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Angela Napoli 1 , Maria Grazia Dalfrà 2 , Camilla Festa 1 , Annunziata Lapolla

Nel documento Consulenza genetica e diabete (pagine 186-194)

Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Università La Sapienza Roma1; DIMED Università di Padova2

LA GRAVIDANZA DIABETICA IN ITALIA

Il diabete complica dall’8 al 25% delle gravidanze a seconda degli studi e delle popolazioni, e rappresenta la più frequente complicanza non ostetrica.

La maggior parte delle donne è affetta da diabete gestazionale e solo circa l’1% è affetta da diabete pregestazionale, sia tipo 1 che tipo 2; sia il diabete gestazionale che il diabete tipo 2 sono in progressivo aumento con l’incremento dell’obe- sità nel nostro paese soprattutto nella popolazione più giovane (1, 2).

Nonostante i notevoli progressi nel monitoraggio e cura del diabete in gravidanza, le gravidanze complicate da diabete presentano ancora un’elevata incidenza di outcome avversi (1-6).

Fra il 1999 ed il 2003 è stata eseguita in Italia una raccolta prospettica di dati relativi alle gravidanze complicate da diabete nell’ambito del “Diabetes in Pregnancy Aggregated Data European Pilot Project-Subproject Diabetes and Pregnancy del WHO; i dati sono stati raccolti con il contributo di numerosi centri (n 31) allocati in tutto il territorio nazionale. I dati re- lativi al diabete gestazionale (3.465 donne) hanno evidenziato una frequenza di parti cesarei e macrosomia non differen- ti da quelli della popolazione generale (34.9% vs 33.2% e 8.7% vs 7.4% rispettivamente), la mortalità perinatale è risultata simile mentre il tasso di malformazioni osservato era doppio rispetto quello della popolazione generale. Un commento sull’elevata frequenza delle malformazioni congenite è che nel periodo di osservazione dello studio ogni alterazione della glicemia in gravidanza veniva definita diabete gestazionale e solo dal 2010 viene diversificato il diabete manifesto, diagnosticato all’inizio della gravidanza, dal diabete gestazionale (7, 8). Fattori predittivi di complicanze in gravidanza erano la settimana gestazionale di diagnosi e l’indice di massa corporea materno pregravidico (5).

Per quanto riguarda il diabete pregestazionale, sia tipo1 che tipo 2, i dati ricavati dalla stessa indagine (662 donne) han- no evidenziato come il counseling pregravidico sia carente nelle donne con diabete tipo 1 (43,9%) ma ancora di più nelle donne con diabete tipo 2 (29,1%) che rappresentano il problema emergente essendo in aumento la frequenza di diabete tipo 2 in età fertile e nelle immigrate. Il parto pretermine, l’ipertensione gestazionale, la preeclampsia erano significa- tivamente più frequenti nelle gravidanze complicate da diabete pregestazionale rispetto alla popolazione generale. Per quanto riguarda l’outcome fetale, la mortalità perinatale e le malformazioni congenite erano più frequenti nei nati da madre con diabete pregravidico (la frequenza era rispettivamente 4 volte e 6 volte maggiore) (6).

LO SCREENING DEL DIABETE GESTAZIONALE IN ITALIA

Lo screening del diabete gestazionale In Italia, per molti anni è stato eseguito con una procedura a due fasi che comprende- va uno screening selettivo basato su fattori di rischio in epoca precoce per donne ad alto rischio ed uno screening universale

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a 24-28 settimane di gestazione. Lo screening consisteva nell’esecuzione di un minicarico con 50 g di glucosio cui faceva seguito un OGTT con 100 o 75 grammi di glucosio se il minicarico risultava positivo (glicemia dopo 1 ora ≥140 mg/dl). Dopo la pubblicazione dello studio HAPO nel 2008 (7) e delle raccomandazioni dell’IADPSG nel 2010 (8), i rappresentanti del Ministero della Salute e delle società scientifiche (sia dei diabetologi che dei ginecologici) dopo un’attenta valutazio- ne dello STUDIO HAPO ed un’ampia revisione della letteratura, hanno pubblicato un documento di raccomandazioni sullo screening del diabete gestazionale e le relative procedure diagnostiche all’interno delle “Linee Guida Nazionali sulla Gravidanza Fisiologica” (9).

