STORIE E VOCI DELL’INTEGRAZIONE: UNA LETTURA MULTIDIMENSIONALE DELLE PRATICHE DEI GIOVAN
8. Il senso delle origini: famiglie, comunità, lingua e religione
8.3 Religiosità flottante: tra aderenza ai valori del sacro e secolarizzazione
Nel rapporto con i figli, i genitori stranieri devono confrontarsi costantemente con il problema della riproduzione culturale, specie dal momento in cui i bambini entrano a scuola per uscirne solo molti anni dopo ormai trasformati in adulti socializzati al nuovo contesto. Per rispondere a questa esigenza di preservazione identitaria intergenerazionale, essi attivano forme di controllo autoritario, di vigilanza comunitaria, di trasmissione dei valori nelle forme e nei modi appena commentati.
Questi però non sono gli unici mezzi che le famiglie hanno a disposizione per conservare l’identità etnica. La religione rappresenta, infatti, un valido strumento per la conservazione del proprio patrimonio culturale, soprattutto perché, come abbiamo notato, è nelle attività confessionali che si organizzano ritrovi e incontri per le famiglie straniere. Essa funge da veicolo per la trasmissione dei valori che si ritengono centrali per la crescita dei propri figli, forgiandone la personalità, ma produce anche un’influenza sulle logiche di adattamento nelle società riceventi [Chen 2006; Tieghi e Ognisanti 2009]. Inoltre, la fede può diventare una forza di aggregazione, un coacervo di valori, norme e significati che garantiscono sicurezza, tracciano confini e creano un’identità collettiva alla base di mete comuni [Barbagli e Schmoll 2011].
Tuttavia, le istanze securitarie emerse soprattutto dopo l’11 settembre 2001 hanno portato studiosi e società a parlare non sempre positivamente del ruolo della fede, specie nel caso di quella musulmana considerata da più punti come ancorata a posizioni rigide, maschiliste e fondamentaliste: è la tesi della religiosità reattiva, ossia di una fede totalizzante che esclude un’adesione a valori democratici e universali, annullando le possibilità di integrazione conforme alla società ricevente [Vertotec e Rogers 1998; Frisina 2005] e innescando il tanto temuto scontro di civiltà [Huntigton 1993]. Rispetto ad altre religioni, tipo quella induista o quella ortodossa, la fede islamica è infatti considerata come un blocco monolitico, che rende irrealizzabile qualsiasi tentativo di convivenza o contaminazione con l’Occidente. In virtù di questi assunti, nel contesto europeo, l’abbandono della pratica religiosa è valutato positivamente, essendo considerato una tappa importante sulla strada dell’assimilazione [Tribalat 1995; Allievi 2003].
Quando si parla di religiosità delle seconde generazioni porsi a favore di una lettura esclusivamente positiva o esclusivamente negativa non permette di capire nulla delle trasformazioni che in maniera inevitabile si manifestano. La fede può diventare per i ragazzi figli di stranieri un sentire comune che permette loro di incanalarsi lungo le direttive dell’educazione culturale dei genitori, ma può anche semplicemente rappresentare un’appartenenza dichiarata ma non agita. La frequenza con cui partecipano ai riti della loro religione o con cui si recano nei luoghi di culto può variare a seconda dell’influenza della famiglia, del contesto locale di inserimento e della presenza di comunità che si riuniscono intorno alla pratica religiosa in maniera costante.
Nella ricerca qui presentata, il tema della religiosità è stato affrontato durante le interviste, dopo essere apparso in alcuni momenti anche nella fase osservativa, specie nei dibattiti organizzati dai professori sui temi dell’intercultura o nelle ore di insegnamento della religione.
I giovani intervistati sembrano collocarsi su una linea ideale di confessionalità a più dimensioni, in cui si intrecciano influenze educative, adesioni per consuetudine e osservanze per principio con una conformità alla pratica variabile, a sua volta determinata da propositi individuali e vincoli comunitari. Il punto chiave per la lettura del fenomeno religioso tra le seconde generazioni nel modenese è dato, in effetti, dall’intensità della fede manifesta nella pratica: pur dichiarandosi credenti a tutti gli effetti, una parte dei ragazzi e delle ragazze interpellati mostrano un’adesione di principio, che riconosce la centralità di un senso religioso, ma che non si manifesta nella partecipazione continuativa ai riti religiosi: sono una sorta di credenti con riserva. Si tratta di un atteggiamento diffuso, che non tocca però quasi mai le rappresentanze di paesi di fede musulmana o sikh,
concentrato maggiormente tra i giovani dell’Est Europa, gli italiani, modenesi e meridionali, e tra coloro che nascono in Italia:
“Vado a messa qualche volta… sono ortodossa anche io ma non sono proprio praticante… ci credo in Dio e tutte le cose ma non mi viene di seguire sempre, di andare in chiesa” (R., ragazza di 19 anni, genitori moldavi, da 3 anni in Italia).
