare ricorso per ottenere soddisfazione del torto subito.272

Sebbene in questo caso l’autorità del re avesse disposto una sanzione pecuniaria contro il ricorso alla violenza, delegittimandolo, la capacità di intervento e il controllo sulla violenza dei rappresentanti regi si dimostrano limitate. In rari casi, però, la valutazione attribuita a un’azione violenta sembrerebbe essere determinata anche dal coinvolgimento dell’autorità regia. Alcune clausole del Pactus rivelano, infatti, che il re aveva la possibilità di incrementare il valore del torto e il senso di illegittimità associato a un atto violento estendendo la propria protezione su una persona o inserendola nel suo seguito. Se l’uccisione di un franco libero, si legge nel testo, è valutata un compenso di 8000 denarii, l’assassinio di un fedele del re è risarcito con 24000 denarii; e il tentativo di nasconderne

271 Sulle diverse strategie impiegate dagli attori in una disputa si veda la disamina di Miller, Choosing,

pp.159-204 che approfondisce la questione nel contesto islandese rappresenta sempre un punto di riferimento. Sul contesto continentale si veda anche Geary, Vivre, pp. 1107-1133; Davies-Fouracre (a cur. di)

Settlements; Geary, Extra Juridical, pp. 113-134 e in misura minore da Le Jan, Familie.

272 Sul tema della gestione del conflitto si vedano Miller, Choosing, pp. 159-204; Miller, Avoiding, pp.95-

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l’uccisione porta il costo della composizione a 72000 denarii273. Queste disposizioni segnalano come la protezione garantita dal re agli inizi del VI secolo fosse ancora individuale, e la pace che assicurava non riguardasse indistintamente tutti i sudditi del regno. Di conseguenza, nella gestione della violenza il re non era ancora un garante della pace del regno, ma solo uno degli attori che partecipavano alla gestione dei conflitti, insieme alle famiglie dei protagonisti.

Fino a questo momento abbiamo affrontato solo le disposizioni che descrivono la violenza nell’accezione di un atto illegittimo, rappresentata come un’ingiuria o un danno a cui era necessario porre rimedio per mezzo di un’equa compensazione. Tuttavia alcune clausole rivelano che la Pactus salica riconoscesse e definisse chiaramente anche ambiti di esercizio della violenza legittima. Il caso più ovvio riguarda le punizioni. Anche se la normativa non prevedeva pene volte a sanzionare le ingiustizie commesse dagli accusati, vi sono però delle eccezioni. Questo è il caso degli schiavi, per i quali, nei capitoli dedicati al furto e agli omicidi, la legislazione dispone procedure alternative alla compensazione: innanzitutto l’impiego della tortura, al fine di ottenere una confessione; infine, se il danno fosse stato comprovato era prevista la fustigazione, nei casi di minor rilievo, e, per crimini più gravi, la castrazione o l’esecuzione274

Ma chi era deputato a punire? Chi esercitava la violenza legittima? Nel Pactus