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I legami che ne scaturiscono producono forme di assimilazione differenti, basate essenzialmente sul rifiuto della condizione di migrante come categoria definitoria:

3. Storia dell’immigrazione nel modenese

3.2 Immigrazione al presente

Nel 2011 il numero di stranieri nella provincia ammonta alle 89.346 unità, mentre quello del comune di Modena supera le 27 mila presenze. I numeri testimoniamo l’avvento di una città a tutti gli effetti multietnica, in cui si annodano i vissuti di più di 190 nazionalità. La convivenza tra le molteplici anime della città si mostra però sempre più complessa, sia per la presenza di aree problematiche nel tessuto urbano, sia per l’emergere di nuove questioni sociali, dovute principalmente all’emersione del fenomeno delle seconde generazioni. Molteplici appaiono però gli esperimenti di convivenza positiva, che vedono una solida rete associazionistica migrante e la pratica del sentimento religioso in sedi e luoghi di culto tradizionalmente occupati dalla società modenese e oggi capaci di reinventarsi, offrendo spazi comunitari e rituali di grande valore simbolico per i cittadini stranieri.

3.2.1 Le comunità e il radicamento sul territorio modenese

Con l’avvicinarsi della fine della prima decade degli anni 2000, la presenza straniera evidenzia il consolidamento di un rallentamento della propria velocità di crescita, dopo un’impennata delle iscrizioni anagrafiche, registrata nel 2007 ed in massima parte determinata dall’allargamento dell’Unione Europea a due nuovi stati membri (Bulgaria, Romania).

La scelta nazionale di non determinare per il 2008 ed il 2009, attraverso decreti flussi, quote di permessi per lavoro non stagionale e non domestico, si accompagna al perdurare della crisi, che dal 2003 attanaglia l’intero sistema economico mondiale, costringendo l’Italia a non dichiarare nuove quote flussi neanche per l’anno 2011. Sono anni di recessione, in cui i tassi di disoccupazione aumentano sia per la popolazione autoctona sia per quella

45 È di questi anni, ad esempio, la ricerca di Everri M., Foà C., Davolo A. (2007) “I giovani migranti dei centri di aggregazione giovanile della provincia di Modena”, realizzata con la collaborazione dell’Università di Parma . Il testo integrale è rinvenibile all’indirizzo http://www.sociale.provincia.modena.it/allegato.asp?ID=114276.

immigrata, tradizionalmente occupata nelle mansioni e nei settori meno appetibili per la forza lavoro locale. La componente immigrata del mercato del lavoro evidenzia infatti una netta concentrazione settoriale nell’occupazione, un misto tra “segregazione professionale” e specializzazione etnica, che li espone al rischio di disoccupazione nei settori maggiormente coinvolti dalla crisi economica, in particolare nei settori ceramico, metalmeccanico, edilizio, trasporti e manifatturiero, fortemente radicati nella provincia di Modena.

Ma Modena, nonostante la crisi finanziaria, al 1 gennaio 2010, diventa la 6 provincia d’Italia con la più alta incidenza di immigrati. Tra le comunità presenti, quelle maggiormente rappresentate sono quella marocchina con circa 20 mila presenze, tunisina e ghanese, rispettivamente intorno alle 6 mila presenze. Anche la comunità turca pare concentrarsi in particolare nel capoluogo. Incominciano ad affacciarsi nuove nazionalità, come nel caso degli appartenenti alle regioni dello Sri Lanka, Pakistan ed India, mentre i Paesi dell’Est (Albania, Romania,Ucraina) si confermano come presenza stabile. La diversità dei progetti migratori determina una distribuzione delle classi d’età e del genere che muta in relazione all’appartenenza: da un lato troviamo le comunità con una quota di donne in età adulta più elevata della media e pochi ragazzi sotto i 14 anni (Ucraina, Moldavia e Polonia), dall’altro, un secondo profilo di comunità è composto da persone in età lavorativa matura oltre i 39 anni, quali l’albanese, la turca, la nigeriana, la cinese e la filippina. In generale, si evidenzia un deciso riequilibrio dei sessi per quasi tutte le compagini etniche, salvo quella tunisina, dovute principalmente ai ricongiungimenti familiari e all’arrivo di molte donne richieste come badanti [Provincia di Modena 2011].

