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Il lungo ritorno dal cosmo alla terra: il quadro sonoro di Artemev per i cacciatori nella neve di Brueghel

Il drammatico contrappasso, che lega gli ospiti alla presenza dei terrestri da cui sono stati generati e che per gli scienziati nella stazione corrisponde alla presenza inamovibile e viva della parte più profonda della loro coscienza con cui sono chiamati a confrontarsi e a misurare ogni loro azione, ogni loro idea o principio, è sperimentato da Kelvin con lo sfondamento della porta della cabina da parte di Hari: il suo corpo sfigurato orribilmente dal metallo è rappresentato musicalmente con la deformazione del suo grido disperato e i colpi fortemente echeggiati della materia che sotto la pressione perde la sua forma originaria e la sua funzione.

73 Si veda: Yegorova, Edward Artemev’s Musical Universe, cit. p.73. L’effetto, compatibilmente con il riverbero in cui questi richiami si trovano immersi che li proietta in una lontananza o in una profondità inattingibile, tutta sonora, può ricordare quello dei gabbiani usati dal Tarkovskij per l’incipit del radiodramma La

85 I rumori nella stazione, come ad esempio quelli seguenti alla caduta dei contenitori di vetro nel bagno della cabina, che per altro rappresentano momenti di vita quotidiana tutto altro che fantascientifica, non si presentano mai realisticamente inseriti nel contesto spaziale tracciato dal visivo, ma lo eccedono sia in volume che in riverbero, giungendo fino all’eco che stabilisce una dimensione ben più ampia e vuota di quella visibile oppure differenzia i locali della stazione: la zona in cui vivono il protagonista e la seconda Hari è insonorizzata (come potrebbero suggerire i rivestimenti alle pareti) ma gli altri locali ricordano invece spazi tipici di una casa sulla terra e comunque ogni evento sonoro che avvenga in essi è un piccolo shock.

Nel silenzio assoluto ovattato e impenetrabile avvengono le discussioni tra gli scienziati sui fenomeni a cui assistono e sulla loro interpretazione condizionata dalla concezione della scienza e della ricerca conoscitiva che ciascuno di loro rappresenta. Anche le confessioni e le ricostruzioni del passato fatte da Kelvin alla seconda Hari possiedono la stesso isolamento dal contesto sonoro circostante costruito da Artemev: solo ai rumori di scena è concesso interferire durante il parlato o l’azione suggerendo le alterazioni dimensionali di cui abbiamo parlato.

Fanno eccezione a questa regola nell’organizzazione del paesaggio sonoro della stazione i corridoi: spazi comunicanti di vibrazioni raccolte sia dai rumori della stazione (lo ‘scintillio’ sonoro onnipresente dei condizionatori), sia dall’esterno poiché spesso vi risuonano a diverse intensità i motivi elettronici che rappresentano il pianeta. Si può affermare in linea generale che Tarkovskij crei dal punto di vista audiovisivo dei luoghi di ‘transizione’ che non corrispondono necessariamente ad ambienti della messa in scena, ma a delle condizioni di passaggio e quindi di trasformazione, spesso tormentata, in cui si trovano i personaggi: in questo contesto rientrano le sequenze dedicate alla caduta nel sonno profondo da parte di Kelvin e la conseguente comparsa di Hari74.

Anche la sequenza in cui i due protagonisti assistono alla proiezione del filmato ricordo della terra, che innescherà in Hari un processo di memoria che accelererà e acuirà il suo bisogno di identità affrancato dal senso di appartenenza a Kelvin, è caratterizzata da uno spazio sonoro non isolato, non assoluto come lo può essere il silenzio da studio di registrazione che consente alle coscienze di espandersi liberamente nelle loro confessioni all’interno delle cabine: prima che Bach risuoni accompagnando liturgicamente la Terra, i suoi elementi e la vita di Kelvin immersa nell’idillico giardino materno si ascolta nel modo

74 La nostra osservazione estende l’intuizione di David Beer a proposito degli interventi di musica elettronica. Si veda: D. Beer, Solaris and the ANS Synthesizer: on the Relations between Tarkovskij, Artemev,

and Music Technology, in T. A. Óttarsson, G. A. Jónsson, Through the mirror, Newcastle, Cambridge Scholars

86 più chiaro ed evidente il quadro sonoro che rappresenta il pianeta utilizzando masse di rumore bianco e di rumore colorato prodotte all’ANS e sovrapposte sfasate a diverse intensità e intervalli di frequenza. Da queste si origina la sonorità altrettanto densa, ma certamente ben riconoscibile dell’organo che d’ora in poi verrà ‘interiorizzato’ nel tema che rappresenta il pianeta indicando così che gli snodi della vicenda vengono trasposti anche sul piano della ricerca timbrica.

