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Etnografia scolastica Istituti e centri di formazione

LA PROSPETTIVA DI RICERCA

6. Etnografia urbana: la descrizione dei contest

6.1 Etnografia scolastica Istituti e centri di formazione

6.1.1 Centro territoriale permanente (Ctp)

Il primo istituto in cui ho potuto svolgere la mia attività di ricerca sul campo è stato un Centro territoriale permanente per la formazione e l’istruzione in età adulta. Alcuni responsabili comunali mi avevano informato del fatto che, all’interno del Centro, era possibile trovare molti ragazzi di origine straniera, impegnati nel recupero di crediti linguistici o nell’ottenimento della licenza di scuola media.

Secondo la normativa regionale (Legge regionale 30 giugno 2003 n. 12), da cui dipendono i centri di formazione professionale, i ragazzi in obbligo formativo scolastico devono infatti accedere alla scuola media superiore o ad un Centro di formazione professionale, ma per fare ciò è necessario aver conseguito il diploma di scuola media inferiore. Molti giovani stranieri che non hanno un titolo equipollente e/o riconosciuto dallo Stato italiano, sono così costretti a tornare a scuola per prendere la licenza media: per questa ragione il Ctp organizza corsi mirati di scuola media, che si concludono con una prova d’esame a fine anno didattico. I ragazzi che sono in possesso delle competenze linguistiche e delle conoscenze disciplinari possono concludere il percorso formativo in un anno, mentre per i soggetti con più carenze e difficoltà, soprattutto in merito all’apprendimento della lingua italiana, è possibile estendere la durata a due anni. In base a una convenzione firmata da quasi tutti gli istituti superiori di Modena, insieme ai ragazzi privi del titolo di scuola media inferiore, il Ctp accoglie anche coloro che, pur frequentando le classi delle scuole superiori di secondo grado, necessitano del recupero di abilità linguistiche, con corsi mirati di italiano riconosciuti come ore di formale lezione didattica.

Dopo una serie di incontri preventivi con la Direzione scolastica e alcuni insegnanti del Centro, è stata individuata una classe pomeridiana al cui interno erano presenti una dozzina di ragazzi e ragazze di origine straniera con età compresa tra i 16 e i 18 anni. La dimensione del gruppo e la peculiare informalità dell’attività didattica, se paragonata a quella delle classi statali ordinarie, mi garantivano un accesso “morbido”, che mi avrebbe potuto insegnare a relazionarmi con i soggetti di studio. Sino al primo giorno di osservazione nel Ctp, non avevo mai avuto in effetti la possibilità di confrontarmi con dei giovani di origine straniera in maniera diretta: scegliere di trovarsi di fronte ad un determinato gruppo sociale implica una serie di argomentazioni pregiudizievoli, che necessariamente dipendono dalle conoscenze pregresse come “uomo della strada” e dalla lettura di testi sull’argomento come “studioso sociale”. Un’immersione di primo livello con un insieme di ridotte dimensioni avrebbe di sicuro quindi favorito una presa di coscienza più riflessiva.

L’edificio in cui sorge il Centro si sviluppa su due piani e le aule destinate alla didattica sono collocate tutte al piano terra, che si affaccia su un piccolo spazio verde in cui gli studenti attendono l’inizio delle lezioni o passano la pausa per una sigaretta o una

chiacchierata in compagnia. In termini spaziali, si colloca nelle immediate vicinanze della stazione delle corriere, che funge da luogo di aggregazione per moltissimi ragazzi della provincia, e della stazione dei treni. La posizione strategica permette ai frequentanti più giovani di stazionare in attesa dell’inizio delle lezioni pomeridiane nei parchi e nelle vie del centro.

Durante il periodo in cui ho frequentato il Ctp, ho notato che l’atmosfera all’interno era molto cordiale, con il personale di servizio e gli insegnanti abbastanza aperti nei confronti delle necessità e dei bisogni specifici dei singoli utenti. In molti casi, sia giovani che adulti arrivavano ad esempio in ritardo ma la cosa risultava abbastanza tollerata, specie quando giustificata da impegni lavorativi o da problemi di trasporto. L’atteggiamento del corpo docente, sopratutto delle insegnanti donne, era meno formale di quello scolastico, orientato maggiormente alla comprensione delle problematiche dei ragazzi e finalizzato prevalentemente all’apprendimento della lingua.

