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Altri spazi per la parola: l’appartamento del doppio Aleksej/Andrej e i corridoi della tipografia

La dissolvenza in nero sulla mano davanti al fuoco segna la fine della prima macrosequenza, ma il gioco delle connessioni e dei rimandi all’interno del film si estende oltre questi termini di carattere narrativo. È lo stridere della mano sul vetro bagnato, diventata il passaggio di un tram, che ci porta a scoprire l’origine del sogno di Aleksej ed egli si desta in un appartamento moscovita per rispondere alla telefonata della madre. Fedele all’assunto di non offrire allo spettatore una figura nella quale incarnare il soggetto di cui si stanno osservando l’immaginario, i processi della memoria e i sogni, Tarkovskij rappresenta il protagonista del film adoperando esclusivamente la voce e, pur ricorrendo alla voce over, non gli concede una rassicurante posizione esterna da cui mostrare il dominio e il controllo sul flusso di coscienza.

Il contenuto della telefonata ribatte alcuni temi tarkovskijani: dalla debolezza della voce, che è flebile a causa dell’angina e ha costretto il protagonista a giorni di mutismo, di silenzio, si passa a quella della parola, che non riesce ad esprimere autenticamente il pensiero. Anche le parole soffrono di ‘debolezza’: ritorna il tema della loro inconsistenza, che nell’incipit del film era stato presentato e risolto con la guarigione del balbuziente. Successivamente, nel cuore della prima lirica di Arsenij Tarkovskij, la parola riacquista il suo pieno significato solo se è in grado di farsi testimone, attraverso il ritmo sonoro che la caratterizza, della creazione dal suono del microcosmo dai tratti idillici contenuto nella lirica.

Il narratore, invece, depresso e stanco della propria esistenza, tenta di mascherare con il suo cinismo, che confida nel silenzio, il senso di colpa per la sua incapacità di comunicare con la compagna (Natal’ja), con il figlio (Ignat) e prima di tutto con la madre, dato che la telefonata si chiude con un litigio. In questo breve intermezzo telefonico egli sembra poi paralizzato e immerso nella propria memoria e nei propri sogni dell’infanzia, incapace di liberarsene e non intende ancora sacrificarli per dar vita alla parola ‘liberata’ o al simbolo sonoro della creazione, messi in scena rispettivamente dalla guarigione del balbuziente o dal canto della poesia paterna.

Se il contenuto della sequenza ribadisce alcuni motivi essenziali del film come il potere del suono, la sua messa in scena lo arricchisce di connotazioni. Il visivo è rappresentato da un unico piano sequenza composto da una lenta panoramica semicircolare nella prima stanza ad un capo dell’appartamento a cui segue, senza soluzione di continuità, una altrettanto lenta

148 carrellata in avanti che attraversa una teoria di porte aperte: esse fanno da cornice alla visione fino a raggiungere una finestra invalicabile dallo sguardo perché coperta da una tenda.

Questo movimento attraverso lo spazio vuoto sembra voler ambientare lo spettatore per i successivi episodi che vedranno coinvolti la compagna di Aleksej, Natal’ja, da cui si è separato, e il figlio Ignat: non mancano le nature morte alle finestre su cui fissare l’attenzione e la locandina francese dell’Andrej Rublev, il film di Tarkovskij che suggerisce così la parziale sovrapposizione tra l’autore, il regista e la voce narrante.

Passando alla combinazione audiovisiva è necessario concentrare l’attenzione sulle voci e sul loro rapporto con lo spazio disegnato dalla macchina da presa: la voce di Andrej, almeno al principio della telefonata, abita lo spazio dell’appartamento mentre quella della madre è comprensibilmente un po’ più tenue e velata. Ma quando la macchina da presa inizia a spostarsi nell’appartamento la voce del protagonista non cambia in nessuna delle sue caratteristiche e noi la ascoltiamo sempre in primo piano sonoro, invece quella della madre acquista un riverbero inconsueto come se si diffondesse nello spazio vuoto venendo parzialmente riflessa dalle pareti.

