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STORIE E VOCI DELL’INTEGRAZIONE: UNA LETTURA MULTIDIMENSIONALE DELLE PRATICHE DEI GIOVAN

9. La relazionalità dei giovani stranieri: amicizie e amor

9.1 Amici in classe, stranieri in città?

«Il gruppo di coetanei è la maggior istituzione formativa per gli adolescenti nella nostra cultura» [Ausubel 1977].

Insieme alla famiglia e alla scuola, il gruppo dei pari è comunemente indicato come un elemento cruciale per la definizione dell’identità personale nel periodo di transizione dall’infanzia all’età adulta [Palmonari 1993]. È attraverso di esso che il giovane ha la possibilità di vedere se stesso al di fuori del sicuro ambiente familiare, in un processo di autonomizzazione e diversificazione dagli altri significativi, e di sperimentare una socializzazione “omosociale”98 di tipo paritetico, capace di assolvere ad una molteplicità di

funzioni, che si esplicano su più livelli [Tani e Fonzi 2000].

A livello individuale,le amicizie offrono un contesto per la crescita del sé e lo sviluppo dell’identità personale, attraverso forme di coinvolgimento emotivo e condivisione di significati [Besozzi 203]; a livello relazionale, incentivano l’ampliamento degli interessi individuali, l’arricchimento delle conoscenze sull’insieme di aspettative proprie e altrui e in tal modo la formazione di opinioni proprie [Tani e Fonzi 2000]; infine, a livello sociale, garantiscono una protezione contro le ansie e le paure legate ai cambiamenti che si manifestano in questo periodo, permettendo la concretizzazione di un senso di sicurezza e fiducia di fondamentale rilievo per esprimersi nel contesto sociale, sopperendo così ai bisogni di riconoscimento, sostegno e convalidazione cognitiva [Baldascini 1993].

In questo senso, l’amicizia è indispensabile poiché assolve una funzione di riflessività nel gioco del reciproco riconoscimento [Ghisleni e Rebughini 2006]: nell’intimità del legame amicale, il singolo individua se stesso, ma accredita anche l’altro come differente da sé pur nel suo essere simile a sé in un’oscillazione costante tra differenza e eguaglianza [Pahl 2000; Sciolla 2000; Di Nicola 2002]. I legami intersoggettivi sono così orientati alla costruzione di uno spazio personalizzato e protetto dove poter ricomporre i pezzi del

98 L’omosocialità fa riferimento alla tendenza delle persone a strutturare rapporti amicali con persone dello stesso sesso. In età giovanile, i rapporti omosociali costituiscono buona parte delle relazioni esterne alla famiglia, mentre iniziano a perdere di importanza con il passaggio all’età adulta [Rauty 2008].

proprio processo di individualizzazione [Melucci 1991], in funzione però dell’aspetto relazionale dell’esistenza.

Nel caso degli adolescenti di origine straniera, la funzione delle reti amicali si esplica su più fronti: non solo esse offrono risposte al bisogno di protezione, autonomia e riconoscimento tipico dell’adolescenza, ma permettono anche il concretizzarsi dell’integrazione nella società ospitante o viceversa possono costituire ambienti favorevoli a forme di segregazione etnica. Questa realizzazione del processo di inserimento è, infatti, frutto non solo delle disposizioni individuali, ma anche delle influenze del capitale e dei condizionamenti del campo sociale, che intervengono con forza nel determinare, in maniera più o meno evidente, la composizione dei gruppi amicali, specie quando esse si connotano dal punto di vista etnico in maniera molto netta.

Nella mia esperienza, ho constatato che i giovani stranieri a Modena si trovano e si legano sulla base di caratteristiche precise scegliendo gli amici del gruppo per una presunta somiglianza, ma in risposta a dinamiche di integrazione sociale. Le pratiche relazionali delle ragazze e dei ragazzi osservati sono così dettate dalla combinazione di meccanismi, legati da un lato a tendenze omofiliche di genere ed etniche, e dall’altro a fattori esterni, connessi principalmente alle volontà educative familiari, all’organizzazione scolastica e al giudizio degli autoctoni.

9.1.1 La dimensione di genere nelle amicizie delle seconde generazioni

Una delle caratteristiche più evidenti nelle relazioni sociali in giovane età è data dal meccanismo di preferenza che si attiva in funzione del genere. È ampiamente dimostrato, infatti, che i giovani si orientino verso soggetti del loro stesso sesso, poiché è più facile che con essi si sviluppino vincoli emotivi, basati sulla comunanza di sensazioni, esperienze e idee [Besozzi 2003; Caneva 2011]: i maschi frequentano solitamente una compagnia composta esclusivamente o in prevalenza da amici dello stesso genere e allo stesso tempo le femmine prediligono gruppi a prevalenza femminile [Ghisleni e Rebughini 2006].

