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I quadri sonori del suicidio di Hari, della malattia di Kelvin e dell’epilogo

Il termine del volo dei due amanti è perentoriamente segnato da un violento rumore che tronca la musica delle sfere da cui era già affiorato il tema di Solaris: la gioiosa immersione nella memoria da parte di Hari e l’illusione di Kris di poter vivere nella fluida temporalità idillica della stazione orbitante sono dissolte da questo colpo improvviso, che assomiglia allo sparo di un’arma da fuoco prolungato da un lungo riverbero come tutte le sonorità che abbiamo finora incontrato. Nella stazione orbitante l’uso degli effetti sonori è caratterizzato da un’estrema parsimonia che limita e attenua il più possibile i rumori tipici della fantascienza come la voce della macchine della stazione, per altro quasi del tutto fuori uso, e lascia attivi solo i condizionatori per garantire la sopravvivenza dei tre umani. I suoni stereotipati della fantascienza lasciano spazio ai rumori che costellano il quotidiano di qualsiasi casa: i colpi di pendolo, il taglio delle forbici, l’acqua che scorre, che bolle e così via. Ma in questo insieme assumono un rilievo particolare le cadute degli oggetti che rilevano e spesso sottolineano in modo inequivocabile la costante presenza della gravità, anche nel luogo più lontano dalla terra che si possa immaginare.

Spesso Tarkovskij attraverso questi effetti dà vita agli oggetti, opera delle digressioni per poter ascoltare la loro presenza nell’inquadratura e anche in Solaris non svolgono soltanto un mero compito di decor, ma incidono sullo svolgimento delle sequenze diventando gli eventi che scandiscono lo scorrere del tempo. Come in altri casi, il riverbero esagerato rispetto allo spazio in cui si sono verificate le cadute contribuisce a sottolineare il valore metaforico dell’evento sonoro in quanto tale, il suo costituirsi come cesura nella vicenda o nello svolgimento del quadro.

Nel caso che stiamo analizzando il colpo annuncia il traumatico e doloroso passaggio dall’estasi dei due amanti alla realtà che non può soddisfare i loro desideri: il tonfo, che assomiglia decisamente a uno sparo di arma da fuoco, preannuncia la morte, il tentativo di suicidio della seconda Hari, azione a cui non assisteremo poiché Tarkovskij, dopo avere seguito i due amanti e costruito una sequenza di montaggio sul motivo del bianco, concentrerà la sua attenzione su ciò che viene dopo l’azione del personaggio, sulla sua sconcertante resurrezione.

Il visivo chiarisce l’accaduto partendo dall’oggetto: il contenitore metallico del liquido refrigerante è in pezzi sul pavimento e il tintinnio ricorda e prolunga la caduta. Poi la panoramica in continuità passa sul corpo della seconda Hari congelato, irrigidito in un involucro di ghiaccio: come sostiene giustamente Chion, il crepitio dell’abito che potrebbe

98 sfaldarsi tra le mani dell’amante è un suono che denuncia insieme la fragilità e il carattere artificiale dell’essere che Kris contempla incapace di reagire83. E questa evanescenza è sottolineata anche alla fine del movimento di macchina che si ferma sul riflesso deformato della donna creatosi sulla superficie concava di una vetrina: l’inquadratura si allontana dal contenuto della vicenda, per fissarsi su un’altra immagine che possa dilatarne il senso con il motivo del riflesso, del doppio che non coincide con l’elemento che si specchia, ma è il suo rovescio, quasi mostruoso, deforme che interroga il protagonista attonito e insieme lo spettatore.84

Il terribile crepitio del sudario di Hari coincide con l’attacco quasi impercettibile della musica elettronica che caratterizza tutti gli spazi di transizione, i luoghi di passaggio: i toni sinusoidali dell’ANS sono opportunamente modulati e disegnati per affiorare appena e dissolversi e ripetere per tutta la durata della sequenza questo loro passaggio sullo sfondo della traumatica resurrezione della seconda Hari.

