• Non ci sono risultati.

Criticità dell’integrazione scolastica

STORIE E VOCI DELL’INTEGRAZIONE: UNA LETTURA MULTIDIMENSIONALE DELLE PRATICHE DEI GIOVAN

7. Scuola: motivazioni, influenze e questioni cruciali dell’inserimento delle seconde generazion

7.2 Criticità dell’integrazione scolastica

L’analisi dei fattori soggiacenti alla scelta e alla riuscita scolastica dei giovani di origine immigrata nel territorio di Modena permette di isolare delle criticità evidenti. Sono aspetti

nella maggior parte dei casi dovuti alle politiche scolastiche e alle scelte familiari di alcuni gruppi etnici, che si concretizzano in percorsi fallimentari o scarsamente motivati:

orientamento precoce e canalizzazione degli studenti

In Italia vige un sistema di selezione precoce: a differenza del sistema a selezione tardiva, tipicamente statunitense, che garantisce un comune percorso di istruzione posticipando la scelta scolastica, i sistemi europei in genere e quello italiano, dopo un periodo di istruzione comune breve, propongono una ripartizione scolastica sulla base delle competenze e delle prospettive lavorative [Bagnasco, Barbagli, Cavalli 2004].

Questo orientamento ha due effetti: costringere gli insegnanti a indirizzare gli studenti e obbligare dei ragazzini a scegliere del proprio futuro, spesso senza dei genitori preparati sulle reali implicazioni della scelta. I risultati sono ovviamente non sempre positivi.

Se scelgono autonomamente, i ragazzi stranieri intervistati possono riferire di sentimenti di incertezza nell’ultimo anno delle medie, di aver scelto sulla base di condizionamenti esterni, ma anche di essersi buttati a caso nella mischia, perché magari troppo giovani per avere un’idea precisa sul cosa fare.

“Partendo dal presupposto che far decidere ad una ragazza del suo futuro a 13 anni è una stronzata… anche perché io ho tanti progetti, aspirazioni ma adesso… io ho scelto questa scuola perché la fidanzata di mio fratello veniva qua… i prof di terza media mi volevano bocciare e quando ho detto che venivo qua mi hanno fatto passare l’anno…” (A., ragazza di 15 anni, genitori albanesi, da 7 anni in Italia).

Se a scegliere, orientando i ragazzi, sono gli insegnanti, che sono obbligati così a valutare i ragazzi sulla base del rendimento scolastico e delle potenzialità emerse, si crea un problema a monte, poiché il tempo a disposizione dell’insegnante per valutare è breve e, come abbiamo notato, non sempre oggettivo. Il corpo docente della formazione media inferiore ha infatti a disposizione un tempo relativamente breve per valutare concretamente le potenzialità del singolo studente: tre anni che si collocano a cavallo tra l’età dell’infanzia e quella della piena adolescenza, in un momento descritto da molti intervistati come problematico, complesso, colmo di incertezze e solitudine. Almeno secondo quanto emerso nel corso delle interviste, a differenza della scuola elementare, in cui la classe tende a rimanere omogenea se non per la creazione di gruppi connotati in termini di genere, durante la scuola media iniziano ad emergere le prime vere strutturazioni identitarie, quasi sempre di gruppo, che contribuiscono alla formazione di compagini interne alla classe, basate su meccanismi di selezione dei partecipanti e di inevitabile esclusione dei restanti.

“Alle medie non è che ero molto brava. Sapevo poco l’italiano e stavo sempre da sola. In classe non avevo amiche, non parlavano con me. Sono venuta al professionale perché me l’ha detto la prof di italiano…” (G., ragazza di 14 anni, genitori marocchini, da 5 anni in Italia).

“Alle medie non avevo amici, solo un amico turco che è andato in un’altra scuola… non lo so perché, parlavo poco l’italiano e mi prendevano in giro. Stavano sempre tra di loro, modenesi e modenesi… stranieri in classe eravamo pochi” (M., ragazzo di 16 anni, genitori marocchini, da 9 anni in Italia).