La voce di Aleksej non possiede alcun elemento utile allo spettatore per sistemarla nello spazio della visione imbevuto invece della presenza materna, che subito si sistema tra le sue pareti: essa è libera di vagare sull’immagine senza una precisa collocazione riempiendola con le sue ciniche osservazioni sulla parola e con le richieste alla madre di fornirgli le informazioni necessarie per ancorare i suoi sogni e i suoi ricordi d’infanzia. Grazie alla combinazione audiovisiva analizzata, il presente messo in scena in questa conversazione telefonica appare più fantasmatico e inconsistente dei sogni e dei vividi ricordi a cui abbiamo assistito nelle sequenze d’apertura134.

Il contenuto del dialogo telefonico è ben chiaro agli autori fin dall’inizio della lavorazione: Dialogo telefonico con sguardo al passato:

sulla morte di Elisaveta Petrovna

sul fiume (Worona) e sulla fattoria isolata sul sogno, la malattia e l’odio per se stesso

sul tempo, quando il padre se ne andò da noi (incendio), sulla necessità di credere in Dio, sulla disperazione di un uomo che non sa di credere in Dio.135

Le parole che si devono scambiare madre e figlio riguardano la rievocazione del passato e si agganciano inevitabilmente alla sequenza della fattoria, all’incendio e all’abbandono della

134 L’analisi della sequenza estende alcune riflessioni molto interessanti presenti in: Truppin, And Then

There Was Sound: The Films Of Andrei Tarkovsky in Altman, Sound Theory, Sound Practise, cit., p. 242 e 248.

135 Tarkowskij, Der Spiegel, Novelle, Arbeitstagebücher und Materialien zur Entstehung des Films, cit., p. 96. Nota del 22/03/1973.

149 casa da parte del padre (che deve essere avvenuto nello stesso anno). Tra questi elementi rientra anche la Vorona, fiume nel quale Tarkovskij ha girato numerose inquadrature per la sequenza della casa di campagna che però poi ha per buona parte scartato, inserendone solo alcune nel sogno che precede il finale: il simbolismo troppo esplicito rappresentato dal fiume e dalla ricerca del tempo dell’infanzia hanno indotto il regista a sacrificare la sequenza che doveva introdurre la casa di campagna per poi giungere all’incendio.

A queste considerazioni che riguardano la memoria di Aleksej si integra la notizia della morte di Elisavela Petrovna, la collega di Marija alla tipografia: questa informazione fornita dalla madre, che si incunea così nella rete dei ricordi e della rievocazione del passato tessuta dal figlio, proietta il loro dialogo sul presente anche se si prepara a lanciare l’episodio della tipografia. I restanti argomenti elencati dilatano il colloquio su un piano pericolosamente vicino alle riflessioni degli autori previste nei piani di lavorazione e lasciate nel montaggio definitivo del film fin quasi alla versione finale.

Al problema del credere e all’odio verso l’inconsistenza interiore da parte del personaggio principale Tarkovskij sostituirà nella versione finale la sottolineatura della condizione tipica dei protagonisti tarkovskijani, che ritroveremo espressa quasi con le stesse parole in

Nostalghia e nella sceneggiatura di questo film presentata alla produzione: il protagonista

dichiara di aver perso qualsiasi nozione del tempo sentendosi estraneo alla realtà che vive intorno a lui e tentando in ogni modo la via del ripiegamento, dell’isolamento nel proprio immaginario. A partire da questa condizione, però, l’autore si stacca dal personaggio che dovrebbe adombrarlo, anche da Aleksej, assumendo un atteggiamento marcatamente dialettico, di superamento della crisi interiore dei suoi personaggi e questo distacco è visibile a partire proprio dalla costruzione dei loro sogni, come si vedrà nel prosieguo dell’analisi.

Da uno schema così articolato il monologo risultante non può non essere piuttosto lungo136: Tarkovskij tenta di coordinare tutti i diversi argomenti, ma rispetto alla versione finale trascura proprio le riflessioni sulla parola che ritroveremo invece a chiusura della panoramica semicircolare con cui si esplora la prima parte dell’abitato e insieme vuoto appartamento cittadino. I tagli apportati al termine del montaggio definitivo riducono i temi trattati e preparano la sequenza alla sua funzione di ponte tra il blocco costituito dalla fattoria e l’episodio della tipografia che dovrebbe condensare, alla pari di quello degli orecchini, la sofferenza e la dignità della figura della madre.

