Parte I. La giustizia carolingia: il re, Dio e la licenza di uccidere
Capitolo 1. La realtà dei capitolar
2. Oltre la normativa: violenza e società
2.2 I capitolari all’opera: il caso di Tours
2.2.1 La testimonianza di Alcuino
Ma quali sono i dettagli della vicenda come sono presentati dalle fonti? Quali sono le conseguenze?
La mancanza della versione dei fatti riportata da Teodolfo, così come l’assenza di informazioni sulla conclusione della vicenda, limita la nostra conoscenza dell’evento. La descrizione faziosa di Alcuino, infatti, presenta la storia della rivolta solo dalla prospettiva dei monaci touriacensi. Egli infatti fornisce un resoconto circostanziato dell’accaduto sia nella lettera inviata a Wittone e Candido, residenti presso la corte di Carlo Magno, sia nell’epistola indirizzata a un amico vescovo, molto probabilmente Arnone di Salisburgo.528
Entrambe le lettere presentano su una struttura bipartita: la prima parte racconta gli avvenimenti di Tours; la seconda costituisce invece il dossier difensivo sulla valorizzazione della confessione e del diritto d’asilo redatto da Alcuino per scagionare i monaci di Tours dalle accuse che erano state mosse contro di loro.
Prima di proseguire l’analisi, però, è necessario ripercorrere l’intera vicenda. Per questo compito ci baseremo sulle lettere 245 e 246, in cui Alcuino racconta la fuga di un
527 Per una discussione sulla composizione e datazione del gruppo di lettere relative al caso di Tours si
rimanda a Wallach, Alcuin, pp. 99-140; il caso è stato brevemente trattato anche da Duckett, Alcuin, pp. 289- 294; Driscoll, Alcuin, pp.32-35.
criminale. Quest’uomo era riuscito a liberarsi dalla prigionia a causa di una disattenzione del custode ed era scappato a Tours, dove aveva trovato rifugio. Qui, scrive Alcuino, il reo si era confessato, aveva ammesso le sue colpe, e aveva richiesto di potersi riconciliare e di essere ascoltato dall’imperatore, domandando un salvacondotto per essere scortato da Carlo.529 I fratelli della comunità ecclesiastica lo avevano dato in consegna agli uomini del vescovo, accorsi a Tours per riprendere in consegna il fuggitivo. In questa fase nulla sembra far presagire a uno scontro tra le parti: i membri della comunità avevano infatti riconosciuto il diritto di Teodolfo di recuperare il reo, perché continuasse la penitenza, e lo avevano riconsegnato agli orléanesi.
La missione di recupero, però, non andò come programmato. Le due lettere concordano che a Tours, gli orléanesi sentite alcune voci su una possibile imboscata organizzata ai loro danni, per paura di essere attaccati, avevano infatti lasciato nuovamente libero il prigioniero di fronte alle porte della basilica530. Poco dopo, però -racconta Alcuino in entrambe le epistolae- Teodolfo aveva inviato un nuovo contingente, più numeroso. Il gruppo di uomini era tornato a Tours hostiliter e armato per riprendere in consegna il criminale.531 Così, con la collaborazione del vescovo di Tours, Giuseppe, otto di questi erano entrati nella basilica in die dominico 532. Quando gli uomini di Teodolfo, senza rispetto per il luogo sacro, avevano superato il cancello che delimitava l’area in cui erano ubicati l’altare e il sepolcro di san Martino, per catturare l’uomo, i monaci erano intervenuti prontamente per evitare che fosse sparso del sangue533, allontanandoli dall’area sacra534.
528 Il tono con cui si rivolge al suo lettore e la presenza di una seconda lettera, relativa al caso di Tours,
indirizzata ad Arnone di Salisburgo ci permettono di ipotizzare che il destinatario di questa seconda missiva fosse proprio il vescovo della cittadina austriaca.
