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Conflitto e violenza nella società dell’Alto Medioevo: il modello di Gerd Althoff

A differenza della Francia e dell’Italia, in Germania gli studi anglo-americani sulla conflittualità altomedievale non furono recepiti immediatamente. Negli stessi anni in cui White e Cheyenne hanno elaborato la loro riflessione sul periodo post-carolingio, Karl Brunner pubblica una monografia sulle ribellioni aristocratiche nell’ambito delle ricerche sulla nobiltà franca diffusesi tra il 1960 e 1970, in cui cerca di ricostruire l’influenza dell’aristocrazia nelle differenti fasi del regno carolingio e post-carolingio attraverso di un approccio prosopografico.

Solo nella seconda metà degli anni ’80 anche la storiografia tedesca ha recepito alcune delle lezioni elaborate dalla sociologia e dell’antropologia. Tuttavia, questi approcci e questi modelli sono stati verificati e impiegati solamente nel periodo bassomedievale.

91 White, Politics, pp.127-152.

92 A partire dagli anni ’90 lo studio delle emozioni è divenuta uno dei filoni di ricerca che ha attirato

maggiormente l’interesse degli storici dell’Alto Medioevo, si veda Althoff, Empörung, pp. 60-79; Althoff,

Ira Regis, pp. 59-74; Althoff, Gefühle, pp. 82-99; Bührer-Thierry, Just anger, pp. 75-91; Le Jan, Quem Decet, pp. 392-411; Peyroux, Gertrude’s Furor, pp. 36-55; Sassier, Inspirer L’amour, pp. 27-44; Smail, Hatred, pp. 90-126.

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Senza alcun legame con le ricerche anglo-americane Hergermoeller, per esempio, ha pubblicato uno studio sulle faide cittadine, in cui ha spiegato le dispute tra le comunità attraverso la teoria del conflitto di matrice sociologica.

Sul finire degli anni ’80, inoltre, diversi studiosi si sono interessati all’analisi della conflittualità nel regno di Germania tra X e XIII secolo, recuperando alcuni degli insegnamenti elaboranti dall’antropologia riguardo il funzionamento e la gestione della dispute nelle società orali acefale. Tra questi spicca il nome di Gerd Althoff, il primo a studiare in modo sistematico le forme in cui il conflitto era condotto e concluso nel corso del Medioevo. Il suo lavoro, però, deve essere compreso come parallelo agli studi anglo- americani, con cui condivide la convinzione riguardo la crescente importanza delle pratiche extragiudiziarie tra X e XII secolo e la valutazione circa il ruolo del rituale e dei gesti nella conflittualità medievale. La sua prospettiva, infatti, è estremamente differente dalle ricerche di Cheyette, White e degli altri storici che a livello internazionale hanno seguito l’approccio della storia sociale e culturalista

Ciò che distingue il lavoro di Althoff sono il metodo, le questioni affrontate dai suoi studi e, soprattutto, l’interesse conoscitivo. Utilizzando fonti giuridiche, i medievisti inglesi e statunitensi concentrano le loro indagini su casi di studio regionali attraverso i quali cercano di chiarire le cause, l’iter e la conclusione delle dispute tra enti monastici e l’aristocrazia regionale, che concernono in primo luogo la contesa di beni fondiari. Nelle differenti aree analizzate, dalla Francia all’Inghilterra, gli studi affrontano la questione dei diversi mezzi di gestione del conflitto, dell’esercizio e del controllo della violenza così come dei meccanismi attraverso i quali le dispute erano concluse tra X e XII secolo, pur in assenza di un potere centrale forte. Di contro, Althoff analizza i conflitti nel regno ottoniano e salico, servendosi unicamente delle narrazioni conservate nelle fonti storiografiche. Al centro della sua disamina vi sono i conflitti violenti e le faide tra aristocratici e le ribellioni contro il re, non le dispute fondiarie tra l’élites laica e gli enti monastici.

La differenza più significativa tra queste due correnti storiografiche è però di carattere concettuale: Althoff non cerca di recuperare dalle fonti i meccanismi e le strategie possibili utilizzate dagli attori locali nelle dispute, ma tenta di elaborare un modello delle regole che orientano la condotta nei conflitti medievali. Di conseguenza, lo studioso tedesco non risponde alla questione sul modo in sui le strutture sociali influenzano le varie fasi dello scontro. Il suo interesse risiede nel decodificare le norme non scritte, le Spielregeln, secondo cui agivano le parti in lotta durante gli scontri politici. Se i medievisti

anglo-americani si domandano quali strutture sociali e mezzi culturali permettevano alla società senza un potere centrale di funzionare, senza discendere nell’anarchia, Althoff si chiede quale fosse il funzionamento del potere regio, in assenza di forme di legislazione che definissero i rapporti di comando e obbedienza tra re e soggetti dopo la crisi dell’amministrazione regia voluta da Carlo Magno. In che modo si esercitava il potere e quale ruolo aveva in tale contesto la figura del re? Infine quale era la ratio dell’agire politico di regnanti e nobili descritto dalle fonti storiografiche coeve?94

