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Le Historiae di Nitardo

3. Lo scopo della ricerca

4.4 Le Historiae di Nitardo

L’ottica dell’aristocrazia dell’area occidentale dell’Impero presente nella Vita Hludovici è in parte condivisa da un'altra opera composta nel IX secolo, le Historiae di Nitardo, che rappresentano la fonte più importante e ricca per lo studio delle guerre combattute dai figli di Ludovico il Pio tra l’841 e l’843164. Come nel caso di Thegano e dell’Astronomo, l’autore è un testimone contemporaneo dei fatti narrati. Tuttavia, rispetto agli autori delle due biografie di Ludovico il Pio, Nitardo è un laico e un protagonista attivo di molte delle vicende raccontate. Discendente illegittimo della famiglia carolingia, in quanto figlio di Berta e del poeta di Angilberto, è infatti un sostenitore di Carlo il Calvo e parte del suo seguito durante la battaglia di Fontenoy nell’841. Nell’842, è scelto dal re per essere parte dei dodici rappresentati delle regioni occidentali che avrebbero dovuto

164 Le Historiae di Nitardo sono tramesse in un solo manoscritto Paris BN lat. 9768, un manoscritto

conservato presso il monastero di St-Ménard a Soissons. Sulla tradizione manoscritta si veda Lauer, Histoire, pp. XIV-XV e Loewe, Deutschlands Geschichtsquellen, pp. 353-357. Sulla fortuna dell’opera di veda Nelson, Public, p. 440.

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consultarsi con gli aristocratici dell’area orientale per stabilire un’equa divisione dell’Impero.

Le analisi di Janet Nelson e Staurt Arlie hanno svelato la profonda complessità del lavoro di Nitardo, il quale compone un’opera abilmente costruita in quattro libri, in cui l’autore riflette sui valori morali dell’aristocrazia carolingia, mentre registra frammenti e pensieri riguardo la sua storia privata.165 Così se i primi due libri sono scritti per Carlo il Calvo e il suo entourage, giustificando la scelta del massacro di Fontenoy, dal terzo libro il tono dell’opera cambia. Il sostenitore di Carlo inizia a desiderare la riconciliazione tra i tre fratelli. Da questo momento i valori della fratellanza, della pace e della christianitas ricevono sempre più enfasi nella narrazione, come mostra la scelta di riportare l’intero testo del giuramento di Strasburgo stipulati da Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico.166

Nella fase di redazione del quarto e ultimo libro, il tono cambia ancora, a causa delle pretese di Lotario che avevano reso impossibile una riconciliazione e delle trattative di pace che avevano danneggiato la fiducia e la fedeltà di molti membri dell’aristocrazia. A partire da questa fase del conflitto, Nitardo scrive solo per la posterità, senza risparmiare critiche e giudizi verso tutti i protagonisti della scena politica carolingia. La sua riflessione si concentra sulla crisi dei valori aristocratici e si conclude con amara comparazione tra i tempi d’oro di Carlo Magno e quelli miserabili dei suoi giorni.

4.5 Le epistolae

Un'altra fonte rilevante per lo studio della conflittualità e della violenza è rappresentata dalle lettere. Del gran numero di epistolae prodotte durante l’epoca carolingia da re, da vescovi e a solo un numero esiguo di testimonianze è sopravvissuto. Ciò nonostante, esistono comunque importante collezioni epistolari, che includono delle lettere scritte dai principali esponenti dell’élites culturale politica franca: Alcuino, consigliere del re e successivamente abate di San Martino a Tours, per il regno di Carlo Magno; Eginardo, abate laico di Mulinheim, e Rabano Mauro, abate di Fulda e poi

arcivescovo di Magonza, per le regioni orientali del mondo carolingio; Incmaro, arcivescovo di Reims, per il contesto occidentale durante il regno di Carlo il Calvo. Altre lettere rilevanti per la ricostruzione del contesto politico carolingio sono diffuse per tutto il IX secolo e includono le collezioni dei pontefici Nicola I (858-867), Adriano II(867-872) e Giovanni VII (872-882). Gran parte di queste testimonianze consente di recuperare diverse informazioni sui conflitti politici verificatisi nel regno, di integrare le narrazioni delle testimonianze storico-letterarie e di valutare le modalità attraverso cui i contemporanei valutavano gli eventi e sulla condotta degli attori politici violenza negli scontri. Il numero di lettere che riportano conflitti regionali e che consentono di valutare l’esercizio della violenza da parte dei protagonisti e del re nelle dispute locali, invece, è molto minore. In riferimento a questo tema due epistolari sono tuttavia considerati eccezionali: le collezioni attribuite ad Alcuino e a Eginardo.