529 MGH Epp.4, Lettera 245, p. 393: «Qui reus, post plurima poenarum genera subito de vinculis elapsus, ad
ecclesia confugit sancti Martini, praecipui confessoris Christi; confitens peccata sua; reconciliationem deposcens; cesarem appellans; viam ad eius sanctissimam presentiam flagitans». Alcuino usa le stasse frase nella lettera 246, MGH Epp.4, Lettera 246, p. 398.
530 MGH Epp.4, Lettera 246, p. 398: «Qui redditus eiusdem praefati episcopi missis, ut sanus deduceretur ad
praesentiam domni archiepiscopi sub fide illorum ad canonicam paenitentiam. Quo accepto, non ausi sunt eum ducere propter insidias sibi paratas in via, ut fertur; abeuntes eum dimiserunt ante fores ecclesiae stantem» si veda anche MGH Epp.4, Lettera 245, p. 393.
531 MGH Epp.4, Lettera 245, p. 393: «Sed eiusdem venerandi episcopi his transactis hostiliter venerunt
homines quam plurimi, ut conpertum est» Epistolae Karolini aevi IV, Lettera 246, p. 398: Sed eiusdem venerandi pontificis post tempus hostiliter venerunt homines quam plurimi, ut conpertum est»; MGH Epp.4,
Lettera 249, p. 403: « Deinde secundo loco incitatores esse huius tumultus intellego qui armati venerunt
maiori numero, quam opus esset, de civitate Aureliana in civitatem Tyronicam».
532 MGH Epp.4, Lettera 245, p. 393. «Sed octo primates homines intraverunt cum episcopo nostro die
dominico in ecclesiam»; MGH Epp.4, Lettera 246, p. 398: «Sed principales homines intraverunt ecclesiam die dominica cum sanctissimo episcopo nostro».
533 MGH Epp.4, Lettera 246, p. 398: «Sed principales homines intraverunt ecclesiam die dominica cum
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Nel raccontare il secondo intervento degli orléanesi, Alcuino si dilunga in una descrizione più dettagliata rispetto alla prima fase della vicenda, forse perché si trattava di uno dei comportamenti contestati ai membri della comunità di San Martino da Teodolfo, nelle lettere inviate a Carlo Magno. In entrambe le sue missive, infatti, Alcuino conclude l’episodio con questa precisazione: «se raccontano altre cose, dicono il falso». Ribadisce, inoltre, che nessuno degli uomini di Orléans aveva abbassato il capo difronte all’altare di Dio.535 Con il loro comportamento gli otto orléanesi avevano dunque profanato la santità della casa di Dio e offeso l’onore di san Martino, giustificando la reazione dei confratelli.
Il conflitto, però, non si era chiuso qui. Nella prima lettera (ep. 245) Alcuino racconta che il semplice suono delle campane aveva messo in allerta il volgo; nella lettera ad Arnone (ep. 246) precisa, invece, che erano state le grida di un compagno del fuggitivo a richiamare la popolazione: mentre gli uomini di Orléans avevano portato fuori dalla chiesa un uomo del fuggitivo con la forza, precisa Alcuino ad Arnone, questi aveva gridato aiuto.536 In breve tempo, la notizia di una banda armata venuta da Orléans per profanare le reliquie di san Martino si era diffusa in tutte le aree della città, specialmente tra i poveri. Presto, la popolazione era accorsa in massa per proteggere il loro patrono, Martino. La disputa era così sfociata in un tumulto. I monaci erano stati costretti a intervenire nuovamente, questa volta per portare in salvo gli uomini di Teodolfo dall’aggressione della folla.537
Gli avvenimenti seguiti all’intervento della popolazione, però, sembrano essere un ulteriore motivo di contesa. Alcuino, infatti, vi allude quando scrive di essere a conoscenza delle molte accuse mosse contro i suoi confratelli; sembrerebbe dunque che il vescovo di Orléans avesse accusato i membri della comunità di San Martino di aver istigato la rivolta.
sanctitatem domus Dei profanare et sancti confessoris Christi Martini inminuere honorem, inruentes siquidem intra cancellos altaris. Quos expulerunt fratres ante faciem altaris, timentes, ne inter altare et sepulcrum sanctissimi confessoris Christi sanguinis effusio foret».