La classe osservata si componeva di circa una trentina di persone, sebbene il numero variasse giornalmente a seconda della possibilità di conciliazione dei tempi sociali del lavoro e della famiglia, in relazione ai nuovi arrivi (nell’arco di un mese, ho visto arrivare 4 nuovi studenti, di cui solo uno adulto). Molti degli adolescenti risultavano iscritti contemporaneamente in scuole secondarie o centri di formazione e perciò già impegnati al mattino con il normale orario scolastico78. Il mio gruppo classe era tuttavia composto

anche da uomini e donne adulte, essendo il Ctp in primo luogo un luogo di insegnamento della lingua italiana per gli stranieri. Questo aspetto rappresentava un vantaggio in termini di maggior ordine e rispetto dell’insegnante durante le lezioni, in virtù di un duplice controllo adulto sugli adolescenti, sebbene devo ammettere che da parte dei frequentanti adulti ci fosse una maggiore diffidenza nei miei confronti, che però non sembrava interferire con la curiosità dei ragazzi e delle ragazze.

Nonostante l’eterogeneità “anagrafica”, in termini sia d’età che di provenienza, e la cadenza pomeridiana delle lezioni, durante le ore di insegnamento i ragazzi sembravano abbastanza attenti, volenterosi, interessati e rispettosi del ruolo autorevole, rivestito dal professore di turno. Ovviamente con delle eccezioni. Un gruppetto di due ragazzi e una ragazza, rispettivamente di origini moldava, turca e marocchina, aveva l’abitudine ad esempio di animare sempre le giornate con battutine, spesso a sfondo sessuale, interventi inopportuni, finalizzati a provocare la reazione degli insegnanti, e gesti poco educati, come quello di andar in bagno senza chiedere permesso o di uscire dalla classe senza motivi precisi. Seppur incomprensibili le prime volte, gli episodi in questione potevano essere spiegati come semplici momenti di ricerca dell’attenzione, oltre che valvole di sfogo per una situazione altamente stressante per un giovane, costretto a barcamenarsi tra scuola, compiti, Ctp e viaggi in pullman, di anche più di un’ora, per partire e tornare a casa.

Più complicato era invece capire il perché di certe dinamiche tra appartenenti a gruppi etnici differenti: in primo luogo, in più occasioni avevo colto una forte tendenza al richiamo comunitario specie da parte degli adulti nei confronti dei giovani in alcune etnie specifiche, come nel caso di una donna di origini marocchine di circa 40 anni che cercava continuamente il supporto e l’aiuto nella risoluzione dei compiti assegnati in un giovane di 17 anni, nato a Casablanca, rimarcando le origini comuni79; in secondo luogo, nonostante

fossi convinta di trovare giovani che condividevano il destino comune dell’essere figli di

78 Per coloro che dovevano ottenere la licenza di scuola media l’orario era prettamente scolastico, salvo necessità particolari. I ragazzi impegnati ad imparare la lingua o a recuperare crediti linguistici utilizzavano invece delle ore all’interno dell’orario scolastico per recarsi al Ctp, aggiungendone eventualmente altre extra nel pomeriggio.

79 Il ragazzo in questione, M., mi ha detto una volta che non aiutarla sarebbe stato un gesto condannato dalla comunità, essendo comunque arrivati dallo stesso paese. Nonostante non avessero legami di parentela o conoscenze in comune, M. preferiva così accondiscendere alle sue pressanti richieste di aiuto, pur di non offendere la cultura marocchina e i suoi stessi genitori, che a detta sua, si sarebbero vergognati di lui se non l’avesse fatto.

stranieri e quindi stranieri essi stessi, mi ero accorta della facilità con cui venivano creati degli schieramenti interni alla classe, basati proprio sulla provenienza. Un ragazzo di origini rom era, ad esempio, fortemente schernito dagli altri, sia perché considerato problematico80, sia perché appartenente ad un gruppo sociale raramente tollerato e

riconosciuto.

