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STORIE E VOCI DELL’INTEGRAZIONE: UNA LETTURA MULTIDIMENSIONALE DELLE PRATICHE DEI GIOVAN

8. Il senso delle origini: famiglie, comunità, lingua e religione

8.2 Comunità come vincolo e risorsa

Le comunità etniche sono realtà a se stanti, che esistono a prescindere dal migrante, ma che attraversano la loro vita generando appartenenze multiple. Secondo una letteratura recente, possono favorire un senso di riconoscimento con la cultura origine, possono essere fondamentali nodi strategici in termini di network etnici [Ambrosini 2000; Zanfrini 2004], possono offrire sostegno per l’inserimento lavorativo ed essere alleati nella realizzazione economica. Le reti figurerebbero, infatti, come “complessi legami interpersonali di parentela, amicizia e luogo di origine" [Massey 1988: 396, op. cit. in Ambrosini 2005], con la funzione di mediare tra le “condizioni sociali ed economiche determinate a livello macro” e “gli effettivi comportamenti migratori soggettivi” [Ambrosini 2005] 94.

Questa visione positiva delle reti comunitarie non esclude tuttavia dei nodi critici, poiché se è vero che le comunità sono per l’appunto delle reti di sicurezza nella transizione dal contesto di partenza a quello di insediamento, è vero anche che ci sono dei meccanismi interni ad esse capaci di produrre emarginazione e difficoltà, nel momento in cui si creano nicchie etniche e la vita familiare si compatta intorno esclusivamente a connazionali.

Specie nel caso delle seconde generazioni, la chiusura in gruppi omogenei per lingua e provenienza assume tratti problematici essendo, come vedremo nei prossimi capitoli, una caratteristica di alcuni gruppi etnici particolari, che finiscono per creare una barriera effettiva per l’inserimento nella società ospitante95.

Oltre che nei rapporti amicali, le comunità si esplicano nella vita degli adolescenti stranieri attraverso la relazione che le famiglie decidono di intrattenere con esse. Alcuni gruppi sono più orientati alla partecipazione ad attività con persone del proprio paese, di solito in chiesa o in sedi apposite, e cercano di trascinare anche i figli in questo tipo di relazioni, almeno fino a quando vivono sotto il loro stesso tetto.

94 Il loro ruolo è quindi correlato direttamente a quell’idea di migrazione tutt’altro che individuale, che ha preso piede negli ultimi anni in sociologia prestando particolare attenzione al ruolo delle reti comunitarie nel definire le traiettorie di inserimento dei migranti e delle loro famiglie. La network analysis, sviluppatasi negli anni ’70 ad Harvard grazie a studiosi come Granovetter, Scott e Burt, ha trovato grande fortuna nel filone degli studi migratori. Le reti si fondano sulla parentela, la comune origine, la condivisione di una cultura ed è in essi che prendono forma i legami sociali [Boyd 1989]. I migranti attraverso il network accedono a risorse di tipo conoscitivo e normativo per affrontare il nuovo contesto. Ma è anche vero che lo stesso network seleziona le persone più adatte alla migrazione. Il processo migratorio può essere quindi assimilato ad una catena nella quale le decisioni di migrare individuali generano i network e, a loro volta, questi condizionano le decisioni individuali di migrare, in un sistema che è sia network creating che net-dependant [Zanfrini 2004].

95 Nel capitolo 9 verrà affrontata ampiamente la questione delle amicizie etnicizzate e dell’effettiva dimensione dell’integrazione dei ragazzi stranieri nelle compagnie autoctone.

Le famiglie filippine, ad esempio, hanno una vita sociale riferita quasi esclusivamente al loro gruppo di riferimento: la frequentazione della chiesa cattolica, la condivisione di festività è molto diffusa in questa comunità ed i figli sono ovviamente socializzati, sin da piccoli, a frequentare connazionali, sia adulti che giovani.

