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Memoria individuale e collettiva a confronto: gli esuli spagnoli

Dal fuoco lo stacco trasporta lo spettatore su uno degli specchi dell’appartamento dove ha assistito alla telefonata tra la madre e il figlio (il Narratore) e dove si è svolto il primo sogno: su questa superficie si riflette il volto della ex-moglie di Aleksej, Natal’ja. Questo personaggio è però interpretato dalla stessa attrice, Margarita Terechova, che incarna la giovane madre nei sogni e nei ricordi d’infanzia dell’io lirico del film: Tarkovskij trasferisce letteralmente nella rappresentazione cinematografica la condensazione delle due figure che il suo protagonista opera elaborando il suo flusso di coscienza e infrange le barriere cronologiche che dovrebbero separarle in un ordine narrativo della vicenda.

La voce maschile continua a restare sospesa nella stanza nonostante il dialogo tenti di vincolarla almeno al fuori campo della superficie riflettente: uno sguardo in tralice di Natal’ja sull’argento, dopo i soliti ammiccamenti femminili a metà tra il compiaciuto e lo stranito, sembra raggiungere direttamente la macchina da presa proprio quando la donna sottolinea l’impossibilità di comunicare che ha caratterizzato il loro rapporto.

Abbandonati a malincuore i privilegi della posizione over, che avevano reso più fantasmatico il colloquio telefonico con la madre e prima avevano introdotto il film secondo una modalità apparentemente classica enunciando però la separazione del padre dalla famiglia, la voce maschile del narratore viene coinvolta nel gioco malinconico delle ‘riflessioni’: per prima registra la somiglianza tra le figure della moglie e della madre negli anni intorno alla guerra, ma benché osservi l’esaurirsi del rapporto con Natal’ja non trova invece la ragione del distacco da sua madre.

Natal’ja identifica Ignat, il figlio che compare anch’egli riflesso e sovrainquadrato in uno specchio, con il padre: il suo attaccamento alla madre, unito all’incapacità di stabilire un rapporto anche solo comunicativo con lei, viene accostato inevitabilmente al vissuto di Aleksej. Le amare corrispondenze registrate nel dialogo non intendono contrapporre due figure femminili, ma osservare le relazioni madre-figlio, padre-figlio al mutare dei termini che compongono la relazione superando l’ordine cronologico che ha regolato e distinto i rispettivi vissuti.

Lo sguardo di Aleksej regola l’andamento del racconto moltiplicando, grazie alle superfici riflettenti, le immagini della figura materna e fissando la sua sofferenza, mentre invece si serve del volto riflesso della ex-moglie per rivelare l’impermanenza dell’immagine e la sua

155 debolezza proprio nel momento in cui è visibile la sua fattura materiale, rappresentata nel modo più evidente dalla ricerca del volto sfocato della Terekhova sul vetro di una finestra140.

Tuttavia, il gesto di alitare sul vetro per rivelare la sua superficie offre l’appoggio necessario per l’effetto sonoro che stacca sui primi inserti di carattere documentario dello

Specchio che riguardano la Spagna: il sacrificio del toro nella corrida, introdotto dalle grida

del pubblico alla massima intensità nel momento dell’uccisione dell’animale, sposta radicalmente l’attenzione dalla nostalgia dell’infanzia a quella della patria perduta entrambi sentimenti non congelabili in cliché141.

La scelta tarkovskijana di ricorrere a pezzi di cinema documentario o, come vedremo, a frammenti da altri film per la rappresentazione della guerra spinge lo spettatore ad interrogarsi sulla consistenza e sul valore dell’immaginario collettivo, in cui si sono già sedimentati e cristallizzati dei veri e propri simboli, e sulle modalità con cui esso interagisce con quello individuale, di cui abbiamo finora seguito il complesso sviluppo tra i sogni e i ricordi della voce narrante.

La sequenza dedicata alla rievocazione della corrida è recitata per la piccola comunità di spagnoli raccolta nell’appartamento dell’insofferente Aleksej: l’attore protagonista che mima gesto dopo gesto le pose del torero parla infatti in spagnolo trascinato evidentemente dall’evento stesso che sta mettendo in scena. Non ha alcuna importanza il farsi capire dagli ospiti russi: le sue parole prendono il ritmo della rievocazione sonora appositamente ricostruita da Litvinov per lo Specchio che supera la visione del frammento iniziale della morte dell’animale da un frammento in bianco e nero virato ocra.