Queste difficoltà di socializzazione dei ragazzi, unite alle carenze linguistiche e all’esperienza migratoria propria e dei propri genitori, non aiutano certo a far emergere la bravura dei ragazzi, che sono impegnati più a dimostrare di possedere dei requisiti che non di aspirare a qualcosa. Così il ragazzo che parla tre lingue, portato per la matematica ma insicuro e taciturno, viene penalizzato rispetto al ragazzo italiano che raggiunge una

media sufficiente, solo perché ad esempio non sa la lingua, e indirizzato magari in scuole di livello più basso.

Dalle interviste emerge inoltre la tendenza alla realisticità dei futuri degli adolescenti stranieri: come accennavo in precedenza, pochissimi sono i ragazzi che hanno parlato di lavori prestigiosi, socialmente desiderati. Quasi per tutti è stato costante il riferimento al lavoro come forma di sostentamento e benessere economico, ma non come aspirazione fantastica. La tendenza a posizioni intermedie nel mercato del lavoro, più spostate verso il settore operaio o funzionario, può essere vista anche come una risposta a meccanismi di preselezione e di canalizzazione degli studenti verso alcuni istituti piuttosto che altri.

Non credo che si possa parlare di una vera e propria regolarità, ma di sicuro almeno nel contesto modenese l’aspirazione è bassa, e lo è ancora di più tra i ragazzi stranieri che hanno sperimentato motivazioni coercitive e indirizzamento verso carriere professionalizzanti. Probabilmente accade perché c’è un diffuso umore sociale intriso di disillusioni, specie in seguito alla crisi economica e alla svalutazione della carriera universitaria, come requisito certo per l’accesso al mondo del lavoro.

Sta di fatto che Turner, in un saggio sull’educazione del 1960, sosteneva che i sistemi scolastici cooptativi, come quello italiano, producessero un tipo ideale di mobilità sociale, caratterizzato proprio dall’abbandono delle aspirazioni: “quanto prima avviene la selezione delle reclute, tanto più rapidamente gli altri possono essere socializzati ad accettare la loro inferiorità e a fare programmi più «realistici» che «fantastici». Una selezione che avvenga molto presto previene il sorgere di speranze in un gran numero di persone”.

difficoltà di inserimento e facilità di uscita

La scuola modenese non è impreparata. Vive da tempo l’esperienza dell’immigrazione e si è dotata di molteplici strumenti normativi e didattici per l’integrazione scolastica. Nelle scuole frequentate, ho trovato dedizione al valore della diversità integrata positivamente nelle classi, impegno per salvare dei ragazzi da altre esperienze fallimentari, attenzione alle dinamiche sociali trasformative generate dalle migrazioni, insieme a pratiche meno encomiabili o alquanto inadatte.

Tuttavia, nonostante la bravura e la volontà di migliorare la vita scolastica, tra gli insegnanti emergeva un a risposta costante alla mia domanda sulla situazione più difficile da gestire: dove li mettiamo?

Inserire lo studente straniero è difficile perché bisogna tener contro della pregressa carriera scolastica nel paese d’origine, certificata da documenti a volte indecifrabili, dell’età del soggetto e delle sue competenze linguistiche. Spesso gli insegnanti propendono per un inserimento in classi più basse, risolvendo il problema di socializzare il ragazzo ad un ambiente in cui imparare la lingua senza rischiare di rimanere troppo indietro.

Insieme all’inserimento, l’altro grande interrogativo è quello sulla facilità di uscita dal sistema scuola: l’uso della lingua come discriminante, la valutazione sulla base del curriculum ufficiale [Palmas 2006] favoriscono fenomeni di drop-out tra i giovani stranieri, che danno il via a processi di ripiego in scuole con meno richieste sul piano degli obiettivi, meno qualificanti e disponibili ad accettare una padronanza della lingua non proprio perfetta. Se il sistema da una parte accoglie, dall’altra espelle i giovani stranieri.