Tuttavia, è nella strutturazione delle reti amicali, in relazione alle forme e agli stili di socializzazione che è in grado di determinare, che il genere assume una rilevanza centrale: le relazioni caratterizzate da un’affinità marcata, che si intrattengono con una cerchia circoscritta e che sono improntate alla confidenza e all’emozionalità, sono ad esempio tipiche delle amicizie tra le adolescenti. I ragazzi mostrano, al contrario, di simpatizzare per rapporti ispirati più alla solidarietà di gruppo, vedendo negli amici maschi dei compagni di gioco, di divertimento, con cui passare la maggior parte del tempo libero, condividendo in molti casi attività, e propendendo quindi per una dimensione operativa dello stare insieme.

Con riferimento a queste particolari logiche relazionali, negli adolescenti stranieri, osservati nella mia ricerca, ho notato lo stesso tipo di orientamenti “emotivi” a livello generale. In maniera concorde con quanto detto, infatti, le ragazze si conformano all’ideale di socialità ristretta [De Lillo 2002]. Esse privilegiano una dimensione comunicativa ed emotiva dell’amicizia, per cui vivono relazioni caratterizzate da scambi affettivi, pratiche di sostegno emotivo e atteggiamenti di esclusività [Di Nicola 2002]: hanno migliori amiche con cui possono confidarsi e da cui ricevono aiuto in momenti di difficoltà, come quelli ad esempio correlati ad esperienze amorose, e rapporti basati indiscutibilmente su sentimenti di sincerità e lealtà. L’amicizia per loro ha una finalità protettiva piuttosto che di svago e proprio per questo è più facile che considerino come veri amici poche persone, di solito donne:

“Le mie amiche sono quelle da quando ero piccola… con due ho fatto le elementari insieme… la mia migliore amica però vive a Sassuolo, ci vediamo poco ma la sento ogni giorno che parliamo

delle nostre cose, del suo ragazzo, delle amiche di scuola… ci diciamo tutto” (T., ragazza di 16 anni, genitori filippini, nata in Italia).

“La mia compagnia è a Formigine, ho la mia migliore amica con cui andiamo più bene, è speciale, ho più confidenza, mi capisce… qua a scuola sto di più con le altre amiche vicine a me, la mia compagna di banco e quelle dietro” (S., ragazza di 17 anni, genitori marocchini, nata in Italia).

“Io ho due compagnie, una in cui c’è la mia migliore amica e una di mio moroso. Quella della mia amica siamo io, lei e altre due ragazze, usciamo insieme per andare in giro nei negozi, per parlare, c’è io mi confido con loro, di più con la mia amica ma anche con loro… quella di mio moroso usciamo la sera, andiamo al cinema, sono più amici suoi… li conosco, mi diverto ma non gli dico i cazzi miei” (S., ragazza di 19 anni, genitori napoletani, da 16 anni a Modena).

“Allora, io credo molto nell’amicizia ma ho pochi amici e molti conoscenti… per me l’importante è le persone con cui passi il tempo sono sincere, leali e non che pensi che stai sprecando il tuo tempo… se devo stare con qualcuno mi devo sentire di avere qualcosa in comune con li, non uscire tanto per girare a voto o stare con gente che non mi frega… gli amici hanno un valore, come si dice pochi ma buoni… e che ti puoi fidare davvero” ( M., ragazza di 17 anni, genitori napoletani, da 6 anni a Modena).

Gli adolescenti stranieri, invece, pur avendo degli amici maschi che preferiscono per parlare di sé e della loro vita, si approcciano agli altri senza grosse preferenze, secondo una logica di pluri-appartenenza che li vede muoversi tra più compagnie contemporaneamente in spazi pubblici della città, come ad esempio i parchi pubblici. Si tratta di gruppi meno vincolanti che emergono dai racconti come pratica alternativa o accessoria, rispetto alle relazioni più intime, e che poggiano su condivisioni di esperienze comuni e logiche di solidarietà di gruppo, piuttosto che individuali. La loro, per questo, è una socialità diffusa, che taglia in maniera trasversale le singole appartenenze senza distinzioni:

“Siamo tanti in 50 tipo, ci troviamo al parco, stiamo là tranquilli… alla fine ci sono persone che girano, che vengono anche da altre compagnie, non siamo sempre gli stessi. Non è che sono amico amico proprio di tutti, ci sono quelli che stiamo sempre insieme e quelli che vengono solo il sabato capito… c’è una cosa così” (E., ragazzo di 16 anni, genitori albanesi, da 7 anni in Italia).