136 La nota del 28/12/1973 riporta per intero il dialogo telefonico con la madre di cui si sta parlando, ma il 20/04/1974 Tarkovskij registra la sua riduzione o meglio la sua «ripulitura».

150 Nelle diverse sistemazioni delle macrosequenze per giungere al film nella sua versione definitiva, il colloquio con la madre trova essenzialmente due collocazioni: una lo vede inserito nello svolgimento dei sogni, l’altra, invece, in una posizione mediana tra l’episodio della fattoria e la tipografia.

Con la prima soluzione Tarkovskij intende affrontare il problema costituito dal sogno all’interno di un’opera che disattende i canoni narrativi tradizionali. Le parole della telefonata forniscono degli elementi per completare l’interpretazione degli eventi incongrui del racconto onirico intorno alla casa di campagna e in alcune versioni del montaggio definitivo Tarkovskij prevede persino, prima della sequenza onirica, l’inserimento di un monologo sul sogno da parte dell’autore, evidentemente per orientarne la comprensione. Sempre confidando sul suo contenuto Tarkovskij talvolta lo pone prima della rappresentazione degli episodi che cita fornendo delle coordinate temporali sicure per sistemarli rispetto al racconto della vita della protagonista e della voce narrante.

Già alla terza versione è però evidente che per gli argomenti suggeriti la sequenza attrae non solo l’episodio della fattoria (con il suo sogno), ma anche la vicenda nella tipografia: la telefonata consente all’immaginario di Aleksej di inglobare e rielaborare un episodio chiave nella vita della madre. Anche se le macrosequenze non sono ancora direttamente saldate insieme come nella versione finale e alcune curiose e persistenti inserzioni li separano, il loro ordine appare ormai stabilito: la telefonata tra la madre e il figlio sta come un tunnel sonoro tra la fattoria e la tipografia evitando di diventare la didascalia, la semplice anticipazione a parole ora dell’uno, ora dell’altro o di entrambi. Le parole trasportate dalle voci dei due protagonisti si spandono nell’appartamento deserto: l’attenzione è puntata sul loro discorrere e sul loro esaurirsi che darà vita nuovamente alla figura di Mar’ja in uno dei momenti che il figlio Andrej (alias Aleksej) ritiene più significativi nella sua esistenza.

Il motivo dominante nella costruzione della vicenda legata alla tipografia è il corridoio, la condotta che incanala i movimenti della donna segnandone il percorso: come nella fattoria o nell’appartamento moscovita di Aleksej, Tarkovskij ricostruisce il luogo nel quale si dibatte la protagonista nel suo quotidiano; la macchina da presa cattura prevalentemente in campo totale gli spazi attraversati seguendola a debita distanza e raccordandosi così idealmente al motivo visivo inaugurato con il colloquio telefonico tra madre e figlio.

Senza mai mostrare o nominare la causa dalla quale tutto è stato generato, un presunto refuso nei discorsi di Stalin che evidentemente poteva costare caro alla correttrice di bozze e a tutto l’ufficio, il regista pedina passo dopo passo la protagonista (insieme ai suoi colleghi) cogliendone ed intensificandone con opportuni rallenty le tensioni scaturite dall’episodio:

151 Tarkovskij opera così non soltanto sul piano della recitazione dell’attore, di cui coglie tutte le sfumature corrispondenti ai diversi stati d’animo che si alternano sul volto, ma anche sui cambiamenti d’atmosfera ottenuti con le dilatazioni temporali che creano posture e rapporti plastici con lo spazio circostante altrimenti non percepibili137.

Nasce così una sequenza dove il fatto è celato e pare non si possa nemmeno nominare, ma si scrutano con attenzione tutti i segni sui volti, sui corpi e sullo spazio del tragitto della tensione che attraversa l’episodio: anche la parola e persino la citazione letteraria dostoevskijana (o dantesca), come si registra nella crisi isterica di Elisaveta, sono al servizio del disegno emozionale che si libera dall’evento generatosi intorno alla parola stampata, alla sua stolida, meccanica riproduzione irrevocabile (il processo di stampa è già stato avviato e non si può fermare) che Mar’ja è costretta a servire e che potrebbe diventare per lei una condanna.

