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Non c’è elemento dell’immagine che non metta in rilievo la sua tessitura e catturi così l’attenzione dello spettatore costretto ad interrogarsi su variazioni del colore, sulle alterazioni delle diverse sonorità, sul succedersi dei punti di vista con cui si articolano le sequenze del film, anche quella che potrebbe apparire di transizione come la seconda visita a Snaut, che è riuscito momentaneamente a liberarsi del suo ospite (l’amaca non è più infatti stesa di traverso nella cabina).

Kelvin vorrebbe ricavare subito informazioni utili alla sua missione di liquidatore della stazione, ma Snaut non parla: la sua attesa come il suo desiderio di sapere e di giudicare quanto visto e sentito non vengono soddisfatti e questo è sottolineato dalla rottura della continuità spaziale e narrativa della sequenza determinata dall’incongruenza delle posizioni dei due protagonisti rispetto all’evolversi dei movimenti di macchina. La comparsa di oggetti di vita quotidiana sovrappone al tempo della vicenda la continua irruzione di oggetti ricordo della terra e questa dimensione alterata, troppo densa di tempo è ulteriormente allargata dal riverbero con cui le pinze da medicazione cadono sul pavimento: il loro urto è troppo fragoroso e il rumore si espande in uno spazio che non corrisponde ai limiti del visivo.

Nulla è lasciato alla ‘trasparenza’ delle abitudini percettive: il bianco e nero si alterna al colore quando Kelvin rientra nella sua cabina per visionare l’ultima parte del filmato di Gibarian ottenendo la riprova sonora che i campanelli sentiti e visti al polso della ragazza non

71 erano un’allucinazione61. L’immagine progredisce nel tempo per i mutamenti inerenti alla forma cinematografica che incorpora il racconto e non viceversa: per differenziare la realtà registrata e quella in cui si trova Kelvin, Tarkovskij vira in blu il filmato in bianco e nero.

Quando il protagonista si addormenta il suo sonno appare subito pesante, simile ad una anestesia: sembra che concentri tutto il peso del corpo in uno stato paragonabile alla morte ritratto da una prospettiva che lo racchiude nello scorcio della profondità del letto come il

Cristo Morto di Mantegna62. E a vegliare sul protagonista ben presto si presenterà la figura di una donna che gli ricorderà Hari, la donna da lui amata e morta suicida a causa sua. Ma prima di porre il problema dell’identità degli “ospiti” dei terrestri sulla stazione, Tarkovskij opta per la loro incarnazione cinematografica: la prima inquadratura di questo nuovo personaggio è un dettaglio del volto, della guancia. Il largo cinemascope estende l’immagine fino all’oblò trasformato per l’occasione in aureola opaca e luminosa che fornisce la luce necessaria per percepire la peluria bionda sulla pelle del viso.

La presenza di questa donna, come prima quella del bambino sull’amaca nella cabina di Snaut o della ragazza dei campanelli di Gibarian passa esplicitamente attraverso l’esperienza dei sensi trasposta audiovisivamente: anche il resto del visivo partecipa attivamente alla scoperta dell’ospite passando nuovamente dal bianco e nero al colore, ad un giallo rosso che ritmerà più volte il giorno solariano ma estraneo al ciclo terrestre. Si notano quindi la presenza del colore e il dettaglio tattile prima dell’identità della protagonista che non viene ‘filtrata’ dalla presenza di Kelvin se non in un secondo momento: Tarkovskij pone l’accento sull’incarnazione cinematografica della realtà rappresentata piuttosto che sulla vicenda da raccontare, che si trova così frammentata in una serie di digressioni che stabiliscono le variazioni essenziali del tempo nell’immagine.

