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Carlo Magno e l’ideale del rector christianus

Parte I. La giustizia carolingia: il re, Dio e la licenza di uccidere

Capitolo 1. La realtà dei capitolar

1.5 Carlo Magno

1.5.1 Carlo Magno e l’ideale del rector christianus

Nella costruzione del regno carolingio durante il governo di Carlo Magno la riflessione sul ruolo del re nella società cristiana permea tutte le fonti prodotte dalla cancelleria e dal clero. La regalità franca è ricondotta saldamente agli esempi di re veterotestamentari fino a giungere a Cristo re, e di conseguenza alla regalità del figlio di Dio. Questa linea di continuità rappresenta un elemento fondamentale nella diffusione dell’idea che la società cristiana, nella sua manifestazione temporale così come nella vita spirituale, poteva e doveva realizzarsi, per quanto possibile, sulla terra. Legandosi in questo modo alla chiesa e ponendosi nella dimensione escatologica dei re biblici, il lignaggio carolingio si vedeva assegnare una finalità precisa, quella di «riunire l’umanità nell’unità della fede e del battesimo fino al ritorno di Cristo»380. Questa percezione della

merovingio e carolingio. Cfr. Nelson, Limits, pp. 51–69. Per alcuni studi sull’epoca successiva si veda Thompson, Literacy e Clanchy, From Memory.

378 Sulla qualità, la classificazione e lo stile della legislazione carolingia gli studi più significativi sono

Ganshof, Kapitularen, la cui classificazione presenta tuttavia divere problematiche; Nelson, Kingship, pp. 383-430; McKitterick, Written Word, pp. 25-37; Mordek, Bibliotheca; Mordek, Kapitularen.

379 Fouracre, Carolingian Justice, pp. 771–803.

380 Sassier, Royauté, p. 17. La citazione è ripresa da Congar, Ecclesiologie. Sul tema della continuità tra

passato biblico e presente carolingio si vedano i lavori di Mayke de Jong. Qui basterà ricordare De Jong,

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fusione tra la vita terrestre e la vita spirituale, che deve molto alla riflessione di Gregorio Magno, impose sulla società una complementarietà d’azione tra i vescovi e i re e trasformò la regalità nel motore di progetto politico e sociale unitario.381

Per comprendere meglio il ruolo di Carlo Magno nella società cristiana è necessario approfondire il ritratto del rex iustus carolingio elaborato dai suoi consiglieri e dai membri della corte regia. A questo proposito la fonte principale a cui faremo rifermento è l’epistolario di Alcuino382, di cui analizzeremo brevemente quattro lettere, scritte prima dell’incoronazione imperiale di Carlo e destinate al re e ad alcuni dei suoi figli.383

Nell’epistolario di Alcuino la regalità di Carlo Magno è paragonata a quella di re Davide: l’accostamento aveva avuto così successo che il nome di Davide può essere considerato una sorta di secondo nome dato a Carlo dai suoi più intimi consiglieri.384 In

questo contesto ha senso partire con la lettera 41, in cui Alcuino tratteggia per la prima volta il parallelo tra Carlo Magno e re Davide.385 Dopo aver spiegato di aver ricevuto dal visitatore Candido i regali del re e i suoi saluti, Alcuino introduce subito il parallelismo con Davide. Attraverso la celebrazione delle qualità più evidenti del suo destinatario, la potestas e la sapientia donategli da Dio, Alcuino spiega come grazie a queste lo stesso modo re Davide, eletto e amato da Dio, aveva conquistato le tribù vicine e le aveva istruite sulla vere fede e sulla legge di Dio.

«Benedetta è la nazione, il cui signore è Dio: benedetto è il popolo che è esaltato dal suo rector e da un predicatore di questo tipo; la spada trionfale del potere vibra nella tua mano destra e la tromba dell’insegnamenti cattolici risuona sulla tua lingua…..In questo modo anche Davide, una volta re del popolo

carolingio come nuovo Israele. Sulla figura dei regalità biblica e sull’impiego degli exempla si veda anche Wallace-Hadrill, Via Regia; anche Anton, Fürstenspiegel, che sottolinea come la figura di davide rappresentasse l’autorità il governo.