La ripartizione delle presenze dal punto di vista territoriale evidenzia una modifica strutturale degli insediamenti che assumono tratti capillari: diventa difficile individuare aree specifiche, in quanto la quasi totalità delle aree della parte settentrionale e centrale della provincia si attestano al di sopra di tale soglia, con tassi di stranieri superiori anche al 14% (Spilamberto 16,6%, Vignola 15,9%, Mirandola 15,7%). La scelta di allontanarsi dal capoluogo, rispetto ai primi anni del fenomeno migratorio, è dovuta principalmente alla vicinanza ai distretti industriali e al costo minore degli immobili in locazione o in vendita,e in questo modo l’intera provincia viene colpita dall’arrivo dei migranti, con paesini che vengono ripopolati in pochi anni, come nel caso di Lama Mocogno, Montefiorino, Fiumalbo e Riolunato. Se nei singoli comuni, alcune cittadinanze presentano regolarità abbastanza ovvie, legate alla numerosità delle presenze, come nel caso del Marocco, della Tunisia e dell’Albania, altre mostrano di scegliere una concentrazione spaziale definita, che evidenzia zone di popolamento prevalentemente monoetniche: i ghanesi, ad esempio, sono la cittadinanza più importante di Nonantola, la seconda di Castelnuovo Rangone e la terza nel capoluogo, a Sassuolo (più del 40% degli stranieri residenti), oltre che in altri cinque comuni (Formigine, Fiorano Modenese, Savignano, Maranello e Castelvetro), soprattutto perché impiegati nel settore ceramico; Mirandola (+ del 30%), Novi, Concordia, Cavezzo e San Possidonio ospitano buona parte della comunità cinese, che in queste zone si concentra intorno a fabbriche tessili o alimentari gestite da connazionali [Provincia di Modena 2011]. I pakistani si concentrano invece tra il carpigiano e il novese; gli indiani scelgono Soliera, come testimoniato dalle decine di uomini, adulti e non, che nel fine settimana sfruttano i prati verdi della zona per organizzare partite di cricket46.

Nello specifico, la distribuzione dei residenti stranieri nel comune di Modena vede un 42,8% insediato nella prima periferia, il 36,2% nella prima periferia e il 12% nel nucleo storico. Quest’ultima è la zona con maggiore concentrazione di allogeni, dove quasi un residente su quattro è straniero (23,4%), con individui mediamente più giovani, meno

46 I riferimenti alle attività degli stranieri nel territorio modenese sono frutto dell’elabrazione delle informazioni formali, ricavate dall’analisi degli archivi storici e dei testi sul fenomeno migratorio locale, e da dichiarazioni informali, ottenute nel corso della ricerca mediante colloqui con testimoni priviliegiati ed esponenti locali particolarmente ferrati in materia di dinamiche correlate alle migrazioni contemporanee nella provincia emiliana.

famiglie numerose e con bambini piccoli rispetto alle altre zone, probabilmente per la dimensione degli alloggi centrali che spesso hanno una scarsa metratura a costi decisamente elevati. Basse sono le percentuali di chi sceglie di vivere in nuclei abitati esterni ed in caseggiati sparsi nelle campagne modenesi [Provincia di Modena 2006; Bertolini et al 2011].

Nel centro storico, la comunità più rilevante è quella filippina, seguita da quella marocchina e tunisina. I quartieri della prima periferia sono invece abitati principalmente da marocchini, albanesi, filippini e ghanesi, ma si trovano anche concentrazioni considerevoli di immigrati meridionali e di turchi. Le aree periferiche vedono invece una concentrazione maggiore di marocchini, albanesi, indiani e ghanesi, ma si tratta di numeri comunque molto bassi rispetto alle zone più centrali.

Fig.1 Ripartizione sul territorio comunale di Modena delle presenze straniere

Fonte: Osservatorio provinciale sull’immigrazione (2006)

3.2.2 Modena extra-ordinaria: quartieri problematici e conflitti sociali

L’insediamento abitativo delle comunità straniere nella circoscrizione modenese appare sin dagli albori un processo destinato a far discutere. A cavallo degli anni ’90, gli arrivi massicci di extracomunitari avevano assunto tratti drammatici, in relazione all’occupazione di alcuni luoghi ad alta visibilità: le tribune del Novi Sad collocate nelle immediate vicinanze del centro storico si erano riempite di diseredati in condizioni di vita degradanti, così come era accaduto alle fabbriche, in disuso ormai da anni, ma circondate da quartieri ad alta densità abitativa (ex Fonderie, ex Valdedit, Ligmar). La città aveva reagito negativamente, promuovendo cortei, serrate e proteste con l’intento evidente di ristabilire un ordine perduto.

