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Il primo sogno e la trasfigurazione della madre

Il visivo è inizialmente scandito dal doppio risveglio nella penombra del piccolo Aleksej: il cambio dai colori al bianco e nero differenzia le ricostruzioni della memoria dal sogno, ma a parte questo indicatore di un salto dimensionale del racconto è indubbio che il protagonista segua degli stimoli sonori che lo condurranno dinnanzi al rito presenziato dalle figure del pare e della madre.

Come già suggerito al termine dell’analisi della sequenza nella fattoria, è la composizione elettronica di Artemev a introdurre il tema sonoro (e poi visivo) del vento trascinando il rumore interiorizzato del fuoco dall’incendio all’atmosfera notturna: dalla mistura di toni sinusoidali a frequenza piuttosto bassa e cupa, modulati in ampiezza e riverberati, molto somigliante a quella che avevamo ascoltato nei quadri di Solaris, si passa con una dissolvenza

136 a un breve motivo di corale che scandisce solo note: anche quest’ultima soluzione era presente nella sequenza della contemplazione del quadro di Brueghel, ma questa volta fa da sfondo ai fischi di uno zufolo (che nessuno suona ma che finiscono per funzionare come richiami).

Questo suono, prodotto senza alcuna cura musicale ma semplicemente con l’intento di emetterlo, anima lo spazio intorno al bambino per preparare una nuova manifestazione della natura, questa volta compresa nella dimensione ambigua del sogno: il fischietto imita e tenta di evocare il rumore del vento che si dispiega nella prima immagine in bianco e nero della sequenza con le fronde plasticamente animate dalla sua forza.

Il primo fischio segna il risveglio notturno del bambino, il secondo è prodotto sulle fronde decolorate e come pronta risposta ottiene un rombo ‘realistico’ (si tratta comunque di rumore colorato e riverberato adeguatamente) che sostituisce la soluzione musicale elettronica di Artemev: al rinnovato respiro della natura rispondono piegandosi le punte degli alberi. Il terzo sibilo cade nel tipico risveglio del sognatore nel sogno, reso evidente dalla rinuncia ai colori, che rappresentano così non solo l’atmosfera notturna priva di luce e carica di penombra, ma anche l’ambivalenza del sogno. Il quarto risuona per introdurre l’imminente incontro celebrato dal padre e dalla madre123.

Seguendo la ripetizione delle note del fischietto, lo spettatore, come il bambino osservatore protagonista della sequenza (il piccolo Aleksej), è calato in una dimensione onirica dove la natura, rappresentata dai suoi elementi primi trova, come nella ricostruzione della memoria, uno spazio egualmente ideale per manifestare vividamente il senso di un continuo e segreto mutamento. Scrive a proposito di queste sonorità Artemev:

Per l’episodio dello Specchio in cui il bambino vede che al soffio del vento gli alberi si piegano, scricchiolano e che le foglie tremano sui rami ho scritto una composizione con lo zufolo da bambini, che si inseriva bene nel complesso del suono del rumore delle foglie, del vento e dell’atmosfera generale, ma Andrej non ha accettato questo brano. Ha detto che era “un eccesso” di mezzi e che qui bisognava trovare qualcosa di molto semplice, perché si trattava delle paure di un bambino molto piccolo. Dopo breve tempo Tarkovskij ha preso una decisione per questo episodio e ha suonato lui stesso lo zufolo. Effettivamente il risultato è stato ingenuo e toccante. E’ stata una decisione che mi ha fatto moltopiacere, perché nella pratica veniva confermata la mia idea, che non esistono suoni non musicali124.

Queste parole confermano il mutamento di intenzioni riguardo alla musica maturato nel regista rispetto alla precedente esperienza di Solaris: alle composizioni, che includono suoni e rumori tradizionalmente considerati non musicali e che creano dei veri e propri quadri sonori

123 Nel ricostruire la stanza dove dorme il bambino Tarkovskij ha adoperato dei campanelli (invisibili nel quadro), che accompagnano ogni spostamento del piccolo osservatore sul letto: l’atmosfera trepida di timore ed ogni suono prova a rincuorare il protagonista che sogna il ritorno del padre.