534 MGH Epp.4, Lettera 245, p. 393: «Non illi octo, qui in propheta leguntur in gladiis et lanceis pascere
terram Nemroth, sed rapere reum et sanctitatem domus Dei profanare et sancti confessoris Christi Martini imminuere honorem; inruentes siquidem intra cancellos altaris. Quos expulerunt fratres ante faciem altaris»
535 MGH Epp.4, Lettera 245, p. 393: «Si aliud dicunt, omnia falsum fecerent».
536 MGH Epp.4, Lettera 246, p. 398: «Raptus est quidam homo illius fugitivi medio populi, ut duceretur
foras. Qui clamavit auxilium. Hoc populus partim videns, partim audiens, fuit subito clamor ingens et concursus populi, maxime pauperum, ex omni parte civitatis».
537 MGH Epp.4, Lettera 245, p. 394: «Sonuit siquidem ante civitatem venisse hostem Aurelianensem ad
profananda sancti Martini suffragia; quia sciebant commanentes perd villulas homines, exinde venientes . Concursus fuit in civitate subito mendicorum ex omni parte, suum parati defensorem defendere; timor et tumultus ubique inerepuit. De quorum manibus fratres nostri eripuerunt praefati episcopi homines, ne quid mali paterentur populum que foras ecclesiam expulerunt» La medesima descrizione è fatta in MGH Epp.4,
Secondo l’anglosassone, però, Teodolfo avrebbe esagerato molti particolari e molti degli avvenimenti non sarebbero andati come descritti dal suo antagonista538.
È chiaro quindi che i problemi verificatesi a Tours fossero discussi ad alti livelli. La richiesta di intercessione fatta ai suoi discepoli e la posizione sociale dei destinatari delle sue lettere, in ogni caso personaggi che gravitavano intorno alla corte regia, testimoniano come le epistolae siano state scritte con lo scopo di influenzare lo stesso Carlo Magno. Infatti, nella lettera rivolta a Wittone e Candido (ep. 245), Alcuino chiede ai suoi allievi presenti a corte di prostrarsi di fronte all’imperatore e di intercedere per il loro maestro perché gli venisse concessa la possibilità di difendere i confratelli e discutere con il re di una serie di questioni: se fosse giusto catturare con la forza un reo, dalla chiesa in cui si era rifugiato; se fosse equo, che colui che aveva chiesto appello all’imperatore, non vi fosse condotto; se mai fosse giusto che una persona, una volta confessati i peccati e fatta penitenza, venisse privata di tutti i suoi averi, fino al cuoio delle calzature539. Per questo motivo Alcuino conclude le sue lettere con l’esortazione a far prevalere la misericordia sul giudizio.
Le due testimonianze presentano quindi la disputa nei termini di una discemptatio, vale a dire uno scontro sorto tra Teodolfo e i canonici della basilica di San Martino a Tours. Oggetto del contrasto era un fuggitivo, di cui Alcuino, però, non fornisce alcun dato utile all’identificazione dell’uomo. Dalla corrispondenza tra l’anglosassone e l’imperatore carolingio (ep. 247) apprendiamo, però, che l’uomo apparteneva all’ordo clericorum.540
Costui, secondo tutti gli attori protagonisti della vicenda, si era macchiato di un crimine di cui non si conosceva la natura, ma di cui Alcuino riconosce la gravità. Nel descrivere ad Arnone gli avvenimenti che hanno dato inizio al conflitto (ep. 246) l’anglosassone ammette la colpevolezza del criminale, rivelando all’amico le resposabilità del reo, il quale aveva commesso multa peccata et scelera impia.541 Per quanto l’indicazione sia vaga e non permetta di conoscere con precisione il tipo di crimine
538 MGH Epp.4, Lettera 245, p. 394: «Sed scio ante nominatum pontificem multas dicturum esse
accusationes contra fratres nostros; et quae gesta sunt exaggerare; et plurima addere quae gesta non erant; sicut in eius legebatur litteris» La medesima descrizione è fatta in MGH Epp.4, Lettera 246, pp. 398.