La biblioteca è lo spazio di interiorizzazione per tutti i convenuti alla festa di compleanno di Snaut: quando arriva il festeggiato vi importa alcune vibrazioni dal corridoio, ma queste servono soprattutto per far risaltare il silenzio ovattato che vi domina. Gli interventi dei personaggi volti ad affermare l’esperienza della conoscenza come un vero e proprio rovesciamento dei modelli stabiliti, un’apertura autentica all’ignoto, o come una missione da compiere ad ogni costo sotto il segno dell’affermazione del proprio pensiero, sono contrappuntati visivamente da cambiamenti continui della messa in scena del fondo dell’immagine: la congerie di libri, soprammobili, maschere, erme, souvenir, candelieri cambia o muta posizione ad ogni quadro sfaldando lo spazio che il progredire della sequenza ci fa credere unitario.

Tutti questi piccoli cambiamenti interferiscono con le argomentazioni dei presenti sancite nei loro punti chiave da rumori di scena che funzionano da interpunzioni75: la lente di vetro che si stacca dall’occhiale di Sartorius, dopo il suo pungo sul tavolo, suggerisce la foga disperata nell’affermare il proprio ruolo e il proprio compito nel contesto della scienza ufficiale, il frastuono del candelabro in ottone rovesciato da Hari dovrebbe sancire la sua altrettanto disperata e dichiarata umanizzazione, che si compirà però soltanto con la prima esperienza di rimemorazione di fronte al quadro di Brueghel. A chiudere la festa di compleanno di Snaut provvede l’invisibile pendolo a parete che ritornerà nel finale per indicare la fine della malattia di Kelvin.

Il motivo fondante della contemplazione del quadro di Brueghel da parte della protagonista femminile del film è la rimemorazione. Il paesaggio innevato è sepolto sotto una coltre bianca e spetta all’immaginario dello spettatore ricostruirlo utilizzando i pochi segni

75 Impossibile passare in rassegna analiticamente i cambiamenti nel visivo ma la loro importanza è evidenziata fin dall’inizio della sequenza con la comparsa sulla parete della biblioteca della maschera funeraria di Puškin: Tarkovskij interviene direttamente sul fondo dell’immagine portando alla luce di volta in volta gli oggetti simbolo di ciò che ha segnato la storia dell’umanità, non solo della Russia, per farli dialogare con le argomentazioni dei suoi personaggi, anch’esse non prive di citazioni, come quella suggerita da Snaut a Kelvin e letta dal Don Chisciotte. Restando nel campo della gestualità dei personaggi si noterà come Kelvin si inginocchi prima ai piedi di Hari che all’immagine di suo padre: l’atto di umiltà e di riconoscimento della propria debolezza, il piegarsi e farsi deboli, il disporsi in ascolto rinunciando a se stessi ritorna anche sulla parete della biblioteca dove campeggia un tondo da vetrata medievale che rappresenta la Maddalena penitente piegata davanti al Cristo. E questo tema attraversa il film mimetizzato nel Preludio di Bach.

87 emergenti dal bianco nulla: la soggettiva di Hari mette in scena non solo la realtà percepita dall’occhio, spinto tra le pieghe del paesaggio come se lo vedesse per la prima volta, ma anche la predisposizione di questo personaggio all’ascolto, che si dispiega in corrispondenti panoramiche sonore ponendo al centro dell’attenzione non tanto l’individuazione delle figure che possono produrre suoni o animarsi grazie ad essi, quanto piuttosto l’emergere di suoni familiari della vita nascosta e sospesa nel tempo dalla neve, da una tessitura più elaborata e complessa.