Un ordine che, con gli anni successivi, viene ristabilito solo attraverso una divisione spazio-simbolica delle aree di mobilità urbana delle varie etnie e degli autoctoni, mediante un’articolazione dei luoghi di insediamento, che ripartisce gli abitanti sulla base del reddito e della provenienza. I modenesi benestanti scelgono, infatti, preferibilmente

paesini nelle vicinanze del capoluogo, che negli ultimi anni si sono dotati di un’ampia rete di servizi come nel caso di Formigine o di Montale Rangone, mentre la classe media continua ad abitare le vie del centro urbano o quelle semi-periferiche. Gli stranieri sembrano invece riempire gli spazi vuoti di zone abbandonate, o per via di trasferimenti o per lo scarso ricambio generazionale (come ad esempio nel quartiere San Pio X e nel centro storico), creando un circolo vizioso che allontana gli autoctoni da quei luoghi considerati meno attrattivi in virtù della maggiore presenza di immigrati. Alcuni quartieri di Modena vengono difatti “colonizzati” da gruppi di famiglie straniere, che ricreano così piccole città nella città. La zona Tempio vicino alla stazione ferroviaria, dove risiede buona parte della comunità turca, così come quella del quartiere Crocetta, dove si sono insediati dagli anni ’70 nuclei di immigrati napoletani, sono caratterizzate ad esempio dalla presenza di negozi alimentari che contribuiscono a rifornire i nuovi cittadini di alimenti tipici47.

La visibilità degli stranieri cresce anche in relazione all’utilizzo dei luoghi pubblici per la socialità. Come evidenziato da alcune ricerche ecologiche sul tema48, gli spazi collettivi

sono i luoghi meno definiti della città, luoghi in cui nessun gruppo può rivendicare a priori la proprietà: sono ambiti urbani multiformi, che non possono essere associati direttamente ad un gruppo sociale, bensì a tutta la cittadinanza e proprio per questo considerati come parte di un patrimonio culturale e territoriale che sembra essere usurpato dagli ultimi arrivati. I parchi pubblici assurgono a questo ruolo di ritrovo comunitario e soprattutto nel tardo pomeriggio o nel fine settimana offrono agli stranieri un luogo di ritrovo con i propri connazionali, come ad esempio per le badanti moldave e rumene, o le famiglie filippine, che nei periodi primaverili ed estivi trascorrono qui le loro giornate libere.

Nonostante la fruizione degli spazi pubblici ed abitativi generi difficoltà di adattamento da parte dei modenesi, sono altri i contesti urbani marchiati come pericolosi per via di una massiccia presenza straniera. In primo luogo, la stazione delle corriere, che viene popolata da gruppi di giovani marocchini e tunisini, teatro di frequenti episodi di spaccio e risse, soprattutto nelle ore diurne per via della presenza di studenti, che da qui arrivano e partono per i paesi del circondario; in secondo luogo, via Bellaria in zona Vaciglio, dove si accampano famiglie nomadi, la sede dell’ex Amcm (società di trasporti municipale) in pieno centro, dove vivono molti stranieri clandestini, tanto da far parlare di una vera e propria cittadella del degrado, o ancora l’ex Deposito Granarolo, in via Canaletto Sud, occupato a fasi alterne negli ultimi mesi da tunisini arrivati da Lampedusa, privi di permesso di soggiorno, e la Bruciata, quartiere fieristico popolato da prostitute nigeriane.

Centrale nell’immaginario collettivo è anche il ruolo negativo assunto da alcuni condomini: l’R –Nord, noto anche come Hotel Eroina, nel quartiere Crocetta, il Lambda e Windsor Park. Si tratta di palazzoni di edilizia popolare, saliti agli onori della cronaca per frequenti situazioni di microcriminalità e per il forte senso di degrado e povertà che vi si respira intorno. Sono però condomini abitati anche dalla popolazione modenese, che in questi anni ha cercato di promuovere un’opera di riqualificazione socio-ambientale di alcuni di questi stabili, come nel virtuoso esperimento di Windsor Park e dell’R- Nord, in

47 Come emerso dalle osservazioni esplorative nelle varie zone di Modena e dalle informazioni ottenute da responsabili di associazioni sul territorio, nel quartiere Crocetta sono presenti, infatti, molte macellerie che, oltre alle carni tra cui anche quella equina, molto usata nelle regioni meridionali, vendono anche pane napoletano e la tipica mozzarella di bufala. La comunità napoletana ha così ricreato sul territorio la possibilità di mangiare cibi provenienti direttamente dalla propria terra, allo stesso modo dei pakistani, maghrebini e cinesi.