Per rispondere a queste questioni, Althoff ricostruisce le forma di interazione politica sviluppatesi tra X e XI secolo nel regno ottoniano.95 La stuttura e il funzionamento del regno erano considerati infatti un caso unico. Althoff lo definisce un Königsherrschaft ohne Staat, un dominio regio senza Stato. Nella classificazione althoffiana la fine dell’attività legislativa e l’impoverimento della struttura amministrativa di matrice carolingia sono intepretate come un segno dell’incapacità della nuova regalità di promuovere la redazione scritta della legislazione o di dotarsi di istituzioni in grado di garantire l’applicazione di queste norme. Come funzionava allora il regno ottoniano? In assenza di leggi scritte in grado di definire la condotta dei sogetti del regno e in assenza di un potere centralizzato in grado di imporne l’applicazione, l’interazione tra autorità regia e gli altri soggetti politici era sostituita da norme informali che si eprimevano in comportamenti dimostrativi, in cui un insieme di segni -le emozioni pubbliche, i gesti di reverenza durante le cerimonie- era utilizzato per esprimere precise funzioni di significato –potere, autorità, legittimità e illegittimità, amicitia o ostilità. Questo modello è costruito sulla base degli studi antropologici condotti sulle società tradizionali: Althoff, infattim interpreta il mondo ottoniano quasi come le società tradizionali studiate dagli etnologi. Nella società orale ottoniana, come la definisce in Spielregeln der Politik, l’agire politico si esprimeva, quasi come nelle società tribali, attraverso azioni ritualizzate e convenzionali, che permettevano il funzionamento della struttura politica in assenza di leggi scritte:96erano infatti i gesti, il vestiario, la rappresentazione delle emozioni e i rituali di sottomissione a segnalare pubblicamente lo stato dei rapporti tra i soggetti, la qualità della posizione

94 Il metodo e il presupposti metodologici che sostanziano la riflessione di Gerd Althoff sono esposti

chiaramente in Althoff, Einleitung, p.8, Althoff, Empörung, p. 259. Sugli interessi conoscitivi di Gerd Althoff si veda Althoff, Gewonheit, pp. 155-158, in cui Althoff interpeta la sua ricerca come parte del dibattito sulla statualità.

95 Althoff, Charakter pp. 13–25; Althoff, Verwandte; Althoff, Spielregeln che raccoglie una serie si articoli

pubblicati da Althoff tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90; Althoff, Deditio, pp. 27–52; Althoff- Fried- Geary (a cur. di) Medieval Concepts; Althoff, Macht; Althoff, Zeichen, pp. 9–16; Althoff – Keller ( a cur. di), Die Zeit; Cfr. Krause, Konflikt pp. 42–43.

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sociale occupate dai singoli e la messa in scena degli attributi legittimanti della potestas secolare, dando la possibilità alla società aristocratica di funzionare e riprodursi.97 Insomma le azioni dimostrative e rituali proprie dell’interazione pubblica medievale erano la base su cui si fondava l’ordine sociale.

In questo contesto il conflitto è uno dei molteplici i campi dell’azione politica in cui il funzionamento di questo Königsherrschaft ohne Staat può essere studiato. Secondo Althoff, nel linguaggio della violenza le azione e i gesti dei protagonisti, infatti, possedevano un carattere dimostrativo finalizzato limitare l’esplosione della violenza e garantire la pacificazione in assenza di un potere coercitivo in grado di sanzionare le ribellioni o le violazioni delle norme. Così lo studioso tedesco analizza le singole fasi della faide aristocratiche: osserva il modo in cui lo stato della relazione di inimicizia era divulgate pubblicamente -il mancato saluto, una semplice espressione di rabbia; esamina il valore della violenza rituale nei conflitti politici, in cui i gruppi armati agivano con lo scopo di offrire all’antagonista una dimostrazione della propria forza, intimidire l’antagonista e indebolire la solidarietà dei suoi sostenitori98; infine studia il funzionamento del processo di pacificazione attraverso le cerimonie e i rituali di sottomissione- la deditio.99 In questo modo, Althoff ricostruisce il sistema di comunicazione simbolico, basato su norme non scritte, attraverso cui la regalità ottoniana riusciva a perpetuarsi pur in assenza di un apparato statuale. Nelle cerimonie pubbliche e durante i rituali di sottomissione, il re riusciva a mettere in scena la sua funzione di giudice e la sua autorità. Pur essendo ormai un primum inter pares, il re ottoniano presentava le condanne come un atto della loro volontà e della loro forza. In realtà, secondo Althoff, sia la potestas regia e gli avversari politici inscenavano una satisfactio già concordata, il risultato di una trattativa precedente, in cui i mediatori concordavano con entrambe le parti i termini dell’accordo e stabilivano con i sottomessi le modalità della cerimonia. 100 Le sottomissioni aristocratiche e i giudizi espressi dal re nell’ambito delle assemblee pubbliche erano quindi delle scene “teatrali”, che servivano molteplici funzioni: rendevano pubblica la riappacificazione e, di conseguenza, facevano diventare vincolante il suo esito, sancito difronte alla comunità;