381 Sassier, Royauté, pp. 132-137, in particolare si veda pp. 132-34; Judic, Grégoire le Grand, pp.105-120. 382 Su Alcuino la letteratura è ampia, così come il dibattito sulle sue opere e il suo ruolo a corte. Gli studi più

recenti sulla sua corrispondenza si veda Dales, Alcuin; Bullough, Alcuin; e Garrison, Alcuin’s World che è attenta a ricostruire i legami con il contesto insulare. Meno recenti sono invece Wallach, Alcuin e Duckett,

Alcuin,. Si veda anche Mersiowsky, Saint-Martin, pp. 73–90 che presenta una buona sintesi degli ultimi anni

di vita di Alcuini, trascorsi a Tours nella veste di abate. Sul ruolo nel formare l’élites della corte regia e nel promuovere rinnovamento culturale carolingio si veda in particolare Bullough, Abluinus Deliciosus, pp. 73– 92 e Mayke de Jong, From Scolastici, pp. 45–57. Sulle sue opere agiografiche gli studi più recenti sono Veyrard-Cosme, L’oeuvre Hagiographique e Veyrard-Cosme, Réflexion Politique, pp. 401–426.

383 MGH Epp. 4, Lettera 41; MGH Epp. 4, Lettera 177; MGH Epp. 4, Lettera 217; MGH Epp. 4, Lettera

148 rapresentano una serie di lettere che accompagnano il processo di costruzione di una regalità cristiana in

una fase di forte espansione e di sostegno alla conversione. Si veda Wallach, Alcuin, p. 16; Veyrard-Cosme,

Le paganisme e Lauwers, Le Glaive, pp. 221-244.

384Garrison, Social World, pp. 59-79; Albert, Figures, pp. 203-227. Si veda n. 446.

385 MGH Epp. 4, Lettera 41, pp. 84-85. All’inizio della lettera presenta Carlo anche come il re scelto e amato

antico, fu eletto e amato da Dio, e, come un eccellente salmista di Israele soggiogando con la spada vittoriosa le genti in tutte le direzione, emerse tra le persone come il predicatore scelto della legge di Dio.»386

La comparazione prosegue seguita da un secondo parallelo, questa volta con Cristo. Nella lettera Alcuino scrive infatti:

«Per la nascita nobile dei suoi figli per il bene del mondo, Cristo fiorì da un ramoscello come un fiore di campo e della stretta valle, chi, tempo addietro autorizzò un re Davide a essere il rector e il doctor del suo popolo; sotto questa ombra soprannaturale il popolo cristiano risposa pacificamente, e terrorizzandolo emerge tra le altre razze pagane ovunque.»387

Per Alcuino, dunque, Carlo Magno era sia il rector del populus che la sua guida spirituale: infatti, il re, scelto da Dio per governare, non aveva solo il compito di espandere il regno, ma soprattutto di diffondere la parola del Signore. Fedele a questo assunto, Alcuino celebra l’unicità di Carlo Magno e di Davide, tra le sole figure a governare in accordo con la volontà di Dio, facendo rispettare la legge di Dio. In questa descrizione ecomiastica delle qualità di Carlo, Alcuino attribuisce a Carlo il ruolo di doctor e di predicator, due delle funzioni poste alla sommità della gerarchia dell’ecclesia disegnata dall’apostolo Paolo nelle sue lettere. 388 Lontano dal modello ambrosiano, che contrapponeva i re cristiani ai sacerdoti loro consiglieri, l’immagine davidica proposta dall’anglosassone conferisce a Carlo Magno una dimensione quasi religiosa in modo simile a quanto impiegata dai vescovi riuniti nel concilio di Clichy per Clotario II: agli occhi di Alcuino il re carolingio era infatti un rector, un predicator e un doctor. 389

386MGH Epp. 4, Lettera 41, pp. 84: «Beata gens, cuius est dominus Deus eorum: et beatus populus tali

rectore exaltatus et tali praedicatore munitus; et utrumque: et gladium triumphalis potentiae vibrat in dextera et catholicae praedicationis tuba resonat in lingua[ ...] Ita et David olim praecedentis populi rex a Deo electus et Deo dilectus et egregius psalmista Israheli victrici gladio undique gentes subiciens, legisque Dei eximius praedicator in populo extitit.» Beata gens deriva da due salmi Ps. 32 e Ps. 143 che i riferiscono alla nazione beata di Israele. Sul significato di Beata gens, è dibattito è ancora acceso, tra chi sostiene che si trattasse di un carattere attribuito al popolo franco e chi invece suggerisce si trattasse di elemento caratterizzante solo il regno di Carlo Magno. Le due prospettive sono ben riassunte da Garrison, New Israel, pp. 114–161 e Mösch, Augustine che ripropone la matrice agostiniana del termine e l’identificazione tra il popolo franco e quello eletto.