Il parlato e i rumori di scena come il tintinnio dei cocci del contenitore andato in frantumi mostrano sempre una netta prevalenza e una certa autonomia rispetto al resto della colonna sonora, ma le frequenti pause tra Snaut e Kelvin o l’attesa del protagonista per il ritorno in vita della sua amata concedono spazio sonoro anche alla musica elettronica: i toni sinusoidali attraversano la sequenza immutati, ma la loro linea regolare, continua, vibrata per apparire viva come abbiamo notato fin dalla prima apparizione di Hari, si interrompe e si rigenera frequentemente, quasi con regolarità sullo sfondo dello scintillio sonoro dal carattere del tutto aleatorio che possiamo associare all’attività dei condizionatori.

Questa atmosfera, segnata dall’impossibilità della seconda Hari di trovare un’identità nella coscienza di Kelvin e dall’apparizione incongrua di Snaut con la sua folle corsa nel corridoio quasi a voler sfuggire, inutilmente, alla presenza del proprio ospite, sfocia musicalmente nel quadro sonoro di Solaris che invade la sequenza imponendo la propria presenza ad un livello di intensità e densità mai raggiunta prima: i cluster di toni sinusoidali sono fitti, impenetrabili e sovrapposti al rumore bianco o colorato; il loro riverbero apre lo spazio ad una profondità che i corridoi visivamente non conoscono. Questa cesura sonora sul volto di Hari oramai

83 Dopo aver riflettuto sul contrappunto audiovisivo, il musicista e critico francese elabora la categoria del contrappunto libero ed esemplifica le sue argomentazioni proprio con la sequenza che stiamo analizzando. Si veda: Chion, L’audiovisione, suono e immagine nel cinema, cit., 2001, p. 44.

84 Nelle inquadrature dei corridoi, oltre alla curvatura dello spazio della stazione, che richiama costantemente la figura del cerchio, della rotazione e dei movimenti che ritornano su se stessi, entrano sistematicamente le superfici concave di specchi e di vetrine dietro cui fanno mostra di sé le macchine come in un museo. Spesso il quadro, nel suo continuo slittare tra gli spazi della stazione, colloca questi oggetti della messa in scena al centro dello spazio della visione dirottando così lo sguardo dello spettatore su aspetti diversi dallo scorrere della vicenda.

99 ‘risorta’ annuncia l’imminente sprofondamento di Kelvin e chiude circolarmente la sequenza apertasi con il tonfo del vaso contenitore dell’ossigeno liquido.

Dall’estasi dei due amanti fino al termine del film la tessitura audiovisiva è estremamente densa: i monologhi dei personaggi, soprattutto del protagonista, affiorano come ‘isole’ di parlato sulla superficie musicale dai tratti continui e senza cesure. La collocazione spaziale della scena impone la presenza della musica: il monologo di Kris durante la malattia si svolge per lo più nel corridoio e viene quindi accompagnato da sonorità ambientali e da musica elettronica finché viene trasposto in allucinazione (con l’efficace tentativo di rovesciamento delle coordinate spaziali grazie agli specchi…) per terminare poi in un sogno dove la parola regredisce ad un’emissione vocale infantile rincontrando il fantasma della madre morta con la voce di Hari.

Ogni condizione che getti le basi per una trasformazione, un mutamento che annunci il rovesciamento di categorie prestabilite e prepari il tentativo di fusione di esperienze distinte è accompagnata dalla musica elettronica, che si impossessa anche del Preludio di Bach, del simbolo apparentemente immutabile della tradizione, della perfezione artistica, come dimostra l’articolato finale del film85.

La malattia di Kris è contraddistinta almeno da due momenti: il primo è un monologo che estrinseca la sua condizione interiore, il secondo è il sogno dell’incontro con la propria madre al cui risveglio scoprirà la morte, il suicidio della seconda Hari. La prima parte di questa macrosequenza si svolge nei corridoi della stazione, che assumono l’aspetto di bracci di una spirale in cui staziona o vaga delirante il personaggio, tormentandosi sulla propria statutaria incompiutezza interiore messa in luce della presenza della seconda Hari; la seconda avviene invece nello spazio ibrido del sogno con l’incontro con la madre che anticipa il finale presso il giardino e l’idillica casa paterna.