“Io esco un po’ con tutti, ho tante amiche femmine… esco con tutti, ho tanti amici, un amico italiano, sto sempre con lui, poi abbiamo delle compagnie di tanti ragazzi. Quando sono arrivato ho fatto subito amicizia perché ero molto caldo, c’è parlavo con tutti, ero simpatico... il migliore amico è uno solo però… è brasiliano, ci siamo conosciuti nella compagnia e poi siamo diventati più amici io e lui” (K., ragazzo di 16 anni, genitori colombiani, da 6 anni in Italia).

“Io ho un gruppone, da quando ci siamo conosciuti subito ci siamo trovati… mi trovo bene sia ragazzi che ragazze, ma preferisco i ragazzi perché sono più scialli… io quando esco c’è mi impezzo con tutti, si parla di tutto, si sbraghera… a parte quelli c’ho un migliore amico, che lo conosco dalle elementari… se devo dire delle cose private, sui miei, quelle le dico con li… c’è un rapporto diverso, ci fidiamo, sappiamo come siamo” ( M., ragazzo di 17 anni, genitori marocchini, da 12 anni in Italia). “Io c’è non sto solo un gruppo, ci sono amici più stretti, altri che conosco così…. esco con ragazze, ragazzi… non mi faccio problemi” (A., ragazzo di 17 anni, genitori tunisini, nato in Italia).

“Gruppo misto di persone con cui esco… a volte quelle della scuola, a volte amici fuori, ma di solito preferisco stare con i maschi perché con le ragazze ci sono sempre problemi. Ho il mio migliore amico che non viene in questa scuola… siamo come dei fratelli, ci raccontiamo le cose però

poi usciamo con compagnie diverse, certe volte io vado con la sua, certe viene lui nella mia…” (S., ragazzo di 15 anni, genitori marocchini, da 12 anni in Italia).

“Io ho un sacco di amici… siamo quasi sempre maschi… stiamo insieme tutti i giorni, ci vediamo, parliamo, ci beviamo una birra al parco, ci prendiamo in giro…” (M., ragazzo di 18 anni, genitori ghanesi, da 10 anni in Italia).

“Se vengo a Modena esco con i miei amici ghanesi che sono proprio gli amici quelli amici amici, a Soliera c’ho un’altra compagnia… a calcio c’ho amici della squadra che andiamo d’accordo… c’è alla fine giro tanto, faccio sempre amicizia, non ho mai avuto problemi a stare con le persone, mi trovo bene con tutti e ci vado quasi sempre d’accordo” (F., ragazzo di 15 anni, genitori rumeni, da 10 anni in Italia).

Si tratta di differenze di genere evidenti anche nella scelta dei luoghi di incontro che assumono significati mediati dagli stili di socializzazione, in maniera concorde a quanto dimostrato da alcune ricerche svolte sull’argomento, secondo cui i maschi prediligerebbero spazi destrutturati all’interno della città, come piazze o parchi, mentre le ragazze luoghi al chiuso, come ad esempio le case delle amiche [Donati e Colozzi 1997].

“Noi organizziamo le serate a casa dagli amici o al parco… dipende… ci vediamo dove capita... anche in centro il sabato così giriamo… dipende” (M., ragazzo di 15 anni, genitori ghanesi, da 7 anni in Italia).

“Si va a prendere da bere alla coop, andiamo tipo al parco Amendola, due birre, fumiamo e via. C’è sciallo, non facciamo sempre le cose uguale, ci muoviamo, un giorno qua, un giorno in stazione, giorno in centro… andiamo dove vogliamo” (J., ragazzo di 16 anni, genitori napoletani, da 12 anni a Modena).

“Il sabato usicamo, andiamo in centro, al parco, ci muoviamo, se qualcuno c’ha la macchina andiamo a Bologna o a Parma, dipende facciamo come viene” (Y., ragazzo di 16 anni, genitori marocchini, da 10 anni in Italia).