387MGH Epp. 4, Lettera 41, p. 84:

«Cuius eximia filiorum nobilitate in salute mundi, de virga flos campi et convallium floruit Christus, qui istis modo temporibus ac eiusdem nominis, virtutis et fidei David regem populo suo concessit rectorem et doctorem. Sub cuius umbra superna quiete populus requiescit christianus, et terribilis undique gentibus extat paganis.»

388 L’attribuzione di Alcuino a Carlo della qualità di predicator è già rilevata da diversi storici. Si veda

Wallach, Alcuin, pp. 12-22; Morrison, Kingdom, pp. 27-28; Anton, Fürstenspiegel e più recentemente da Savigni, Les laïcs, p. 60 e Sassier, Royauté, pp. 125-129. Infine si veda Lauwers, Le Glaive, pp. 221–44

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Ciò non significa, però, che Alcuino considerasse la regalità carolingia in possesso del medesimo dominio sia sulla sfera secolare sia su quella spirituale. I due ambiti non risultano riuniti in una sorta di regalità sacrale carolingia. Come chiarisce il confronto con le altre lettere in cui Alcuino affronta il tema delle responsabilità del re cristiano, il carattere di predicator e doctor è il risultato della straordinaria sapienza di Carlo, concessagli da Dio in virtù delle sue innate qualità morali. Questa virtù consente al re di adempiere al suo compito di promuovere la fede cristiana e di contrastare i non credenti, non solo attraverso l’esercizio del potere secolare, ma anche per mezzo dell’insegnamento, delle ammonizioni e dei consigli.390

La lettera 217 diretta a Carlo il Giovane conferma la grande stima di Alcuino nei confronti del padre, Carlo Magno. Nell’introduzione l’autore della lettera lo considera il punto più alto tra tutti i precedenti re e imperatori cristiani e il ruolo straordinario che occupa nella società cristiana. L’epistola in questione è una littera exhortatoria in cui l’anglosassone spiega al giovane re le responsabilità associate al suo compito e le virtù da coltivare per riuscire ad adempierlo con successo391.

Nell’incipit, dopo aver celebrato l’incoronazione di Carlo il Giovane, Alcuino esprime la sua felicità per il nuovo titolo acquisito dal giovane re e le sue speranze sulle sue capacità di servire il popolo così come l’ecclesia, ossia di proteggere i poveri, le vedove, i pellegrini e la chiesa, e di combattere i nemici della cristianità. Per realizzare questi suoi compiti, il giovane Carlo, oltre a scegliere dei buoni consiglieri, avrebbe dovuto costruire la iustitia e portare la misericordia. Le due virtù sono da considerare come due strumenti necessari per un governo capace di placare Dio, e dunque legittimo. Alcuino scrive: «Da qui, mio amato figliolo, attraverso le tue azioni, crea la giustizia e la misericordia tra il popolo cristiano; perché, come attesta Salomone, sono queste che esaltano il trono del regno e portano una potestas regia lodevole e in grado di placare Dio».392

390 Sul significato di predicator si veda Anton, Fürstenspiegel, pp. 86-120; Lauwers, Glaive, pp. 221-244

che riassume le prospettive più recenti, mettendo in evidenza la singolarità della regalità di Carlo Magno, ma allo stesso tempo criticando l’interpretazione letterale del testo. Cfr. Angendt, Karl der Grosse », che inserisce l’immagine di una regalità sacerdotale nella prospettiva delle scienze delle religioni. Sull’attestazione dell’epsresione rex et sacerdos nell’Alto Medioevo si veda: Savigni, Giona di Orléans, p. 117, n. 257. Sulla tesi di una regalità teocratica, qui non sostenuta, si veda comunque Buhrer-Thierry, Europe

carolingienne, p. 74

391 Su queste lettere si veda Anton, Fürstenspiegel, pp. 86-120

392MGH Epp. 4, Lettera 217, p. 360: «Unde, dilectissime fili, faciens facito iustitias et misericordias in

populo christiano; quia haec sunt, Salomone adtestante, quae exaltant solium regni, et laudabilem Deoque placabilem regiam efficiunt potestatem.»

