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La risposta di Carlo Magno

Parte I. La giustizia carolingia: il re, Dio e la licenza di uccidere

Capitolo 1. La realtà dei capitolar

2. Oltre la normativa: violenza e società

2.2 I capitolari all’opera: il caso di Tours

2.2.2 La risposta di Carlo Magno

Ma quale fu la reazione della corte regia al tumulto generatosi a Tours in seguito alla fuga di questo criminale? L’impegno di Alcuino nel costruire un dossier difensivo e l’appello ai suoi allievi perché intercedano presso l’imperatore testimoniano la difficile situazione in cui l’abate e i suoi confratelli si trovavano. Avere come antagonista il vescovo Teodolfo, un fedele sostenitore dell’imperatore Carlo, sicuramente rese più difficile il tentativo di influenzare l’opinione della corte, e ottenere il favore dell’autorità centrale. Gli appelli di Alcuino alla clemenza regia, infatti, furono senza successo, come testimoniato dalla risposta di Carlo Magno. Dalla lettera 247 apprendiamo inoltre che i monaci di San Martino e il loro abate avevano agito contro un ordine regio, mentre l’impiego della banda armata da parte di Teodolfo, e il loro intervento aggressivo nella basilica per il recupero del fuggito erano perfettamente legittimate dal sostegno del re. Si spiegano così i continui rimproveri rivolti ad Alcuino nella lettera di Carlo Magno per aver ignorato i suoi ordini.548 La discussione sul caso e la riflessione di Alcuino sull’asilo rischiavano di diffondere l’idea secondo cui il diritto di asilo e la confessione comportassero una sorta di amnistia per il colpevole, ponendo una seria minaccia alla giustizia regia, e alla legittimazione che il regnante traeva dallo svolgimento delle sua funzione giudiziaria.

Sin dalle prime righe della sua missiva, Carlo mostra dunque un tono ostile e severo verso Alcuino e i suoi confratelli. Il loro comportamento è soggetto ad un’aspra critica, poiché, intralciando l’intervento degli Orléanesi, avevano disonorato non solo gli uomini di Teodolfo, ma anche il vescovo di Orléans e lo stesso imperatore. Era stato proprio quest’ultimo ad aver sottoscritto l’ordine di restituzione del chierico rifugiatosi a Tours549. Diverse copie di questa disposizione erano state inviate dalla corte ad Alcuino, probabilmente in quanto rappresentante della comunità monastica. Per questo, l’imperatore

548 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «Sed et valde miramur, quur vobis solis visum sit nostrae auctoritatis

sanctioni et decreto contraeundum; cum liquido pateat, et ex consuetudine veteri et ex constitutione legum latorum e decreta rata esse debere, nec cuiquam permissum illorum edicta vel statuta contemnere. Et in hoc satis mirare nequivimus, quod illius scelerati hominis precibus, quam nostrae auctoritatis iussionibus obtemperare maluistis, cum nunc clarissime liqueat cum eodem homine amorem discordiae ex inruptione caritatis de hoc loco veluti egredi».

549 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «Pridie, quam ad nostram praesentiam a vobis missa venisset epistola,

adlatae nobis sunt litterae a Theodulfo episcopo missae, quaerimonias continentes de in honoratione hominum suorum; et non tam illorum quam episcopi huius civitatis, vel contemptu iussionis imperii nostri.

si dimostra particolarmente seccato per il tono delle lettere del suo vecchio consigliere: «delle epistolae che ci siamo fatti rileggere, una vostra e un’altra di Teodolfo» risponde Carlo ad Alcuino, «ci è sembrato che il tono delle vostre apparisse aspro e pieno di ira»550. Tanto più che le parole di Alcuino, secondo Carlo, sembravano quasi voler difendere il reo e accusare, invece, il vescovo di Orléans551. Pertanto l’imperatore si schiera senza riserva dalla parte di Teodolfo.