Durante le mie osservazioni nei contesti informali della città, avevo notato lo stesso tipo di affiliazioni dichiarate dai ragazzi e dalle ragazze in sede di intervista. Molte volte, girando per i luoghi della città che avevo individuato come territori privilegiati per la presenza di seconde generazioni, mi ero accorta di quest’appropriazione dei luoghi pubblici da parte soprattutto dei ragazzi. Le ragazze, invece, mi sembravano più “invisibili”, poiché le uniche occasioni in cui mi accorgevo della loro presenza erano circoscritte al fine settimana e alle vie dello shopping cittadino:

“Oggi ho approfittato del fatto che fosse sabato per girare nel parco Ferrari. Ho visto molti gruppetti di ragazzi stranieri, sopratutto di marocchini, albanesi e filippini. Gruppi molto ampi composti quasi esclusivamente da ragazzi, seduti alle panchine, intenti a fumare sigarette e discutere vivacemente. Dopo mi sono diretta verso il centro e ho notato che c’erano anche delle ragazzine straniere, a prima vista direi marocchine e filippine che giravano per i negozi di abbigliamento giovanile. Anche loro erano in gruppetti di sole donne, al massimo di 3-4 ragazze. In realtà ho notato che vedo più facilmente ragazzi che ragazze durante tutta la settimana, mentre le ragazze mi sembra che escano solo al sabato o alla domenica quando ne vedo in giro alcune anche con i genitori, pur sembrando abbastanza grandicelle per uscire con loro” (marzo 2011, osservazione sul campo).

Avevo così cercato di capire qualcosa in più su questa differenza di visibilità dello spazio pubblico, e di aggregazione di genere, partendo anche da alcune dichiarazioni che

mi erano state fatte da alcune insegnanti del Deledda, scuola in prevalenza femminile, che avevano segnalato dei significati particolari di questa disparità di socialità, non spiegabile sulla scorta di una semplice logica omofilica di genere:

“ Ci sono certi genitori che controllano di più le figlie… non le fanno uscire, non volgiono che frequentino i ragazzi… te lo dico perché ci parlo con le ragazze di ste cose e certe fanno capire che non hanno la libertà di frequentare chi volgiono. Tipo le turche o le marocchine, comunque di più sicuramente quelle famiglie diciamo che hanno una visione della donna ancora tradizionale, non permettono alle figlie di avere amici maschi perché nella loro religione è vista male come cosa”(G., insegnante di inglese, scuola professionale).

“Guarda, non è che le ragazze escono di meno… loro stanno più in casa, con le amiche, magari fanno cose più intime diciamo… i ragazzi invece si sa che a quest’età non sanno stare a casa, devono sempre uscire. Quando parlo con le ragazze loro mi dicono proprio che preferiscono andare a casa delle amiche, passare il tempo a truccarsi, farsi le acconciature tra di loro, andare per i negozi, non le vedi in giro per strada in gruppo come i maschi che invece fanno sempre branco , passami il termine… poi certo ci sono quelle che non escono perché i genitori gli dicono di no, come le ragazze turche o quelle ghanesi che non escono la sera, non vanno a ballare. Il lunedì quando sono in classe tutte e parliamo un po’ di come è andato il weekend sono quelle che dicono che sono state a casa o che sono state a casa di un’amica” (A., insegnante di italiano, scuola professionale).

Nella conduzione delle interviste, ho riscontrato che i genitori turchi, rumeni, ghanesi, marocchini e tunisini, rispetto alle altre famiglie straniere, limitano moltissimo le vite delle giovani, prescrivendo orari rigidi e disincentivando i rapporti con soggetti esterni alla rete di amicizie di cui hanno diretta conoscenza, specie se maschi. Lo fanno principalmente perché vedono nelle ragazze delle custodi delle tradizioni familiari, quando queste assumono una valenza centrale nella definizione dei comportamenti non solo individuali ma anche sociali dell’intero nucleo familiare, nonché per un sentimento diffuso di protezione verso le donne:

“Io esco con le amiche e le cugine… mio padre non vuole che esco con i ragazzi, solo femmine” (F., ragazza di 16 anni, genitori ghanesi, da 3 anni in Italia).

“ Mia madre non vuole che vado fuori la sera, solo il pomeriggio con le amiche… ha paura di qua, dice che c’è brutta gente… possono uscire con le amiche che conosce così è tranquilla che anche i loro genitori sanno dove andiamo, che facciamo” (A., ragazza di 16 anni, genitori moldavi, da 5 anni in Italia).

“Sempre con ragazze, tante amiche, da Turchia… ragazzi no, non esco con i ragazzi, non posso perché i miei non vogliono” (A., ragazza di 18 anni, genitori turchi, da 10 anni in Italia).