Dopo il ricorso al primissimo piano oltre che al ritorno del colore, sono gli oggetti e il problema destato dalle immagini ad articolare il procedere della sequenza: la seconda Hari, che mostra certamente agli occhi di Kelvin tutti i tratti dalle donna morta sulla terra (compreso il foro dell’iniezione letale del suo suicidio, evento di cui lo sterilizzatore è simbolo per la coscienza del protagonista, nonostante l’uso apparentemente straniante di

61 Il filmato è così vivido e impressionante nel sonoro che egli confonde le voci registrate di Sartorius e Snaut per vere e guarda verso la porta credendo che siano venuti in suo soccorso.

62 Sulle citazioni pittoriche evidenti in Solaris e sulle ragioni compositive del ricorso ai modelli pittorici rinascimentali ben riconoscibili in tutto il film per produrre un senso di isolamento delle figure e di non-comunicazione sia tra di loro che tra loro e lo sfondo, si veda: M. Romadin, Film and Painting, in About Andrei

Tarkovskij: Memories and Biographies, a cura di M. Tarkovskaja, Moscow, Progress Publishers 1990, p.

145-149. L’effetto straniante di questa scelta sostanzialmente anti-narrativa è visibile anche nel filmato familiare che Kris ha portato dalla terra: per ricomporre l’unità del quadro o dell’inquadratura cinematografica lo spettatore deve ricorrere soltanto ad elementi plastici o figurativi, oppure audiovisivi.

72 questo contenitore), si interroga immediatamente sulla propria identità osservando la foto, che è ricomparsa dal sacco da viaggio di Kelvin, e il suo riflesso sullo specchio.

L’inquadratura tiene insieme la foto, l’immagine su cui si è fissato il passato, e l’effimero riflesso del presente in cui sembra riuscito lo ‘scongelamento’ della memoria: la presenza di Solaris offre l’occasione ai terrestri di abbandonarsi ad un fluire continuo del tempo, potenzialmente senza limiti nel quale le immagini della memoria, l’esperienza accumulata e ordinata del passato nella coscienza si sciolgono. E Artemev sembra seguire proprio questa traccia suggerita dal visivo piuttosto che addentrarsi nella problematica rappresentazione della penetrazione del pianeta nella coscienza dei terrestri.

Il lungo commento musicale che accompagna la prima apparizione di Hari è caratterizzato immediatamente dalla ‘voce del pianeta’, dalla traccia sonora della sua presenza che abbiamo già analizzato quando abbiamo trattato il primo quadro del cosmo profondo e buio di cui il pianeta è idealmente un’emanazione: il rumore colorato prodotto all’ANS e opportunamente riverberato rappresenta la prima sonorità che introduce la comparsa della seconda Hari. Esso riemergerà più volte nel pezzo, ma costituirà soprattutto lo spazio entro il quale si verificheranno altri eventi sonori che caratterizzano musicalmente questa sequenza.

In questo caso le note di Artemev riescono a indirizzare l’analisi verso la corretta individuazione delle procedure compositive seguite dal musicista: in esse sono presenti sia la modulazione del rumore colorato, sia i cluster di pianoforte che caratterizzano il pezzo per tutta la sua estensione. Gli appunti prevedono che il timbro del pianoforte sia «denaturalizzato»: questa dicitura, se considerata insieme ad altre che mirano a conseguire lo stesso obiettivo, intende soprattutto indicare la necessità di alterare lo spettro delle parziali mantenendo quindi riconoscibile lo strumento d’origine, ma facendolo risuonare in modo diverso. I cluster sono una dozzina, ma all’interno della sequenza si ripetono senza comunque dare origine a forme di regolarità: i ritorni, già piuttosto complicati da percepire distintamente, non riescono a chiudere la figura sonora elaborata da Artemev in una successione di senso compiuto, il pezzo fornisce piuttosto l’idea di un continuum fluente in cui si riformano delle ‘isole’, delle unità di suono per poi disgregarsi così come si sono manifestate. Senza ordinare intorno a loro tutte le altre sonorità, esse piuttosto costituiscono una serie che scorre in parallelo allo sviluppo della sequenza.

