Con una lunga e significativa pausa di silenzio Kris si congeda definitivamente dalla terra. La sequenza che anticipa il viaggio nello spazio per raggiungere la stazione orbitante si svolge nel giardino e nel soggiorno che rappresenta la parte della casa a diretto contatto con l’ambiente che la circonda. Nel giardino Kelvin brucia in un falò tutte le cose inutili raccolte,
53 Forse in questo punto Yegorova colloca «a beautiful female vocaliste which sounds both like a wail and like a cry of loneliness in this stream of continuous crazy movement». Si veda: Egorova, Soviet film music, an
60 vecchie e inservibili nella sua stanza: questo gesto, previsto e voluto da Tarkovskij come una riproposizione dei riti di passaggio al nuovo anno, al nuovo ciclo che comporta la distruzione degli oggetti della vita precedente, è associato al fuoco come la figura del protagonista. La partenza per Solaris diventa così un significativo momento di morte-rinascita, un tentativo di dare forma alla propria identità che però si dovrà misurare con l’immagine più segreta della sua coscienza, riportata in vita dal pianeta nella stazione orbitante e rappresentata dalla donna amata e morta suicida a causa sua.
Il fuoco da pretesto narrativo che chiude la lunga sequenza dell’addio alla terra diventerà un motivo visuale sempre legato alla figura del protagonista come testimonia il filmato che Kris porterà con sé come ricordo della terra: un cortometraggio amatoriale realizzato dal padre dove le figure dei familiari si succedono intimamente legate all’universo di segni naturali di volta in volta ordinati nel quadro. In questa pellicola la madre (evidentemente scomparsa, anche se questo non viene specificato nella vicenda) è l’elemento stabile e ordinatore degli elementi di questo mondo idillico, invariante rispetto al tempo, invece Kris, che è stato costretto a lasciarlo, è presentato in tre tappe della sua vita e sempre legato al fuoco tanto che egli stesso ricorda al padre l’esistenza di questo breve film chiamandolo proprio il “film del falò”54.
In questa sequenza che pone fine al prologo, le panoramiche staccano alcuni oggetti dal contesto narrativo e li isolano per farli diventare emblemi agli occhi dello spettatore: la foto di Hari, destinata al fuoco dal protagonista, ma ‘recuperata’ prontamente dal pianeta come uno degli oggetti di cui Kelvin non può assolutamente disfarsi, avvierà il complicato processo di autocoscienza della seconda Hari, che comporterà per il protagonista lo sprofondamento nel senso di colpa.
Lo sterilizzatore campeggia invece sul tavolo ed è l’oggetto delle attenzioni di Kris che porterà con sé questa reliquia del luogo (santuario) in cui scoprirà di essere radicato o per lo meno lo sarà il suo immaginario: nella vicenda esso diventerà uno vero e proprio Leitmotiv visivo sull’oblò della cabina per segnare le tappe della sua immersione nell’abisso della conoscenza di sé55. La foto di Hari e soprattutto lo sterilizzatore sono dei veri e propri
54 Utile ricordare in questo contesto che la musica che accompagna la rappresentazione è il Preludio di Bach: esso trasforma le tappe della crescita del protagonista e la presenza e la funzione della madre in una liturgia. Lo sguardo che pazientemente ricostruisce e rivela l’universo naturale intorno a membri del terzetto familiare è quello del padre, proclamatosi fin dall’incipit del film erede della tradizione tramandata dagli avi a partire dall’atto stesso di ricostruzione della casa identica a quanto loro avevano fatto. E la casa è posta in particolare rilievo essendo lo sfondo dell’immagine conclusiva dove compare anche Hari.
55 Questo oggetto può costituire anche uno dei tanti sintomi dell’emersione dell’ignoto spazio profondo della coscienza in cui si avventurano i protagonisti dei film tarkovskijani. In Solaris lo sterilizzatore costruisce una vera e propria serie di apparizioni all’interno della vicenda che purtroppo non possiamo seguire, ma che
61 ritornelli visivi che compiono nella vicenda per la prima volta nel lungo prologo terrestre: in seguito lo spettatore dovrà recuperare il senso della loro presenza, delle loro apparizioni rifacendosi a queste sequenze iniziali.
L’immagine del buio cosmico, del vuoto abisso che la luce delle stelle non può rischiarare, è accompagnata da un quadro sonoro che riconosceremo puntualmente anche nella stazione orbitante, quando il protagonista sarà arrivato a destinazione e tenterà di osservare la misteriosa ed inquietante presenza del pianeta la cui attività è rimasta ai terrestri sostanzialmente inspiegabile, ignota, rappresentando così un autentico confine a cui sono finalmente giunti per interrogarsi sui fondamenti del loro desiderio di conoscere.
Dovendo essere più precisi, questo quadro sonoro si diffonderà nello spazio della stazione non solo quando il protagonista si affaccerà ripetutamente dagli oblò per guardare prima il buio assoluto all’esterno dell’avamposto terrestre e poi la superficie ribollente del pianeta illuminato da due soli, ma anche durante i suoi percorsi nei corridoi, le sue prime esplorazioni della stazione creando un caratteristico fondo spazio temporale che i personaggi, Kelvin compreso, percepiscono come tale, come segno della presenza costante del pianeta, ma a cui finiscono per non prestare attenzione, cosa che invece non può fare lo spettatore, chiamato continuamente a dipanare la trama audiovisiva dell’immagine.