137 dotati di una loro evidente autonomia rispetto al visivo, Tarkovskij preferisce sostituire gli interventi di poche o persino singole sonorità che delineano gli eventi rappresentati sullo schermo raggiungendo una tensione emozionale non meno significativa in virtù della loro calcolata non corrispondenza rispetto alle immagini. Il paesaggio sonoro, rinunciando al piano interpretativo offerto dalla composizione di un brano, sia essa eseguita con le forme tradizionali o con quelle maturate durante l’esperienza nello studio di musica elettronica da Artemev, risulta complessivamente più semplice e scandito da pause e silenzi significativi, che interagiscono con la ‘partitura visiva’ decisa dal regista.

In linea con queste scelte sul piano della musica da comporre per il film anche i brani di repertorio, pur presenti nell’opera, vengono circoscritti e si attenua gradualmente l’intenzione di ricorrere al ritornello come in Solaris: inizialmente Tarkovskij riflette nelle note sulla possibilità di vincolare i sogni al prologo e quindi al Preludio, a Bach125, ma successivamente ripiega su combinazioni di sonorità appositamente create per le immagini e quindi si rivolge ad Artemev126. Consapevole delle potenzialità espressive della musica elettronica e soprattutto delle sue qualità ‘mimetiche’ di cui abbiamo discusso sopra, il regista russo opera intorno all’elaborazione del suono come elemento fondamentale della tessitura dell’immagine e intende sfruttare le possibilità che esso offre come refrain in grado di compattare l’insieme di frammenti e di macrosequenze di cui si compone il film.

Risulta quindi evidente che nella lunga nota per progettare la composizione di musica e suoni dello Specchio127, anche se il film non è ancora giunto alla sua versione di montaggio definitiva, la folata di vento che nel sogno risveglia il protagonista, conducendolo nella dimensione primigenia rappresentata dal sogno, è la stessa che deve caratterizzare l’incontro tra la madre e lo sconosciuto, ma questa volta ci troviamo evidentemente «dall’altra parte dello specchio» dove l’evento assume i tratti dell’incontro amoroso delineati dalla prima lirica che è risuonata nel film.

Dalla stessa nota è evidente il tentativo, poi non portato a termine perché le sequenze hanno raggiunto un altro ordine, di far migrare il suono dell’organo, ma «più profondo», dai titoli di testa con il Preludio di Bach: si cercava una continuità di carattere timbrico per arrivare poi alla sequenza della telefonata tra madre e figlio e inseguito all’incendio alla fattoria secondo un ordine certamente più lineare e narrativo di quello della redazione finale.

125 Tarkowskij, Der Spiegel, Novelle, Arbeitstagebücher und Materialien zur Entstehung des Films, cit., p. 205. Nota 3/03/1974

126 Ivi, p. 237-238. Nota 13/04/1974 127 Ivi, p. 211. Nota 8/03/1974

138 Non mancano di essere segnalati gli interventi con il fischietto legati proprio al vento, che non hanno una collocazione precisa in apporto ai quadri, ma che però sono inclusi nelle sequenze dell’infanzia di Aleksej accompagnando così la comprensione dello suo stato interiore, senza ricorrere alla recitazione del piccolo attore non professionista. Essi scandiscono anche i tempi degli spettacoli a cui assiste: nel regno dell’immaginario per eccellenza, il sogno, l’assenza paterna è sostituita da una serie di immagini che vedono come protagonista la madre e la potenza distruttiva/generativa della natura espressa dagli elementi primi più dinamici dallo spiccato carattere sonoro (acqua e aria su tutti e poi naturalmente fuoco). Ma un ruolo decisivo è svolto anche dalla serie di rifrazioni dell’immagine, di immagini dallo specchio che in questa sequenza procede verso la rivelazione della consistenza, della materialità della sua superficie.

Sfruttando le caratteristiche del suono cinematografico, più generalmente del suono registrato, gli elementi si possono dissolvere l’uno nell’altro garantendo passaggi ‘segreti’ tra le sequenze che implicherebbero invece salti temporali inaccettabili sul piano narrativo; anche Bach, pur sempre strutturato e solenne, subisce in questa lunga nota la presenza avvolgente delle sonorità che, lungi dal cristallizzarsi in un significato simbolico, rappresentano sempre più l’incarnazione primigenia del suono, quale principio generativo che invade le costruzioni dell’immaginario tarkovskijano.

