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La musica elettronica secondo Artemev e le richieste di Tarkovskij

Per inquadrare la prima collaborazione con Tarkovskij, il musicista, che considera Solaris come «il primo film nella mia biografia artistica nel quale la lingua dell’elettronica era alla base del linguaggio musicale dell’intera opera»21 espone il suo modo di intendere l’elettronica:

La musica elettronica [possiede un] suo gigantesco e forse non organico potenziale. Per me è un fenomeno globale, che comprende tutto il mondo dei suoni che ci circonda. La musica accademica e ogni altra musica è un aspetto particolare di questo mondo sonoro globale. La tecnologia e la tecnica, di cui dispone oggi la musica elettronica, ci dà un potere quasi assoluto sul suono e sullo spazio. La possibilità di usare lo spazio e di gestirlo (controllarlo) non era mai stata conosciuta prima dall’arte musicale. Questa è una colossale risorsa di sviluppo e di influenza della musica in generale22.

Artemev attribuisce all’elettronica la possibilità di far maturare nell’ascoltatore la consapevolezza che «non esiste nessun suono non musicale»: da qui forse discende la sua scarsa organicità, la sua incapacità di creare un sistema coerente, conchiuso, apparentemente autonomo e ben organizzato paragonabile a quello costruito dalla tradizione che l’ha preceduta. L’elettronica riconduce il mondo chiuso della musica che l’ha preceduta all’interno di un paesaggio sonoro più complesso che essa solo può riorganizzare interamente per l’ascoltatore. Questa condizione la spinge però a ricercare il senso del suo operare nell’indagine sulla materia della musica stessa (il suono) e nella possibilità, concessale dalle innovazioni tecnologiche, di esplorare la dimensione dello spazio e di ricrearlo come non era mai stato fatto in precedenza. Questi nuovi campi d’indagine rendono questo linguaggio musicale particolarmente adatto ad inserirsi dialetticamente nella tessitura dell’immagine tarkovskijana, sempre alla ricerca di suoni che ne dilatino la costruzione spazio-temporale.

La musica accademica diventa quindi un piccolo e ristretto ambito all’interno di un intero mondo sonoro messo a disposizione dall’elettronica: queste parole sembrano riecheggiare le affermazioni del regista, contenute in Scolpire il tempo, in merito alla rinuncia alla musica di repertorio a favore di suoni specificamente elaborati ed organizzati per l’inquadratura.

21 Intervista ad Artemev condotta da chi scrive nell'estate 2010 e tradotta da Simonetta Salvestroni. 22 Ibidem.

29 Date queste premesse, Tarkovskij non può che riservare all’elettronica un posto preminente nell’ambito della musica per film grazie alle caratteristiche essenziali che abbiamo ritrovato nelle parole di Artemev:

La musica strumentale è un’arte talmente autonoma che è assai più difficile far sì che essa si dissolva nel film e ne divenga una parte organica. Di conseguenza il suo impiego costituisce sempre un compromesso, poiché essa è sempre illustrativa. La musica elettronica possiede invece la caratteristica di dissolversi nell’atmosfera sonora generale. Essa può nascondersi dietro i rumori e risuonare come l’indefinita voce della natura, di vaghi sentimenti….23

Ma la condizione affinché si verifichi la dissoluzione nell’atmosfera generale del film sembra chiedere all’elettronica la capacità di superare lo statuto che essa ha ottenuto nell’immaginario dell’ascoltatore/spettatore: la sua simbiosi con le novità messe a disposizione dalla tecnica e dalla tecnologia, che la staccano prepotentemente dalla tradizione, l’ha resa fin dal suo primo apparire anche in Unione Sovietica il genere più adatto a ‘cantare’ le imprese cosmiche, con l’evidente funzione di amalgamare l’effettistica tipica del cinema di fantascienza, denotando stabilmente la dimensione altra, ignota nella quale finiscono per rispecchiarsi e ritrovarsi in una rassicurante standardizzazione i desideri e le aspirazioni dell’uomo, della comunità, il loro rapporto reciproco e quello con il mondo.

La marca artificiale riservata al mondo altro impedirebbe il ricorso a questo genere di musica nei film tarkovskijani dove le dimensioni da esplorare sono molto più ambivalenti e le atmosfere create dal regista riescono a fondere lo spazio interiore dei protagonisti con l’esterno, qualsiasi esso sia, rendendoli indiscernibili: la musica deve garantire la costruzione di questo legame e l’elettronica, secondo il regista, possiede comunque i mezzi più adatti per raggiungere questo scopo.