Questi ‘grappoli’ sonori sono ottenuti con uno sforzando intenso, che incrementa l’idea di una comparsa improvvisa, inattesa del suono stesso, e sono stati registrati su nastro fino al

73 loro pieno esaurimento63. In seguito, quando sono stati riprodotti, il registrato è passato al riverberatore, con un ritorno del suono piuttosto lungo, ma poi l’intero movimento così ottenuto è stato rovesciato64. Stando alla Yegorova, grazie a queste manipolazioni l’ascoltatore attento dovrebbe avere l’impressione di un suono ‘invertito’ rispetto alla successione degli armonici poiché i sovratoni più alti potrebbero essere notati proprio all’inizio, nel momento della comparsa del suono, quando invece sono attesi normalmente alla fine dell’evento sonoro. E nello stesso tempo gli attacchi di ogni cluster vengono a trovarsi alla fine, ma sono stati espunti dal mixer con il risultato che il suono muta ancora la propria identità verso una condizione sempre più indeterminata dal punto di vista timbrico65. La registrazione, già sottoposta a queste trasformazioni, viene poi ripetuta con almeno tre differenti velocità: 76; 19; 9,5 cm/s. Questo comporta un notevole incremento dell’estensione dell’intervallo di frequenze disponibili sulla tastiera del pianoforte sia nel registro acuto, ma soprattutto in quello grave e la metrica del pezzo subisce delle sensibili distorsioni.

Al termine di questa trattazione del materiale sonoro più evidente dopo gli interventi elettronici, ormai ‘memorizzati’ dallo spettatore, è necessario prendere in considerazione l’evoluzione della sua intensità all’interno di tutto il pezzo ponendola a confronto con lo sviluppo della sequenza. Ogni cluster presenta una dinamica caratterizzata da una significativa dissolvenza in ingresso ed una corrispondente in uscita che ne sfrangiano sistematicamente l’origine e l’estinzione sospendendo così ogni denso grappolo sonoro all’interno della combinazione audiovisiva.

Il loro volume non supera mai il resto del tappeto sonoro previsto per la sequenza e controllato sistematicamente dalla tessitura all’ANS e tanto meno può rivaleggiare con il livello delle voci a cui spesso fa da sfondo accompagnando alcune delle domande che Kelvin pone a se stesso più che alla sua nuova interlocutrice. Per capire ancora meglio la struttura della tela ideata da Artemev e voluta da Tarkovskij si può dire che non superino il livello degli iniziali respiri profondi ‘anestetizzati’, completamente incoscienti del protagonista creando così l’effetto di un movimento di fondo continuo, irregolare, asimmetrico e imprevedibile, disposto in un altrove indeterminato rispetto alla cabina e increspato da esplosioni di grumi

63 Nelle note questo è rappresentato da una linea curva che graficamente riproduce la massa sonora che si forma all’attacco del cluster e che progressivamente si affievolisce. La freccia e la dicitura simile evidentemente estendono questa dinamica anche ai successivi accordi.

64 Le operazioni che stiamo descrivendo si possono seguire nelle note di lavorazione del musicista: ogni cluster è racchiuso in un riquadro che ne stabilisce la lunghezza o la durata compreso il riverbero, generalmente piuttosto esteso, ma la notazione più singolare è sicuramente la freccia colorata che sopra ciascun rettangolo stabilisce l’inversione dello sviluppo del suono scritto sul pentagramma.

74 sonori lontani e indefinibili, che accompagnano il suo sonno e il suo calarsi in una dimensione onirica dai tratti musicali, che si incarnerà però nelle immagini tattili della seconda Hari.

In un’opera di montaggio e di elaborazione sonori così complessa è possibile ritenere che la disposizione di queste sonorità così particolari cerchi dei sincroni con alcune situazioni del visivo e si combini al resto del sonoro misurandosi non solo con gli altri eventi dello sfondo di cui fa parte, ma anche con il parlato. Quando Hari esce dall’aureola, scomponendo la posa ieratica con cui si era manifestata nella cabina di Kelvin, come se fosse una diretta emanazione della luce materializzata sull’oblò, e si avvicina al suo amante mettendosi prima a sedere sul letto e poi calandosi su di lui, si ascoltano distintamente i densi grappoli sonori del pianoforte ‘denaturalizzato’: queste esplosioni tonali apparentemente ‘lontane’, ma ben udibili sottolineano la ricerca di un contatto tattile che si chiude con il primo bacio tra i due amanti.