Come suggerisce la visione a cui assistiamo, condotti fin sulla soglia della camera dal piccolo Aleksej, l’immersione nella natura non è un’armonica e pacificante fusione tra il soggetto protagonista del quadro (magari osservatore) e il mondo circostante: la madre in primo piano con la testa e i capelli immersi nel catino riempito dalla fuggevole figura paterna è a tal punto modellata dall’acqua che il suo volto, quando si solleva coperto dai capelli, appare come una testa di medusa.

Il rallenty ancora una volta si attarda ed esalta il disegno assunto dai lunghi capelli bagnati che ricordano delle alghe e rende la protagonista della sequenza una creatura acquatica, sospesa o galleggiante nell’atmosfera umida, liquida quando lo zoom si ritrae e consente la visione della spazio circostante, del cuore della casa che scopriremo essere l’appartamento in cui vive Aleksej, la voce narrante di cui stiamo seguendo i percorsi della memoria e dell’immaginario. Al di là delle associazioni suggerite dalla soluzione tarkovskijana128,

128 In Solaris, quando Hari ha ingerito l’ossigeno liquido e Kelvin attende la sua resurrezione, la macchina da presa in semisoggettiva si attarda sui capelli sciolti della donna che appaiono come le alghe nel ruscello con cui si era aperto (e si chiuderà) il film con l’accompagnamento dal Preludio bachiano. La cristallizzazione, sinonimo di morte, non impedisce al loro disegno di richiamare la fluidità, il dinamismo che caratterizza questo elemento. La trasformazione a cui è sottoposta la donna del primo sogno nello Specchio ricorda soluzioni surrealiste o metafisiche che richiamano lo stesso tema del volto e della visione velati.

139 l’acqua nel catino, anziché svolgere la funzione di specchio narcisistico per l’osservatore che contempla la propria immagine riflessa, presiede alla sua radicale metamorfosi catturata dalla macchina da presa.

Non appena il quadro retrocedendo inserisce la figura della madre nel luogo che potrebbe essere l’appartamento della voce narrante, essa sparisce lasciando in campo totale il palcoscenico della sua trasformazione: alla pari del personaggio ‘svoltificato’ anche l’appartamento viene liquefatto dall’acqua che percola, filtra dalle pareti e gonfia il soffitto fino a farlo crollare. In questo luogo in cui l’acqua agisce come il fuoco dissolvendo il contenuto delle immagini, non si può non notare la presenza di un armadio con uno specchio che, raddoppiando l’esile fiamma resistente di una stufa, suggerisce un principio di simmetria. La decostruzione dello spazio è invece evidente nella panoramica seguente dove ricompare Mar’ja, interpretata dall’attrice Terechova: la macchina da presa prima si attarda sul suo sguardo in macchina, diventando così superficie speculare rispetto all’autore (e allo spettatore), poi segue i riflessi della donna catturati dallo specchio dell’armadio fino ad oltrepassarne la cornice per osservare le pareti della camera umide e nere, percorse da ruscelli d’acqua.

In questo spazio unitario il movimento del personaggio crea una discontinuità non suturabile muovendosi nel fuori campo dove risiede stabilmente la macchina da presa e ricomparendo trepidante in una nicchia luminosa: la camera indugia ancora in un suo ritratto prima che il montaggio risolva il suo sguardo sul quadro che finalmente mostra la superficie dello specchio con un’immagine tattile. L’inquadratura appare come una sovrimpressione composta da una parte dell’appartamento in penombra, con le finestre chiuse e la fiammella che occupa il centro dell’immagine, e da un trompe l’oil dai toni surrealisti che riproduce un paesaggio visto attraverso una finestra ad arco difficilmente combinabile con il davanzale che la apre sul paesaggio stesso. Dal cuore dell’immagine emerge una vecchia donna: il gesto con cui si tiene lo scialle la identifica come la giovane Mar’ja, la madre di Aleksej, osservata nell’inquadratura precedente, ma quest’ultima porta nel viso e nel corpo i segni del tempo trascorso. Questa figura allunga una mano e tocca la superficie umida del vetro che ricopre il quadro: l’inquadratura si concentra così sulla materialità della superficie dove è impressa l’immagine.