Come è desumibile dall’impianto generale ormai chiaro del film, gli spazi intermedi, embricati, i luoghi delle trasformazioni, ma anche soltanto i più elementari spazi deputati allo spostamento che fin dall’arrivo alla stazione di Kelvin sono diventati, grazie soprattutto all’intervento della musica e dei suoni, labirintici, carichi di suggestioni e di percorsi alternativi fino ad ingabbiare e a disorientare il protagonista e le sue intenzioni quanto quelle

85 Solo i due ultimi monologhi di Kris, il primo che filosofeggia sul fatto che l’individuo non possa prefigurare da se stesso la propria compiutezza interiore, e il secondo che dà forma alla sua tensione senza intenzione, alla sua decisione di attendere e di non poter tornare alla normalità, hanno come sfondo il silenzio assoluto. Da ricordare che il primo dei monologhi elencati è caratterizzato dall’inquadratura di un suono ‘inudibile’ con il restringimento del quadro fino al dettaglio dell’orecchio di Kelvin a cui non si accompagna alcuna alterazione dello spazio acustico. Il primo monologo è invece caratterizzato dal ritorno delle immagini al bianco e nero come era accaduto durante l’inchiesta di Berton o la confessione di Gibarian, come se ora Kelvin comprendesse appieno tutte le loro esitazioni.

100 dello spettatore interprete, sono caratterizzati dalla ricerca timbrica che rappresenta l’elemento più evidente della poetica di Artemev.

Ad un’analisi attenta il sonoro ripropone alcuni motivi che richiamano la prima apparizione di Hari e la presenza degli ospiti: il ricorso alla microtonalità ottenuta con l’ANS e i cluster di pianoforte, che si succedono in un blocco serrato ad accompagnare la perdita della stabilità interiore del protagonista, costituiscono i primi elementi riconoscibili del tessuto elaborato da Artemev e punteggiato dal tintinnio dei campanelli, che hanno accolto il protagonista fin dal suo arrivo nella stazione, ora trasformata in uno spazio aderente ai desideri dell’immaginario, alla condizione ideale ed edenica a cui i terrestri si sono abbandonati, condannandosi all’inazione e all’ascolto di ciò che emerge dalla profondità inaccessibile della loro coscienza.

Il loro tintinnio metallico e aereo, inconsistente, previsto anche nelle note del musicista come componente essenziale della musica per la comparsa delle creature, per disegnare la loro immaterialità contrapposta alla pesantezza dei corpi dei terrestri, ma anche per costituire il loro primo abbozzo di memoria, come è accaduto ad Hari davanti al quadro di Brueghel, si risolve nel clangore di un oggetto metallico che nel disordine della stazione ridotta ad una sorta di stanza di giochi per bambini rotola invisibile in uno spazio deserto dalla profondità incongrua: ancora una volta un effetto sonoro eccede la sua funzione narrativa per tentare di risolvere l’introduzione musicale prevista da Artemev.

Visivamente la sequenza propone il letterale ‘rivoltarsi’ su se stesso del protagonista: con una dissolvenza incrociata la fronte e il retro di Kelvin si sovrappongono senza che il personaggio si sia mosso dalla sua posizione incorniciata dal corridoio circolare, un giro su se stesso senza alcuno spostamento nello spazio, un lento avvitarsi interiore pronto a partorire un monologo. A questo evento tradotto dalla costruzione dell’immagine segue la prima parte del percorso del braccio curvo di un corridoio di cui non si scorge la fine e che si può così assimilare ad una spirale. Questa traccia termina presso l’oblò bianco da cui si può vedere l’oceano di Solaris: ai campanelli si sostituiscono i cluster ottenuti all’ANS che, come già si era notato nelle sequenze introduttive, aprivano delle significative digressioni audiovisive durante la perlustrazione della stazione da parte dello psicologo appena giunto dalla terra.

I cluster si diradano in lunghi accordi di frequenze sinusoidali dalla caratteristica microtonalità e le più intense richiamano i toni di una scala di Do minore, pur non rispettando l’ordine tradizionale della serie: questo tipo di organizzazione era previsto anche nelle note di lavorazione al film ed apparteneva ancora alle sequenze caratterizzate dall’apparizione degli ospiti anche se era una parte assegnata al coro. Ma in questo contesto è sicuramente più

101 sensibile la presenza a macchia di leopardo di rumore bianco o colorato che addensa l’atmosfera di materiale sonoro allontanandola dal silenzio: non sono quindi soltanto i nastri di frequenze sinusoidali a cambiare disposizione, ma è proprio lo sfondo che ora si dissolve e ora si addensa interferendo con le linee tonali e con il discorso di Kelvin o di Snaut.

