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La riflessione sul re cristiano: il ruolo del re

Parte I. La giustizia carolingia: il re, Dio e la licenza di uccidere

Capitolo 1. La realtà dei capitolar

1.3 I capitolari meroving

1.3.1 La riflessione sul re cristiano: il ruolo del re

Prima di analizzare i capitolari merovingi, è necessario approfondire la concezione della potestas regia sviluppata dall’ordo vescovile, che gli esponenti del clero impegnati nella cancelleria regia hanno poi trasferito nella legislazione secolare. Le fonti principali da cui è possibile osservare i primi tentativi di un’elaborazione della concezione cristiana della regalità sono rappresentate dalle lettere dei vescovi indirizzate ai re merovingi tra VI e VII secolo.

Negli anni precedenti alla conversione di Clodoveo, Remigio di Reims scrisse una lettera a Clodoveo in cui lo invitava a governare con giustizia, a seguire il consiglio dei suoi vescovi e a salvaguardare i poveri. Dal 507 il rex Francorum iniziò dunque ad essere considerato come un princeps, erede con tale titolo delle prerogative e delle responsabilità dell’imperatore romano nei confronti della chiesa e dei vescovi del regno. Come un princeps il re merovingio era divenuto il protettore della chiesa, e di conseguenza doveva rispettare la funzione e le persone che la guidavano, i vescovi, e, come sosteneva Remigio,

301 In diverse civitates della Gallia la figura del vescovo ha assunto un ruolo giurisdizionale e di defensor

civitatits. A questo proposito si veda Moore, Sacred Kingdom e Heinzelmann, Bischofsherrschaft. Sulla

tradizione romana perpetuata da queste giurisdizioni si veda Vismara, La Giurisdizione e Harries, Law, pp. 191-196.

doveva governare insieme a loro. Contemporaneamente il re franco, come l’imperatore romano, aspirava a esercitare delle prerogative su questa chiesa. Prima fra tutte quella di vegliare su di essa, utilizzando a tal fine il patrimonio ecclesiastico in relazione alle miserabiles personae.303

Sulla funzione del re, le riflessioni più significative sono le litterae exhortatoriae indirizzate ai regnati merovingi e, fuori dal regno franco, la concezione del potere sviluppata dal pontefice Gregorio Magno.

La prima testimonianza è una lettera scritta da un prelato di cui ignoriamo la sede episcopale, il vescovo Aureliano, al re d’Austrasia Teodoberto I (534-548)304. Questa epistola definisce un insieme di qualità da coltivare per poter adempiere alla regia. Nello specifico si tratta di virtù che si iscrivono nella tradizione romano-cristiana: alcune come la giustizia, la pietas o la clementia sono virtù tipiche del princeps, altre, invece, come l’umiltà, si collegano alla tradizione cristiana e biblica, in particolare all’immagine davidica che era stata elaborata un secolo prima da Ambrogio da Milano. Ad attirare l’attenzione di diversi studiosi dedicatisi all’analisi della lettera, però, è l’emergere di una responsabilità specifica, e proporzionale alla propria potestas, posseduta dal re merovingio nei confronti di Dio: « tanto tu sarai debitore, quanto più hai ottenuto», scrive, «più grande il tuo regno e più grande sarà il tuo pericolo, quando ne dovrai dare ragione. Il conto che un princeps cristiano dovrà rendere a Dio è inestimabile».305 Nella lettera attribuita ad