La sovrimpressione non è un trucco cinematografico, ma una parte fondamentale della messa in scena. Il quadro compreso nell’inquadratura non è semplicemente una finestra sul mondo, ma una cornice che mette esplicitamente in discussione le regole della visione: il vaso trasparente con i fiori secchi sembra staccarsi dal piano della rappresentazione per prendere

140 parte alla realtà rappresentata nell’inquadratura. Il paesaggio, che ricorda le composizioni di Magritte, si prende gioco del tentativo inesausto di decifrazione del reale operata dalla parola che pretende di sostituirsi all’esperienza: nel centro della rappresentazione non è il cielo a specchiarsi nel lago, come vuole il cliché, ma è il lago che si riflette perfettamente in uno squarcio tra le nubi che ha la stessa forma. In quest’ultima inquadratura si addensano i dispositivi mediante i quali si riesce a mettere in immagine la realtà e nello stesso tempo si compie, attraverso il gesto della madre che tocca la superficie umida del vetro, il tentativo di infrangere il piano che le tiene separate.

L’importanza della tattilità e soprattutto della mano, la cui capacità di produrre segni rasenta quella di un alfabeto di ideogrammi, viene immediatamente ripresa nel quadro a colori seguente dove è interposta al fuoco: questa immagine tornerà nella visione di Aleksej nella seconda parte del film, durante la visita alla moglie del medico, non a caso dopo che il ragazzo avrà osservato titubante la propria immagine nel largo specchio della sala in cui è stato lasciato solo.

All’indubbia ripresa del tema del fuoco dopo una sequenza onirica fondata sulle proprietà audiovisive dell’acqua, si integra ora il motivo rappresentato dall’interposizione della mano alla visione: la mano fa da schermo, superficie interposta tra la messa in scena e l’occhio, come se non fosse possibile acquisire esperienza del reale o dell’immagine senza combinare l’apporto dei due sensi (almeno tre, se si considera la soluzione sonora che analizzeremo in seguito).

Nel prosieguo del film Aleksej, sfogliando il libro su Leonardo, si soffermerà con particolare attenzione sulla riproduzione di studi di mani e nella sequenza che rappresenta la morte del narratore Tarkovskij, rinunciando a svelare se stesso, si concentra sulla mano che come un’ala libera in volo un uccellino: il gesto compiuto ripristina così il passaggio dalla morte alla vita, l’ordine della creazione dal sacrificio della voce narrante esauritasi in un ultimo esile respiro.

Le soluzioni sonore adottate in questo primo sogno assegnano all’acqua un ruolo preminente nella creazione di un tappeto sonoro che la rende unitaria: nel silenzio assoluto i gesti impercettibilmente rallentati tendono ad assumere una particolare compostezza, anche il semplice versare acqua da una brocca eseguito dalla sfuggente figura paterna invocata dal piccolo sognatore.

La madre, sollevando i capelli dal catino, inizia lo sgocciolio d’acqua che si trasforma in un autentico scroscio di pioggia: esso rigonfia gli intonaci e letteralmente scioglie il soffitto che si rovescia sul pavimento. L’elemento naturale primigenio conquista tutta l’immagine e

141 decompone i simboli dell’universo tarkovskijano (la madre e la casa) dettando così lo sviluppo temporale del sogno e a sottolineare questa progressiva e inarrestabile invasione giunge l’intervento di Artemev: la sua cupa sonorità è composta da una mistura di suoni elaborati, ‘denaturalizzati’ al sintetizzatore tra cui si distingue l’intervento di un coro maschile composto da voci decisamente gravi, funebri di cui si intuiscono parole non comprensibili, e dal rintocco isolato di campane che imprimono all’atmosfera un’impronta decisamente apocalittica.

Solo lo zufolo interviene a zittire le vibrazioni prodotte dall’intervento di Artemev, che in alcuni punti ricorda le sonorità elaborate per la sequenza che inizia con la traversata del lago Sivaš: la lotta tra le misture sinusoidali e i fischi, pur non disturbando lo spiovere e il ruscellare continuo dell’acqua che articola non solo il tempo ma anche la profondità dello spazio con gocciolii più riverberati, caratterizza l’inquadratura che gioca sulla posizione della giovane Mar’ja rispetto agli specchi e la materia umida e scura delle pareti.