539 MGH Epp.4, Lettera 245, p. 394: «Quapropter, filii carissimi, praecipiendo praecipio vobis, ut prostrati
veniatis ante pedes domini mei David, imperatoris aequissimi et serenissimi; postulantes, episcopo veniente, locum defensandi et disputandi cum eo: si iustum sit, ut vi raperetur de ecclesia ad easdem poenas reus, de quibus aufugit; et an aequum sit, ut, qui cesarem appellat, ad cesarem non adducatur; et utrum fas sit, ut paenitens et confitens scelera sua spolietur omnibus bonis usque corrigiam calciamenti».
540 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «Hic vero infamis clericus, et accusatus. et iudicatus et in custodiam
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commesso, tuttavia l’utilizzo del termine scelus non è casuale: nella legislazione civile ed ecclesiastica scelus era spesso utilizzato per indicare sia reati sia peccati di notevole gravità, che venivano condannati con una penitenza pubblica. Dunque possiamo affermare che il fuggitivo si fosse macchiato di colpe serie, in grado di causare un notevole clamore nella comunità locale tanto da rendere legittimo l’intervento dell’autorità. Infatti sempre dalle lettere apprendiamo che il fuggitivo era stato condannato da un tribunale presieduto dal vescovo Teodolfo; sfortunatamente le fonti non precisano se si trattasse di un tribunale ecclesiastico o secolare.542 Dalle epistolae 245 e 246 sappiamo con certezza, però, che il
chierico fu messo sotto custodia e che il reo dovesse ancora scontare la penitenza canonica, a cui era stato evidentemente condannato (ep. 246).543 Dopo una prima fuga conclusa con la confessione a Tours, l’uomo era stata rimesso in consegna dai monaci di Orléans agli uomini di Teodolfo per continuare la sua penitenza, senza alcun tipo di problema. A questo punto, però, il gruppo di orléanesi, spaventato dalle notizie su un possibile agguato, aveva abbandonato l’uomo davanti alla chiesa di San Martino.
La fonte non ci dice chi avesse organizzato questa aggressione nei confronti degli uomini di Teodolfo. Le ipotesi possono essere molte. Come abbiamo visto però, una delle lettere –ep. 246- menziona la presenza di un compagno del reo nella chiesa. Probabilmente il chierico non era solo, ma era scappato con l’aiuto di alcuni suoi compagni, amici o familiari. Proprio questi potrebbero aver costretto gli orléanesi alla fuga, consentendo al chierico di rifugiarsi nuovamente all’interno della basilica.544
Durante la seconda fase del conflitto il vescovo di Tours sembra aver cooperato con Teodolfo contro Alcuino e i confratelli della comunità di San Martino. Anche in questo caso, si tratta di una situazione particolare, molto differente dal contesto merovingio, rappresentato nei racconti di Gregorio di Tours, in cui i vescovi sono spesso descritti nella difesa del diritto d’asilo. La particolarità del caso è sicuramente il risultato di una complessa situazione giuridica: nel corso della prima metà dell’VIII secolo, tra 730 e 750, 541 MGH Epp.4, Lettera 247, p. 400: «Hic vero infamis clericus, et accusatus. et iudicatus et in custodiam
missus»; MGH Epp.4, Lettera 246, p. 399: «Certum est eundem reum multa perpetrasse peccata et scelera impia valde».