Questo documento, riconosce al diabete manifesto il significato di entità distinta dal diabete gestazionale e supera le maggiori controversie che riguardavano l’utilizzo:

a) di una procedura unica (OGTT con 75g o 100g) o a due fasi (minicarico con 50 grammi di glucosio che quando positivo viene seguito da OGTT diagnostico con 75g o 100g;

b) di uno screening universale o selettivo del diabete gestazionale basato sull’individuazione di fattori di rischio. Le Linee Guida del Ministero della Salute raccomandano lo screening selettivo, precoce (16-18 settimane) e/o più tardivo (fra 24-28 settimane) in base alla presenza di fattori di rischio.

Il solo test per la diagnosi di diabete gestazionale è l’OGTT con carico di 75 g di glucosio, ed i criteri diagnostici sono quelli indicati dall’IADPSG (Fig. 1).

Nel 2013 Il gruppo di studio intersocietario SID-AMD Diabete e Gravidanza ha promosso un’indagine conoscitiva sull’im- plementazione delle nuove linee guida mediante un questionario inviato a tutti i membri; 122 diabetologi di 122 diversi servizi di diabetologia di cui 21.7% territoriali ed 78.3% ospedalieri o universitari, hanno risposto (10). Il 97.6% dei centri ha dichiarato di eseguire l’OGTT con 75 g di glucosio per la diagnosi del diabete gestazionale.

Solo 1 centro su 5 effettua lo screening universale, mentre la maggior parte utilizza la procedura selettiva basata sulla presenza di fattori di rischio.

Per quanto riguarda le donne gravide ad alto rischio, l’84% esegue l’OGTT a 16-18 settimane di gravidanza, mentre il 6.5% lo esegue prima possibile ed il 9.5% solo fra la 24-28° settimana di gravidanza.

Figura 1 X lo screening del diabete gestazionale secondo le Linee Guida per la Gravidanza Fisiologica del Ministero della Salute (2011).

Nei casi di glicemia a digiuno ≥5.1 mmol/l (92 mg/dl), due terzi dei Centri intervistati hanno dichiarato di richiedere un OGTT, i restanti ritenevano il valore di glicemia a digiuno sufficiente per la diagnosi di diabete gestazionale. A tal proposito, si sottolinea, come le linee guida indichino di procedere all’OGTT completo in quanto l’alterazione di più punti della curva evidenzia donne a maggior rischio di sviluppare complicanze correlate al diabete gestazionale, quali l’ipertensione e la preeclampsia, come evidenziato dall’HAPO study (7).

I risultati dell’indagine inoltre hanno evidenziato come lo screening e la diagnosi vengono gestiti, nella maggior parte dei casi, dal diabetologo e dal ginecologo in collaborazione. Solo nel 12.1% dei centri, diabetologo e ginecologo seguivano diverse modalità di screening e diagnosi. Le informazioni raccolte, fornite esclusivamente dai diabetologi, mostrano che le diverse modalità di approccio e diagnosi pur se rare, possono generare un certo disorientamento delle donne. La maggior parte delle gravide, comunque, si sottopone a test diagnostico fra 24-28 settimane di gestazione (10).

In sintesi, i dati raccolti evidenziano come ci sia,nel campione di diabetologi italiani intervistati, un buon livello di implementazione delle Linee Guida Nazionali, tuttavia sono state rilevate alcune criticità che riguardano la scelta fra screening universale e selettivo ed il tempo di esecuzione dell’OGTT nelle donne ad alto rischio.

Dopo la pubblicazione delle linee guida nazionali (9), alcuni studi retrospettivi hanno mostrato come la prevalenza del diabete gestazionale, applicando i nuovi criteri diagnostici, non sia aumentata in maniera eccessiva, a differenza di quanto temuto, passando dal 7.8% (prevalenza media degli studi eseguiti con i vecchi criteri) (11) a circa l’11% (12, 13), con un incremento di circa il 3% dei casi. Infatti, un analisi retrospettiva che ha riclassificato le donne secondo i nuovi crite- ri, ha evidenziato che il 2.8% di donne classificate normali in base ai vecchi criteri, erano affette da GDM; queste donne, inoltre,presentavano un outcome della gravidanza peggiore rispetto alle vecchie GDM (14).