Ma la condizione essenziale, dice ancora Tarkovskij a questo proposito, è che «essa deve venir depurata dalla sua origine chimica perché sia possibile percepirla, e sia percepita, come l’organico risuonare del mondo».24

Il regista chiede quindi al suo compositore di spingere l’elettronica ad avvicinarsi a tutto il mondo dei suoni liberandosi delle pesanti ipoteche imposte soprattutto dal genere fantascientifico: egli domanda al suono prodotto dalla macchina di lasciarsi alle spalle il suo aspetto da laboratorio sempre evidente, la sua marca aliena per assumere una forma nuova che, imitando apparentemente quella naturale, mimetizzandosi nella natura si proponga invece come il simbolo di una possibile, ma sempre problematica unità che, desiderata e cercata

23 Tarkovskij, Scolpire il tempo, Ubulibri, Milano, 1995, p. 148. 24 Ibidem.

30 spesso invano dai personaggi tarkovskijani, si pone però sempre all’attenzione dello spettatore attraverso il tessuto audiovisivo dell’immagine. Più che il ricorso allo strumento elettronico, Tarkovskij chiede quindi ad Artemev di utilizzare la concezione della musica nata con l’elettronica – e da noi enunciata proprio in apertura di capitolo attraverso le parole del musicista – per aderire alla costruzione dell’immagine e tenderla emotivamente nei punti non raggiungibili dal visivo.

Per esemplificare il senso di questa richiesta è possibile rivolgersi ancora alle parole del musicista:

La composizione dell’episodio dello stagno (Kris raccoglie in una scatola di metallo un pugno di terra dall’acqua del lago vicino a casa) iniziava col suono del mormorio dell’acqua. A questo molto delicatamente con un pianissimo ho aggiunto il suono di flauti e clarinetti sullo sfondo di una base di strumenti a corda. Il suono degli strumenti veniva aggiunto soltanto a brevi intervalli, con semplici accordi, affinché l’orecchio non facesse in tempo a identificare il “corpo” sonoro estraneo nei rumori naturali.25

Benché questa parte sia stata espunta e nel film non si trovi che una vaghissima traccia di questa soluzione sonora, adoperiamo questo esempio per comprendere la strategia creativa di Artemev che in questo film, al di là dell’uso della strumentazione elettronica, ne traspone sistematicamente la prassi compositiva estendendola anche agli strumenti e agli organici che di norma appartengono alla tradizione classica. Egli coglie innanzitutto il momento cruciale della vicenda in cui Kelvin riempie lo sterilizzatore di terra: quando la tensione interiore del protagonista per l’imminente distacco dalle cose care si farà più acuta, questo oggetto comparirà nel quadro e nella stazione orbitante esso migrerà verso l’oblò stabilendosi quindi ‘nell’area oculare’ attraverso la quale l’oceano pensante alieno scruta nella coscienza dei terrestri (o almeno loro si rappresentano l’incomprensibile attività del pianeta come un vero e proprio essere guardati) facendone emergere creature (e anche oggetti) perturbanti perché dall’aspetto familiare ma dal significato incongruo, diverso da quello che l’esperienza o l’immaginario hanno loro attribuito26.

25 Comunicazione personale di Artemev con chi scrive nell'estate 2010.

26 Anche Hari nella sua prima apparizione è circondata dall’aureola dell’oblò che proietta una luce giallo rossastra nella cabina in cui dorme Kelvin. Questo elemento delle stanze circolari della stazione orbitante non è una finestra che consente il raccordo tra due spazi dando la preminenza a quelli occupati dall’uomo il cui sguardo indagatore potrebbe attraversarli nel tentativo di appropriarsi dell’ignoto rappresentato dall’enigmatica superficie del pianeta, ma si tratta piuttosto di uno schermo dove si materializza la luce, che stacca i volti e i corpi dallo spazio circostante, quando i personaggi o gli oggetti stazionano nel suo perimetro. Oppure è una superficie nera impenetrabile all’occhio umano nella notte solariana: i casi che abbiamo ricordato sono particolarmente importanti perché a commento dell’impenetrabilità e della funzione evidente di superficie opaca in cui si materializzano le immagini ci sono significative soluzioni musicali elettroniche che considereremo nella nostra analisi.