La sua voce segue e arriva quasi a deformarsi espressivamente per assecondare ogni suo gesto, per rivivere attraverso la sua interpretazione il rito che coinvolge la folla convenuta per lo spettacolo sacrificale di cui possiamo seguire solo l’immagine sonora. I toni si fanno più malinconici quando dalla rievocazione del momento estatico e collettivo della morte del toro si passa a ricordare il funerale del torero e la comunità riunita in questo lutto: le parole del narratore si scollano dalla sua figura, Tarkovskij segue le reazioni dei convenuti silenziosi ai ricordi carichi di nostalgia materializzata dalla parola, ma dirotta l’attenzione dello spettatore su una serie di specchi annunciata da un inserto documentario dove una donna cammina su un marciapiede tra le macerie con una lunga specchiera infranta.

140 A questo serve l’alitare della donna sullo specchio che non resta sul vetro nemmeno il tempo per notarlo. L’inconsistenza dell’immagine è velata dal narcisismo femminile aleggiante in tutta la sequenza impostata interamente sul volto della Terekhova.

141 Tarkovskij si interroga sul pericolo di mettere in scena delle immagini dal contenuto prestabilito e facilmente decifrabile, soggetto alla parola, e si adopera sistematicamente per la loro rimozione o mette in scena la loro dissoluzione a cui forniscono un contributo decisivo gli elementi naturali (acqua e fuoco su tutti).

156 Grazie a questa immagine notiamo che nella stanza degli spagnoli alle pareti si moltiplicano le superfici riflettenti, persino incorniciate, ma nessuna di loro riproduce la scena che stiamo osservando. Contrariamente al tema enunciato dal primo specchio comparso sul muro della fattoria, che racchiudeva nella sua piccola estensione il cortile, il fuoco e gli spettatori guidando così la visione della macchina da presa entro la cornice della memoria del protagonista, queste superfici, seppur numerose, non racchiudono alcun microcosmo, alcun mondo o evento inerente all’ideale, né possono guidare la visione, né tentare di pilotare i tentativi introspettivi di chi vi si riflette, come è accaduto nella prima parte della sequenza tra Aleksej e Natalija: la comunità degli spagnoli non si può raccogliere nel ricordo presa tra la nostalgia e l’assimilazione al mondo sovietico.

Ma lo specchio nel frammento di repertorio diventa anche il motivo che fa germinare, durante la rievocazione di tratti più caratteristici del mondo iberico, la serie di immagini della guerra civile spagnola, come se all’iniziale morte del toro Tarkovskij associasse ora una sorta di personale ‘Guernica audiovisiva’142.

I materiali sonori si moltiplicano complicando la comprensione del sentimento espresso dal protagonista della sequenza: mentre in spagnolo egli inizia il tema del distacco, della separazione dalla sua famiglia si sovrappone una voce che in russo in parte completa il breve racconto della morte del torero e in parte prova a tradurre la sofferenza che ha accomunato i profughi spagnoli al momento di abbandonare la Spagna: la consapevolezza della perdita dei familiari, del definitivo allontanamento dalla terra natia e dell’impossibilità di ritrovare una patria spirituale filtrano attraverso i due discorsi sovrapposti e non coincidenti, che terminano sull’attacco del brano di Flamenco.

Il lavoro di montaggio e di missaggio, pienamente comprensibili solo con un’analisi dettagliata, mostrano come vengano evitate le immagini cliché pur affrontando temi e contenuti tipici, in questo caso, del mondo iberico oppure utilizzando musiche popolari