Per quanto concerne l’importanza dei fattori di rischio da considerare nelle donne gravide da sottoporre a OGTT, una analisi retrospettiva del 2012, presentata al Congresso nazionale di Torino dal gruppo di Pisa, ha evidenziato come l’83% delle donne screenate abbiano fattori di rischio mentre il 17% delle donne screenate in uno screening universale sono prive di fattori di rischio e di queste l’11.6% è risultata affetta da diabete gestazionale. Questi dati indicano che lo screening per fattori di rischio può sottostimare la prevalenza del diabete gestazionale non individuando le donne che pur non presentando fattori di rischio sviluppano un diabete gestazionale. Più recentemente Corrado et al. hanno pubblicato un’analisi sui fattori di rischio che ha confermato l’importanza del BMI pregravidico,della familiarità per diabete tipo 2 e di un pregresso diabete gestazionale. Una successiva analisi, prendendo in considerazione un modello statistico RECPAM, ha individuato come fattore aggiuntivo un valore di glicemia ≥4.4 mmol/l (80 mg/dl). Lo screening basato su questi dati potrebbe ridurre del 50% i casi di diabete gestazionale non diagnosticato rispetto lo screening tradizionale (15).

Fra gli aspetti di eterogeneità nell’applicazione delle linee guida nazionali emerge il momento di esecuzione dello scre- ening, nelle donne ad alto rischio. Un quinto delle donne, infatti, viene valutato in un periodo non corrispondente al tempo indicato dalle linee guida.

Uno studio epidemiologico retrospettivo condotto su 362,818 donne in gravidanza senza diabete pregestazionale residen-

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ti in Lombardia, supera il limite della visione esclusivamente diabetologica del problema, poiché condotto attraverso l’estrazione di dati provenienti dall’archivio del sistema sanitario regionale. Questo studio mostra come solo il 30% della popolazione sia stata screenata per il diabete gestazionale nel periodo compreso fra il 2007 ed il 2010. Questa percentuale è leggermente cresciuta dal 2007 (27%) al 2010 (33%); si è inoltre osservata una grande variabilità fra le diverse strutture sanitarie locali (dal 20% al 68%). Predittori indipendenti per lo screening del diabete gestazionale erano di tipo socioeco- nomico (scolarità, condizione di immigrazione), ostetrico e clinico (ipertensione pregravidica) (16).

Un ultimo aspetto non trascurabile riguarda la glicemia a digiuno ≥5.1 mmol/l (92 mg/dl) al primo trimestre. In base alle linee guida per la Gravidanza Fisiologica Italiane (9) queste donne dovrebbero aspettare fino a 16-18 settimane per eseguire l’OGTT. Anche in questa situazione i comportamenti non sono univoci anche in relazione a raccomandazioni internazionali che considerano tale valore già diagnostico.

CRITICITÀ NELLA PROGRAMMAZIONE DELLA GRAVIDANZA NEL DIABETE PREGESTAZIONALE: LA CONTRACCEZIONE

Per quanto concerne il diabete pregestazionale, la pianificazione della gravidanza resta un aspetto critico, in questo contesto ha un ruolo fondamentale l’adozione di un sicuro metodo contraccettivo in fase di programmazione. Nel 2013 il gruppo di studio AMD “Donna e Diabete” insieme al gruppo di studio AMD-SID “Diabete e Gravidanza” e la Società Ita- liana di Contraccezione hanno elaborato un documento di informazione /educazione sulla contraccezione nella donna con diabete per la pianificazione consapevole e sicura della gravidanza (18).

Questa iniziativa ha fatto seguito ad un’indagine conoscitiva svolta in Italia presso i centri diabetologici tramite un que- stionario somministrato a donne con diabete pregestazionale in età fertile. Lo studio pubblicato nel 2005 mostra come solo circa il 30% delle donne con diabete tipo1 e/o 2 utilizza o ha utilizzato una contraccezione ormonale, il 12% utilizza IUD ma circa l’11% non utilizza alcun metodo contraccettivo (17, 18) (Fig. 3).

È in corso una nuova indagine sulla contraccezione che esplora l’atteggiamento dei diabetologi circa la prescrizione della contraccezione ormonale e non nelle donne con diabete.

L’ASSISTENZA DIABETOLOGIA ALLA GRAVIDA DIABETICA

Alla luce del progressivo aumento dei vari tipi di diabete in gravidanza è evidente come l’elevata frequenza di esiti sfa- vorevoli possa rappresentare un serio problema di sanità pubblica a livello nazionale e come sia importante fornire una adeguata “assistenza” a tali donne.

L’organizzazione dell’assistenza al diabete in gravidanza in Italia è stata indagata nel 2004 con il progetto “Mamma Serena” (19, 20); il gruppo di studio intersocietario SID AMD diabete e gravidanza ha promosso un indagine conoscitiva

inviando un questionario a 631 centri/ambulatori diabetologici; le informazioni riguardavano: le caratteristiche genera- li del centro, l’atteggiamento verso il diabete in gravidanza, l’attività clinica relativa al diabete gestazionale e al diabete pregestazionale.