303 CCSL 117, pp. 408-409 e MGH Epp. 3 Lettera 2, pp. 719-720: «Rumor ad nos magnum pervenit,

administrationem vos Secundum Belgice suscepisse. Non est novum, ut coeperis esse, sicut parentes tui semper fuerunt: hoc inprimis agendum, ut Domini iudicium te non vacillet, ubi tui meriti, qui per industriam humilitatis tuae ad summum culminisque pervenit, quia, quod vulgus dicitur, [ex fine] actus hominis probatur. Consiliarios tibi adhibere debes, qui famam tuam possent ornare. Et beneficium tuum castum et honestum esse debet, et sacerdotibus tuis debebis deferre et ad eorum consilia semper recurre; quodsi tibi bene cum illis convenerit, provincia tua melius potest constare. Civos tuos erige, adflictos releva, viduas fove, orfanos nutre, si potius est, quam erudies, ut omnes te ament et timeant. Iustitia ex ore vestro procedat, nihil sit sperandum de pauperes vel peregrinis, ne magis dona aut aliquid accipere vellis; praetorium tuum omnibus pateatur, ut nullus exinde tristis abscedat. Paternas quascunque opes possides, captivos exinde liberabis et a iugo servitutis absolvas: si quis in conspectu vestro venerit, peregrinum se esse non sentiat. Cum iuvenibus ioca, cum senibus tracta, si vis regnare nobilis iudicare.». Su Remigio e il significato della sua lettera per l’elaborazione della regalità merovingia si veda Moore, Sacred Kingdom, pp. 122-128 che mette in evidenza i tratti mutuati dalla figura del vescovo, come la protezione dei poveri e delle vedove. Si veda anche Sassier, Royauté, pp. 78-82 e Isaïa, Remi de Reims.

304 MGH Epp.3, pp. 124-125. La lettera è sostanzialmente un elenco di virtù che ricostruiscono un’etica

regia: Ewig, Königsgedanken, p. 18 e Anton, Fürstenspiegel, p. 50.

305 MGH Epp.3, pp. 125: MGH Epp.3, p. 125: «Nunc in temporariis finem tollas mercedibus laborandum,

tantum eris magis debitor, quantum copiosius accepisti, et tantum erit reddenda ratione magis periculum, quantum amplius regnum. A christiano priricipe inestimabilis ratio Deo reddenda est. Cogita semper, sacratissime praesul, diem iudicii, diem terroris inenarrabilis, diem furoris Domini, diem remunerationis iustorum, diem aeternae laetitiae et perpetuae poene, diem ubi damnatio non accipiet terminum, nunc iocunditas habet occasum, diem, inquam, illum, ubi omnes angeli, principatus et potestates de expectatione iudicii contremescent, ubi non erit discretio natalium, sed meritorum, ubi non servus et liber, pauper et potens, sed omnia et in omnibus Christus, ubi acceptio personarum non fiet, ubi divitiae non proderunt, nisi

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Aureliano, la concezione cristiana della regalità sembra spingersi fino al riconoscimento di una dimensione religiosa, quasi sacrale, al re, il quale è definito con l’attributo di sacratissime praesul.

Non è possibile sottovalutare la portata di questa riflessione nella rappresentazione del ruolo regio nella società cristiana: il re, nella sua persona, è stimato essere il riflesso delle virtù divine, ossia il legame tra umano e sovrumano. Questa lettera, però, non approfondisce i caratteri e la funzione della regalità. Una testimonianza più completa a tal proposito è contenuta in un’epistola anonima indirizzata probabilmente a Clotario II306.

Un primo elemento distintivo di questa lettera ripetto alle altre tetsimonianze dell’epoca risiede nell’eccezionale frequenza delle citazioni bibliche, che esprimono una scelta e una finalità molto chiara da parte dell’autore: mostrare al giovane monarca come i modelli dei quei re la cui umiltà era stata ricompensata da Dio si trovino all’interno delle Sacre Scritture, che egli deve consultare307. L’autore evoca dunque l’immagine di Davide, esempio del re umile e saggio, a cui affianca quella di Salomone, di cui celebra la prudenza e la sapienza. In nessun passo si fa riferimento al tratto profetico della regalità davidica. Al contrario, l’autore sottolinea l’attenzione con cui i re Davide e Salomone ascoltano e mettono in pratica attivamente ciò che gli è indicato dai profeti di Dio. Questo è il modello proposto quando consiglia al suo lettore di ascoltare i vescovi e gli uomini più esperti, insistendo sulla scelta del buon consigliere così come sulla pratica di governo attraverso le assemblee: «prendi le distanze dal consiglio degli uomini malvagi», si legge verso la fine della lettera «e non fare nulla senza il consiglio di quelli buoni».308 L’autore riproduce la preghiera con la quale Salomone domanda al Signore di essere istruito sulla retta via, di donargli la sapienza e l’intelletto per comprendere la volontà divina. Così facendo la lettera stabilisce un legame tra i re biblici e i re franchi: cita Childeberto per la sua sapientia e patientia, e un giovane re, probabilmente Clotario II di cui loda la benevolenza e a cui attribuisce il titolo di quasi sacerdos. Osservando queste la l’etica regia sembra in realtà un