Nel quadro che presenta Mar’ja anziana rimane solo l’acqua e il suo evidente asincronismo rispetto alle immagine in cui si infiltra e spiove ovunque: una parte del suono è un gocciolio riverberato che riceviamo come traccia di un altrove invisibile e una parte prova a seguire le gocce che cadono davanti al vetro del quadro, indicando ancora una volta la volontà di fluidificare le cristallizzazioni dell’immaginario del narratore.

In perfetto sincrono è invece il gesto in primo piano che ‘fa sentire’ la superficie liscia del vetro sotto la pelle: l’immagine mette a fuoco la mano e sfoca il volto o lo sguardo della donna che vi si è specchiata. L’attenzione è spostata sulla consistenza materiale del supporto che ha consentito l’intricato percorso interpretativo della visione verificabile solo al tatto e lo stridio si allunga anche sulla mano interposta al fuoco, nella successiva inquadratura a colori, come a prolungare la sensazione tattile attraverso una sinestesia: l’udire e il toccare combinati insieme sottolineano in modo evidente la disposizione a ricevere propria del sognatore. Ma lo stridio dal vetro dell’ultima complessa visione onirica, passando attraverso l’immagine della mano attraverso il fuoco, che può rappresentare il risveglio, o il fuggire la fascinazione dei simboli e delle costruzioni dell’immaginario, si prolunga e insieme si converte nel passaggio sulle rotaie di un tram cittadino.

Il prolungamento del suono dimostra l’intenzione di saldare insieme le diverse dimensioni in cui si articola l’immaginario ‘audiovisuale’ del narratore, ma Tarkovskij sembra suggerire che procedendo alla ricerca dell’origine dell’immagine tattile su cui si chiude la sequenza onirica, nella quale svolge un ruolo chiave la consistenza del vetro resa attraverso il suono, si troverebbe il passaggio del tram nei pressi dell’appartamento cittadino dove risiede il

142 sognatore/voce narrante destato dalla telefonata della madre. Rovesciando il rapporto causa-effetto con cui si interpretano i fenomeni nella veglia, il sogno rivelerebbe solo al termine della serie di immagini la propria origine: questa spiegazione implica che nella dimensione onirica si abbia esperienza del procedere del tempo in direzione opposta rispetto a quella abituale129.

Riflettendo sul titolo e scartando quasi subito la possibilità di enunciare apertamente l’impostazione radicata nella tradizione letteraria russa, e non solo, suggerita dal termine «confessione», Tarkovskij prova ad individuare i motivi portanti dell’opera che possano condensarla in una parola: un primo insieme di abbozzi riguarda i luoghi del ricordo, la casa, la fattoria e l’incendio, il secondo è costituito dall’assenza dell’anello al dito della madre segno incontrovertibile di modernità e perdita dei legami con il passato, ma soprattutto dell’assenza incolmabile del compagno. Un terzo ordine di motivi punta la sua attenzione sull’atmosfera del film, soprattutto su dimensioni temporali transitorie («Il chiarore del giorno», «L’impermanente»), ma l’insieme più compatto è rappresentato fin da subito dall’oggetto che lo attraversa: «Il tormento dello specchio…», «Lo specchio» e un’ultima proposta che recita all’incirca come «lo specchio con l’amalgama in superficie».

Evitando di dare preminenza ai ricordi e al suo vissuto condizionato dal vuoto paterno che scatena l’immaginario del bambino Aleksej, come abbiamo visto nell’analisi del primo sogno, Tarkovskij usa lo specchio e la sua facoltà di creare immagini per conservare intatta la transitorietà dell’esperienza temporale (lo specchio non trattiene nulla di ciò che si forma sulla sua superficie) e il modo in cui, invece, si fissa nell’immaginario andando incontro alle più diverse trasformazioni.

Tra le caratteristiche di questa superficie non manca la sottolineatura della sua consistenza materiale: l’amalgama, che consente la formazione dell’immagine, si nota nei vecchi specchi dove l’argento tende a raccogliersi in grumi sfaldandone la superficie omogenea. Così si presenta la superficie toccata dalla mano di Marija al termine della sequenza onirica in

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