Queste formazioni sonore accompagnano i movimenti dei corpi che caratterizzano il loro incontro: quando la donna cerca ancora l’abbraccio dell’uomo da cui non può staccarsi, egli si alza a sedere sul letto, si desta allarmato liberandosi dall’incredulità iniziale e questa reazione è evidenziata non solo dagli accordi fitti di toni al pianoforte, ma anche da un suono impulsivo ad un ritmo di circa 1/32 di secondo. Grazie a questa soluzione a cui è concessa un’intensità rilevante rispetto al resto del tessuto di fondo della sequenza siamo in grado di stabilire un’interpunzione: essa isola una cellula di cluster che si ripeterà quando la donna partorita dalla coscienza profonda di Kelvin come immagine del suo passato ritornata in vita tenterà di affidarsi alla vicinanza, alla presenza fisica, all’abbraccio del suo amante per capire la sua condizione, incapace di districarsi tra la foto della prima Hari e la sua immagine allo specchio.

Ogni tentativo metterà però in allarme la ‘matrice’: all’ultima richiesta di slacciarle il vestito, non priva di una certa sensualità anche se deve mettersi la tuta spaziale, Kris si renderà conto che i suoi stessi sensi lo ingannano perché la seconda Hari è coperta di un abito senza cuciture, un vestito finto ma con il foro dell’iniezione letale bene in vista. E ancora riascolteremo la successione di impulsi che destabilizzano l’atmosfera della sequenza avvolta nelle sonorità elettroniche prodotte dall’ANS con le modalità che abbiamo già analizzato nelle precedenti descrizioni della presenza e dell’azione del pianeta pensante.

Per completare l’eterofonia orizzontale del pezzo dedicato alla prima apparizione di Hari bisogna segnalare il ritorno del timbro del temir komuz (uno strumento del tutto simile allo scacciapensieri o al marranzano, o all’arpa ebraica): nonostante sia stato elaborato attraverso filtri passa-alto e poi in camera d’eco la sua sonorità risulta inconfondibile e richiama decisamente quella che ha guidato Kelvin appena giunto sulla stazione presso la cabina di

75 Snaut. Questo richiamo, previsto anche negli appunti di Artemev, doveva essere un Lab o un Sol # come abbiamo prontamente verificato con l’analisi spettrale (eco compreso): esso costituisce un ritornello sonoro con il quale i temi riferiti all’apparizione delle creature si richiamano l’un l’altro.

Nonostante sia appena udibile e richieda notevole attenzione per essere rinvenuto lo si può ascoltate quando Kris apre gli occhi dal sonno e scopre nella penombra della stanza la figura della sua amante morta seduta sulla poltrona della cabina. Questo nota alterata in laboratorio fa da ponte alla soggettiva con cui si scopre la creatura partorita dalla coscienza profonda di Kelvin e ritorna quando la seconda Hari, ritrovando la foto di quella terrestre egualmente materializzata dal pianeta, inizia a interrogasi sulla propria identità: questi interventi all’interno del pezzo che ha introdotto la figura della protagonista del film presentano un posizionamento che difficilmente può definirsi aleatorio.

Tuttavia il pezzo nel suo complesso dà l’idea di un caleidoscopio sonoro dove ai timbri che abbiamo già riconosciuto si devono aggiungere anche il corno, i legni e molto probabilmente anche le trombe con sordina. Questi strumenti sono adoperati come generatori di suoni da elaborare poi con i metodi dell’elettronica e del nastro registrato perché non siano riconoscibili direttamente dall’ascoltatore, ma risultino essere piuttosto delle reminescenze sonore66.

L’apparizione di Hari dalle note di lavorazione: altri aspetti del metodo

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