praemissę, ubi etiam et cogitationes cordium discutiendę sunt». Per un’interpretazione più recente del passo si veda Sassier, Royauté, pp. 46-47. Alcune considerazioni sul modello di regalità espresso da queste lettere sono presenti in Reimitz, Frankish Identity, p.264; Hen, Use, pp. 284-285; King, Law and Society, pp. 129- 130; Malaspina, Il liber epistolarium pp. 247ss.. Cfr. Dumézil, Le racines, pp. 233-234 sulla regalità sacerdotale.

306 MGH Epp.3, pp. 457-460; La datazione e l’identificazione di mittente e destinatario sono problematiche.

Sassier, Royauté riuassume la controversia, mettendo in evidenza come la figura di Clotario II sia considerata la più attendibile. A questo proposito anche Anton, Fürstenspiegel, p. 51. King, Law and Society, p. 131; Dumézil, Le racines, pp. 238ss.

307 Sugli insegnamenti e sui modelli di regalità tratti dalla Bibbia, così come sulla rappresentazione

dell’ordine sociale si veda Reimitz, Frankish identity, pp. 264-274. Si veda anche Hen, Use, pp. 284-285

adattamento di quella elaborata nel corso degli anni per il ruolo di governo detenuto dai vescovi.309

Dopo aver messo in evidenza e aver insistito a lungo sulle virtù principali- sapientia e humilitas- e sulle qualità da possedere e mettere in pratica nel suo governo, l’autore indica al suo lettore l’etica del regimen regio. Questa concezione si dimostra molto vicina a quella elaborata nel secoli successivi da Isidoro di Siviglia o dai pensatori carolingi.310 La parte più interessante di questo discorso tratta la concezione del governo dell’autore. Qui in modo chiaro e inequivocabile il testo fa riferimento alla funzione regia di garante della pace e della sicurezza del regno. Il mittente della lettera declina questo tema in senso cristiano, parlando del re come strumento della disciplina nella via verso la salvezza e ponendo l’accento sulle sue responsabilità specifiche nella funzione coercitiva propria della sua potestas: «Dal momento che tu sei ministro di Dio, stabilito da lui perché chi agisce bene possa trovare in te un aiuto misericordioso, e quelli che agiscono male ti conoscano come un potente vendicatore, di quelli davanti ai quali devono avere timore.»311 Le parole utilizzate sono una parafrasi del passo XIII, 5 della lettera ai romani di san Paolo. L’autore collega l’importanza della coercizione per la salute del popolo alla condotta personale del re: deve agire nella paura di Dio, lasciare al Signore il governo della propria vita per poter essere in grado di governare gli altri. Osservando attentamente la riflessione sulla potestas regia, questo documento può essere considerato la prima formulazione del concetto di pia coercizione. L’uso della forza e della violenza legittima da parte del re sono una caratteristica della potestas, necessaria per garantire la pace e la salute del popolo cristiano. L’autore vi insiste per ricordare al destinatario il suolo ruolo, quello di servizio nei confronti di Dio e della chiesa, mettendo l’accento sul suo comportamento individuale e sull’etica, incentrata sulla virtù dell’humilitas.312

Nello stesso periodo di redazione della lettera, papa Gregorio Magno sviluppò la propria riflessione sul governo pastorale, contribuendo a costruire l’immagine del rector cristiano nel ruolo del pastore delle anime. Per osservare più concretamente la concezione della regalità nel pensiero gregoriano è utile spostare lo sguardo dalle opere del pontefice romano alle lettere destinate ai re merovingi, in particolare all’epistola scritta nel luglio del