31 Tornando all’episodio dello stagno, l’abilità di Artemev consiste nel partire dal mormorio dell’acqua tradotto dal tappeto degli strumenti a corda su cui si inseriscono i fiati, il cui soffio è rappresentazione della vita stessa della natura che Kris tenta di racchiudere nell’inconsueto ‘vaso’ che porterà con sé nel viaggio. Il resto è fatto dalla dinamica, dall’uso come vedremo molto frequente, del piano o del pianissimo che comportano una fusione pressoché totale dei suoni musicali con quelli d’ambiente in un unico piano di fondo. L’intreccio sonoro è poi completato dall’uso di semplici accordi, di sonorità dall’identità appena percettibile e sicuramente non strutturata musicalmente in un motivo o in una melodia riconoscibile (che li farebbero rientrare in un contesto del tutto umano): la fusione dei timbri strumentali tradizionali con i rumori doveva risultare quindi totale arrivando a creare un’impercettibile sottolineatura di un’azione estremamente significativa per il prosieguo della vicenda.

Non mancheranno gli episodi tratti da Solaris nei quali sarà proprio il suono elettronico a insinuarsi nella struttura di quello ‘naturale’, o sarebbe meglio dire concreto, per giungere ad una forma di nuova unità tra artificiale e naturale stabilita dalla metamorfosi, ma analizzando una sequenza di Stalker emergerà di nuovo il problema appena definito ma declinato con una soluzione ancora diversa. Anche in questo film Artemev è il musicista e ha il compito di «delineare il confine invisibile fra due mondi: il mondo della terra (del quotidiano dei tre protagonisti) e il mondo della Zona, ma senza usare la musica come tradizionalmente si intende»27.

Quando i tre viaggiatori si incamminano nel prato dopo il tragitto sul carrello ferroviario, la macchina da presa li smarrisce dirigendosi verso un autoblindo incendiato dove giacciono ancora i soldati carbonizzati: inizialmente riteniamo che si tratti di una soggettiva di uno dei tre protagonisti, i rumori ci lasciano infatti intendere che almeno uno di loro stia attraversando l’erba in direzione del veicolo, ma dopo aver contemplato lo spettacolo di morte offerto dalla guerra, scopriamo che questo sguardo non apparteneva a nessuno di loro, perché entrano uno

27 L’esempio trattato a testo non è ricordato da Artemev, ma ricavato dall’analisi audiovisiva della sequenza che trova comunque delle conferme indirette nelle parole del musicista. Nell’intervista dell’estate del 2010 la domanda verteva ancora una volta sul modo in cui, utilizzando la musica elettronica in Stalker, egli fosse riuscito ad oltrepassare il confine tra naturale e artificiale in entrambi in sensi procedendo sempre in modo impercettibile. La risposta del musicista ha preso ancora una volta in considerazione come esempio il tragitto sui binari con il carrello, già citato in numerose interviste: «Nell’episodio in cui vediamo il carrello, al rumore naturale delle ruote sui binari ho aggiunto suoni del sintetizzatore simili per timbro, allo sfondo sonoro ho aggiunto gradualmente la base di un coro. I suoni del sintetizzatore in modo inavvertito sostituivano quelli naturali. Lo spettatore sente appena che qualcosa è cambiato, ma nessuno può dire quando questo è accaduto e come i personaggi siano passati dal mondo quotidiano a quello della Zona». Nella nostra argomentazione – è bene ribadirlo – intendiamo dimostrare che la concezione della musica elaborata attraverso l’esperienza dell’elettronica dal musicista russo va ben oltre l’uso degli strumenti elettronici e consiste nella possibilità di cogliere sempre nuove consonanze all’interno di un mondo dove non esiste un suono non musicale. Questa potenzialità insita nell’elettronica e programmaticamente sfruttata da Artemev è ciò che Tarkovskij esige dalla musica cinematografica.

32 dopo l’altro nella sovrainquadratura del finestrino che designa così una soggettiva impossibile, uno spazio tracciato dal movimento di macchina nel quale i protagonisti non potevano avere accesso, una dimensione alternativa, ma coesistente ai loro passi nel prato28. Per risolvere questo sguardo alieno Tarkovskij conclude questo piano sequenza attendendo che il quadro si svuoti dai tre viaggiatori che contemplano l’insensata crudeltà umana e si apra sul paesaggio in cui la natura sembra aver preso il completo dominio, poi fa levare il vento.