Come è noto le collezioni epistolari di Alcuino a nostra disposizione rappresentano una minima parte delle lettere scritte dall’anglosassone; d’altronde secondo il catalogo delle deperdite recensito da Mary Garrison, sembra che la parte delle epistolae perse corrisponda all’incirca ai due terzi di quelle conservate.167 Inoltre le lettere non sono egualmente distribuite, né da un punto di vista cronologico, né per ciò che concerne i suoi destinatari.168 Nessuna delle missive scritte nei primi decenni della sua vita infatti si è

preservata; anche del periodo tra 780 e 790 sopravvivono solo 4 o 5 lettere. Probabilmente, come sostiene Bullough, era stato lo stesso Alcuino, a partire dal suo ritorno in Northurmbria nel 790, a iniziare a tenere una copia delle epistolae composte in un codice o in un libello. Dopo il suo rientro in Francia, sia presso la corte regia ad Aquisgrana sia a Tours, questo lavoro di copia in libelli proseguì: gli anni trascorsi a San Martino di Tours in qualità di abate avevano facilitato la circolazione delle lettere di Alcuino e la loro 166 Sul tono privata dell’ultimo libro si veda Nelson, Public, pp. 211-212, pp. 220-225; Nelson, History-

Writing, p. 440. Sulla riflessione sul declino morale dell’aristocrazia franca e della res publica si veda

Nelson, Knighthood e Nelson, Nobility; Sulla nozione di res publica di Nitardo si veda Depreux, Nithard.

167 Su Alcuino la letteratura è ampia, così come il dibattito sulle sue opere e il suo ruolo a corte. Per gli studi

più recenti sulla sua corrispondenza si veda Dales, Alcuin; Bullough, Alcuin; e Garrison, Alcuin’s World che è attenta a ricostruire i legami con il contesto insulare. Meno recenti sono invece Wallach, Alcuin e Duckett,

Alcuin,. Si veda anche Mersiowsky, Saint-Martin, pp. 73–90 che presenta una buona sintesi degli ultimi anni

di vita di Alcuino, trascorsi a Tours nella veste di abate. Sul ruolo nel formare l’élites della corte regia e nel promuovere rinnovamento culturale carolingio si veda in particolare Bullough, Abluinus Deliciosus, pp. 73– 92 e Mayke de Jong, From Scolastici, pp. 45–57.

168 Bullough, Why. Sui destinatari di Alcuino si veda Garrison, Letters, pp. 312-317; Garrison, Send, pp. 74-

78. Per un breve confronto tra i principali epistolari composti tra la fine dell’VIII e del IX secolo Garrison,

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preservazione, anche grazie ai suoi destinatari.169 A Tours, infatti, sono state prodotte tre delle differenti collezioni sono state prodotte: la prima è un semplice formulario di poche lettere composto poco dopo l’arrivo di Alcuino a San Martino; la seconda è frutto di una selezione più estensiva di copie di lettere fatta nel 799, probabilmente sempre come formulario o come libro per l’istruzione dei monaci; alcuni anni dopo, infine, è realizzata una raccolta più completa, costruita in base alle copie presenti nell’archivio dell’abbazia. Negli stessi anni sono state composte anche le collezioni che erano il frutto del lavoro di conservazione dei destinatari: nel 799 Arnone di Salisburgo aveva fatto redigere un libro per l’educazione del clero, sulla base di breve collezione inviatagli da Tours; pochi anni più tardi, nell’802, sempre a Salisburgo erano state raccolte le lettere inviate all’arcivescovo Arnone, che erano state escluse dalla collezione precedente.

Alcuino scrive a re e a regine sia dei regni anglosassoni sia del regno carolingio, invia e riceve lettere a e dai vescovi, arcivescovi, missi regi, laici dal continente e dal mondo insulare. In tutto si conservano ben 270 lettere a un minimo di 141 destinatari differenti. La geografia sociale che permettono di ricostruire è dunque ampia e complessa. L’area coperta dalla corrispondenza si estende dall’Irlanda a Gerusalemme, dall’Italia alla Baviera, alla Provenza, all’Aquitania e alla Spagna. Nella nostra disamina sulla violenza, però, ci siamo concentrati solo sulle lettere che riguardano il contesto carolingio. In particolare, per il tema della violenza sociale, abbiamo preso in esame le lettere di Alcuino che consentono di osservare una regione precisa, quella della diocesi di Tours, al centro dell’area che costituiva il vecchio regno di Neustria. Per la disamina della relazione tra potestas e violenza abbiamo utilizzato, invece, le lettere di ammonizione ed esortazione rivolte ai figli di Carlo Magno o le epistole celebrative scritte per il re carolingio.