48 Si vedano in proposito: Tosi A. (2000), L'inserimento degli immigrati: case e città, in Le culture dell'abitare, Polistampa, Firenze ; Bertoncin P., Bertoncin M. (2007), Territorialità. Necessità di regole e nuovi vissuti

territoriali, Franco Angeli, Milano; Colombo A., Genovese A., Canevaro A. (2006), Immigrazione e nuove identità urbane. La città come luogo di incontro e scambio culturale, Erickson, Trento; Bonomi A. (2008), Milano ai tempi delle moltitudini, Bruno Mondadori, Milano; Lanzani A., Vitali D. (2003), Metamorfosi urbane: i luoghi dell’immigrazione, Sala, Pescara.

cui sono stati attivate esperienze di convivialità tra condomini con cene e feste di quartiere ed è stata promossa la costituzione di un portierato sociale, con funzioni di mediazione dei conflitti e di controllo del territorio.

Il contesto presente sembra così spaccato nettamente in due: da una parte, una Modena protesa verso l’accoglienza e le logiche di integrazione, con un impegno attivo delle istituzioni locali, dell’associazionismo e della rete del volontariato laico e cattolico, che da anni ormai analizzano i fenomeni correlati all’immigrazione cercando risposte concrete; dall’altra, una Modena sospettosa, arroccata sul proprio ideale di civiltà urbana, che mal tollera il vociare e l’arroganza di questi nuovi “marocchini” che affollano il centro e le vie del benessere modenese, e che sembra aver dimenticato in parte le proprie radici culturali.

3.2.3 L’associazionismo migrante e le pratiche religiose

L’attenzione per le migrazioni ha caratterizzato buona parte del lavoro della rete civica comunale di servizi di Modena, sin dall’affacciarsi dei primi migranti nel contesto cittadino. Una rete rivolta al sostegno dello straniero nelle prime fasi del suo inserimento, all’orientamento nel mercato del lavoro, all’assistenza sanitaria e alle pratiche di ricongiungimento familiare. Il comune si è dotato infatti di appositi uffici per stranieri, di pagine on-line dedicate, di Centri territoriali permanenti per la formazione e l’istruzione in età adulta finalizzati all’insegnamento della lingua italiana e di un Centro Stranieri, che offre assistenza per l’espletamento di pratiche burocratico-amministrative, grazie anche ad un’attività di mediazione linguistica e culturale. Significativa è l’esperienza del Punto d’accordo, nato dalla concertazione delle forze locali impegnate sul fronte dell’immigrazione, che da anni svolge un ruolo di pacificazione e mediazione socio- territoriale dei conflitti a titolo gratuito.

Accanto all’impegno del reticolo istituzionale, si è andato delineando un fervore comunitario in seno ai gruppi etnici che si sono formati man mano all’interno del tessuto urbano: nel 2010 sono difatti ben 28 le associazioni di cittadini stranieri nel comune di Modena, quasi tutte raggruppate nella Casa delle culture che, nata nel 1999 al termine di un corso di formazione organizzato dalla Consulta provinciale per l’immigrazione, ha lo scopo di sostenere le progettualità delle singole associazioni partecipanti e di offrire loro un luogo di incontro condiviso. Tra queste molte fanno riferimento a comunità radicate da tempo nella cittadina, come nel caso dell’Associazione culturale Effisco del Ghana, della Voix d’Afric, dell’Associazione culturale Marocco e dell’Associazione amicale Tunisina. All’interno delle associazioni africane, un ruolo importante rivestono le corporazioni di donne arabe e musulmane, in cui si promuovono ideali interculturali e si offrono sostegno sanitario e linguistico, mediante l’attivazione di corsi di alfabetizzazione, prevalentemente a donne migranti. Donne sono anche le presidenti delle associazioni moldave, ucraine e slave, che si occupano di fornire informazioni sui diritti e assistenza burocratico-legale nell’espletamento di pratiche lavorative: nella maggior parte dei casi sono esperienze scaturite dall’impegno di cittadine dell’Est Europa, giunte come lavoratrici nei servizi di cura. Negli ultimi anni vengono fondate associazioni filippine e peruviane, che si connotano per esperienze folkloristiche di spessore (un esempio è dato dal Balletto dell’Associazione Asi es mi Perù).

Il senso di appartenenza comunitaria e la necessità di ricreare in terra straniera luoghi di integrazione ha inoltre favorito lo sviluppo di un panorama di realtà religiose variegato, sostenuto dalla diocesi di Modena e favorito dalla prodigalità dei parroci delle chiese cittadine. Attualmente sono circa quaranta le confessioni professate in città e i luoghi di devozione sono spesso gli stessi adoperati per i culti cattolici. Le confessioni che trovano espressione nella realtà locale sono principalmente quella ortodossa, quella cattolica, quella musulmana e quella evangelica, insediate nelle chiese della città a seconda della provenienza e del rito celebrato49.