Dal punto di vista del sonoro questo effetto è ottenuto efficacemente filtrando il rumore bianco e regolandone l’intensità, ma impercettibilmente e senza poterne stabilire il momento dell’attacco l’aria emette un gemito appena percettibile: sul rumore colorato a intensità variabile che rappresenta il vento è stata inserita una base di coro (probabilmente gli alti o i soprani). Intonando una semplice nota musicale (un Do 4), il coro esalta il carattere epifanico di questo elemento naturale: la Zona acquista una presenza che si coglie solo con la necessaria disposizione contemplativa e il nuovo timbro per presentare il vento è arricchito dall’impronta di una voce umana riconducibile a coloro che la attraversano, come verrà spiegato in seguito dallo Stalker in una sequenza didascalica sulla natura della Zona accompagnata dal ritornello elettronico del film.

Dagli esempi trattati e dalle dichiarazioni di poetica di entrambi gli autori si ricava quindi che la ricerca timbrica, la costruzione delle sonorità più adatte a ciascuna sequenza costituisca l’obiettivo fondamentale da raggiungere e l’elettronica e più in generale la musica che manipola il suono registrato rappresentano il mezzo più adatto a conseguirlo. Come abbiamo notato già all’inizio di questa trattazione, Artemev la considera più che un genere musicale un vero e proprio modo di intendere e di dare senso all’intero mondo dei suoni che circondano l’ascoltatore o lo spettatore cinematografico ponendo in secondo piano le forme della tradizione accademica.

La composizione che pone in risalto particolare e quasi esclusivo il timbro del suono e che contraddistingue la produzione di Artemev fin dalle prime prove nello studio moscovita si adatta perfettamente alle richieste del regista e diventa la parte più significativa del lavoro alla colonna sonora di Solaris:

Per me era importante che nella creazione di un mondo sonoro ‘altro’ fossero assenti timbri chiari, assolo di strumenti o gruppi di timbri, perché il loro riconoscimento avrebbe distrutto la trama musicale e quella musico-sonora dell’episodio. Tutto questo è stato fatto per creare un mondo sonoro sui generis,

28 L’analisi magistrale di questa sequenza è condotta da Truppin nel suo saggio sul sonoro degli ultimi tre film di Tarkovskij. Si veda a questo proposito: Truppin, And Then There Was Sound: The Films of Andrei

33 proprio soltanto della situazione concreta all’interno del film. Inoltre, mescolando timbri diversi per carattere, ho mimetizzato la loro natura.29

Emerge continuamente la necessità di ‘mascherare’ l’evento riconoscibile nell’ambito strettamente musicale per ricondurlo il più vicino possibile alla sua natura, alla sua origine sonora riguadagnando così un nuovo senso che investe poi la combinazione audiovisiva. La ricerca delle sonorità più adatte a portare il visivo su un piano più alto sostituisce la musica nel senso tradizionale della parola che il regista non ritiene necessaria: non sono presenti temi, eccetto il Preludio corale in Fa minore di Bach, e tutta la colonna sonora è costituita dalla composizione di una serie di «quadri sonori», che la sequenza dedicata alla contemplazione della riproduzione dei Cacciatori nella neve di Brueghel da parte di Hari mette in scena quasi ad un livello metadiscorsivo.

Solo il Preludio è trattato come un brano che si ripete ben riconoscibile all’interno della vicenda scandendone i momenti essenziali, ma il suo ritornare è segnato da variazioni che lo rendono organicamente parte del tessuto sonoro elaborato da Artemev: esso deve entrare a pieno titolo come un brano esemplare del mondo dei suoni che la pratica compositiva dell’elettronica ha consentito di organizzare per il film.