Per identificare gli obiettivi essenziali del rector, Alcuino utilizza quindi le parole di Salomone nel Vecchio Testamento, creando il parallelismo tra Carlo il Giovane e il re d’Israele. Nel presentare il modello del vero re cristiano, Alcuino, però, ammette addirittura che il giovane re «non avrebbe dovuto cercare troppo lontano per degli esempi, perché nella casa in cui è cresciuto, hai il miglior esempio di tutta la bontà». Con queste parole Alcuino consiglia chiaramente di seguire l’esempio del padre Carlo Magno, e aggiunge

«Fidati che otterrai la benedizione con la concessione di Dio; ciò è più che assicurato dal tuo conosciuto, eccellente padre, il più nobile con ogni gloria dei re e degli imperatori del popolo cristiano. Se ti sforzi di imitare i modi della sua nobiltà, così come la pietà e la modestia, allora avrei ottenuto la piena misericordia del Signore, che è meglio della gloria dei tempi.»393

Questa lettera ci consente di approfondire la concezione della regalità di Alcuino. Riprendendo implicitamente la riflessione di Isidoro di Siviglia sul contenuto della regalità, l’anglosassone sostiene l’associazione tra il rispetto degli obblighi personali e la legittimità del suo titolo. La necessità di obbedire a una determinata etica e all’adempimento di determinate funzioni, però, è rappresentata da Alcuino in termini ancora più critici, perché il re non è ritenuto responsabile solamente per sé stesso, ma anche per il comportamento dei suoi sudditi394.

Al contrario di Carlo il Giovane, però, Carlo Magno, secondo Alcuino, è già in pieno possesso delle qualità caratterizzanti il vero rector cristiano. Il padre è indicato infatti come un modello a cui aspirare, la cui pietas e modestia sono paragonabili a quella dei grandi re d’Israele. Se consideriamo che uno dei significati del termine pietas -indica la capacità di assecondare la volontà di Dio nel proprio agire- è evidente che Carlo Magno avesse già ottenuto quella misericordia divina augurata e prospettata a Carlo il Giovane, se avesse tenuto fede alle le responsabilità personali e civili del re.

Questa considerazione spiega il motivo per cui le uniche litterae exhortatoriae simili a uno speculum principis scritte da Alcuino per un re carolingio sono indirizzate ai figli di Carlo Magno. Un’epistola simile a quella per Carlo il Giovane è inviata, infatti,

393MGH Epp. 4, Lettera 217, p. 361: «Et crede certissime illius excellentissimi et omni decore nobilissimi

patris tui, rectoris et imperatoris populi christiani, benedictionem te consequi, Deo donante, si nobilitatis illius et pietatis et totius modestiae mores imitari nitaris; Dominique misericordiam, quae melior est totius saeculi gloria, plenissime promereri».

394 Sull’inflenza isidoriana sulla cutura carolingia si veda Fontaine, Isidore de Séville e Fontaine, Figure, pp.

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solamente al re d’Italia, Pipino. Nelle poche righe che la compongono Alcuino riassume la condotta adeguata a un rex christianus e ne elenca i compiti da eseguire per essere legittimamente considerato il detentore del titolo regio. In particolare, l’anglosassone ricorda a Pipino una serie di regole da seguire: «un appartenente al lignaggio carolingio deve infatti avere costumi adeguati, vale a dire occuparsi dei poveri e dei pellegrini, amare Dio, onorare la chiesa, amministrare i giudizi con equità e scegliere buoni consiglieri»395.

Queste funzioni sono le stesse già amministrate con saggiezza da Carlo Magno. Nella lettera 177, in cui Alcuino prega Carlo Magno di intervenire in favore di papa Leone III che nel 799 era stato aggredito e acciecato da una fazione rivale396, l’anglosassone si riferisce a Carlo come l’unico candidato in grado di intervenire nell’accesa disputa romana. In questo passaggio gli attribuisce per la prima volta il titolo di decus populi christiani (la gloria del popolo cristiano), affermando sia «necessario esaltare la tua beatitudine, e assisterla con le intercessioni, fino a che l’impero cristiano è preservato dal tuo successo, la fede Cattolica è difesa, i principi della iustitia sono conosciuti da tutti». I motivi della lode sono spiegati meglio subito dopo, quando elenca una serie di compiti svolti con successo dal re carolingio, ossia governare il regno, fare giustizia, rinnovare la chiesa, correggere il popolo, difendere gli oppressi, istituire la legge, consolare i pellegrini e mostrare a tutti ovunque con equità la via della vita celeste.