La comunità ortodossa russa, composta da moldavi, ucraini, montenegrini,albanesi, polacchi ma anche italiani, si riunisce nella Chiesa di Tutti i Santi di Modena, dove vengono svolti riti sacrali come matrimoni, funerali, battesimi e dove vengono celebrate le messe

49 Le informazioni sulle confessioni religiose e sui luoghi di culto sono frutto delle informazioni ottenute dai testimoni privilegiati del contesto modenese, con cui si sono avuti colloqui informali nello studio di sfondo della ricerca, e della rilettura del lavoro fotografico di Mauro Terzi, commissionato dal Centro Stranieri del Comune di Modena. Le fotografie sono state raccolte in un volume dal titolo “Non avrai altro Dio”. Comunità e sentimento religioso a Modena” (2008), in cui vengono mostrate immagini di vita religiosa delle singole comunità e vengono commentate dettagliatamente le manifestazioni delle varie confessioni religiose. Ad esse si sommano i dati ricavati dalle pagine del Comune finalizzate ad indicare la collocazione delle singole chiese sul territorio e le informazioni ricavate dai colloqui con responsabili comunali e volontari nel campo dell’accoglienza agli stranieri.

ogni domenica. La comunità ortodossa rumena, la seconda in ordine di importanza dopo quella sotto il Patronato di Mosca, celebra invece la propria sacralità nella Chiesa di San Bartolomeo. All’interno della religione ortodossa trova spazio la professione di fede della comunità ucraina, che celebra il rito greco-bizantino nella Chiesa del Paradisino.

La Chiesa della Beata Vergine, alle porte del centro storico, ospita invece la comunità cattolica polacca, che qui si riunisce non solo per le celebrazioni liturgiche, ma anche durante le festività, organizzando cene e riunioni che hanno lo scopo di mantenere salde le loro tradizioni e di rafforzare il legame tra i credenti. La tradizione cattolica francofona delle popolazioni africane (principalmente camerunensi) viene conservata attraverso la celebrazione della messa domenicale nella Chiesa di San Bartolomeo: si tratta di liturgie festose, cantate e animate, in cui l’aspetto religioso si unisce agli ideali di fratellanza e solidarietà delle comunità che vi partecipano. La Chiesa di Sant’Agostino ospita invece la comunità filippina, una comunità schiva e sfuggente allo sguardo altrui, che qui si riunisce sia spiritualmente che culturalmente. Le funzioni religiose vedono infatti una massiccia componente di giovani e bambini, che partecipano attivamente alla vita religiosa, come nel caso dei ghanesi cattolici si incontrano, invece, nella Chiesa di Marzaglia.

La presenza consistente di immigrati di fede musulmana ha spinto l’amministrazione locale ad offrire spazi di culto appositi, pur in presenza di una certa riluttanza di alcune fazioni politiche e di una parte della cittadinanza. In via delle Suore, nella zona periferica che si collega alla tangenziale, è stata adibita a moschea un capannone artigianale di proprietà comunale, concesso in comodato d’uso ai praticanti di rito islamico. La moschea che accoglie ormai i fedeli da 18 anni vede la sua massima concentrazione durante la preghiera del venerdì, mentre durante il resto della settimana viene frequentata nelle ore pomeridiane e serali perlopiù da uomini. Un’altra moschea modenese è quella della congregazione turca: la moschea Uli Cami sorge in zona Tempio, quartiere in cui è maggiormente concentrata la comunità proveniente dalla Turchia. Essa offre un punto di dialogo e confronto per i fedeli, ma soprattutto un luogo fortemente formativo per i giovani, che qui apprendono e imparano a vivere la religione dei genitori.

Per ultimo, troviamo le comunità evangeliche: quella ghanese si riunisce nella Full Gospel Church, mentre quella nigeriana ha fondato la New Life Deliverance Ministris Modena. In entrambe il culto viene praticato con gioia e canti: la ricerca della fratellanza e la fede quasi ancestrale si legano ad usanze tradizionali, che pongono al centro di tutto il rapporto con Dio e il valore sacro della famiglia.

Alcuni gruppi etnici professano la loro fede in altri comuni della provincia, sia perché non vi sono abbastanza rappresentanti delle stesse sul suolo cittadino, sia perché esistono grosse compagini in zone ben definite che catalizzano le presenze. A Novi di Modena, i