142 Bird chiarisce la provenienza del footage attribuendolo all’inviato di guerra sovietico Roman Karmen; una parte del suo materiale è stato poi elaborato da Esfir Shub per il film Hispania del 1939. Lo studioso statunitense sottolinea come questo cameraman si sia guadagnato il titolo di eroe nell’immaginario sovietico per la sua instancabile testimonianza fornita al fianco dei repubblicani durante la guerra civile contro le forze fasciste: si tratta di un ritorno del cinema al servizio della lotta per i più puri ideali della rivoluzione prima dello sprofondamento nello stalinismo. Non è improbabile che Tarkovskij stesso abbia visto quei filmati nella sua infanzia e condiviso almeno in parte la stessa fascinazione per la Guerra di Spagna. In ogni caso l’uso di inserti documentari consente allo spettatore di distinguere il conflitto, rievocato per immagini, dai ricordi del torero raccontati dagli ospiti, che nella sequenza procedono in parallelo: le parole non illustrano l’immagine né il parlato fa da didascalia al visivo. Così i pezzi di repertorio possono diventare ulteriori brani di memoria dell’infanzia del protagonista dello Specchio. Per la provenienza del footage documentario e per le riflessioni sulla figura di Karmen si veda: Bird, Andrei Tarkovsky, elements of cinema, cit. p. 137. Per la funzione dello specchio in questo film a partire proprio dal primo esiguo frammento di repertorio considerato nella nostra analisi si vedano anche le pagine decisive di Francesco Netto: F. Netto, Hoffmanniana in Tarkovskij e la musica, cit., pp. 233-234.

157 universalmente note come emblema o prodotto culturale di questo popolo. Nel nostro caso l’attacco del pezzo di musica produce un brusco rovesciamento della tensione emozionale della sequenza, che era scesa nella malinconia della rievocazione ‘a due voci’ della perdita delle radici: l’intensità del canto riempie la sala con gli ospiti, fa muovere la giovane figura sinuosa di una delle figlie degli esuli, che non nasconde più la sua ibericità e si produce in alcune sensuali movenze associate a questo canto suscitando l’ira del padre, che tanto si era prodigato per trasmettere questo germe ispanico senza ottenere alcun risultato.

Lo schiaffo del padre alla figlia coincide con l’arresto della musica e la fine della danza, ma lo spettatore, come all’inizio della sequenza con la corrida, non ha mai potuto fissare stabilmente la fonte di provenienza dei suoni. Lo spettatore deve accordare a questo paesaggio sonoro tipicamente iberico uno statuto incerto: prima i rumori della folla e le sue grida di giubilo, riscritte da Litvinov rispetto alla musica del documentario di Shub, sembrano essere una soggettiva sonora dell’istrionesco spagnolo, che mima il momento dell’uccisione del toro, condivisa dalla piccola comunità raccolta nell’appartamento di Aleksej, poi il flamenco riempie simultaneamente fin dall’attacco tutti i livelli del racconto cinematografico arrestandosi sull’ira paterna, come se la sua rabbia per l’ibericità repressa della figlia interrompesse la musica che tutti stanno ascoltando, ma nessuno sa precisamente da dove venga. I suoni iberici della corrida e la musica popolare possiedono un livello di intensità che li rende liberi di irrompere nella narrazione aprendo dei vuoti quanto l’indicibile sentimento di perdita insito nella rievocazione degli esuli.

Le domande di Natal’ja a Lucija spostano inevitabilmente il tema dell’episodio dalla nostalgia all’assimilazione. Si opera una ‘dissolvenza’ linguistica a partire dall’aspro rimprovero del padre alla figlia dopo le poche movenze di danza: alla prosodia spagnola si sostituisce un russo corretto e ben scandito, come se dovesse essere capito da chi non lo pratica come lingua natia. Le domande riaprono la ferita della nostalgia con il tema caro a Tarkovskij dell’impossibilità di capire, di tradurre a parole il vissuto di un popolo, il senso delle radici, il legame con la terra natia che il singolo porta con sé: Lucija risponde così alle domande dell’ospite sulla possibilità del ritorno in patria, ma è più importante osservare come il regista non mostri chi ha interrogato la donna spagnola e scolli ‘fellinianamente’ la voce da questa comparsa a tal punto che non sappiamo chi abbia realmente risposto. Questa rottura del legame tradizionale tra il corpo, o il volto, e la voce determina una sospensione dell’atmosfera della sequenza che si risolve soltanto con Lucija che decide di abbandonare l’appartamento: nel punto culminante della sequenza, quando il peso della nostalgia si fa insostenibile, il flamenco attacca nuovamente e la sua intensità fa saltare il racconto ai quadri della guerra

158 civile di Spagna, al momento del distacco, che viene rivissuto non più dalle testimonianze dei presenti ma attraverso le inquadrature di Karmen, passando così da un’indescrivibile esperienza individuale al dramma di un intero popolo.