La tessitura degli elementi del visivo nella tipografia riprende la ripartizione notata nel primo sogno: il bianco e nero di tonalità seppia caratterizza tutto l’episodio dalla corsa affannata attraverso il parco e gli stabili tetri della tipografia alla doccia, dove termina l’episodio che esplode nel colore con la visione del fuoco. Del sogno vengono quindi ripresi gli elementi naturali: dell’acqua, addensata in un muro, Tarkovskij recupera la propensione a dissolvere lo spazio dell’immagine e le forze del personaggio femminile, del secondo invece esalta il valore simbolico dello slancio verticale della fiamma mobile e ardente sulla collina, che esplode vitale proprio allo scioglimento della sequenza.

L’ingresso con la guardiola, le passerelle, i corridoi spogli ed echeggianti, i cortili e gli stanzoni semivuoti e disadorni fanno da casa di risonanza al ritmo sonoro dei passi e al respiro corto della protagonista in singolare primo piano sonoro anche negli spazi aperti del parco. A questi segni del corpo sottoposto alla fatica fa da sfondo non solo il vuoto buio della tipografia ma anche la pioggia che negli esterni imbeve il corpo di Marija come nel primo sogno, ingrigendo l’atmosfera della sequenza incurante della sua tensione come se intendesse scioglierla, fiaccarla.

Dopo la significativa parentesi del frastuono delle macchine che confezionano la parola stampata sotto la sorveglianza dello sguardo di Stalin nei manifesti alle pareti, la pioggia tornerà come elemento atmosferico della lirica, che risuona di nuovo over con la voce di Arsenij Tarkovskij, dopo la verifica che il refuso non c’era. Il ritmo sonoro dei passi si

137 La nota del 4/10/1973 sottolinea la necessità di cogliere le dinamiche interiori della protagonista dai movimenti: Tarkovskij parla, per esempio, del «precipitarsi» della Terechova e in seguito dimostra di essere ben consapevole dell’uso della pioggia come fenomeno che incide non solo sull’atmosfera dell’immagine, ma persino sull’attrice (nota del 5/10/1973).

152 stratifica su quello della breve poesia che questa volta descrive un incontro mancato, una lacerazione amorosa disegnata dall’inclemenza del tempo e dai giudizi degli estranei. In particolare nel finale la parola poetica scopre i propri limiti: si arrende alla pioggia incapace di arginarne il continuo stillare, di ingabbiarlo in un significato e così esso non asciuga nemmeno le loro lacrime di solitudine, che si possono immaginare su Mar’ja mentre attraversa il corridoio deserto della tipografia in una luce irreale.

La crisi isterica di Elisaveta sviluppa invece il motivo del giudizio degli estranei a cui ha risposto sempre l’orgogliosa solitudine della protagonista, ma l’acqua non ha ancora cessato di attraversare l’episodio nelle sue diverse materializzazioni audiovisive: nella doccia purificatrice finale essa viene risucchiata nei tubi improvvisamente priva di pressione, gorgogliando senza la forza necessaria per uscire. Restano solo le ultime gocce sonore a segnare il fine dell’episodio e l’attenzione con cui Tarkovskij scruta sul volto della protagonista l’alternarsi di emozioni che non prendono la parola, ma vengono risolte con l’inattesa visione del fuoco sulla collina, accompagnato dalla massa risonante di un pianoforte a cui sia stata violentemente chiusa (o percossa) la cassa armonica. La sonorità inserita su questa immagine della fiamma innalzata su un piccolo rilievo, per quanto sia piuttosto breve, richiama il motivo elettronico con cui si è osservato l’elemento fuoco durante l’incendio del fienile, ma è soprattutto la tessitura del visivo, con l’improvviso passaggio al colore, che riporta la sequenza appena analizzata alla dimensione del primo sogno e al suo sviluppo.