Su questo primo strato si collocano i cambi d’atmosfera e primo fra tutti in questa categoria è l’emergere del silenzio, che mette in risalto i dialoghi, il parlato e i rumori isolati, distinti dal magma sonoro, che scandiscono la risoluzione delle sequenze; poi seguono la rappresentazione delle condizioni mentali dei personaggi, alle prese con le immagini che Tarkovskij ha provveduto ad evidenziare con particolare cura eliminando dal montaggio finale le sequenze che lo legavano direttamente ai gesti del protagonista. Per questo aspetto si veda il secondo DVD del cofanetto esemplare prodotto dalla Criterion Collection nel 2002. Tra gli oggetti che ricorreranno nella stazione destabilizzando continuamente l’unità delle sequenze perché determineranno uno sfondo visivamente sempre cangiante, sempre mutevole per i suoi motivi plastico pittorici e non solo narrativi, c’è anche il testo del Don Chiscotte di cui la critica ha spesso evidenziato il legame con la tradizione russa, ma che Snaut fa leggere a Kelvin durante la sua confessione nel giorno del suo compleanno per sottolineare la fragilità dei sogni e delle loro interpretazioni e il potere del sonno di rovesciare come la morte le gerarchie e le categorie abituali. Questo volteggerà durante l’estasi dei due amanti nella biblioteca: il piccolo universo interamente umano dove i terrestri si credono al sicuro dallo sguardo del pianeta che li scruta. Approfittando della presenza nel racconto di un pianeta che materializza tutto ciò che rinviene nella coscienza dei terrestri, desiderosi di instaurare o meglio di imporre un contatto con questo irriducibile e misterioso elemento che sta per il cosmo intero, destinatario da sempre degli sforzi conoscitivi dell’uomo, Tarkovskij inserisce nel quadro i più disparati elementi figurativi che non hanno alcuna relazione diretta con i personaggi e la vicenda, ma che si intrecciano alla loro azione esclusivamente sul piano della visione come voci chiaramente distinte su un motivo conduttore principale: questa evidente eterofonia visiva interroga continuamente l’attenzione e l’elaborazione di senso da parte dello spettatore. La loro incongrua mobilità nella scena, i loro spostamenti inspiegabili da un punto di vista narrativo rafforzano l’intenzione del regista di frammentare l’unità del quadro o della sequenza per creare dei nodi significativi da leggere esclusivamente attraverso la composizione audiovisiva. L’esempio più evidente di questo atteggiamento volto alla mobilitazione continua dello sguardo, ma anche dell’ascolto dello spettatore è rappresentato dalla contemplazione del quadro di Brueghel da parte di Hari e dalla lunga sequenza del compleanno di Snaut festeggiato in biblioteca.
62 pullulano dalla loro coscienza, e infine viene l’attività continua del pianeta pensante i cui esiti più evidenti sono naturalmente gli “ospiti”, ma che per tutto il tempo in cui gli umani hanno tentato di scrutarla, è rimasta indecifrabile.
Artemev utilizza timbri inconsueti e colloca questo ‘tema’ stabilmente in un registro basso, grave: l’effetto ottenuto è un’intima vibrazione dello spazio stesso, che è sul punto di risolversi in una sensazione tattile più che uditiva. Infatti le basse frequenze sono segnali che non consentono alcun orientamento dello spazio, ma ne indicano la presenza. Sfruttando le risorse e i limiti percettivi dell’orecchio umano, come aveva suggerito fin dal suo schema iniziale, Artemev tenta di ampliare attraverso il sonoro lo spazio organizzato dal visivo: benché l’ascolto monofonico sia centrato sullo schermo, che per Solaris è un cinemascope, il musicista russo ricorrendo alla regione più basa dello spettro, all’uso sistematico dell’eco e del riverbero, propone fin da subito l’idea di una profondità irriducibile alle coordinate che l’uomo stabilisce per organizzare i suoi spostamenti e il controllo degli spazi in cui si insedia. Grazie al lavoro in questi ambiti della morfologia del suono il viaggio di Kelvin appare come lo sprofondamento in un’allucinazione e il tema che accompagna il nero vuoto cosmico e poi la notte solariana anticipa il viaggio nell’abisso della conoscenza di sé che il protagonista affronterà non appena avrà messo piede nella stazione apparentemente deserta.
Per completare le caratteristiche del quadro sonoro di Solaris e del cosmo bisogna puntualizzare fin da subito il ricorso da parte di Artemev a forme di composizione aperte, come la lunga sequenza dell’attraversamento della metropoli da parte di Berton: non ci sono forme melodiche o armoniche consuete e ogni composizione può iniziare o finire con qualsiasi sonorità. Il materiale sonoro non presenta quindi gli sviluppi consueti e le sue mutazioni sono dovute tutte a procedure desunte dall’elettronica (dal suono disegnato, o di sintesi additiva all’ANS) o della musica sperimentale (montaggio, riduzione della velocità di scorrimento, eco prodotto con la registrazione e così via). La stratificazione dei materiali sonori insieme alla loro giustapposizione sono le procedure che completano le variazioni di densità nel tappeto sonoro ideato dal musicista russo per la vicenda che si svolge nella stazione orbitante: la sua variabilità timbrica e il mutare della sua tessitura dispiegano la sua ricchezza.
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