“Io ci credo si, ma non tanto da andare sempre a messa . Ho fatto tutto, la comunione, la cresima e poi basta” (R., ragazza di 17 anni, genitori napoletani nata a Modena).
“Protestante, ma non ci vado tutte le domeniche. Alcune volte prego ma poco… i miei sono credenti, vanno sempre in chiesa… io non tanto. Se ho bisogno di parlare con Dio lo faccio a casa mia, prego da sola” (C., ragazza di 14 anni, genitori ghanesi, nata in Italia).
“Io da piccola ero obbligata ad andare a catechismo, ma piano piano mi sono allontanata dalla chiesa, penso che non è necessaria la chiesa, dio non sta là. Credo un sacco in Dio ma non mi piace andare in chiesa ” (E., ragazza di 18 anni, genitori nigeriani, nata in Italia).
“ Io credo alla religione però non prego tanto, ultima volta in moschea sei mesi fa… in Pakistan ma non sono mai andato in moschea...” (S., ragazzo di 16 anni, genitori pakistani, da 7 anni in Italia). “Non seguo la religione però diciamo che ci credo… sono ortodossa, se penso se dio esiste dico di si ma non riesco a stare dietro alla chiesa, alle preghiere…” (C., ragazza di 16 anni, genitori rumeni, da 9 anni in Italia).
Spesso, ad essere avversata non è l’appartenenza al credo religioso, ma la condivisione di indicazioni e concezioni imposte dalle istituzioni delegate a preservare la dottrina.
Tra i cristiani di varia natura, ortodossi, cattolici e protestanti, ad essere messa in discussione è quasi sempre l’autorità dei ministri di Dio, per cui sembra affermarsi il profilo del «credente solitario» di cui ha parlato Peter Berger nei suoi studi sulla situazione americana, ossia di un fedele che, rifiutando di accettare il ruolo di mediazione tra uomo e divino svolto dal clero e dalla chiesa, si affida sempre più al «fai da te» religioso.
Tra i musulmani, invece, è più evidente un rifiuto delle regole: facciamo riferimento principalmente ai ragazzi provenienti dall’Europa dell’Est e dal Marocco,che manifestano una confessionalità meno vincolante e condizionante, legata più alla consuetudine familiare che ad una reale coscienza di credente.
“Sono musulmano, ma non mi interessa… non faccio ramadan ma seee… sono andato solo una volta a moschea ma mi sono rotto il cazzo. Facciamo le feste però , mia madre dice qualche parola quando si siede a mangiare ma mio padre dice che cazzo dice quella, è scema… mio nonno invece c’ha tutti i libri, prega” (E., ragazzo di 17 anni, genitori albanesi, da 5 anni in Italia).
“Io credo in dio ma so che posso sbagliare. Prego da sola, in chiesa non ci vado perché secondo me non è che si faccia chissà che cosa e il prete è una persona come noi… i preti che diritto hanno di dire alle altre persone che tu sbagli?” (Y, ragazza di 17 anni, genitori meridionali, nata a Modena).
“Io credo in dio, son cristiano ma a me non mi è piaciuto andare in chiesa. Loro invece dicono che devi andare, poi non mi piace dove vanno i miei perché troppo dio, dio… ci penso che certe cose non le devo fare ma se sbaglio chiedo perdono e poi basta. Da noi poi devi dare le offerte per forza… però poi il pastore i soldi se li tiene lui e compra le cose e le porta nel suo paese… il pastore non mi piace, uno che ti deve dire come devi fare, come devi pregare tu” (J., ragazzo di 18 anni, genitori ghanesi, nato in Italia).