“F. ripete sempre le stesse cose. In una sola settimana è riuscito a ripetere di essere rom e di voler fare il regista almeno una decina di volte. Spesso lo vedo parlare da solo, non si cura molto della sua igiene personale e se provocato, cosa che avviene abbastanza di frequente, reagisce dicendo che non vuole avere problemi perché lui ormai è cambiato e non vuole più fare rissa con nessuno. Vive nella periferia di Modena con i suoi fratelli, ma ha passato la vita tra Olanda e Spagna. È un ragazzo molto schivo e l’unico con cui sembra parlare è A., il ragazzino pakistano della prima fila” (gennaio 2011, diario di campo).

Le ragazze albanesi mostravano invece molto astio nei confronti dei marocchini, mentre i pakistani tendevano a far gruppo a parte, rifugiandosi nel silenzio o nella timidezza: nel primo caso, avevo capito che le ragazzine in questione avevano avuto contatti spiacevoli con alcuni ragazzi del Marocco, che a detta loro “usavano le ragazze per i loro comodi e poi andavano in giro a raccontare tutto”. Nel secondo era palese che vi fosse una chiusura sociale determinata dalla scarsa conoscenza dell’italiano e dalla timidezza derivante, che finiva inevitabilmente per precludergli qualsiasi forma di rapporto con gli altri. Inoltre un paio di loro arrivavano sempre a lezione iniziata e andavano via prima della fine della stessa per motivi lavorativi, e questo limitava ulteriormente la possibilità di intrattenere relazioni con i pari.

Sin dai primi giorni, avevo notato una forte discrasia comportamentale a seconda del tempo e delle modalità di arrivo nel nostro paese: tra quelli nati in Italia o arrivati da piccoli c’era in effetti una maggiore adesione comportamentale agli stili di vita occidentale, manifesta in un uso dello slang adolescenziale marcato o nella scelta di un abbigliamento casual, mentre tra coloro che erano giunti a Modena da poco o che avevano vissuto esperienze drammatiche (viaggi da soli in pullman, genitori separati, problemi di alcolismo in famiglia) si manifestava un più intenso attaccamento alle radici culturali correlato ad una presa di responsabilità e ad una maturità, spesso sproporzionate per l’età del soggetto.

“M. oggi prima dell’inizio delle lezioni mi ha parlato della sua vita in Marocco. Suo padre è andato via di casa, lasciando lui a prendersi cura delle sue quattro sorelle, di cui una piccola di dieci mesi. Sua madre è stata arrestata ed è attualmente in galera. Lui faceva l’edile con una ditta del posto, ma i soldi bastavano a malapena per pagare da mangiare per sé e le sorelle. Un giorno con i suoi amici ha scoperto che c’erano dei pullman che partivano da Casablanca per andare in Spagna. Ha lasciato le sue sorelle a sua zia e ha deciso di provare a partire. La prima volta sono stati presi e rispediti via dai poliziotti, ma la sera dopo ci hanno riprovato e sono riusciti a partire, nascondendosi nel vano motore del pullman. Arrivati in Spagna, l’autista li ha scoperti e alla prima fermata utile, li ha affidati ad un uomo che faceva il volontario per una comunità di minori. In Spagna ci è rimasto due settimane, i suoi amici erano scappati al centro e lui desiderava di venire in Italia, per raggiungere un suo parente a Milano, ma durante il viaggio si è addormentato e si è ritrovato alla fermata di Modena, dove una volta arrivato è stato preso in affido da un responsabile di comunità per minori su segnalazione dell’autista. Quando parla di sé, della famiglia, delle sue

80 Vista la particolarità del soggetto, avevo chiesto informazioni su di lui ad alcuni professori. Il ragazzo, ormai diciannovenne, aveva provato ad inserirsi nella scuola statale ma senza risultati, per via di problemi di aggressività che sfociavano quasi sempre in risse con i compagni. Gli stessi professori parlavano di lui come di un ragazzo molto difficile, desideroso di imparare ma assolutamente incapace di concentrarsi e di raggiungere dei risultati, tanto che quella era la terza volta che frequentava il corso per ottenere la certificazione linguistica pur essendo nato in Italia e pur avendovi risieduto per circa cinque anni.