Nelle scuole modenesi, questi casi sono frequenti. Lo sono principalmente tra i maschi delle varie comunità, specie di origini marocchine, nigeriane e ghanesi.

figure docenti

Gli insegnanti sono persone, prima che educatori. E come tali vivono sulla loro pelle le difficoltà insite nella gestione della diversità tra i banchi di scuola.

Le vivono dovendo mediare tra le proprie convinzioni, i propri pregiudizi, le proprie esperienze e le necessità pedagogiche, che richiedono una valutazione degli studenti e la trasmissione delle conoscenze definite. Le vivono anche quando la creazione di gruppetti problematici o la presenza di figure leader in senso negativo minano la loro autorità davanti alla classe e la loro autostima.

Tra gli insegnanti modenesi, ho conosciuto persone splendide, ammirevoli nel loro sforzo di preservare l’immagine della scuola come luogo di educazione, interessate alla ricerca sulle giovani generazioni migranti per trarne spunti di lavoro operativo, ma ho trovato anche insegnanti stanchi, incapaci di gestire classi effettivamente complesse, persone avvilite dalla constatazione dell’inutilità del loro lavoro, educatori vincolati all’immagine della lezione frontale senza contatto. Sono distribuiti equamente in termini di genere nelle varie scuole, con dei casi al limite nei professionali maschili. Non sono la maggioranza, ma nemmeno una minoranza risicata. E producono molti più danni dell’inserimento tardivo o dell’orientamento precoce, soprattutto quando autorizzano comportamenti anti-sociali in classe (risse, rispondere in tono minaccioso ai prof) o alimentano il trinceramento sulle origini per rispondere alla percezione negativa degli insegnanti, specie tra i marocchini, i ghanesi e gli albanesi. Questo circolo vizioso produce così un effetto Pigmalione sugli studenti stranieri [Rosenthal e Jacobson 1992; Horowitz 2007] che induce i ragazzi a comportarsi nel rispetto delle valutazioni espresse dagli adulti, attivando risposte aggressive e ostacolanti.

famiglie con scarso capitale culturale

Le famiglie stranieri modenesi puntano sulla scuola, ma non hanno abbastanza informazioni sul sistema scolastico e fiducia nelle capacità dei figli per spronarli ad intraprendere percorsi rilevanti.

Come abbiamo visto, le famiglie che indirizzano i figli a percorsi tecnici o liceali sono poche. La maggior parte delle famiglie si fida degli insegnanti e del loro giudizio o ipotizza traiettorie spendibili nel mercato del lavoro immediatamente. Sono famiglie appartenenti al ceto operaio, con difficoltà linguistiche specie nel caso delle madri, con poco tempo a disposizione per via degli impegni lavorativi o per quelli relativi alla gestione familiare, scarsa relazione con il corpo docente e con la scuola in generale.

Insieme all’orientamento degli insegnanti della scuola media, la famiglia diventa così un predditore fondamentale per la riuscita dei ragazzi e delle ragazze, confermando la teoria di Bourdieu che vede nel capitale culturale ed economico delle famiglie un fattore influente per la discriminazione scolastica [1972].

Soprattutto i ragazzi di origine marocchina o appartenenti ad etnie asiatiche, come quella pakistana e indiana, godono di minor sostegno nelle decisioni sul loro futuro e spesso questa assenza parentale si unisce ad una coercizione del sistema formativo, producendo quelle fuoriuscite ante-tempo di cui abbiamo parlato o orientamenti professionalizzanti, volti a creare manodopera per il settore operaio. Le ragazze, invece, anche se prive di riferimenti familiari, scelgono in maniera un po’ più autonoma, ma questo non elimina il rischio di un orientamento al ribasso, rinforzato dai pregiudizi degli insegnanti o dalle discriminazioni di genere comunque diffuse nell’ambiente comunitario.