Le inquadrature dei bombardamenti aerei sulle città sembrano composte per adeguarsi ai comandamenti di Leonardo nell’illustrazione pittorica di una battaglia: alla caduta dei proiettili, che tracciano un mortifera linea verticale, succedono le nubi di detriti e macerie che si alzano verticalmente verso il cielo alla loro esplosione, la città viene cancellata dal fumo e dalla polvere mentre frenetiche si fanno le corse di coloro che si rifugiano sotto terra per trovare scampo alla morte.

Non sembri eccessivo il ricorso a Leonardo: nella novella Bianco, bianco giorno, da cui si è poi sviluppata la sceneggiatura di lavoro dello Specchio, Tarkovskij aveva previsto il racconto della demolizione della vecchia chiesa di campagna di Jurevets e questo ricordo era scandito da citazioni tratte dal paragrafo Come si deve figurare una battaglia del Trattato

sulla pittura. In queste parti hanno un rilievo preminente gli elementi naturali ‘pervertiti’ dalla

guerra: l’aria e la terra si confondono in un turbinio di polvere che impedisce alla luce e alla vista di penetrare e il sangue impasta il terreno trasformandosi in fango143.

Tarkovskij alla pari di Leonardo intende cogliere e trasporre cinematograficamente il dinamismo che sfigura gli uomini e la natura, e per questo costruirà un’intera sequenza dedicata alle guerre, ma in questo modo sistema nel suo film una presenza sotterranea che verrà alla luce proprio nel punto di passaggio tra la sequenza degli spagnoli e la seguente, dedicata alla scoperta della missione del popolo russo con la lettura della lettera di Puškin: Ignat sfoglierà un libro osservando alcune famose riproduzioni di opere del pittore fiorentino.

Trascurando per il momento la presenza del figlio di Aleksej, che comunque media il nostro sguardo, è possibile notare come affiori nel visivo il motivo tutto tarkovskijano della ricerca di un modello, questa volta nell’ambito delle arti figurative e non più nella musica, come era stato nel caso evidente di Bach, che attraversa il film negli snodi cruciali e, come in

Solaris, rappresenta fin dal prologo un esempio di perfezione artistica. La digressione sulla

presenza leonardesca, per ora solo in filigrana nella selezione dei materiali e nel montaggio operato da Tarkovskij, non può oscurare la presenza e le connotazioni portate in questa parte della sequenza dal flamenco: la frenesia del bombardamento assume il ritmo sonoro del più famoso (e tipico) stile musicale spagnolo.

143 Si veda a questo proposito la novella contenuta in A. Tarkovskij, Racconti, Milano, Garzanti, 1994, pp. 18-22. L’episodio dell’abbattimento della cupola di Jurevets è stato poi interamente espunto dalla lavorazione del film perché non approvato dal comitato artistico che ha dato il nullaosta al progetto.

159 Per i primi quadri della Guerra di Spagna non c’è una ricostruzione sonora coerente all’evento, di stampo realistico, come nel caso della corrida, ma un frammento di strofa per la città sofferente; le nacchere emergono in coincidenza della fuga delle donne eleganti sui marciapiedi verso il rifugio sotterraneo e questa impronta sonora del popolo spagnolo si volge in pianto e grida quando le immagini passano a rappresentare il distacco di bambini dalle famiglie sulla banchina di un porto.

In queste inquadrature è evidente l’intento mimetico a posteriori di ricostruire con il sonoro la confusione della partenza e con il visivo lo straniamento dei bambini che stanno per perdere i loro genitori: una bambina, raccolta su se stessa, stira la piega del vestito come se il suo quotidiano non dovesse essere turbato dall’imminente separazione, ma il punto culminante di questa serie di inquadrature si raggiunge quando al suono cupo e profondo di una sirena (di una nave, ma invisibile) le piccole comparse sulla banchina guardano verso la macchina da presa.