“Noi andiamo in chiesa dove vanno anche gli altri filippini la domenica… i genitori portano anche i ragazzi là… stiamo insieme e ci conosciamo. Poi siamo anche amici fuori perché ci troviamo bene. I filippini stanno sempre con i filippini, le famiglie si conoscono” (V., ragazza di 16 anni, genitori filippini, nata in Italia).

Allo stesso modo, sia nella comunità indiana che in quella turca si evidenzia questa volontà di mantenere le proprie radici anche in emigrazione, attraverso la religione comune, che offre spunti di incontro o mediante l’associazionismo, il quale unisce alle finalità civiche intenti strumentali di coesione comunitaria:

“Io la domenica sto con i miei perché vado in chiesa nella chiesa di Castelfranco.. ci sono le mie amiche, poi dopo si sta tutti insieme. Ogni domenica è una festa perché vengono gli indiani da tutte le parti, dagli altri paesi vicino… si mangia, si parla…” (N., ragazza di 17 anni, genitori indiani, da 5 anni in Italia).

“Frequento molto un’associazione turca qui a Modena, vado lì il pomeriggio ad aiutare i ragazzi turchi a fare i compiti. Organizziamo delle attività, i nostri genitori ci seguono in queste cose perché anche loro hanno l’associazione con i genitori turchi” (M., ragazza di 20 anni, genitori turchi, nata in Italia).

L’effetto di queste pratiche di socialità non è però solo quello di mantenere vive le proprie origini e di trasmettere l’amore per la patria d’origine ai figli, in quanto dai racconti ottenuti affiora un fine più articolato. Non solo, infatti, la condivisione di spazi e tempi comuni favorisce la conoscenza di altri connazionali, ma permette anche ai genitori di conoscere e far conoscere i figli alla rete sociale di corrispondenza, ottenendo un controllo incrociato che riduce il lavoro di supervisione genitoriale. Nelle famiglie ghanesi, questo riferimento alla “vigilanza” è così evidente ed etnicamente determinato, che praticamente tutti i ragazzi e le ragazze me ne hanno parlato. Durante le interviste, un gruppetto di quattro ragazze mi aveva spiegato dettagliatamente come venisse messo in pratica, e successivamente anche dei ragazzi ghanesi avevano confermato le loro dichiarazioni :

“Allora, guarda i ghanesi sanno tutto quello che fai… noi ghanesi ci conosciamo tra di noi, le mamme si conoscono tutte e quindi se vedono uno di noi figli in giro subito riferiscono agli altri… i ghanesi non si fanno mai cazzi loro, vanno subito a dire ai genitori come sei vestito, con chi eri, cosa facevi… gli piace farsi i fatti degli altri. Qua sono tutti famiglie, questo qui porta questo e quindi ci conosciamo. Le mamme che fanno gossip chiedono e lo fanno perché vogliono che noi non facciamo cazzate, ci controllano perché hanno paura che i tuoi non lo sanno e si preoccupano. In Ghana la scuola non era pubblica e allora non capiscono perché tu non stai sempre a casa a studiare… loro non capiscono che poi tu ti ribelli … Noi facciamo pure le feste insieme… c’è le feste dei ghanesi sono o matrimoni, compleanni… si chiama un cantante e si prendono le sale, come le polisportive e facciamo le feste. C’è se tipo c’è un matrimonio uno invita le persone e poi quelle invitano gli altri, se uno passa e vede che ci sono i ghanesi allora entra… alle feste noi consociamo i ragazzi ghanesi, ma ti controllano. I miei mi lasciano là se se ne vanno ma solo se c’è qualcuno della famiglia o un amico, un cugino che ti guarda e controlla che non bevi, non vai in giro con i ragazzi…” (E., ragazza di 15 anni, genitori ghanesi, nata in Italia).