309 Anton, Fürstenspiegel, pp. 51ss. 310 MGH Epp. 3 Lettera 15, pp. 458.

311 MGH Epp.3 Lettera 15, p. 460: « deo enim hominibus dantur dona a Deo ac potestates, ut auctori gratiae

referantur. Ministrum te Dei esse scias ad hoc constitutum ab ipso, ut , quicumque bona faciunt, te habeant misericordem adiutorem, vindicem fortem te cognoscant hi, qui faciunt mala, ut, ante - quam faciant, te timeant.» Cfr. Rm XIII, 1-7.

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599 per Teodorico II e Teodoberto II, rispettivamente re di Burgundia e di Austrasia (595- 613)313. Sin dall’esordio, Gregorio insiste sul legame esistente tra la fede cristiana e la forza del potere regio. Rivolgendosi ai due fratelli con il titolo vostra cristianità, li esorta a convertire i loro popoli alla fede così da poter essere considerati pienamente re e signori: è nella misura in cui voi vi mettete al servizio del Creatore che voi legate i vostri governati al vostro servizio.314 Per il potere che gli è stato concesso da Dio, scrive Gregorio, i re sono invitati a svolgere correttamente il ruolo di rimedio ai peccati che giustifica la loro esistenza: sono ammoniti a intervenire per correggere i costumi del clero e restaurare la disciplina ecclesiastica, a convertire i pagani, a redimere gli scismatici alla vera fede; allo stesso tempo in campo secolare devono reprimere la violenza, gli adulteri i ratti e gli altri crimini, esercitare la vendetta divina e distruggere con la guerra i delinquenti che i precetti divini non riescono a riportare sulla retta via. Infine il sovrano buono, nella persona del re, deve praticare la giustizia, conservare a ciascuno i suoi diritti, deve agire, avendo sempre Dio davanti agli occhi315.

Assegnare al re tale missione, significava fargli comprendere l’importanza di un compito in cui si mischiano le responsabilità per l’anima e per i corpi di quanti sono soggetti alla sua potestas. In questa rappresentazione esiste una chiara unità di fini tra il potere secolare e quello spirituale. La concezione della regalità di Gregorio tende a definire il potere regio e l’autorità vescovile come due funzione di servizio svolte per il compimento di un fine condiviso: i re sono ministri di Dio, depositari di un regimen che, pur senza confondersi con quello vescovile, condivide con questo le medesime regole di rispetto dell’umiltà, delle virtù, della benevolenza e della moderazione; così in modo analogo a quanto facevano i vescovi questo regimen doveva mostrare al popolo la via della salvezza e mettere in atto la legge divina316.

Nella riflessione sulla regalità, entrambi i poteri, regio e vescovile, partecipavano alla lotta al peccato, al trionfo dell’ordine cristiano e alla progressione dell’umanità verso

313 Per una biografia rimandiamo a Straw, Gregory the Great; Geary (a cur. di), Authors e Boesch-Gajano,

Gregorio I, pp. 546–74.. Sul pensiero la letteratura specialistica è ampia. Per una ricostruzione del pensiero

di Gregorio Magno Markus, From Augustin, che mette in evidenza l’evoluzione del pensiero cristiano a partire da Agostino; Markus, Gregory; Dagens, Grégoire le Grand; Fontaine-Gillet-Pellistrandi (a cur. di)

Grégoire le Grand; Sull’influenza di Gregorio sulla cultura carolingia si veda Judic, Grégoire le Grand, pp.

105–20.

314 MGH Epp. 2, pp. 217-218. Si veda Brouwer, Égalité, p. 97, che contesta la tesi di Marc Reydellet

Reydellet, Royauté, in cui Gregorio avrebbe riconosciuto la sacralità della regalità barbarica. Si veda anche Judic, Totius, p. 485.

315 MGH Epp. 2, pp. 217-218. 316 Judic, Grégoire le Grand.

Dio. I vescovi se ne occupavano per mezzo dei sermoni, la potestas secolare attraverso la coercizione e la vindicta.