97 Althoff, Zeichen, pp. 9–16 in cui si analizzano i segni e le emozioni distintive della comunicazione

simbolica ottoniana.

98 Althoff, Spielregeln.

99 Althoff, Huld, pp. 269ss.; Althoff, Verwandte, p. 199; Althoff, Deditio, pp. 27–52 che descrivino il

meccanismo di funzionamento delle principali forme e rituali di sottomissione caratterizzanti la conflittualità ottoniana.

100

Althoff, Genugtuung, p. 252; Althoff, Demostration, p. 34 e p. 36; Althoff, Huld, p. 270. Cfr. Althoff,

permettevano al re di mettere in scena la sua clemenza, il valore legittimante della potestas secolare nel secolo X. 101

A dare senso a questa interazione simbolica, era il ruolo cosmologico posseduto dalla regalità cristiana nell’immaginario collettivo: in qualità di garante dell’ordine del regno, il re era parte del modo in cui tutti i soggetti politici del tempo pensavano la realtà politica, era l’autorità che consentiva di sanzionare ufficialmente gli accordi che erano presi in privato, tramite pratiche infragiudiziare.

2.6 Conclusione

Dalla fine degli anni ’80 fino agli inizi del nuovo millennio, gli studi sulla violenza hanno abbracciato progressivamente più campi del sapere, tentando di spiegare la conflittualità sociale da prospettive differenti: economica, sociale, giuridica e politica102. Nella medievistica, però, si continua a notare una forte continuità rispetto ai lavori pubblicati in ambito americano e alle prime considerazioni sviluppate da Cheyette nel corso degli anni ‘80. Il conflitto è compreso come il dominio del comportamento strategico, le dispute sono analizzate essenzialmente in termini di gestione e soluzione; i casi di studio privilegiati, infine, continuano ad essere le dispute fondiarie o l’esercizio della violenza. In altre parole, diversi elementi di quella complicata convergenza interdisciplinare che tra il 1950 e il 1986 ha influenzato la ricerca in diversi ambiti della

101 Althoff, Verwandte, p. 199; Althoff, Genugtuung, p. 252. Nei suoi lavori più recenti Althoff ha

parzialmente rivisto la tra Königsherrschaft ohne Staat, e Königsherrschaft mit Staat, proponendo un modello evolutivo che spiega la nascita e lo sviluppo delle comunicazione simbolica. Lo studioso tedesco vede nei primi secoli dell’ Alto Medioevo l’epoca della gioventù del rituale, in cui in alcuni singoli momenti di debolezza della regalità si scorgono i primi tentativi di elaborare un sistema di norme informali e di rituali. Althoff, Macht, pp. 200ss. Althoff, Privileg, pp. 114-122; Oltre a questa maggior tentativo di analisi della sviluppo della comunicazione simbolica, Althoff ha applicato il modello e la sua teoria sulla comunicazione simbolica a diverse tipologia di conflitti: elaborati principalmente nel contesto delle ribellioni aristocratiche, nei suoi lavori successivi Althoff riscontra le Spielregeln anche nell’ambito dei conflitti aristocratici, nelle lotte tra papa e re, nelle guerre tra imperatore e le città comunali in Italia. Althoff, Genugtuung, pp. 251-255 e pp. 257ss; Althoff, Heinrich, pp. 123ss. in particolare p. 126. Sull’influenza del modello costruito da Althoff, si veda Kamp, Vermittler, pp. 682-689. Gli studi che recepiscono il modello althoffiano sono però molteplici, si veda: Unzeitg, Artus; Brockmann, Suenen, pp. 248-251; Krieb, Thronstreit; Suchan, Methode, pp. 20-30. Le prime critiche a questo approccio sono elaborate nell’ambito della storiografia francese, Moeglin, Rituels, pp. 247-249; Moeglin, Harmiscara, p. 42 e pp. 46ss..