I cluster con l'ANS annunciano la presenza di Solaris man mano che il protagonista si avvicina all’oblò e da questa sonorità si dipartono le linee sinusoidali che accompagnano le osservazioni del cibernetico sulla nuova attività del pianeta collegata all’invio dell’encefalogramma di Kris. Ma quando il protagonista, incurante della parole del compagno, annuncia il suo discorso denunciando l’inutilità della compassione, non solo l’accordo cambia con sconcertante puntualità calando rispetto a quanto si era ascoltato prima, ma anche lo sfondo si arricchisce di materia sonora informe e densa che costituisce una nuova massa attraversata dalle nuove linee sinusoidali.

A questa evidente costruzione per linee, masse o piani sovrapposti nella quale lo sfondo esercita una funzione decisiva per l’ascolto e la sottolineatura delle parole di Kelvin, si deve integrare una rarefazione: il livello di intensità dei toni sinusoidali lascia in netta evidenza soltanto la frequenza più alta che corrisponde a un Si 4. Questo suono si sfila letteralmente dagli altri, che lo sostengono nell’accordo, per la dolorosa intensità con cui nuovamente si inserisce nel discorso di Kelvin e marca l’emergere dello spinosissimo problema della sofferenza individuale, del doloroso sentimento di inadeguatezza interiore denunciato dal protagonista. Poi le argomentazioni dello psicologo, che cita Tolstoj presso la finestra rivolta al mare ribollente a spirale, sono di nuovo accompagnate dall’alternanza delle fasce sinusoidali che stiamo descrivendo con la consueta dinamica caratterizzata da lunghe dissolvenze che rendono appena percettibili i cambi di tono.

Il rumore bianco modulato torna significativamente a caratterizzare anche lo spostamento nei corridoi creando un’aspra quanto sotterranea forma di disturbo, di interferenza che impone alla sequenza di sfaldarsi nel delirio e poi nel sogno. Visivamente la dissoluzione di Kris si compie nei corridoi ormai divenuti i luoghi della più completa dispersione: ad operare la disintegrazione del protagonista provvede nell’immagine il ricorso a fonti di luce artificiali puntate direttamente contro il protagonista e lo spettatore che lo segue alle sue spalle in un deambulare apparentemente senza fine. Nella biblioteca le luci prodotte dalla stazione erano state sostituite dalle candele, dal fuoco vivo attraverso il quale, letteralmente, Kris aveva citato il potere sovvertitore e insieme rivelatore del sonno dal Don Quixote di Cervantes: ora le luci bianche fisse e impenetrabili, prive della vitalità vibrante del fuoco accecano

102 l’osservatore e il protagonista facendolo scendere direttamente nella più completa perdita di sé.

Il percorso nel corridoio è segmentabile in due parti: la prima è ancora dominata dal parlato, dall’esaurirsi del discorso del protagonista che arriva a definire la vergogna di sé come un sentimento salvifico, la seconda è invece caratterizzata dal silenzio della parola e dal completo dominio della musica che guadagna livelli di intensità prima mai raggiunti, letteralmente esplodendo in un cluster di pianoforte che apre con un ricercato sincronismo il delirio al sogno.

Musicalmente si impongono per ancora una volta i densi blocchi di materia musicale vibrante che si risolvono nell’esplosione del pianoforte, che si differenzia dall’emersione della altre sonorità proprio per il volume del suo ingresso nell’immagine: si tratta ancora una volta di un fittissimo grappolo di suoni ottenuti con uno sforzando su tutte le ottave dello strumento che nella riproduzione è stato invertito con il taglio dell’attacco e questo, secondo Artemev, dovrebbe produrre l’effetto di un’onda da associare alla presenza e all’attività del pianeta.

Nel visivo, in corrispondenza proprio di quest’ultima sonorità, si produce lo stacco netto che dai corridoi della stazione conduce alla panoramica del soggiorno della casa paterna prima della partenza: si ritorna nell’inquadratura offertaci da Tarkovskij durante l’attesa della partenza senza la mediazione del protagonista, del suo immaginario, o delle sue parole come se il regista volesse invitare lo spettatore a rafforzare l’interpretazione a partire prima di tutto dalla tessitura dell’immagine.