Aldilà delle mancanze del suo destinatario, però, sono i confratelli ad essere ritenuti i veri responsabili dello scontro. A loro, Carlo rivolge un duro attacco nella conclusione della sua epistola. D’altronde, secondo il re, l’episodio di Tours non è altro che una conferma dell’inadeguato stile di vita che caratterizzerebbe la comunità di San Martino, su cui esprime seri dubbi. Come dice l’imperatore, la loro condotta, già criticata da molti era stata notata dallo stesso Carlo durante un soggiorno al monastero, poco prima della disputa552. A questo proposito l’imperatore era intervenuto affidando ai monaci un maestro, una guida idonea che insegnasse loro uno stile di vita corretto, e fosse un buon esempio553. Si tratta proprio di Alcuino, nominato dal re Carlo abate della comunità di ecclesiastici di San Martino nel 796.554 La decisione non si era però dimostrata felice perché, afferma Carlo, questi monaci avevano finito col seminare discordia, diffondendo l’invidia e l’ira tra coloro che sono incaricati di correggere e castigare i peccatori, quasi come fossero servitori del diavolo555. Queste accuse rivelano la gravità del caso. L’unità dell’ecclesia era stata incrinata dal conflitto sorto tra Alcuino e Teodolfo, che probabilmente si era allargato tra i rispettivi sostenitori. Di conseguenza, Carlo Magno si sentì costretto a intervenire severamente. Nella conclusione della sua lettera, l’imperatore

Quam iussionem de redditione cuiusdam clerici, de custodia ipsius elapsi et in basilica sancti Martini latitantis, sub nostri nominis auctoritate conscribere iussimus;».

550 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «Sed cum utrasque epistolas, vestram scilicet ac Teodulfi, nobis relegere

fecissemus, asperior multo nobis et cum iracundia conposita vestra quam Teodulfi videbatur epistola».

551 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «et in nullo erga illum caritatis condimento respersa, sed potius quasi

reum defendens et episcopum accusans; et sub velamine quodam celati nominis continens: vel posset vel admitti ad accusationem deberet; cum hoc omnino et divina et humana lege sanccitum sit nulli criminoso alterum accusandi dari licentiam».

552 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «Ipsi quippe nostis, qui congregatio huius monasterii ac servi Dei – et

utinam veri – dicimini, qualiter iam crebro vita vestra a multis diffamata est; et non absque re. Aliquando enim monachos, aliquando canonicos, aliquando neutrum vos esse dicebatis».

553 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «Et nos, consulendo vobis, et ad malam famam abolendam, magistrum

et rectorem idoneum vobis elegimus et de longinquis provintiis invitavimus, qui et verbis et admonitionibus vos rectam vitam instruere et, quia religiosus erat, bonae conversationis exemplo potuisset informare»

554 Si veda la nota nr. 593.

555 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «Sed pro dolor aliorsum cuncta conversa sunt, et diabolus vos quasi

ministros suos ad seminandam discordiam, inter quos minime decebat, invenit: scilicet inter sapientes et doctores ecclesiae. Et qui peccantes corrigere et castigare debuerunt, cogitis ad peccatum invidiae atque iracundiae prorumpere»

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ordina ad Alcuino e ai i monaci di presentarsi a un placito, presieduto da un misso regio, per dare soddisfazione delle loro azioni illecite556.

Di questo placito, però, non conosciamo che le poche notizie fornite in un’epistola inviata all’imperatore. Si tratta della quinta lettera (ep. 249) conservata sulla disputa di Tours dell’801/802. Il mittente ancora una volta è Alcuino. Stranamente, però, lo scritto non affronta subito il problema del conflitto. Il testo si apre, infatti, con un approfondimento sulla condotta dei membri della comunità ecclesiastica di San Martino: Alcuino li descrive impegnati sia nei loro doveri liturgici, eseguiti correttamente in onore a Dio, che nella preghiera per il bene dell’imperatore e per la stabilità dell’Impero cristiano557. Su questo aspetto, si legge successivamente, il margravio Guido di Bretagna, già inviato come misso a Tours, avrebbe potuto testimoniare al re la correttezza della vita monastica di San Martino558.

Dunque, solo dopo aver concluso questa prima sezione l’abate passa a trattare la questione principale, ossia lo scontro che si era verificato nelle vicinanze della basilica di san Martino. Inizia discolpando sé stesso dalle accuse di Teodolfo. Come abbiamo già visto nella lettera 245, negli scritti inviati da Orléans alla corte regia, si era insinuato che l’abate avesse ordinato ai confratelli di resistere agli uomini del vescovo, istigando la popolazione all’aggressione. Le violenze, però, afferma Alcuino, erano avvenute senza il suo supporto, la sua volontà e senza che ne fosse a conoscenza559. Anche i canonici avevano avuto un ruolo marginale nella rivolta del popolo di Tours. A provare l’innocenza e l’estraneità ai fatti della comunità, ricorda l’abate, era stata proprio l’investigazione ordinata dall’imperatore contro i membri di San Martino. Il misso regio, un vir venerabilis di nome Teoberto, infatti, si era recato a Tours per ben diciannove giorni, durante i quali aveva utilizzato ogni mezzo per provare le accuse sollevate contro i monaci circa la loro partecipazione attiva nel conflitto: egli infatti aveva convocato, fatto giurare, messo in