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conoscenza continuano a illuminare il fenomeno della conflittualità e della violenza medievale103.

Questa continuità non implica che l’approfondimento sul conflitto nel Medioevo occidentale si sia sviluppato secondo percorso lineare e nell’ambito di un consenso storiografico unanime. I lavori di Althoff così come altri studi storico culturali pubblicati a partire dagli anni ’80 hanno avuto il merito di aver rinnovato la ricerca sulla violenza e sul conflitto, soprattutto nel contesto dell’analisi dei grandi periodi di transizione avvenuti nell’Alto Medioevo- la nascita dei regni romano-barbarici e la fase post-carolingia104. A partire della fine degli anni ’90, però, entrambe le prospettive sono state al centro di un intenso dibattito storiografico internazionale: mettendo in luce la difficoltà ad adattarsi a contesti differenti da quelli presi in esame nonché l’eccessiva teoricità della prospettiva adottata dalle interpretazioni che si sono servite acriticamente dei modelli antropologici, gli storici si sono confrontati sui limiti e sulle possibile derive di questi studi.

Tra gli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio la fiducia incondizionata nei confronti dell’adozione degli strumenti analitici elaborati nel contesto della ricerca etnologica e sociologica, così come della riflessione antropologica ha lasciato spazio a una riflessione più consapevole dei limiti di tali approcci. Tra i nuovi studi nati a seguito di questa discussione, i lavori di Steffen Patzold hanno mostrato la complessità dei meccanismi della conflittualità violenta e della sua gestione in epoca ottoniana, rivedendo la prospettiva culturalista adotttata da gran parte parte della storiografia tedesca. A differenza di quanto sostenuto da Althoff, l’analisi di Patzold rivela la complessità delle dispute ottoniane, le quali non sembrano poter essere ricondotte a regole univoche: in ambito monastico Patzold riscontra come i protagonisti dei conflitti si servivano di molteplici modelli comportamentali e strategie per dirimere i contenziosi, per imporre un nuovo ordine nella gerarchia o per restaurare il potere degli abati decaduti; nell’analisi dei gesta episcopurum, in cui il giovane studioso approfondisce la condotta del clero e dell’aristocrazia, l’agire delle persone era condizionato da diversi principi morali e seguiva 102 Sul finire degli anni ’80 e con sempre maggior enfasi l’influenza degli studi antropologici, la nuova fase

dei ai rituali e alla storia delle emozioni si sono diffusi a livello internazionale. A questo proposito besterà citare alcuni dei principali alcuni studi che prodotti dalla storiografia francese.

103 Little-Rosenwein (a cur. di), Debating.

104 A questo proposito particolamente rilevante è la discussione sul periodo feudale che ha animato la rivista

Past and Present nei primi anni ’90. Questa disussione ha visto Reuter, Barthelémy e White rispondere in

diversi articoli all’interpretazione di Bisson della transizione tra IX e XI secolo come transizione dei gruppi sociali che avevano accesso alla forza e ha portato a una ridefinizione della nozione di violenza nell’articolo di Stephen White: White, Repenser, pp. 99-114 in cui mostra il suo scetticismo nei confronti della violenza

diverse strategie, non sempre razionali, nella gestione delle dispute. In sostanza, in questi studi, Patzold ha messo in luce la criticità delle ricerche costruite sulla base dei modelli interpretativi sociologici ed etnologici, che analizzano i rituali al di fuori dal contesto storico complessivo in cui sono elaborati.105

Molti degli studi pubblicati negli ultimi decenni hanno dunque cercato di rivedere l’adattabilità degli approcci elaborati nel contesto della storia culturale e sociale e di recuperare l’ottica istituzionale. Con questa prospettiva Roman Deutinger ha esaminato le relazioni tra i re e l’aristocrazia nel regno dei Franchi orientali a partire da Ludovico il Germanico.106 Deutinger e Patzold rappresentano solo alcuni esempi di questa nuova prospettiva, attraverso la quale si è cercato di dare una nuova lettura della ritualità e del sistema di potere sviluppatosi durante il periodo tardo-carolingio e l’epoca ottoniana. In entrambi i casi la ricerca non rigetta completamente i risultati della riflessioni sui conflitti nate grazie al dialogo interdisciplinare con l’antropologia e sociologia, ma utilizza gli strumenti e gli approcci analitici con una consapevolezza più matura riguardo i suoi limiti.107