Questa costante tensione e agitazione tra gli studenti si riversava sugli insegnanti, creando situazioni in alcuni casi imbarazzanti: avevo assistito a crisi d
6.3 Luoghi di ritrovo informali nella città di Modena
Nei periodi di osservazione nelle scuole e presso i circoli culturali e ricreativi della zona, avevo individuato delle aree di ritrovo informale dei giovani adolescenti all’interno della città di Modena. In particolare parchi, piazze del centro storico, stazione delle corriere e centri commerciali erano abitati quotidianamente da compagnie di ragazzi e ragazze, stranieri e non, durante tutta la settimana e specialmente nel weekend, e si prestavano perfettamente alla fase osservativa, pur limitando notevolmente la partecipazione e il confronti con l’oggetto di studio.
La Stazione delle corriere era per ovvie ragioni quella più frequentata: sia per coloro che provenivano dalle zone limitrofe di Modena o da quartieri più periferici, che per i residenti, le stazioni rappresentavano un luogo di incontro. Molti ragazzi si davano appuntamento lì al termine delle lezioni, altri semplicemente sceglievano di rifugiarvisi dopo aver eluso le lezioni scolastiche. Durante le mie osservazioni, la maggior parte effettuate muovendomi nei paraggi della stazione dopo la fine dell’orario scolastico, avevo notato una suddivisione della zona in singole aree anche sulla base delle dichiarazioni dei ragazzi a riguardo: da una parte si concentravano gli adulti e i gruppi di giovani più alternativi, la stessa dove alcuni ragazzi intervistati avrebbero individuato lo spaccio della zona; dall’altra invece, collocati nelle vicinanze delle pensiline in attesa degli autobus di linea, gruppetti misti, la maggior parte composti da ragazzi di origine straniera, nella maggior parte dei casi marocchina e albanese. Le ragazzine erano principalmente marocchine e nigeriane o ghanesi: mentre le prime si muovevano autonomamente, passando da un gruppo all’altro, le ragazze di colore restavano invece sempre in compagnia di connazionali in gruppetti ben definiti.
Le vie del centro si riempivano di sera, spesso solamente durante il week end, quando l’intero centro storico veniva invasi letteralmente da frotte di giovani adolescenti, che uscivano da scuola e passavano il pomeriggio girando per i negozi. I negozi di abbigliamento giovanile, specie quelli appartenenti a catene più economiche, erano quelli più frequentati, insieme a quelli sportivi.
Le piazze avevano invece un’utenza specifica: in piazza Roma ad esempio si trovavano i giovani autoctoni, i modenesi di buona estrazione sociale che qui fanno aperitivo, e dove gli unici ragazzi stranieri che si vedevano erano quelli albanesi e napoletani, che si mimetizzavano meglio all’interno della compagine; in piazza Matteotti si riuniscono invece le compagnie di ragazzi marocchini, impegnati ad ascoltare musica rap e a bere in compagnia anche di ragazzi meridionali; ancora nelle vicinanze di piazza San Francesco, quasi alle porte del centro, si radunano i ragazzi filippini, che passano il tempo ascoltando musica filippina in compagnia delle ragazze filippine, in gruppi assolutamente monoetnici. Le piazzette vicino alla Pomposa ad uso esclusivo dei ragazzi universitari restano al di fuori del circuito degli adolescenti.
I parchi rivestono un ruolo molto importante in termini di aggregazione: alcuni di essi mi sembrava venissero scelti dai ragazzi a seconda proprio dell’etnia di riferimento, come ad esempio nel caso del parco Amendola, ritrovo di molte compagnie di ragazzini napoletani e marocchini, del parco Ferrari, dove invece si riunivano adolescenti e giovani maschi di origine indiana, o ancora il Parco XX Aprile, colonizzato da gruppetti di ragazzini marocchini.
In tutti questi luoghi, le mie osservazioni erano state brevi, guidate da informazioni ricevute e prive di contatto con i soggetti studiati, laddove solo in poche occasioni ero riuscita ad avvicinare dei ragazzi, usando delle conoscenze o delle scuse improponibili (chiedere l’orario, fingere di aver sbagliato persona), senza peraltro riuscire ad intavolare conversazioni degne di nota.
Uno dei “luoghi informali” che mi ero invece involontariamente ritrovata a frequentare, e che mi aveva offerto grossi elementi di riflessione, era quello dei social network, in particolare di Facebook, che rappresentava lo strumento di comunicazione per eccellenza della quasi totalità dei ragazzi osservati. Nonostante non avessi pensato all’uso dei profili sul celebre social network per allargare la mia osservazione, l’occasione mi era stata fornita dagli stessi ragazzi, che avevano quasi sempre cercato di contattarmi in rete. Approfittando di alcuni contatti stabiliti, ero riuscita così a muovermi sulle pagine dei loro conoscenti, ritrovando altri giovani incontrati a scuola o nei circoli, vista la visione pubblica del loro profilo. In questo modo, avevo ottenuto informazioni aggiuntive su alcuni ragazzi interessanti dal punto di vista dell’indagine, compreso appellativi e soprannomi, colto relazioni amorose e amicali non palesate durante le interviste, individuato generi musicali e artisti più in voga tra di loro, oltre che principalmente per conoscere il loro
modo di esprimersi o le convinzioni e i pensieri sulla vita in generale, sulla religione, sulla famiglia e così via. Attraverso le pagine face book avevo potuto integrare le informazioni ricevute nelle prime interviste, modulando di conseguenza le tracce dei successivi colloqui. In questo modo, ero riuscita a cogliere meglio la gestione del tempo libero, le relazioni interetniche nei gruppi, i rapporti di genere e gli stili di vita devianti, confrontando spesso le dichiarazioni dei ragazzi con le fotografie o gli status a commento delle serate di cui mi parlavano ad esempio.
L’insieme delle osservazione nei contesti formali ed informali si era così strutturato in una logica complementare, laddove le intuizioni derivanti dall’esposizione a taluni luoghi di socializzazione istituzionalizzati facilitava poi la comprensione di comportamenti e pratiche visibili al di fuori degli ambienti scolastici. Al contempo, la relazione con il corpo docente, con il personale tecnico e con gli educatori/volontari dei centri giovanili aveva ampliato le mie capacità empatiche, mediando in molte occasioni tra il mio naturale e immediato pregiudizio nei confronti dei ragazzi e delle ragazze straniere e il bisogno di penetrare consapevolmente il loro mondo senza alterarlo.