speranze per il futuro sembra essere molto più maturo dei suoi 18 anni. Dice di volere una ragazza che lo ami e che sia capace di rispettarlo, non delle storielle stupide in cui si sta insieme solo per divertimento. Sogna di trovare un lavoro come meccanico, una volta terminato il corso alla Città dei ragazzi, e di poter aiutare la sua famiglia in Marocco. Rispondendo ad A. che dice che suo padre “rompe”, M. lo rimprovera e dice che i genitori, anche quando sbagliano, devono sempre essere rispettati” (gennaio 2011, diario di campo)

La strutturazione delle attività didattiche mi permetteva di dialogare frequentemente con i ragazzi: prima dell’inizio delle lezioni e durante la pausa a metà del pomeriggio avevo, infatti, del tempo a disposizione per poter carpire informazioni più dettagliate sulla vita dei ragazzi e per creare un clima di fiducia che avrei potuto sfruttare durante le interviste. I ragazzini del gruppetto più confusionario erano ovviamente anche quelli più interessati a parlare con me, spinti soprattutto dal desiderio di capire il perché della mia presenza al Centro. I ragazzini pakistani erano invece più timorosi, probabilmente anche per problemi di comunicazione linguistica; solo uno di loro rispondeva positivamente alla mia ricerca di contatto, ma era evidente una forte diffidenza:

“L’altro pomeriggio parlando con A., il ragazzino pakistano di 19 anni, mi era sembrato di capire che non avesse la fidanzata. Oggi invece ha detto di avere una ragazza che lo aspetta in Pakistan e che farà arrivare in Italia quando lei sarà maggiorenne. Quando gli ho fatto notare di aver dato una versione diversa il giorno prima, A. ha risposto che prima di dire cose private ad un estraneo ha bisogno di capire se può fidarsi o meno” (febbraio 2011, diario di campo)

Nonostante fossi convinta di dover avere problemi ad affrontare tematiche connesse all’uso di alcol e droghe, in pochi giorni avevo capito che in realtà le difficoltà avrebbero riguardato molto più la dimensione familiare e i racconti legati alla migrazione. Durante il terzo giorno di osservazione, un gruppetto di ragazzi e ragazze, complice il nuovo arrivo di una ragazza albanese di 18 anni, parlavano tra loro di cosa avrebbero fatto il sabato:

“Oggi i ragazzi durante la pausa sigaretta hanno iniziato a parlare di cosa faranno sabato. Ne ho approfittato per fare loro qualche domanda e per capire che tipo di divertimento rincorrono. K. , una ragazzina rumena ha dichiarato di andare al bar, di bere 4-5 long drink e di finire poi la serata col suo ragazzo, che però non ama le rumene in quanto sostiene che sono troppo dedite al bere (lui è ucraino). K. non va però in discoteca, perché racconta di amiche a cui hanno sciolto droga nel bicchiere e non ha voglia di finire nei guai solo per andare a ballare. A., un giovane pakistano, invece esce di solito con i suoi cugini più grandi (20-22 anni): va in centro a Modena con loro oppure si trattiene nel bar del paese a Pavullo. Passano la serata a bere qualche birra e fumare sigarette, qualche volta canne, ma ammette di aver timore che suo padre lo scopra e che lo punisca severamente, visto che spesso gli ricorda di non avvicinarsi alle droghe. Dice anche che i genitori turchi hanno molta paura che i figli si droghino e che sono molto severi, soprattutto con le ragazze che non possono uscire con i ragazzi o alla sera tardi. Anche lui dice di non amare la discoteca, ma alla mia domanda sull’eventuale possibilità di andarci col permesso dei genitori rimane in silenzio per poi aggiungere che non crede che lo manderebbero. M., un ragazzo marocchino di 18 anni, è in comunità e quindi le sue uscite sono controllate dai responsabili per minori della struttura: non va in discoteca, esce perlopiù al pomeriggio e spesso dice di rifugiarsi in solitaria nei pressi di una chiesetta vicino alla sede della comunità con birre, vodka e chitarra. Sostiene di riuscire così a mettere a tacere i pensieri e di preferire la solitudine in certi momenti” (gennaio 2011, diario di campo)

Con il passare dei giorni, mi ero legata ad un gruppo di cinque ragazzi e ragazze che, incuriositi dalla mia figura all’interno della classe, sfruttavano ogni momento per chiacchierare e cercare di capire qualcosa sul mio conto. Gli argomenti diventavano così

sempre più variegati, spaziando dalle relazioni con l’altro sesso alle situazioni familiari, o alla musica:

“I ragazzi sono molto distratti oggi pomeriggio: l’insegnante di italiano li ha ripresi più volte durante la lezione ma senza grossi risultati. All’uscita per la pausa caffè, mi sono ritrovata con il solito gruppetto ai tavolini della zona relax. A. ha iniziato a parlare di una ragazza che gli piace, mentre gli altri lo prendevano in giro. Gli ho chiesto se avesse mai avuto una ragazza turca e lui ha risposto che i suoi genitori vogliono che lui esca con la figlia dei loro amici, che abita due piani sopra il suo. Una volta ci è uscito insieme e si è stupito che lei, così timida e riservata, avesse ordinato due birre piccole. Dice però che non gli piace, che con le ragazze turche non si sente a suo agio, perché sono troppo rigide e perché sono poco carine. M., ragazzo marocchino, dice di aver avuto la ragazza fino a qualche mese fa, ma lei era non era davvero innamorata di lui e così ha preferito chiudere la storia. Ho cercato di farmi spiegare cosa intendesse ma gli altri cercavano di dire la loro e ho lasciato perdere, anche perché grazie all’insistenza di K., ragazzina rumena, ero diventata io l’argomento di interesse. Ho dovuto così rispondere a domande sulla mia vita privata, sul lavoro, sull’età e come sempre sul perché avessi scelto proprio il Ctp per la mia ricerca” (febbraio 2011, diario di campo)

“Durante la lezione di inglese, la Prof. si è assentata per un po’, lasciandomi il controllo delle classe. I ragazzi ne hanno approfittato subito per usare la connessione ad internet ed il proiettore che la Prof. stava utilizzando per la lezione. Hanno iniziato così a cercare video musicali, principalmente di artisti rap e a fare classifiche di preferenza. Sono stata coinvolta nella diatriba e così per cercare di farmi scegliere la musica migliore, i ragazzi hanno iniziato a mettere su canzoni a rotazione chiedendomi di esprimere la mia preferenza. F. prova ad inserirsi nella discussione dicendomi che a lui piacciono i cantanti che ci sono nel programma di Maria De Filippi” (febbraio 2011, diario di campo).

Durante il periodo al Ctp, avevo così potuto sviscerare alcuni argomenti per me centrali nella definizione delle logiche sociali e comportamentali dei ragazzi stranieri, ma ero riuscita soprattutto a creare una rete di relazioni significative, che si sarebbero rivelate utili per l’accesso all’istituto successivo.

6.1.2 Cdr (Città dei ragazzi)

Appena terminata l’esperienza al Ctp, ho subito avuto accesso alla Città dei ragazzi, realtà formativa nata nel 1947 ad opera di Don Mario Rocchi, per rispondere alle richieste di addestramento professionale di una classe di operai specializzati ed artigiani negli anni del dopoguerra. La "Città dei Ragazzi" è oggi una fondazione di religione con personalità giuridica, abilitata ad erogare corsi di formazione professionale della durata di un biennio. Situata nell’immediata periferia della città di Modena, dispone di aule per le lezioni teoriche, di laboratori per le esercitazioni pratiche (informatica, impianti elettrici civili, impianti elettrici industriali, elettronica industriale, elettronica, pneumatica, elettropneumatica, oleodinamica, aggiustaggio e saldatura, meccanico auto, macchine utensili e macchine utensili a controllo numerico), di una sala mensa e del bar interno, nonché di diverse strutture per lo sport (piscina, campo da calcio, da pallacanestro e da tennis) ed il tempo libero (cinema interno). La collocazione spaziale la rende estranea al nucleo scolastico che si concentra nei dintorni di Via Emilia Centro e pertanto i ragazzi cercano di riunirsi all’uscita di scuola ai loro coetanei spostandosi verso la zona delle corriere, che funge da catalizzatore dei giovani a fine scuola.

Nei mesi precedenti avevo contattato il direttore della struttura con cui avevo scelto le classi per l’osservazione e stabilito i tempi dell’intervento. Poiché due dei ragazzi con cui avevo legato maggiormente al Ctp frequentavano la Città dei ragazzi al mattino, avevo