“Le mamme ghanesi sono delle spie… se tu fai qualcosa tempo un’ora lo sanno anche i tuoi genitori… se ti vedono con qualcuno che non conoscono vanno a chiedere… poi le mamme dicono le

cose ai padri e diventa un casino…è che i ghanesi stanno sempre con i ghanesi, con i neri… se giri con i bianchi la gente parla alle spalle di te perché pensa che vuoi fare il bianco anche tu…” (J., ragazzo di 18 anni, genitori ghanesi, nato in Italia).

Gli esiti del contatto con le reti etniche sembrano quindi rinforzare il controllo genitoriale, garantendo loro un maggiore preservazione dell’autorità, ma non sempre questo si rivela un fattore completamente positivo. Essere parte integrante di una comunità significa anche essere giudicati come membri e se un comportamento viene ritenuto non conforme getta discredito anche sugli altri. Per questo, può succedere che scegliere compagnie italiane o assumere atteggiamenti ritenuti scorretti dalla comunità allargata (ad esempio adottare un abbigliamento particolare o il fumare) significhi esporsi ad una critica forte. I ragazzi si sentono in questo modo attaccati e non è detto che non attuino modalità di risposta ostili, magari esasperando le loro condotte96:

“A me della gente non frega… io esco con chi dico io… mia madre dice devi uscire con i ghanesi ma io vado con chi voglio io… ci sono stati persone che dicono a lei tuo figlia fa questo, fa botte, fuma, beve… si è incazzata ma non mi frega… devono fare cazzi loro questa gente. ” (D., ragazzo di 19 anni, genitori ghanesi, da 3 anni in Italia).

Le famiglie non si strutturano tuttavia solamente intorno a reti comunitarie vere e proprie: in molti casi i rapporti con i connazionali sono frutto di legami di parentela e di ricongiungimenti involontari tra conoscenti. È un caso tipico delle comunità di cui abbiamo parlato, ma è anche una circostanza diffusa tra le famiglie napoletane e albanesi. Nelle prime, ci sono reti familiari, con zii, nonni, cugini che vivono nelle vicinanze, quando non nella stessa città, ma spesso basta la comunanza delle origini per giustificare la nascita di amicizie durature tra gli adulti e di conseguenza tra i figli. Nelle rappresentanze marocchine o albanesi, invece, le famiglie si relazionano più facilmente con parenti e amici di famiglia, tanto che la socialità di queste etnie rimane molto più intimistica e circoscritta.

I ragazzi di queste nazionalità possono pertanto contare su strutture simili a quelle degli autoctoni, non dovendo necessariamente rinunciare a tutta la famiglia, ma preservandone dei “pezzi”. Si tratta di configurazioni relazionali che sembrano meno invasive in termini di protezione dei più giovani, tanto da essere considerate quasi sempre positivamente:

“Noi qua siamo la mia famiglia, i miei zii, che sono i fratelli di mia madre e mia nonna, di mio padre… la domenica mangiamo insieme… mia madre esce con le mie zie, io con i miei cugini… è bello perché sembra che stiamo ancora a Napoli… “ (P., ragazzo di 17 anni, genitori napoletani, da 8 anni a Modena).

“…Ho uno zio con cui parlo tantissimo, lui è giovane e vive qua pure lui… quando ho un problema parlo sempre con lui, mi capisce, mi posso confidare… anche la sorella di mia madre vive qua, sono venuti qualche anno fa con mio cugino e mia cugina a Modena perché mio zio era venuto a lavorare nella fabbrica di mio padre… ci vediamo ogni settimana, festeggiamo i compleanni insieme, mangiamo insieme certe volte” (S., ragazza di 17 anni, genitori albanesi, da 8 anni in Italia).

96 In un certo senso, questa azione negativa delle reti rientra in quello che Portes identifica come uno dei costi della solidarietà vincolata (Portes 1995). I vincoli comunitari, che le relazioni di mutua solidarietà pongono ai contatti esterni al gruppo di riferimento e alla libertà di scelta individuale, determinano infatti risposte non sempre positive, specie tra i giovani che possono essere riluttanti dinanzi ad un ulteriore autorità esterna.