Osservando le note preparatorie appare ancora molto evidente la volontà di ricorrere alle sonorità acute e cristalline, fragili e sospese di un gruppo di strumenti come i bicchieri di cristallo, la barre di cristallo o di vetro e i bicchieri pieni d’acqua intonati su scale cromatiche: essi dovrebbero creare uno spazio sonoro iniziale strutturato su pattern di improvvisazione per lo più casuale o inizialmente orientata dalla presenza di alcuni note della scala in fa minore discendente, ma non strettamente vincolanti e ad accentuare il libero volo dello sguardo sopravvengono ripetuti glissandi prevalentemente ascendenti.

Senza più considerare i cambiamenti di velocità del nastro scritti intorno ai pentagrammi, che arricchiscono le tonalità rese disponibili da questi strumenti, e le alterazioni di più o meno un quarto di tono o più o meno una chroma, che le allontanano dalle tradizionali altezze rendendole spurie, imprecise, alla ricerca di una corretta intonazione all’orecchio dell’ascoltatore, dobbiamo osservare che questi timbri dalle sonorità comunque chiare e nitide formano uno sfondo che procede con una melodia per note di lunga durata.

Appena udibili in questo spazio di richiami aerei sono ancora gli interventi al sintetizzatore ANS che con i suoi toni sinusoidali dovrebbe richiamare, sempre in un impianto caratterizzato dalla aleatorietà, la presenza del Preludio in Fa minore di Bach usando gli armonici più alti. Quasi ad eseguire le istruzioni contenute nel foglio dedicato alla seconda apparizione di Hari, compare per la prima volta tra le registrazioni su carta di Artemev un pezzo da suonare all’ANS: considerando che le partiture disegnate su vetro andavano cancellate dopo la registrazione, il disegno poteva essere una forma di memorizzazione del gesto musicale compiuto.

La partitura per il sintetizzatore russo appare come un grafico frequenza-tempo, ma la scarsa abitudine dei musicisti a comporre con le altezze specificate da numeri aveva obbligato Murzin ad affiancare all’asse delle frequenze una tastiera di pianoforte riprodotta anche nel disegno di Artemev: dopo le indicazioni generiche della parte, sul lato sinistro dell’annotazione, l’alternanza di spazi bianchi e neri corrisponde ad un’ottava di pianoforte.

88 Considerando che ogni semitono del pianoforte era diviso dal sistema ideato da Murzin in 72 chrome, il disegno appare come la creazione di un fitto strato di toni sinusoidali, scelti casualmente all’interno dell’ottava. Non è tangibile alcuna forma di regolarità e questo fa pensare che il disegno rappresenti un ritorno appena udibile del tema di Solaris, che inizialmente aveva mostrato queste forme per toni sinusoidali regolari e sovrapposti insieme ai quadri per il rumore bianco e colorato e alle soluzioni risolte con un unico accordo che abbiamo già analizzato.

L’intervento previsto in fase progettuale per il coro appare subito più articolato rispetto agli accordi previsti nelle precedenti sequenze: la combinazione delle voci questa volta crea delle brevi strutture polifoniche in cui però manca il timbro dei bassi, ma questa modifica è certamente coerente con le caratteristiche delle altre sonorità scelte per questa sequenza. Dagli interventi che si stratificano per la loro durata e articolazione si passa poi agli eventi sonori di carattere musicale che dovevano costellare la sequenza della contemplazione del quadro di Brueghel: ritornano i cluster di pianoforte a richiamare l’apparizione della protagonista con lo stesso carattere energico ed improvviso rispetto all’evolversi dello spazio sonoro costruito dai cristalli vibranti e dai lunghi interventi del coro. In una battuta si esaurisce l’innesto di un coro popolare le cui voci evidentemente dovevano essere distinte dal coro dell’accademia per timbro e l’intervento quasi in chiusura dell’ANS, che doveva produrre un Si 4 modulato con uno o due armoniche e fortemente riverberato.

Le note prese durante la lavorazione evidenziano poi l’intenzione di adoperare suoni concreti da fondere con l’impianto musicale: il primo doveva essere la registrazione di un bosco primaverile, il secondo un grido e il terzo invece il richiamo della campana di Rostov. Le scelte sonore per questo collage sono motivabili a partire dal visivo, che però presenta un bosco invernale, irrigidito dal freddo: il richiamo sonoro alla primavera, al mormorio delle foglie stabilisce un legame con la sequenza del film in cui Kris si addormenta ascoltando il loro mormorio notturno realizzato da Snaut appendendo striscioline di carta al ventilatore della cabina. Ricordiamo poi che da questo effetto sonoro riapparirà per la seconda volta Hari, che ora contempla il quadro di Brueghel.