Oltre ad Alcuino un’importante collezione epistolare di epoca carolingia presa in considerazione è quella di Eginardo. Il volume della sua corrispondenza è sicuramente minore: escluse le lettere inviate a Lupo di Férriers, trasmesse nella collezione di Lupo, in tutto si conservano 56 epistolae indirizzate a circa 48 diversi destinatari. A differenza da quanto si osserva per la conservazione e la trasmissione delle lettere di Alcuino, queste testimonianze sono conservate in un’unica collezione, prodotta nel monastero di San Bavo a Gent circa trent’anni dopo la sua morte, probabilmente per fornire ai monaci un modello

169 Per la trasmissione e un resoconto delle lettere di Alcuino si veda Bullough, Alcuin, pp 43-103; Dummler,

sulle modalità corrette di redazione di una lettera170. In queste epistolae, salvo alcune rare

eccezioni, vediamo Eginardo attraverso lo stile e il linguaggio della sua cancelleria171. Le lettere, infatti, si aprono con formule di saluto e commiato: «Eginardo augura la salvezza nel Signore al santo e giustamente venerabile signor vescovo N»; oppure «Eginardo nel nome di Cristo al suo vicario N»- N è il simbolo utilizzato dallo scriba della collezione al posto del nome che Eginardo inserisce nella sua lettera originale172.

Lo stile e il linguaggio presentano diverse analogie con i documenti prodotti dal monastero a seguito delle dispute fondiarie. Anche dal punto di vista tematico, come i documenti, le lettere di Eginardo riguardano principalmente le vicende del monastero di Milinheim e restituiscono un ritratto della vita sociale e politica di una regione, quella della valle del medio Reno, poco raccontata dalla fonti narrative, sia storiche che agiografiche173.

4.6 L’agiografia

In aggiunta alle lettere sopravvivono diverse opere agiografiche, grazie alle quali è possibile osservare la gestione della violenza nelle località. Tuttavia, come ha giustamente rilevato Paul Fouracre, le opere di epoca carolingia tendono a espungere dalla narrazione la conflittualità politica, anche a livello locale. Per questo motivo il numero di testi a cui è stato possibile attingere per la seguente disamina si è rivelato limitato. Tuttavia alcune testimonianze permettono di osservare la diffusione nella società locale di un nuovo significato attribuito alla violenza dall’autorità centrale nella mentalità di alcuni dei membri dell’élites culturale dell’epoca carolingia, più o meno vicini alla corte regia. A iniziare dalle riscritture di opere merovinge, grazie alle quali è possibile valutare le variazioni del significato attribuito alla violenza tra VII e IX secolo.

170 Su Eginardo, Dutton, Charlemagne, fornisce una buona e completa revisione degli studi su Eginardo. A

questo proposito si veda anche Fleckenstein, Einhard, pp. 96–121; Schefers, Einhard, pp. 25–92. Sull’epistolario di Eginardo si veda anche Stratmann, Einhards, pp. 323–339 che ricostruisce gli ultimi anni di vita di Eginardo attraverso il suo epistolario. Alcune informazioni sono contenute in Garrison, Letters, pp. 321-325 che utilizza l’epistolario di Eginardo come termine di paragono per quello di Alcuino.

171 Ganz, Einhard, p. 38 e Innes, State, p. 15 sottolineano il carattere formulare delle lettere di Eginardo,

confronto le con i diversi documenti che attestato Eginardo nel ruolo di testimone.

172 MGH, Epp. 5 Lettera 1, p. 109. 173 Innes, State, p. 25.

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Il primo caso di riscrittura è la vita di Batilde, che racconta la storia della regina merovingia Batilde, sposa di re Clodoveo III negli anni precedenti e successivi al suo ritiro nel monastero di Chelles, nel 665174. La vita Bathildis più antica è una fonte composta