556 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «Vos autem, qui contemptores nostrae iussionis extitistis, sive canonici

sive monachi vocamini, ad placitum nostrum, iuxta quod praesens missus noster a vobis indixerit, nobis vos adsistere scitote. Et, quamvis ad nos missa hic factae seditionis vos excuset epistola, venite et condigna satisfactione inustum crimen eluite»

557 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 402: «Deum invoco testem conscientiae meae , quod nunquam eos tales

intellexi, quales audio illos a quibusdam denotari, qui paratiores sunt accusare quam salvare. In quan -tum vero videri poterit et cognosci, digne Deo faciunt officia in ecclesiis Christi, sicut – verissime testor – perfectius non vidi alios in quolibet loco celebrantes nec diligentius consuetudine cotidiana pro vestra incolomitate et christiani inperii stabilitate intercedere»

558 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 402: «Illorum siquidem conversationem et vitam a viro perfecto et iudice

incorrupto et misso fideli Widone audire potestis; qui, eorum omnia scrutans, agnovit, quid egissent vel qualiter vixissent»

catene e flagellato chiunque avesse voluto. Nessuno, però, era stato trovato colpevole, nemmeno l’unico vassallo di San Martino presente ai fatti, un certo Amalgario. Anch’egli era estraneo agli scontri: infatti Alcuino racconta che era stato accompagnato dal vassallo alla basilica e che successivamente questo si era adoperato per sedare la rivolta della popolazione e portare in salvo gli orléanesi560. Solo alcuni tra i membri più giovani avevano ammesso, sotto giuramento, di aver partecipato alla rivolta ex impetu stultitiae, senza però agire su indicazione dell’abate o dei loro superiori.561 Per Alcuino, dunque, gli uomini di Teodolfo si sarebbero dimostrati ingrati: nonostante fossero stati condotti nella basilica per la loro salvaguardia, avevano percepito l’aiuto dei canonici come un’offesa, contraccambiando, scrive Alcuino, il favore offerto dalla sua comunità con il male delle loro accuse e delle insinuazioni sul ruolo dei monaci negli scontri562.

A mettere a rischio la purezza della basilica e macchiarsi di empietà non erano stati né il chierico né i monaci della basilica di San Martino. Nella lettera indirizzata all’imperatore, dopo aver dimostrato la propria estraneità e quella dei suoi confratelli ai fatti ricordando a Carlo l’esito dell’inquisitio del misso regio, l’abate accusa i veri responsabili degli scontri e della rivolta avvenuta a Tours. Questi sarebbero da ricercare tra gli uomini incaricati della custodia del chierico. Erano stati loro, sottolinea Alcuino, a far fuggire il reo, che si era poi rifugiato a Tours, sotto la protezione del santo della basilica. La loro negligenza era stata il motivo scatenante la disputa.563

I custodi non erano gli unici colpevoli. Infatti la lettera punta poi il dito contro gli uomini inviati da Teodolfo per recuperare il fuggitivo. Questi si erano recati a Tours armati e in numero superiore al necessario. Con il loro comportamento aggressivo ed inopportuno 559 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 402: «De concursu vero et tumultu, qui ortus est in ecclesia beati Martini vel

foras in atrio, in conspectu illius testor, qui singulorum corda considerat, quod nec me exhortante vel praesciente vel etiam volente factus est».

560 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 403: «Nec ullus ex vassis sancti Martini ibi fuit nisi unus, Amalgarius

nomine; qui mecum eadem fuit hora. Quem statim misi cum aliis fratribus ad sedandum tumultum, hominesque venerandi episcopi eripere de manibus populi, ne quid mali in eos gestum esset. Qui, sedato tumultu, ducti sunt in monasterium , ubi salvi esse potuissent».