Anche la presenza della campana si ancora al visivo poiché i campanili dei villaggi sepolti tra le pieghe di neve brugheliane costituiscono dei punti di riferimento emergenti dal bianco e il suo timbro avrebbe potuto facilmente fondersi proprio con quelli cristallini che fanno da sfondo alla sequenza76.

76 Poco comprensibile è invece la brevissima nota che porta il titolo «Grido – A». Sicuramente si tratta di un suono concreto perché annotato come il rumore delle foglie nel bosco primaverile che sta in cima allo stesso

89 Confrontando i fogli con le annotazioni originali prodotte durante la lavorazione del film e l’esito finale sulla pellicola si riscontrano delle differenze sicuramente significative: in generale si può dire che la musica sia stata sottoposta ad aggiustamenti e cambiamenti che l’hanno resa nel complesso più compatta e concisa. Non bisognerà sorprendersi allora se l’analisi audiovisiva della sequenza non corrisponderà all’impostazione che abbiamo rilevato dalle note: la nostre digressioni in ambito progettuale hanno però esteso il campo delle soluzioni compositive ideate dal musicista confermando la sua attenzione verso l’elaborazione timbrica considerata uno degli obiettivi fondamentali della musica elettronica. Attraverso l’analisi di questi appunti si è poi confermato il tentativo da parte del musicista di fondere organicamente in una nuova unità tutti gli elementi costituenti la parte musicale della colonna sonora, che vede congiunte con effetto sicuramente straniante le forme antiche del barocco musicale del Preludio con i nuovi esiti della ricerca nel campo della musica elettronica: questo atteggiamento, che tende a dissolvere i confini, le distinzioni tra le forme, complica il percorso interpretativo aumentando l’indeterminatezza della composizione (quindi la sua riconoscibilità) e sposta costantemente l’intreccio dal piano della narrazione a quello dell’audiovisione. È necessario quindi ripercorrere nuovamente la sequenza, considerando questa volta da una parte la tessitura del sonoro effettivamente realizzata dal musicista russo e dall'altra il visivo combinato al montaggio da Tarkovskij.

Per la prima volta è possibile ascoltare a introduzione del brano le sillabe o le consonanti dell’alfabeto russo pronunciate liberamente dalle componenti del coro femminile, come era previsto nelle note della prima e della seconda apparizione di Hari. L’effetto di voci lontane portate dal vento, riconoscibili, ma non comprensibili, è accentuato dal riverbero (anch’esso previsto già nelle note): con questa modifica dello spazio in cui risuonano si stabilisce immediatamente dal punto di vista dell’ascolto una netta separazione tra la biblioteca, ambiente quasi anecoico in cui si trova Kelvin, e il quadro-finestra rappresentato dalla riproduzione di Brueghel in cui si immerge lo sguardo di Hari attirata proprio dalle voci, dalle vestigia della presenza umana.

Rispetto all’impostazione generale del visivo, dove tutti gli elementi tendono a disporsi sulla superficie del quadro, si affianca il sonoro che lavora fin dai primi effetti con la possibilità di creare un suono ampio, carico non solo delle vibrazioni che provengono foglio, o come il suono della campana di Rostov nel successivo, ma il contesto è sicuramente poco chiaro. Una possibile interpretazione letterale potrebbe indicare la produzione del grido nel pianoforte con cofano aperto e con il pedale abbassato. L’effetto dovrebbe essere una suggestiva eco carica delle risonanze armoniche delle corde libere e fatte vibrare per simpatia dalla voce. Non meno rilevante è il livello d’intensità accordato a questo grido (100%) che lo doveva porre in assoluto rilievo rispetto allo sfondo sonoro della sequenza: un vero e proprio shock sonoro.

90 direttamente dalle fonti più diverse, ma anche delle loro ben più suggestive immagini virtuali. Nonostante l’ascolto monofonico, quindi, Artemev dilata la profondità e l’estensione del visivo assecondando la tipica prospettiva a volo d’uccello del quadro, che invita l’osservatore a muoversi verso l’orizzonte prendendo parte al microcosmo rappresentato e ricostruendo per suoni ciò che la neve ha cancellato.