Tutta la sequenza si condensa nello sguardo interrogativo lanciato allo spettatore da una bambina che tiene in braccio una bambola: il suono della sirena misurerà la sua durata come un evento musicale che assorbe tutto il paesaggio sonoro del porto, ricostruito inizialmente con intenti di verosimiglianza. Questo suono concentra qualsiasi altro rumore, o grido, o parola comprensibile riempiendo con la sua intensità tutto lo spazio della rappresentazione e il montaggio non tenterà di collocarlo, di ‘risolverlo’ nel visivo lasciandolo così come unica nota, ‘sinonimo’ sonoro del sacrificio delle radici, della perdita irreparabile delle famiglie e della terra natia. Grazie alla soluzione audiovisiva decisa da Tarkovskij, anche lo sguardo in macchina della piccola comparsa conserva intatto il suo statuto di interrogazione sull’evento: esso interrompe definitivamente la rievocazione del momento del distacco, non procede oltre, decretando così l’impossibilità di rappresentarlo.

La prosecuzione della sequenza, con una procedura che ricorda il montaggio delle attrazioni di matrice ejzenstejniana, introduce materiali eterogenei rispetto a quelli di repertorio finora visti e riconducibili al lavoro dei reporter sovietici durante la guerra di Spagna: contempliamo il volo di palloni aerostati sovietici per esplorare le parti più alte dell’atmosfera.

Sul piano del contenuto, di ciò che alla lettera l’immagine mostra non potrebbe esserci stacco più radicale, ma la dispersione del senso della sequenza – che intendeva far rivivere il profondo e inestinguibile senso di nostalgia degli esuli spagnoli – è evitata dalla soluzione sonora: essa prolunga nella visione di sospensione e levità il silenzio seguente al suono della sirena, che ha ‘ingoiato’ tutto il paesaggio sonoro e la possibilità di rappresentare la partenza

160 per l’esilio, lasciando nello spettatore intatta la tensione emozionale verso questo evento. Il silenzio dell’aria opera una decantazione della tensione concentrata nel grido della sirena; la pausa sonora, che assorbe dalle inquadrature il carattere della sospensione, ripristina la possibilità che il racconto proceda, ma necessariamente su un piano diverso rispetto a quanto testimoniato finora: lo Stabat mater di Pergolesi, che si innesta nella sequenza solo al terzo quadro dei palloni aerostatici, rende il dolore del distacco da collettivo a universale e l’istmo di silenzio è il ponte sonoro necessario per porlo come chiusa dell’episodio.

Con materiali audiovisivi così eterogenei assume un rilievo decisivo la tessitura, l’intreccio stabilito dal montaggio e dal missaggio che stabiliscono il procedere del senso nella sequenza. La comparsa dei palloni aerostatici in chiusura della parte dedicata alla guerra di Spagna, decisamente incongrua sul piano del contenuto rispetto alle inquadrature precedenti, richiama invece una serie di temi già espressi dal visivo come ad esempio quello dell’aria, elemento che ha stabilito un’interpunzione del discorso audiovisivo nell’incontro con lo sconosciuto e ha aperto il primo sogno. La levità con cui si muovono le figurine nere in volo contrasta con la frenesia dei passanti sotto i bombardamenti con cui si era aperta la sequenza e la trasparenza e il suo vuoto, contenuti nei morbidi involucri dei palloni, che richiamano l’estensione infinita del cielo, risolvono l’opaca impenetrabilità delle nubi delle esplosioni con cui si era aperta la composizione tarkovskijana realizzata utilizzando il footage di Karmen e Shub.

La ricerca di ripetizioni ma soprattutto di riprese incuranti della coerenza narrativa o contenutistica indica un intento di carattere ‘musicale’ dove gli elementi principali svolgono la funzione di ritornelli, di richiami dei temi essenziali da cui si è originato il film: sulle note dello Stabat mater, dopo la visione dei palloni, si innesta una lunga inquadratura in cui Ignat osserva, ma soprattutto mostra allo spettatore, una serie di riproduzioni di dipinti e disegni di Leonardo contenuti in una elegante pubblicazione dalla copertina rigida.

Questa inquadratura-sequenza funziona da originale riepilogo dei temi che il visivo ha finora proposto. Innanzitutto ritorna esplicitamente sulla figura del pittore fiorentino con uno

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