poco dopo gli eventi narrati. Il suo autore, anonimo, afferma di essere un contemporaneo e di esser dunque un testimone oculare degli eventi descritti, secondo una strategia retorica frequente nell’agiografia altomedievale175. Tuttavia gli studi di Paul Fouracre hanno giustamente messo in evidenza una datazione differente. L’unico termine ante quem ipotizzabile per la vita merovingia è la morte della regina santa. Il termine post quem, invece, è fissato tra gli ultimi anni di vita della regina santa e il 690, e può essere dedotto dall’analisi del testo. Considerando l’omissione diretta di riferimenti al coinvolgimento di Ebroino nella morte del vescovo Sigobrando o nel ritiro forzato di Batilde in monastero è probabile che il maggiordomo di palazzo fosse ancora vivo al tempo della redazione176. Il primo termine post quem ipotizzabile è dunque prima della morte di Ebroino, il 680/681. Se, però, consideriamo il racconto dell’autore riguardo la progenie di Batilde- ancora al governo del regno- e, in particolare il commento con cui parla di Teodorico III, presentato come l’ultimo figlio di Batilde a regnare, è ragionevole pensare che l’opera sia effettivamente databile tra il 679 e il 690, anno della morte di Teodorico III.177

La vita di epoca carolingia, che rielabora questo testo, invece, è redatta tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del secolo IX178. La versione più recente arricchisce la vita con citazioni scritturali e rafforza il senso del meraviglioso, concentrandosi sulla pietas della regina, ma indebolendo il senso storico dell’opera. Nonostante anche il suo autore affermi di essere contemporaneo della vicenda, osservando il suo latino più complesso e lo stile della narrazione sembra più probabile che abbia redatto l’opera quando Batilde e il monastero di Chelles erano un centro di culto di grande rilevanza. Probabilmente la vita carolingia era stata redatta nell’ambito del monastero di Chelles per celebrare la devozione

174 Vita Bathildis: MGH, SS.rer.Merov 4 Vita Sanctae Balthildis, pp. 475–508; BHL 905. Su Batilde si veda:

Laporte, Bathilde, pp. 147–170; Santinelli-Foltz, Brunehilde, pp. 61–82. Si veda anche Fouracre-Geberding (a cur. di), Late Merovingian, pp. 97-115; Stafford, Queens, pp. 459–476; de Jong, Queens, pp. 235–248; Nelson, Queenship, pp. 179–207; Nelson, Queens, pp. 1–48. Si veda anche Levison, England, p. 9, n. 4.

175 Fouracre-Geberding( a cur. di), Late Merovingian, pp. 115-116.

176 Fouracre, Late Merovingian, pp. 114-115; Krusch, MGH, SS.rer.Merov. 7, pp. 449–450.

177 Fouracre, Late Merovingian, pp. 114-115. Sull’ipotesi della composizione durante la vita di Ebroino si

veda anche: Dupraz, Contribution, p. 361 e Foltz, Tradition, p. 364. Sulla datazione della morte di Batilde cfr. Krusch, Chronologie, p. 485 che data la morte della regina in base al racconto del capitolo 14 della Vita Bathildis (MGH, SS.rer.Merov. 4, p. 476) in cui si racconta che assunse al cielo dopo Genesius, defunto nel 678/679; Krusch di conseguenza ipotizza che sia morta poco dopo Genesius nel novembre 679.

178 La mancata menzione della traslazione del corpo di Batilde nel marzo 833 consente di ipotizzare che la

riscrittura sia stata composta prima di questa data. A questo proposito si veda Sanders, Le remaniement, p. 414.

della sua vita monastica. Diretta a un’audience ristretta, quella della familia monastica, elimina il fazionalismo politico e la violenza dei suoi scontri che non sembrano rientrare nella cultura carolingia o quantomeno nella rappresentazione ideale presentata dall’opera. A tal proposito, Fouracre mostra chiaramente come, al capitolo 10, l’autore cambi i generi delle parole quos e ipsos dal maschile al femminile, trasformando il resoconto del conflitto politico della versione merovingia in una disputa tra le monache del monastero.179

A differenza della versione carolingia, l’originale si caratterizza per uno stile più semplice e una maggior attenzione per la ricostruzione del fazionalismo e delle lotte politiche che caratterizzano la vita di Batilde. Alla luce di questi dati, alcuni studiosi hanno attribuito la paternità dell’opera a una monaca di Chelles, che avrebbe composto la vita per promuovere il culto della regina santa. Secondo Fouracre, invece, proprio il linguaggio e la narrazione politica suggeririscono una soluzione differente all’enigma dell’autore della Vita di Batilde180. Così osservando lo scarso numero di informazioni sulla vita della regina dopo il ritiro in monastero sia nella descrizione di miracoli, Fouracre considera la semplicità dello stile non una prova del genere dell’autore, ma un ulteriore indizio del pubblico a cui era rivolto il testo: il testo era dedicato a un’audience più grande della semplice familia monastica, ossia alla società politica del regno di Neustria, in piena trasformazione sul finire del VII secolo, specialmente dopo che i Pipinidi, i maggiordomi di palazzo del regno di Austrasia, erano entrati nella politica di corte neustriana, sconvolgendo le alleanze tradizionali.181