“La mia famiglia è di origine musulmana, però la mia famiglia non pratichiamo proprio niente. Però tipo la festa dell’agnello la festeggiamo per rispetto di mia nonna… noi mangiamo il maiale, mio padre fuma, beve, pure mia madre… ci crediamo ma non è che stiamo là a fare tutto come dice che devi fare, come fa mia nonna (S., ragazza di 15 anni, genitori albanesi, da 13 anni in Italia).
“Io sono cristiano ma non vado sempre in chiesa… i miei vanno sempre ma io no… ci credo si però non lo so, certe volte non capisco la chiesa, il pastore, cantare, pregare” (B., ragazzo di 16 anni, genitori ghanesi, da 4 anni in Italia).
“Io sono musulmano però diciamo che credo in dio, credo che ci sia ma non penso che devo attenermi a delle regole perché non è giusto per me. Il rispetto per gli altri si, ma le altre cose sono troppo. Per me la mia unica religione è non far del male agli altri. Io quando esco mangio maiale, bevo, faccio quello che mi sento di fare perché non voglio arrivare ad una certa età e pentirmi” (T., ragazzo di 17 anni, genitori marocchini, da 10 anni in Italia).
“Ah… io sono musulmano anche se non sembra, perché mangio il maiale, fumo, le ragazze… però secondo me io faccio le cose che penso io… c’è se una cosa è giusta la faccio… tipo pregare no!” (A., ragazzo di 16 anni, genitori albanesi, da 9 anni in Italia).
“Io ci credo ma non ce la faccio a seguire tutto… dice non fumare, non bere, no sesso…c’è anche io ci credo come i miei ma non seguo tutto. Anche mio fratello fa ste cazzate, anzi peggio di me” (S., ragazzo di 16 anni, genitori marocchini, da 11 anni in Italia).
Soprattutto tra i giovani maschi marocchini, l’atteggiamento non osservante nei confronti della fede può dipendere dalla volontà dei ragazzi di posticipare all’età adulta la pratica religiosa, ritenuta eccessivamente vincolante. Emerge una forma di devozione sospesa, una sorta di religiosità a scatti, che distingue tra un periodo della vita giovanile in cui fare esperienza ed uno adulto, con un’assunzione piena delle responsabilità e dei doveri derivanti da un’adesione consapevole e totale alla fede. La giustificazione addotta è spesso relativa al fatto di vivere in un ambiente che espone maggiormente a vizi e trasgressioni, rendendo difatti incompatibile una vita da buon musulmano con quella da “normale” adolescente italiano :
“Tutti i musulmani fanno cazzate, poi ci pensano e quando diventano adulti ci pensano e si comportano da musulmani. La religione dice tu puoi essere perdonato solo se non fai cose gravi, se mangi maiale o non fai Ramadan le altre cose si perdona. Tutti sbagliano, da giovane uno può fare le cazzate basta che poi diventa un bravo musulmano quando diventa grande” (M., ragazzo di 17 anni, da 11 anni in Italia).
“Ci credo si, non rispetto tutte le regole ma quando sarò grande divento praticante al 100%. Adesso siamo troppo giovani… lo fanno tutti, nessuno prega, non fuma… siamo giovani, ci dobbiamo divertire. In Marocco è più facile, là tutti pregano… certi fanno le cazzate ma sono metà e metà… qua invece tutti fanno ste cose” (H., ragazzo di 16 anni, genitori marocchini, da 7 anni in Italia).
“Credo in dio, però sono poco praticante, sono musulmano perchè mia madre mi sta addosso… faccio il ramadan, credo in dio anche se non riesco a seguire tutte le regole. Vivendo in Marocco è tutto più semplice perché rispettano la religione, ma qua è impossibile” (A., ragazzo di 18 anni, genitori marocchini,
“Io bevo, fumo ma ci credo… voglio che finisco di fare ste cose. Io vivo in Italia, è normale che faccio ste cose però non voglio fare più quando divento grande, voglio pregare, fare Ramadan sempre, non bevo più, non fumo più” (B., ragazzo di 17 anni, genitori marocchini, da 2 anni in Italia).