542 Secondo Wallach, Alcuin, p. 112, il chierico era stato prima condannato da un tribunale secolare
presieduto da Teodolfo in qualità di misso imperiale e poi ordinato alla penitenza canonica da un tribunale ecclesiastico. La procedura sarebbe descritta dal Breviarium Alariciarum (Codex Theodosiaus 16. 2. 23). In questo caso, però, non si trova alcuna menzione testuale a questa procedura.
543 MGH Epp.4, Lettera 246, p. 398: «ad penitentiam canonicam»; MGH Epp.4, Lettere 245, p. 393 e MGH
Epp.4, Lettera 246, p. 398 menzionano l’incatenamento: « de vinculis elapsus».
544 In una delle lettere si menziona la presenza di un uomo che accompagnava il chierico e si trovava con lui
all’interno della chiesa MGH Epp.4, Lettera 246, p. 398: «Raptus est quidam homo illius fugitivi medio populi, ut duceretur foras».
la comunità di canonici che viveva nelle vicinanza del sepolcro di san Martino era diventata una comunità monastica e aveva ottenuto il diritto di immunitas, fuoriuscendo dal controllo del vescovo; così la difesa dei diritti d’asilo della basilica di San Martino era passata dalle mani del vescovo a quelle dell’abate e dei monaci.545 Di conseguenza, quando per catturare l’uomo gli uomini di Teodolfo avevano superato il cancello che delimitava l’area in cui erano ubicati l’altare e il sepolcro di san Martino, senza rispetto per il luogo sacro, i monaci erano intervenuti prontamente per evitare che fosse sparso del sangue546, allontanandoli dall’area sacra547. Dalle due lettere sembrerebbe che l’intervento dei monaci fosse giustificato dall’offesa recata al santo dalla banda armata e dalla necessità di proteggere lo spazio sacro dal pericolo dello spargimento di sangue. Per legittimare il comportamento dei suoi confratelli all’interno della basilica, Alcuino fa dunque appello a una tematica a cui Arnone e la corte regia avrebbero dovuto essere particolarmente sensibili: la contaminazione dei luoghi sacri con comportamenti irrispettosi o impuri costituiva infatti una delle preoccupazioni principali nella normativa carolingia. Per questo, i penitenziali e la legislazione regia dell’epoca dedicavano diverse prescrizioni alla tutela dei luoghi di culto, e in particolare dallo spargimento di sangue.
Analizzando le parole di Alcuino sembra che i monaci, dunque, avessero agito secondo una preoccupazione condivisa dalla comunità carolingia, nel rispetto di uno dei compiti affidati ai membri del clero, la tutela del luogo sacro. Le aggressioni agli uomini di Teodolfo sembrerebbero così ampiamente giusticate.
545 Un riferimento alla vita monastica è contenuto nella Vita Pandulfi abbatis Waractensis, in MGH SS.
Rer.Merov. 7, p. 32; per la menzione dell’immunitas si veda il diploma MGH D Karol. I 97.
546 MGH Epp.4, Lettera 246, p. 398: «Sed principales homines intraverunt ecclesiam die dominica cum
sanctissimo episcopo nostro , ut visum est, rapere reum iacentem ante sepulchrum sancti confessoris Christi et sanctitatem domus Dei profanare et sancti confessoris Christi Martini inminuere honorem, inruentes siquidem intra cancellos altaris. Quos expulerunt fratres ante faciem altaris, timentes, ne inter altare et sepulcrum sanctissimi confessoris Christi sanguinis effusio foret».
547 MGH Epp.4, Lettera 245, pp. 393: «Non illi octo, qui in propheta leguntur in gladiis et lanceis pascere
terram Nemroth, sed rapere reum et sanctitatem domus Dei profanare et sancti confessoris Christi Martini imminuere honorem; inruentes siquidem intra cancellos altaris. Quos expulerunt fratres ante faciem altaris».
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