L’ipotesi di Fouracre è particolarmente convincete. Rivolgendosi a questi personaggi, l’opera di epoca merovingia assolve infatti diverse finalità. Innanzitutto veicola un insegnamento: attraverso il linguaggio semplice e le continue ripetizioni, l’autore infatti insegna a imitare la condotta virtuosa di Batilde, il cui comportamento pio l’ha condotta alla salvezza.182 Secondo, l’autore la regina ha acquisito il suo status di santità grazia alla sua pietà cristiana, utilizzata durante gli anni di reggenza per preservare la pace politica e per sostenere le istituzioni della chiesa. A differenza delle altre regine di epoca merovingia che performano i loro atti di santità dopo il ritiro in monastero, Batilde usa il potere regio per realizzare le sue opere virtuose.

179 Sul confronto stilistico tra le due vite e il contesto di composizione della versione carolingia si veda

Fouracre, Late Merovingian, p. 116; Sanders, Le remaniement, p. 419.

180 Fouracre, Late Merovingian, p. 118.

181 Fouracre, Late Merovingian, pp. 116-118. Cfr. Nelson, Queens, p. 46, n. 83; Berschin, Biographie, p. 22

che sostengono invece per attribuire l’opera a una monaca del monastero di Chelles.

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Come si osserva dalla narrazione, però, questa descrizione è funzionale a un secondo scopo: favorire la commemorazione e attirare il supporto di quanti erano ostili alla fazione della regina183. Probabilmente l’ascesa dei maggiordomi di palazzo pipinidi in Austrasia aveva portato alla nascita di una fazione avversa ai figli di Batilde. A seguito del ritiro in monastero di quest’ultima, l’autore provò a ricompattare il sostegno dell’aristocrazia neustriana intorno agli eredi di Batilde, promuovendo un ritratto morale e politico della regina.

La profonda differenza tra il periodo redazione della vita merovingia e quello della riscrittura carolingia si riflette nella rappresentazione dei conflitti politici trasmessa dalle due opere, consentendoci di apprezzare il cambiamento di significato attribuito della violenza nei due contesti.

Come nella vita di Batilde, anche se in modalità differenti, una seconda riscrittura permette di osservare lo sviluppo di una particolare concezione della violenza in epoca carolingia. Si tratta della vita di Willibrordo, composta da Alcuino sul finire dell’VIII secolo184. Rispetto all’esempio precedente, quest’opera era stata scritta ed era stata

trasmessa nella regione della Neustria. Pertanto, questa volta il contesto di redazione è quello delle regioni orientali del regno carolingio, nel pieno delle discussioni sulle opera missionarie organizzate nel corso dell’VIII secolo dopo la sottomissione di Sassoni e Avari.

Redatta nel 797, nei mesi successivi alla sua nomina ad abate di San Martino a Tours, la vita è una composizione doppia, scritta sia a in prosa che in versi: la versione prosaica avrebbe probabilmente dovuto essere letta in pubblico, mentre quella in versi era destinata alla contemplazione privata.185 Come molte delle vite di epoca carolingia, anche il lavoro di Alcuino è particolarmente arido dal punto di vista della narrazione storica. Nonostante l’importanza di Willibrordo, in questa vita si osserva un’incredibile assenza di dettagli riguardo la sua storia: la sua sede episcopale di Utrecht, per esempio, è menzionata solo due volte nella versione in prosa della Vita.186 Il dato è sicuramente curioso, soprattutto se consideriamo la molteplicità di fonti a disposizione di Alcuino in merito alle

183 Fouracre, Late Merovingian, pp. 116-117.

184 Vita sancti Willibrordi Traiectensis episcopi: MGH, SS.rer.Merov 7, pp. 81-141; BHL 8935. Su

Willibrordo si veda Levison, England, pp. 53-63; Wampach, Sankt Willibrord; Meens, Willibrord (658/9- 739), pp. 187–91 Wood, The Missionary Life, 80-81; Meens, Christentum, pp. 415-428. Della vita si trovano diverse edizioni Levison, MGH, SS.rer.Merov 7 e Reischmann, Willibrord. L’unica edizione a riportare la versione in versi è però Poncelet, AASS, vol.3. Per una traduzione e edizione critica più recente si veda Veyrard-Cosme, Oeuvre hagiografique, pp. 34-74.

185 MGH, SS.rer.Merov 7, p. 115