Questo atteggiamento di sospensione religiosa durante l’adolescenza caratterizza, almeno da quanto emerso nel corso delle interviste, anche la compagine femminile. Tra le ragazze di fede musulmana, soprattutto nord-africane, si riscontra questa propensione a rinviare all’età adulta l’accettazione completa dei dogmi religiosi:
“La mia religione è quella dell’Islam ma la maggior parte la seguono i miei genitori, io faccio metà di quello che fanno loro. Per me è proprio difficile farlo, magari un giorno spero di farcela”
Certe volte mischiano religione e la vita e questo non mi piace. La religione è una cosa a parte. Io credo in Dio e rispetto la mia religione ma non sono ossessionata. Adesso sono giovane e voglio fare le cose come tutti, poi quando sarò più grande, sposata, con i figli, ci penserò anche al velo e a quelle cose” (G., ragazza di 14 anni, genitori marocchini, nata in Italia).
Io ci credo tanto, c’è ci credo la mia religione e tutto solo che aspetto più avanti per rispettare tutto… tipo per coprirmi, il velo…. secondo me no, uno deve essere grande, deve capire bene la sua religione, cosa dio ti chiede di fare, devi essere convinta. Io non voglio e non posso cambiare religione, non ci posso neanche pensare, se mi sposo con un italiano diventa musulmano…” (S., ragazza di 18 anni, genitori egiziani, nata in Italia)
“Io sono musulmana, credo in Dio, ma secondo me meno dei miei. Cerco di rispettare, ma non è che rispetto tutto, tipo le preghiere o bere…” (S., ragazza di 14 anni, genitori tunisini, nata in Italia).
Io sono musulmana, credo alla mia religione, ma penso che con il tempo forse pregherò tutti i giorni, lo stesso come il velo ma per adesso no…” (B., ragazza di 16 anni, genitori marocchini, da 8 ani in Italia).
La questione del velo è un discorso ricorrente quando si parla di religione con le giovani donne straniere musulmane. Mentre per i ragazzi è il superamento di comportamenti trasgressivi tipici dell’adolescenza, come l’uso di alcol o il fumo, a decretare l’inizio di un’osservanza più rigida del credo islamico, tra le ragazze è il velo a rappresentare uno spartiacque fondamentale per diventare una musulmana a tutto tondo, e proprio per questo indossarlo assume un grande valore. Si parla così di un comportamento proiettato nella vita futura come donne sposate, con delle responsabilità di donne e madri, non accettato almeno per il momento per via della giovane età, allo stesso modo di quanto notato tra i ragazzi:
“Quando avrò l’età penso di metterlo, per venire a scuola non sono sicura proprio… per me non è giusto, penso che siamo troppo giovani. Quando ti sposi si, per il marito, per i figli” (U., ragazza di 18 anni, genitori turchi, nata in Italia).
“Io sono musulmana, non ho mai pensato che Dio non esiste… non prego 5 volte al giorno però ci credo tantissimo. Adesso non mi vedo col velo,quando mi sposerò si... perché adesso non sono sicura che riesco a tenerlo, non voglio mettermelo e poi me lo tolgo perché non mi sento di portarlo, devo essere convinta” (R., ragazza di 15 anni, genitori tunisini, nata in Italia).
Nei colloqui con le ragazze, la difficoltà di assumersi una responsabilità talmente grande in un’età piena di contraddizioni e cambiamenti è vista come il deterrente principale. In effetti, durante il periodo di osservazione avevo incontrato pochissime ragazze con il velo ed alcune di loro mi avevano spiegato il senso profondo, sottolineando l’incoscienza di molte loro coetanee. Costoro ne parlano come di un simbolo non solo religioso, che indica di aver accettato anche un determinato stile di vita, orientato al pudore, alla moralità, che non può essere ridotto a mero tentativo, a prova reversibile:
“Io sono di religione musulmana e sono anche praticante finché posso però cerco di praticarle tutte. Il velo è una regola del Corano, c’è come regola e uno può scegliere. Se lo metti la pratichi e basta. Io ce l’ho da un anno e l’ho deciso io… loro volevano che lo mettessi più avanti per la scuola ma io volevo e ci credo proprio. Non credo di riuscire a toglierlo mai più. Se non riesci a portarlo è inutile che te lo metti, bisogna avere la sicurezza che non torni indietro, perché non è una cosa bella… ci sono ragazze che lo mettono e lo tolgono mille volte, come un gioco perché quando lo mettono credono che ce la fanno e invece poi capiscono che non è solo il velo… devi vestirti in un certo modo, truccarti poco.. sono cose che se uno è musulmano le sa.. A scuola nessuno ha fatto storie, perché io me lo sono messa quando siamo tornati dalle vacanze… i professori, le amiche sono stati tranquilli” (M., ragazza di 20 anni, genitori turchi, nata in Italia).