Dai diari è proprio il finale a subire le maggiori e più significative modifiche durante la lavorazione: non intendendo evidentemente lasciare ai personaggi il compito di chiudere la sequenza con la manifestazione delle loro tensioni interiori, Tarkovskij prevede un’inquadratura che superi la dimensione psicologica. Una prima soluzione prevede l’inserzione, dopo la doccia di Mar’ja, di un quadro in bianco e nero con il volo di un uccello, probabilmente prelevato dal sogno, e poi fissa invece l’apparizione del fuoco sulla collina138.

Il cambio non è solo contenutistico, ma è anche attento alla tessitura della sequenza: l’incendio deve infatti essere a colori e rompere la continuità cromatica della rievocazione dell’episodio nella tipografia (bianco e nero virato seppia), mentre invece l’immagine del volo, o dell’elemento aria, che l’uccello rievoca, può restare in bianco e nero e saldarsi dal punto di vista del contenuto al prosieguo della sequenza, che prevedeva il successivo rapporto del capo ufficio, impersonato da Nikolaj Grinko, sul primato del volo sovietico139.

138 Tarkowskij, Der Spiegel, Novelle, Arbeitstagebücher und Materialien zur Entstehung des Films, cit., pp. 174-175 e 180. Note 15/12/1973 e 29/12/1973.

153 In entrambi i casi gli inserti previsti spostano in diversa misura il tono della sequenza evidenziando il disegno di rimandi interni operato con gli elementi primi della natura che irrompono nel tessuto tarkovskijano: l’aria e il fuoco si misurano con l’esaurirsi dell’acqua e il secondo diventerà il vertice drammatico della sequenza staccando il ritorno in ufficio e il discorso sul volo, previsti nella sceneggiatura di lavoro, dal resto della sequenza e decretandone alla fine l’eliminazione.

La visione del fuoco trova forse la sua spiegazione nella soluzione sonora che la accompagna: il colpo dato alla cassa armonica del pianoforte o un cluster con molte note della tastiera, di cui sia stato trasformato parzialmente l’attacco rendendo più evanescente lo

sforzato, rappresenta un’esplosione primigenia da cui si genera un’iridescenza di suoni

vibranti. Questa sonorità si sovrappone alla verticalità della fiamma sulla collina fornendo il ritmo della creazione e facendo così riemergere nell’opera la presenza attiva del suo costruttore.

Il passaggio improvviso al colore, l’irruzione di un elemento ‘opposto’ rispetto all’acqua che ha accompagnato l’intera sequenza (dall’arrivo alla tipografia, alla lirica di Arsenij Tarkovskij, alle lacrime dell’esplosione isterica, alla doccia purificatrice), la ripresa delle sonorità qualitativamente somiglianti alla sequenza iniziale dedicata all’incendio del fienile non sono solo la traccia di un dualismo maschile-femminile la cui continua circolazione (o tentativo di ricomposizione) attraversa e muove il film, ma costituiscono i segni del lavoro di tessitura dell’opera che Tarkovskij intende rendere visibile a partire dalla connessione dei pezzi e dal loro contenuto. Il ritorno del suono luminoso scandisce il passaggio tra le sequenze stabilendo le premesse per il taglio della sua parte finale ideata nella sceneggiatura, che portava a compimento l’episodio su un evento squisitamente narrativo con la parte dedicata al rapporto sul volo.

In virtù di questa impostazione iniziale, non deve sorprendere che nei tentativi di montaggio definitivo del film Tarkovskij abbia letteralmente incollato la “tipografia” all’ascensione dei palloni aerostatici. L’accoppiamento delle due sequenze era dettato da analogie evidenti sul piano del contenuto rafforzate dalla soluzione progettata fin dalla sceneggiatura di lavoro, ma Tarkovskij scombina questo piano controllato dalla linearità della narrazione per operare una discontinuità che porta in primo piano il lavoro di costruzione del film e i ritornelli affidati agli elementi primi della natura. Il volo, la dinamica ascensionale dei palloni e una delle rare inquadrature dove si vede il cielo e le sue qualità necessarie al racconto cinematografico tarkovskijano, sono liberati e diventano il vertice audiovisivo della successiva sequenza dedicata alla nostalgia della patria (gli spagnoli e la guerra civile).

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