Questo è il primo strato della composizione su cui se ne stenderanno altri, ma per ora è ancora un tracciato di tipo aleatorio, affidato ad una forma di libera improvvisazione che sostiene uno dei frammenti più famosi della colonna sonora del film accentuandone il carattere così indeterminato e aperto. Su questo sfondo si sovrappone una serie di rintocchi che il visivo indicherebbe di campana ma i cui timbri, invece, si rifanno alla categoria dei suoni cristallini, eterei e sospesi che abbiamo elencato partendo dalla lettura delle note di lavorazione per questa sequenza.

Nonostante i suoni che guadagnano il primo piano sonoro si facciano via via più gravi e gli inviluppi siano modificati soprattutto con i tagli degli attacchi, si tratta o delle barre di vetro, o dei bicchieri di cristallo riempiti d’acqua a formare delle scale cromatiche o, infine, più probabilmente del vibrafono o della celesta di cui Artemev voleva ricavare il timbro attraverso la complicata deformazione di un nastro con la registrazione di un ruscello.

Gli addensamenti tonali verso l’acuto o il grave si possono ottenere alterando la velocità del nastro, ma in generale si può affermare che ancora una volta il musicista russo si affida alla libera improvvisazione dell’esecutore per ottenere il materiale sonoro con cui lavorare in fase di registrazione o di riproduzione come indicano le diciture sulle parti per questi strumenti77. Ad uno ascolto più attento il primo rintocco non si sviluppa dal silenzio con il transitorio tipico di questo strumento, ma da una coda sonora montata prima del transitorio stesso.

La principale e le armoniche di questo suono introduttivo sono ancora un ‘quasi Fa 4’ diminuito di 1/6 con il primo armonico giusto all’ottava superiore e un Sol intorno ai 400 Hz, come nelle note di lavorazione alla prima apparizione di Hari. Queste frequenze, che potrebbero appartenere all’ANS ed essere usate per congiungere l’intera serie dei rintocchi opportunamente arricchite da nuove tracce sintetiche, preesistono al primo rintocco come se l’ambiente sonoro stesso lo generasse: le vibrazioni che ascoltiamo sono anche la testimonianza di un processo di interiorizzazione e rimemorazione di Hari e questo è testimoniato dal lavoro di trasformazione a cui è sottoposta la materia sonora stessa.

77 Secondo Yegorova, che riporta le parole di Artemev, questa soluzione doveva ricordare all’ascoltatore «il richiamo di uccelli lontani». Per questa suggestiva connotazione della serie di timbri tintinnati si veda: Yegorova,

91 L’inviluppo e la distribuzione delle frequenze del primo suono cristallino sono sostanzialmente rispettate anche se non è possibile escludere un processo di denaturalizzazione con la sottrazione o la modifica di alcune armoniche più evidente nel rintocco successivo, che finalmente sfocia in un cluster che richiama da vicino le sonorità dell’organo, ma che non può escludere dalla sua composizione anche il timbro dell’ANS.

Sullo strato delle voci fantasmatiche con cui si è aperta la sequenza Artemev articola una serie di timbri denaturalizzati ma che possiamo ricondurre da uno strumento come la celesta o il vibrafono entro cui inserisce delle ‘chiazze’ costituite da cluster ancora con timbri denaturalizzati (tra cui l’organo mutuato dal Preludio) o del tutto artificiali. Questi blocchi vengono ispessiti soprattutto nelle frequenze più gravi (si ricordino le frequenti segnalazioni di modifica della velocità dei nastri nelle note) così che la loro successione appaia uno sprofondamento rispetto al senso di elevazione prodotto dalle sonorità aeree degli idiofoni.

La materia sonora si fa sempre più irriconoscibile: i rintocchi principali che guadagnano il primo piano sonoro diventano semplicemente attacchi di frequenze basse e modulate, ciò che resta dei suoni che potevano ricondurre per dinamica e intonazione per esempio ad una celesta è immerso e appena udibile nelle fasce sonore opache prodotte per lo più dal sintetizzatore. Attraverso questa densa stratificazione emerge talvolta con estrema fatica qualche evento sonoro familiare: oltre alle campane di Rostov, ricordate anche nelle note, il canto di un coro,

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