“Sono musulmana e credo, faccio le preghiere quando posso, segue alcuni giorni c’è… alcune volte non ci riesco. Ho deciso l’anno scorso, abbiamo deciso io e la mia amica insieme, anche mio padre non voleva perché dice a scuola qualcuno può dire che non va bene. Io non toglierò mai… mi piace velo, sono musulmana ” (A., ragazza di 18 ani, genitori turchi, da 10 anni in Italia).
“Io credo in Dio e i miei credono molto e io cerco di seguire tutte le regole… porto il velo perché ho scelto io, mi sentivo di farlo… mi vesto normale in classe, fuori… non mi metto i vestiti corti o scollati… mi vesto come le ragazze normali ma non esagero… tutto qua, alla fine il velo non ti toglie niente” (S., ragazza di 14 anni, genitori marocchini, nata in Italia).
“Al contrario di quello che si pensa la donna è molto importante, c’è se una donna è bella è meglio che si copra, perché così si protegge. C’è un detto che se butti una monetina per terra nessuno la guarda, se butti un diamante tutti lo vogliono prendere… mettere il velo è una scelta e una responsabilità... ci sono ragazze che ci giocano che lo mettono e lo tolgono, deve essere una scelta loro. Mia madre tipo non ce l’aveva, tipo se l’è messo dopo che è nato mio fratello… è stata senza velo per tanto tempo…” (S., ragazza di 18 anni, genitori tunisini, nata in Italia).
Accanto a coloro che parlano del velo come di una possibilità o che lo indossano per scelta, troviamo giovani che, al contrario, non ne condividono l’uso, rifacendosi ad un’idea di libertà femminile, data anche dal voler apparire, dal mettersi in mostra, tipicamente occidentale.
“I miei genitori me l’hanno trasmessa, col loro amore e io ho capito e la seguo… se un ragazzo non gli va bene se ne può andare, io non cambio la mia religione per un’altra persona. Io non penso che mi metto il velo perché non mi piace, non penso che è giusto, poi rispettare la religione anche senza il velo, basta che ti comporti bene… alla fine ci sono persone che ti obbligano, che non ti puoi truccare, ti devi mettere il velo, c’è quelli sono chiusi… i miei invece mi spiegano le cose e mi insegnano, loro non mi dicono di fare delle cose per forza” (S., ragazza di 17 anni, genitori marocchini, nata in Italia).
“Io non credo che metterò il velo perché mi piacciono i complimenti, mi piace sentirmi fare dei complimenti. Perché non solo è il velo ma anche la scelta di colori spenti che non attirano l’attenzione, non devi avere parti scoperte, c’è tu devi fare in modo che nessuno ti guarda, c’è a nessuno viene di violentare una con il velo. Ci sono ragazze che si mettono il velo ma poi si mettono i vestiti aderenti… a cosa serve, allora non lo fai e basta” ( S., ragazza di 17 anni, genitori marocchini, da 10 anni in Italia).
Ci credo molto, dovrei pregare però non ho tempo di farlo… io non mi voglio coprire i capelli e non penso che mi metto il velo. Alla fine non è obbligatorio, sono i genitori che ti obbligano ma io non voglio e i miei non mi dicono niente su questo… non mi permettono di sposare un cristiano, ma non che mi devo mettere il velo” (M., ragazza di 16 anni, genitori tunisini, nata in Italia).
Io sono contraria al velo non penso che lo metterò… mia mamma se l’è sentito quando ha avuto mia sorella sei ani fa, nessuno l’ha obbligata. Mia madre si trucca, si mette i tacchi, non si mette le cose attillate ma comunque si veste come crede lei. Lei ha detto io mi metto il velo ma a modo mio, perché mio padre non voleva che se lo mettesse e in casa girano senza velo. A me non piace, non mi voglio coprire i capelli…” (R., ragazza di 15 anni, genitori marocchini, nata in Italia).
Dalle voci raccolte, sembra che il velo rappresenti quindi una scelta volontaria, autonoma e responsabile, rispondente ad un’adesione alla fede convinta e radicale. In un solo caso, avevo rilevato una costrizione dettata dai genitori, vissuta ovviamente in