453 centri hanno risposto (82.4% dei centri contattati), di questi il 54.9% erano centri ambulatoriali, il 31.8% avevano la possibilità di ricovero in day hospital e solo il 13.2% avevano posti letto per ricovero (Fig. 4).

Il 71.7% dei centri intervistati dichiaravano di essere attivamente coinvolti nella cura del diabete in gravidanza, ed in circa la metà delle strutture (45,8%) era attivo un ambulatorio dedicato, ma solo nel 23% dei casi tale attività era svolta dal diabetologo congiuntamente al ginecologo.

Sempre considerando i dati raccolti dal progetto “Mamma Serena”, per quanto riguarda l’approccio al diabete pregestazio- nale, il 22.8% dei centri aveva programmi educazionali correlati ai vari aspetti della riproduzione ed il 51% dei centri aveva programmi di counseling per le donne in età riproduttiva mirati ai rischi legati al diabete in gravidanza, all’importanza della programmazione della gravidanza e dell’uso di un efficace metodo contraccettivo in fase di programmazione, alla necessità di uno stretto controllo metabolico già preconcepimento. La maggioranza dei centri seguiva le diabetiche sia in fase di programmazione che durante la gravidanza anche se solo il 24% dei centri seguiva più di 5 casi/anno.

Lo studio “Mamma Serena” ha permesso di delineare un quadro composito con luci ed ombre.

In Italia esiste una rete capillare di centri attivi nella gestione del diabete in gravidanza come conseguenza dell’organiz- zazione dell’assistenza pubblica al diabete nel nostro paese; questa parcellizzazione dell’assistenza da un lato consente un accesso facile e immediato a prestazioni di 1 livello, dall’altro può interferire con la qualità dell’assistenza se non coordinata con l’attività di strutture di 2 e 3 livello. In relazione agli standard proposti nel 1995 dalla Dichiarazione di San Vincent in cui si proponeva una centralizzazione dell’assistenza in centri dedicati e la gestione da parte di team in- terdisciplinari (diabetologo/internista, ostetrico, neonatologo, infermiere), il nostro servizio sanitario nazionale favo- risce questo approccio multidisciplinare. Il punto critico di questa collaborazione è la figura del neonatologo raramente presente nei team. Per quanto concerne il diabete pregestazionale solo il 45% dei centri dispone di una collaborazione con l’oculista per lo screening della retinopatia. Questa situazione è da considerare lontana dagli standard proposti dalla DSV anche se accettabile per l’assistenza delle gravidanze diabetiche non complicate.

Per quanto riguarda il GDM, nella maggioranza dei casi i programmi di screening, diagnosi e cura sono allineati con linee guida per la gravidanza fisiologica del Ministero della Salute (Gravidanza Fisiologica ISS-LG 2011 (9) e con gli stan-

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dard di cura italiani SID-AMD (2). In particolare poi l’interesse per il follow-up post-parto è diffuso presso le strutture diabetologiche ma il recall delle donne è ancora inadeguato (meno del 50% delle donne tornano a follow-up post-parto per la rivalutazione metabolica e per essere inserite in programmi di prevenzione della malattia diabetica.

Nel diabete pregestazionale l’ottimizzazione del controllo metabolico preconcepimento è cruciale per normalizzare il rischio di malformazioni congenite e abortività precoce, in questo contesto è fondamentale il ruolo della programma- zione della gravidanza e quindi sono indispensabili un counseling ed un educazione terapeutica appropriati per tutte le donne in età riproduttiva da parte di tutti i centri che seguono donne diabetiche in età fertile anche se non direttamente coinvolti nella gestione della gravidanza diabetica. In questo contesto è da sottolineare come dai risultati dello studio Mamma Serena emerge che solo una piccola minoranza (24%) dei centri intervistati e che si ritenevano attivi nella ge- stione della gravidanza diabetica seguiva più di 5casi/anno di diabete pregestazionale ed il 23% dei centri seguiva più di 30 casi anno sia GDM che pre-GDM (Fig. 5).

Tale numerosità si è sicuramente modificata dopo l’adozione dei nuovi criteri diagnostici per il GDM che ha portato ad un aumento dei casi ed ad una maggiore attenzione allo screening rispetto il passato (10).