Come ricompensa per la realizzazione di queste funzioni, leggiamo da Alcuino, Dio avrebbe benedetto i figli di Carlo Magno e preservato il trono regio per tutti i suoi discendenti, così come aveva fatto con re Davide: «[…] e una ricca benedizione dovrebbe crescere dalle tue buone azioni; proprio come si legge che, attraverso la santità di un tuo omonimo, Davide, il più amato re da Dio, il potere del trono regio fu preservato per tutti i suoi discendenti.»397 Il favore divino guadagnato da un buon re cristiano non si sarebbe limitato alla preservazione del titolo regio, ma avrebbe anche garantito l’esaltazione dei

395 MGH Epp. 4, Lettera 119, pp. 230-232.

396 La lettera è dopo l’accecamento di Leone III, e sembra preparare il terreno per l’incoronazione imperiale

di Carlo. Sull’incoronazione si veda McKitterick, Charlemagne, pp. 115-117; Becher, Die Reise, pp. 87–112 che stabilisce una cronologia dettagliata degli eeventi che prreceono l’incoronazione e le trattative con il pontefice. Si veda anche Schieffer, Neues, pp. 3–25 con diversi riferimenti alla letteratura meno recente tra cui una delle prospettive più importanti è Classen, Karl der Große, pp. 537–608. Si veda anche Collins, Charlemagne, pp. 52–70. Sull’evento dell’accecamento di Leone III si veda Schaab, Blendung e Hageneder,

Crimen Maiestatis, pp. 55–79.

397

MGH Epp. 4, Lettera 177, p. 293: «[... ] clarissimisque vestrae nobilitatis filiis benedictio copiosa per

vestra benefacta adcrescat; sicut per solius omonymi tui David Deo dilectissimi regis sanctitatem legitur omnibus nepotibus suis regalis throni potestas conservata fuisse».

suoi figli, la felicità del regno, la salute del popolo, l’abbondanza dei frutti, la di tutti i buoni e a Carlo la beatitudine del regno dei cieli.398

Insieme alla difesa militare del regno e alla protezione della fede, di cui Alcuino fa menzione in una delle lettere già analizzate, in questa epistola l’anglosassone inserisce la iustitia e la sua diffusione tra le responsabilità principali di un re cristiano. L’atto di amministrare la giustizia, sia per ciò che concerne la decisone sui giudizi e sulla punizione dei criminali, sia per quanto riguarda la legislazione sono considerati nella lettera tra i doveri principali del re cristiano. Per spiegare questo carattere della regalità, l’anglosassone riprende diversi elementi dalla tradizione irlandese: seppur in modo incidentale, infatti, Alcuno cita alcuni passi del trattato irlandese De duodecimi abisivis saeculi che, erroneamente attribuito al vescovo Cipriano, tra VIII e IX secolo aveva costituito una delle fonti principali degli specula principum e delle fonti su cui era stata costruita la concezione della regalità carolingia. Questa fonte, attribuendo al re un potere quasi magico, ricollega alla iustitia, intesa come virtù personale e civile del re, la salvezza del popolo, il benessere del regno e la fecondità della terra.399 Citando questa fonte, Alcuino si dimostra fedele a una tradizione che vede nella iustitia, intesa concretamente come la correctio del popolo e la condanna dei peccatori uno dei caratteri della regalità carolingia400.

Nella concezione della regalità di Alcuino, i Carolingi sono quindi considerati i re cristiani in grado di guidare il popolo il più lontano possibile in direzione della salvezza sotto i comandamenti divini. Di conseguenza, nella rappresentazione dell’anglosassone le condizioni di iustitia e della pax che si realizzano nel regno carolingio non si riferiscono semplicemente alle forme terrene di questi due concetti, ma alla giustizia e alla pace garantita al re cristiano e al suo popolo direttamente da Dio401. Nella lettera 217, ricordando a Carlo il Giovane la condotta per essere un retto re cristiano e ottenere così la benedizione di Dio e un posto nel regno del Signore, gli rammneta l’obbligo principale del potere secolare, ossia quello di portare giustizia, accompagnata con la misericordia, tra il

398 MGH Epp. 4, Lettera 177, p. 293.

399 Moore, Monarchie, pp.307-324. Sassier, Royauté, pp. 57-59. Sul trattato irlandese e sull’influenza della

cultura insulare si veda n. 1269.

400 Sul pensiero di Alcuino nel contesto della conversione di Sassoni e Avari si veda Lauwers, Le Glaive, pp.

221-244 in cui si mette in evidenza il molteplice significato dato al termine spada nelle lettere di Alcuino e si evidenzia la necessità dell’esercizio complementare della spada spirituale con quella del potere secolare. Cfr. Dumont, Alcuin, pp. 417–429 che mettono in evidenza la tendenza di Alcuino, dopo la campagna condotta contro i Sassoni, a esaltare il valore della pace e della predicazione rispetto a quello della forza. Si veda soprattutto Wood, Missionary life, che per primo mette in risalto questo aspetto, pur ricordando giustamente come il valore della coercizione sia riconosciuto anche da Alcuino.