“Esco sempre con una mia amica… qua sono amica in classe con Nadia… mi trovo bene con loro perché parliamo di cose nostre, ragazzi, scuola, le altre amiche… Esco sempre con una mia amica tunisina… ma con i maschi no perché poi i miei si arrabbiano. La sera non posso uscire, solo il pomeriggio perché non vogliono che sto fuori di notte” (R., ragazza di 16 anni, genitori tunisini, nata in Italia).

“ Io ce li ho le amiche… le più amiche vicine che riesco a frequentare che abitano vicino a casa mia… esco con i maschi ma mia madre non vuole perché la religione, quelle cose che dice lei… io esco quando vengo a Modena, lei non sa, non dico ai genitori che ce li ho amici maschi” (H., ragazza di 16 anni, genitori marocchini, da 5 anni in Italia).

Va considerato che questi casi sono comuni alla generazione giovanile femminile in generale, poiché forme di controllo genitoriale sono diffuse anche tra gli autoctoni, sebbene con modalità meno restrittive, limitate perlopiù alla definizione di orari per il rientro a casa dopo le uscite serali, che rispondono alla necessità dei genitori di porre comunque delle regole a ragazze che sono minorenni e che nell’immaginario collettivo possono essere più esposte a dei rischi nell’ambiente esterno [Marmocchi 2012]. Salvo questi casi particolari, tuttavia, gli adolescenti del mio universo di riferimento mostrano di avere compagnie miste, che comunque vedono la partecipazione di ragazze e ragazzi soprattutto nelle uscite serali. La dimensione di genere rimane così una discriminante dei rapporti più intimi, ossia di quelli inerenti alla cerchia ristretta di amici, mentre nelle cosiddette crew (comitive) c’è una mescolanza abbastanza frequente.

9.1.2 Il ruolo dell’etnicità nelle scelte amicali

L’etnicità rappresenta un’altra peculiarità degli orientamenti amicali dei giovani stranieri: essa può offrire un appoggio linguistico nelle prime fasi successive all’arrivo, essere determinata dalla propinquità di simili negli stessi contesti, costituire un rifugio dinanzi al rifiuto dei coetanei autoctoni o di altra nazionalità. Per questi e altri motivi, l’appartenenza nazionale è considerata da più parti come un indicatore di grande importanza per la comprensione dei meccanismi che indirizzano l’interazione sociale, oltre che per la definizione dell’identità e delle identificazioni, intese come processualità che si articolano secondo specificità locali e biografiche [Colombo 2005].

Principalmente nelle relazioni di amicizia l’etnicità, da componente oggettiva dell’identità acquisita per nascita, si trasforma in identità etnica, ossia in una componente soggettiva determinata dalla rilevanza personale che gli individui attribuiscono alle proprie appartenenze etniche e culturali [Mancini 2006]. Questo significa che attraverso i gruppi amicali, i giovani stranieri non solo trovano un riferimento per l’agire, ma che è tramite essi che spesso scoprono un’appartenenza sino ad allora confinata nell’antro domestico. Questo riferimento all’etnicità però non è mai una propensione esclusivamente dettata da un bisogno personale di appartenenza, bensì è il risultato di dinamiche intergruppi, imprescindibilmente legate ai gruppi presenti in un contesto e allo status loro accordato dalla maggioranza: scegliere di rifugiarsi in relazioni panetniche o sviluppare atteggiamenti favorevoli nei confronti dell’outgroup diventano sì degli orientamenti dei giovani stranieri nelle società ospitanti, ma anche specchio nitido della rappresentazione delle etnie all’interno di quello stesso contesto sociale [Mancini e Secchiaroli 2003]. Dal punto di vista dei giovani stranieri, la scelta di gruppi connotati etnicamente o meno può dipendere dall’opinione diffusa sulle singole provenienze: così facendo, la composizione del gruppo può fungere da barriera difensiva nei confronti del mondo esterno dando luogo ad identità congelate, ad esempio, quando in esso c’è affinità culturale [Brunori 1993] o può rispecchiare desiderio di distanziarsi da un’immagine negativa, quando al contrario si oggettivizza in compagnie completamente autoctone. Dal punto di vista della società, gruppi misti, per così dire multiculturali, è più probabile che siano accettati positivamente, poiché in essi si evidenzia la realizzazione dell’agognato inserimento, mentre gruppi di “simili” è più facile che subiscano il pregiudizio della maggioranza che interpreta la somiglianza come volontà di auto-esclusione [Palmas 2006].

L’adesione a gruppi etnici è così un fenomeno complesso che ha bisogno di una lettura approfondita per essere compresa in pieno, specie perché non sempre è semplice