Nel 2006 all’interno dello studio DAWN si è stato inserito il progetto DAWN gravidanza (19) con cui sono stati valutati, con questionari auto compilati, la percezione e le aspettative delle donne gravide in relazione all’assistenza fornita dal SSN. Questo progetto, cosi come lo studio DAWN Italiano, ha cercato di individuare, attraverso la valutazione dei que- stionari, gli strumenti utili per valutare e interpretare la domanda di salute, al fine di formulare risposte adeguate. Dai questionari DAWN gravidanza emerge che gli esami per lo screening del GDM sono richiesti in quasi il 90% dei casi dal ginecologo sia per le donne italiane che per le immigrate. Per quanto concerne la cura del GDM circa il 28% delle gravide italiane ed il 57% delle immigrate richiede terapia insulinica, altro dato importante è circa il 57% delle donne intervistate ha difficoltà a seguire le indicazioni dietetiche ed il 64% ha difficoltà ad eseguire l’autocontrollo glicemico. Per quanto concerne l’accesso alle cure il 74% delle donne non ha avuto alcuna difficoltà ma il 48% delle donne auspica una maggiore collaborazione fra diabetologo e ginecologo; nonostante ciò circa il 93% delle donne ha dichiarato di essere soddisfatta dell’assistenza fornita dai servizi di diabetologia.

Lo studio DAWN gravidanza ha avuto quindi il pregio di individuare le aree critiche nel percorso di cura della donne affette

diabete gestazionale. Dai risultati dello studio emerge che le donne, sia italiane che immigrate, a fronte di un elevato un gradimento nei confronti dell’offerta salute dei centri specialistici e di un riconoscimento di ottima professionalità sia dei medici che del personale infermieristico (Figura 6), ribadiscano la necessità di una maggiore collaborazione tra ginecologo e diabetologo e un maggior coinvolgimento della medicina generale sopratutto per quanto riguarda l’informazione. CONCLUSIONI

Da quanto detto appare chiaro che per ridurre la morbilità e mortalità del diabete in gravidanza ed assicurare alle donne una gravidanza ed un parto sicuro, bisogna ulteriormente implementare l’integrazione fra Unità Operative di Diabe- tologia (UOD), di Ostetricia (UOO) e dei Medici di Medicina generale (MMG) attraverso modelli di integrazione multi professionale che tengano conto dell’efficacia dell’atto terapeutico, ma anche dell’efficienza organizzativa. In tal senso per una migliore assistenza al diabete gestazionale devono essere individuati tempi e spazi dedicati, chiariti i ruoli dei professionisti ed il percorso effettuato dalla gestante (PDTA). In questi ultimi anni, le società scientifiche hanno svolto un lavoro dedicato al disegno di percorsi diagnostico terapeutici che potessero poi essere adottati dalle varie regioni in accordo con piani sanitari locali per facilitare l’accesso alla cura delle donne con diabete in gravidanza. Attualmente al- cune regioni si sono dotate di PDTA per il diabete in gravidanza (Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Toscana, Veneto), in altri contesti ci sono percorsi diagnostico terapeutici che aspettano di essere approvati dalle regioni, in altri casi la condivisione è ancora solo aziendale.

Sebbene le società e le istituzioni abbiano investito molte energie in questa direzione, altro lavoro deve essere pianificato per un coinvolgimento appropriato di tutti gli operatori di salute intorno alla gravidanza.

La condivisione di cartelle elettroniche che prevedano la presenza di indicatori di domanda ed accessibilità, di risorse, di attività, di risultato, di qualità, di processo ed esito, potrebbero favorire la crescita di tutti i partecipanti al processo di cura, vale a dire le pazienti, i sanitari, gli amministrativi e gli organi politici per la diffusione degli standard di cura e l’individuazione delle aree d’intervento.

Un fattore condizionante la ridotta applicazione delle linee guida, potrebbe derivare dalla preoccupazione di un’eccessi- va medicalizzazione della gravidanza.

Figura 6 X Grado di soddisfazione delle donne seguite presso i centri di diabetologia per diabete in gravidanza (progetto DAWN gravidanza).

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In questo contesto una maggiore consapevolezza anche da parte delle donne sulle indicazioni allo screening del diabete gestazionale e sulla pianificazione della gravidanza, potrebbe diventare la “chiave di volta” promuovente un uso proprio e diffuso delle raccomandazioni comprese nelle linee guida correnti.

BIBLIOGRAFIA

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Nel documento Consulenza genetica e diabete (pagine 186-194)