Particolarmente utili sono ancora le parole del musicista che presenta l’inizio dell’ultima sequenza del film, chiamata da lui “Il ritorno del figliol prodigo” data l’evidente suggestione rembrandtiana:

Prima avevo proposto di fare semplicemente una versione orchestrale di questa musica, ma, quando mi sono messo al lavoro, mi è venuta l’idea di utilizzare la tecnica compositiva che usava Bach: la tecnica del cantus firmus. Tutto il Preludio in fa minore veniva interpretato come cantus firmus intorno al quale apparivano sempre nuove voci e contrappunti. Anche questa idea fu accettata da Tarkovskij. Nella mia interpretazione del Preludio in Fa minore non ho fatto uso di sintetizzatori, affinché la musica terrena (ma divina) di Bach fosse suonata soltanto da strumenti terrestri. Ho utilizzato il suono originale dell’organo, un’orchestra sinfonica (con un vibrafono eseguito a solo) e un coro.30

Recuperando una forma musicale sepolta nella nostra memoria di ascoltatori, Artemev include tra le pieghe della sua ricerca timbrica anche Bach, considerato la manifestazione cosmica per eccellenza e insieme lo specchio dell’autentica disposizione del fedele all’ascolto, vale a dire la condizione interiore che il protagonista dovrebbe raggiungere.

In verità le modifiche al Preludio imposte da questa ritrovata e originale polifonia sono ben più numerose di quelle che ha ricordato: il brano così come si ascolta nella colonna sonora del film elude la contrapposizione, ancora viva nelle parole del compositore, tra la

29 Comunicazione personale di Artemev con chi scrive nell'estate 2010. 30 Ibidem.

34 terra e il mondo alieno di Solaris, riconfermando così l’assunto iniziale che indicava nella ricerca di timbri e di complesse sonorità dal senso ambivalente l’obiettivo principale da conseguire per l’immagine tarkovskijana.

Dopo aver trattato l’unico elemento a cui è concesso lo statuto di tema e aver notato come sullo sviluppo del brano ideato da Bach si sia sovrapposto il complesso tessuto sonoro di Artemev, trasformandolo in un corpo rivestito da elaborate pieghe timbriche, che finiscono però per prendere il sopravvento, è necessario tentare di definire l’idea di “quadro sonoro”, che nel lavoro del musicista russo è la struttura che ha sostituito il tema allineandosi così alle elaborate panoramiche tarkovskijane in continuo mutamento di punto di vista e alla prospettiva brugheliana, volta a interrogare lo spettatore sulla forma del suo sguardo.

Ancora una volta le parole del musicista possono guidare il nostro percorso interpretativo:

Nella musica per il cinema lo sguardo dell’autore è il filo conduttore che permette allo spettatore di entrare nell’atmosfera dell’inquadratura. Parlare di “temi”, che sonorizzano gli episodi più importanti sarebbe sbagliato, si tratta di “quadri sonori” : lo stagno, il viaggio di Kelvin, il viaggio di Berton nella città, i corridoi della stazione spaziale di Solaris, il quadro di Brueghel e alcuni altri. In questo consiste la concezione musicale del film Solaris, che si è creata non subito ma durante il processo del lavoro attraverso tentativi ed errori. Ogni quadro veniva creato singolarmente, lavorando sui rumori della natura, che accompagnavano la scena concreta31.

Nel metodo di lavoro di Artemev è estremamente chiaro il punto di partenza costituito dall’individuazione della costruzione del visivo ideata dal regista: nel caso di Tarkovskij lo sguardo dell’autore si manifesta con un complesso policentrismo, già evidenziato anche dalla critica, che evidentemente si deve ritrovare anche alla base della composizione del musicista. Senza addentrarci per ora nel dettaglio analitico, che sarà sviluppato nei prossimi capitoli a partire dall’analisi degli appunti fino a giungere all’esito audiovisivo (ovviamente nei luoghi in cui sarà possibile discernere la complicata stratificazione realizzata dalla coppia Artemev-Litvinov), si noterà fin d’ora che il ricorso sistematico all’eco e al riverbero non restituisce suoni diretti che rinviano alla presenza della loro fonte, ma produce immagini del suono, suoni virtuali, risonanze che contengono informazioni sullo spazio in cui si diffondono tendendo così l’atmosfera dell’immagine e moltiplicando le connotazioni con cui deve essere interpretata. Nonostante tutti i film tarkovskijani siano stati costruiti per un sonoro monoaurale la concezione dello spazio sonoro si presenta decisamente più ampia nonostante debba poi misurarsi con un unico centro di emissione coincidente con quello intorno al quale si organizzano le immagini di Solaris32.

31 Ibidem.

32 Il tema del centro è ribadito da tutte le figure circolari (oblò, corridoi, specchi convessi, cabine, sedie che

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