561 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 403: «Numquid non missus auctoritatis vestrae , vir venerabilis Teotbertus,

decem et novem dies pro hac inquisitione inter nos fuit; etiam et per vices accusatores nostri cum eo? Quos volebat flagellavit; quos volebat in catenam misit; quos volebat iurare fecit; quos placuit, ad vestram vocavit praesentiam».

562 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 403: «Qui, sedato tumultu, ducti sunt in monasterium , ubi salvi esse

potuissent. Qui tanto odio exarserunt in me, ut bonum, quod eis iussi facere, in malum verterint; dicentes me in obprobrium illis eulogias direxisse».

563 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 403: «Videtur enim mihi nullum plus peccasse in huius impietatis facto quam

custodem illius scelerati, ex cuius neglegentia tanta mala postea exorta a sunt. Ut cum pace eorum dicam, qui has litteras legere audiant, iustius aestimo esse illum, cuius neglegentia ille reus lapsus est de vinculis, eadem pati vincula, quam eundem reum fugitivum ad Christi dei nostri et sanctorum eius patrocinia de ecclesia ad eadem reddi vincula».

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avevano contribuito a mettere in allerta la popolazione, incitandola alla rivolta.564 Una critica non è risparmiata anche al vescovo di Tours, Giuseppe, che li aveva accompagnati nella basilica per catturare il chierico in die dominico, un giorno in cui la chiesa era piena di gente. Le accuse a Giuseppe sono però più caute. Alcuino sembra non voler generare ulteriore tensione con il vescovo locale: descrivendone il comportamento si limita ad affermare come avesse agito corde simplici, senza immaginare i problemi che le sue azioni avrebbero causato.565 Più di tutti, però, è la popolazione locale a essere condannata di

Alcuino. A Tours, questa era accorsa, armata di bastoni, «dopo che la notizia di una banda armata accorsa in città per estrarre con la forza un uomo fuggito alla protezione della chiesa e della tomba di san Martino era giunta alle orecchie di alcuni».566 Richiamati dal suono delle campane, prosegue l’abate, i monaci di San Martino erano accorsi solo in un secondo momento, per cercare di capire cosa stesse succedendo. Coloro che si erano recati sul posto si erano impegnati per sedare gli scontri. Tra i membri della sua comunità, ammette Alcuino, solo alcuni dei più giovani avrebbero peccato, prendendo parte alle violenze.

Dall’esordio della lettera, è possibile che si tratti di una replica alla precedente missiva di Carlo. L’imperatore aveva messo in relazione la cattiva reputazione della comunità con le accuse rivolte ai monaci dai uomini di Tedolfo d’Orléans. I precedenti problemi causati dalla comunità di San Martino erano stati considerati quasi una prova della loro colpevolezza. Alcuino cerca quindi di difendersi dai rimproveri mossi dall’imperatore riguardo lo stile di vita della comunità in modo da fugare i dubbi sulla bontà della motivazioni che hanno spinto i monaci ad agire contro l’intervento degli orléansi. D’altronde a provarlo, ricorda l’abate nella lettera 249, sarebbe stata proprio l’investigazione ordinata dall’imperatore contro i membri di San Martino, condotta dal vir venerabilis di nome Teoberto. Nel raccontare la procedura l’abate non risparmia una critica velata all’operato del funzionario regio: le azioni descritte, la flagellazione e il giuramento

564 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 403: «Deinde secundo loco incitatores esse huius tumultus intellego qui

armati venerunt maiori numero, quam opus esset, de civitate Aureliana in civitatem Tynicam. Maxime, quia fama cucurrit per aures populi ad hoc eos venisse, ut violenter rapuissent eum, qui confugerat ad patrocinia ecclesiae Christi et beati Martini».

565 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 403: «Tertia fuit huius tumultus instigatio, dum sanctus pater et pontifex

noster nimis inoportune populo praesente intravit ecclesiam cum hominibus, qui ad rapiendum venisse reum putabantur. Sed forte hoc fecit corde simplici, nihil mali ex hoc accidere posse aestimans».

566 MGH Epp.4, Lettera 249, p. 403: «Haec videns vulgus indoctum, qui semper res inconvenientes sine

consilio agere solet, conclamarunt, ad fustes cucurrerunt; aliqui inpigri a foris venerunt, dum signa sonare audierunt. Quorum motio per indoctorum manus ministrata est»; MGH Epp.4, Lettera 249, p. 403: «Deinde secundo loco incitatores esse huius tumultus intellego qui armati venerunt maiori numero, quam opus esset,