La riflessione deve prendere avvio dalla considerazione del ripetersi dell’immagine e non soltanto dal prodursi del ricordo nel personaggio principale: la tinta rosso arancio che caratterizza questo interno familiare denuncia infatti la propria appartenenza alle atmosfere delle notti solariane che hanno dato vita per ben due volte alla seconda Hari.

La vita del vibrante e denso cluster di pianoforte è prolungata dal riverbero in una dimensione che non è certo la terra e nemmeno la stazione e il progressivo emergere del quadro eterofonico che ha contraddistinto la presenza di Solaris fin dalle sue prime apparizioni conduce ad una nuova liquefazione della memoria dove le sonorità riconoscibili (archi, per esempio, ma anche il temir komuz) emergono dall’indistinto pulsare delle frequenze elettroniche secondo una procedura del tutto aleatoria.

Si adattano perfettamente a questa sequenza le osservazioni di Artemev a proposito dell’intenzione di creare un «plasma» mescolando diverse sonorità ricavate dalle fonti più disparate per ottenere un movimento musicale totalmente privo dei connotati tradizionali e deciso dalle elaborazioni consentite dai registratori multipista, dai controlli della velocità e in

103 ultima istanza dal montaggio, dalla giustapposizione e dalla sovrapposizione dei blocchi così ottenuti. I movimenti corrispondono così a mutamenti di densità della materia sonora, ad improvvise emersioni e sprofondamenti nell’indistinto vivo e pulsante, benché caotico e informe.

Dopo la prima rielaborazione della terra vista da Solaris ottenuta con il viraggio rossastro arancio, l’immagine rappresenta lo sprofondamento di Kelvin, letteralmente il suo rovesciamento interiore quando coglie il suo riflesso sul pavimento di specchi che inevitabilmente rinvia all’altro presente sul soffitto della cabina: la disseminazione, la dispersione dell’immagine del personaggio significa la perdita di senso di ogni rassicurante e precostituita integrità che talvolta lo specchio stesso illusoriamente rimanda. Nello stesso tempo gli oggetti diventano i segnali di un inarrestabile processo di emersione di ricordi, di porzioni sempre più ampie e complesse di memoria: la madre e Hari si fondono in un’unica apparizione ordita ancora una volta dal pianeta, che sta al centro del piano sequenza, rappresentato di nuovo dall’oblò bianco.

In questa inquadratura le due donne cambiano continuamente la loro posizione in modo del tutto incongruo, senza rispettare la direzione degli ingressi e delle uscite dai margini del quadro esse sfondano così la dimensione del ricordo e aprono la sua rielaborazione ad opera dell’immaginario, del sogno. Il punto di vista da cui si coglie il processo di commistione delle due donne è il letto in cui giace Kelvin, ma nell’evolversi del piano sequenza una zoomata in avanti cattura la presenza della finestra-aureola opaca e bianca nel cui cerchio le figure femminili vengono attratte anche solo per un istante: queste figure mobilissime, per nulla vincolate dallo spazio della cabina creano una dimensione aerea e sospesa alla pari di quella del volo dei due amanti e in questa atmosfera si assiste alla progressiva perdita di identità dei due fantasmi che volgono insistentemente le spalle all’osservatore. Lo sguardo, che si è mosso attraverso la cabina e che potrebbe essere quello del protagonista, cerca di dominare le presenze di afferrane gli spostamenti per compiere la desiderata fusione, ma si scopre che ad assisterlo nel punto terminale del piano sequenza è ancora la presenza della seconda Hari.

L’inviluppo di punti di vista, che comprende e intreccia il delirio del protagonista, la presenza di Solaris, come un fanale bianco intorno a cui si agitano delle falene, e lo sguardo in macchina finale di Hari, nel quale quello di Kelvin (ma anche semplicemente della macchina da presa) finisce per rispecchiarsi e rimanere avvinto, è complesso quanto il gioco dell’identità e delle posizioni delle apparizioni femminili che dilatano lo spazio del racconto. E tutto questo accade durante gli sviluppi del quadro sonoro di Solaris introdotto dal cluster di

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