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Livio Luzi 1 , Stefano Balducci 2 , Felice Strollo 3 , Pino Pipicelli 4 , Gerardo Corigliano

Nel documento Consulenza genetica e diabete (pagine 163-171)

Ordinario di Endocrinologia, Università degli Studi di Milano Direttore, Area di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Policlinico San Donato, IRCCS1; Coordinatore nazionale Gruppo di Studio “Attività Fisica e Diabete” - Docente Università di Roma La Sapienza2; Delegato IDF dell’ANIAD.

Docente Università di Milano3; Vice-Presidente dell’ANIAD4; Past-President dell’ANIAD. Docente Università Parthenope di Napoli5

Il nostro corredo genetico attuale è sostanzialmente identico a quello dell’Homo Erectus che popolava la terra circa 500.000 anni fa e che conduceva una vita molto attiva dal punto di vista fisico. Pertanto, il nostro organismo è programmato per fare movimento e noi sappiamo oggi molto bene che la inattività fisica è causa di alterazioni organiche sia fisiche che mentali. Le Società scientifiche Diabetologiche Nazionali ed Internazionali raccoman- dano 3-4 sessioni settimanali di 30-45 minuti di attività fisica aerobica, alle quali vanno aggiunte, di norma, se non sussistono controindicazioni specifiche, 2 sessioni di attività fisica di potenziamento muscolare (attività anaerobica). Oltre alla durata ed alla frequenza, l’altro parametro che è necessario definire è l’intensità della attività fisica praticata. A tale fine è innanzitutto fondamentale misurare (o stimare) il consumo massimo di ossigeno di ciascun individuo candidato a praticare attività fisica. Ciò si può fare utilizzando metodologie più o meno complesse che comunque si basano tutte sul rilevamento diretto o indiretto della frequenza cardiaca. Il parametro intensità deve essere modulato in base alle condizioni generali e/o cliniche dell’individuo candidato a praticare attività fisica. Ciascuno dei 3 parametri elencati (intensità, frequenza e durata) è particolarmente ri- levante per la definizione e la programmazione del tipo di sport, quindi debbono essere tenuti in considerazione nel formulare la prescrizione dietetica. Infatti, individui che praticano prevalentemente sport di resistenza e di lunga durata (maratoneti, ciclisti e nuotatori sulla distanza) utilizzano prevalentemente fibre muscolari rosse, di tipo lento e che hanno un metabolismo ossidativo. Questi individui bruciano particolarmente i grassi corporei (che utilizzano come substrati energetici per la prestazione sportiva), e la loro dieta dovrà essere ricca in grassi “buoni”, come ad esempio quelli del pesce. Invece, i soggetti che praticano sport di potenza pura (velocisti, sol- levatori di pesi etc.) utilizzano prevalentemente fibre muscolari chiare di tipo rapido che hanno bisogno di car- boidrati per funzionare al meglio. Pertanto la loro alimentazione sarà più ricca percentualmente di carboidrati. Un discorso a parte meritano le proteine, indipendentemente dal tipo di sport praticato. Il fabbisogno proteico giornaliero medio si aggira intorno a 0.7 gr per kg di peso corporeo. Nelle persone molto attive dal punto di vista sportivo, la quota assoluta di proteine deve essere aumentata proporzionalmente al volume di attività fisica pra- ticata fino anche a raddoppiare. Carichi proteici giornalieri superiori ad 1.5 kg per kg di peso corporeo andrebbero comunque evitati, sia nelle persone sane, che, soprattutto, nei diabetici, dato che diete eccessivamente ricche di proteine determinano un sovraccarico amino-acidico renale, potenzialmente facilitante l’instaurarsi di ne- fropatia.

1* Il capitolo “Ricadute economiche positive dell’attività fisica strutturata soprattutto in ambito di DMT2” è a cura di Stefano Balducci; il capitolo “Il

Una particolare attenzione alla alimentazione per chi pratica sport richiede la presenza di obesità. Tale problema è in continua crescita anche nella popolazione giovanile. Ci sono circa 14 milioni di bambini attualmente sovrap- peso od obesi in Europa anche a causa di svariati fattori ambientali obesogeni che inducono alla sedentarietà qua- li l’uso della televisione, di internet e di videogames. D’altra parte, ridurre eccessivamente l’apporto calorico nei bambini può determinare un deficit nutrizionale per quanto riguarda la crescita. Pertanto, in tale periodo della vita, è molto saggio incrementare l’attività fisica a fianco di consigli nutrizionali, ove possibile evitando diete molto restrittive. Nell’ultimo decennio è emerso a livello scientifico il concetto del “fit fat”, in pratica l’obeso che pratica adeguata attività fisica è protetto dalle possibili conseguenze patologiche dell’obesità. Paradossalmente è meglio essere leggermente sovrappeso, ma, allenati, che normopeso, ma, sedentari per quanto riguarda la qua- lità della vita e la protezione dalle malattie cronico degenerative inclusa obesità. Pertanto è fondamentale prati- care sport anche per i soggetti sovrappeso o con obesità lieve e media in quanto tale pratica li rende praticamente normali dal punto di vista metabolico e li protegge dalle co-morbilità dell’obesità. In una nostra recente pubbli- cazione abbiamo anche dimostrato come parte del Cremona Study, che non è tanto il fatto di essere obesi, ma quello di essere più insulino-resistenti (quindi fisicamente inattivi) che determina una più precoce mortalità (1). Quindi si pone il primo quesito: quale è la tipologia di attività fisica adeguata per un diabetico di tipo 1, un diabetico di tipo 2, ed un obeso diabetico? Ciascuna delle tre categorie di soggetti debbono praticare sport ma con indicazioni diverse. Innanzitutto, prima di consigliare il tipo di attività sportiva ad un paziente diabetico bisogna effettuare una fotografia completa delle complicanze diabetiche eventualmente presenti. La presenza di malattia cardiovascolare recente ed importante o una nefropatia diabetica avanzata limitano enormemente le capacità aerobiche e prestative del soggetto.

DIABETE DI TIPO 1

Il paziente con diabete di tipo 1 è in terapia insulinica, pertanto il punto cardine è il bilanciamento tra la dose di insulina giornaliera da somministrare e l’apporto dei macronutrienti, sia in termini di calorie totali che in termini di composizione qualitativa. Ovviamente il rischio maggiore del diabetico di tipo 1 è l’ipoglicemia, anche seria, durante o nel periodo immediatamente successivo all’attività sportiva. È noto da tempo che atleti diabetici di tipo primo che praticano sport a livello professionistico e che quindi in alcuni periodi dell’anno, quando sono al top dell’allenamento, praticano svariate ore giornaliere di sport ad alta intensità, riducono notevolmente (fino talvolta a sospendere!) il dosaggio della terapia insulinica. In una nostra recente pubblicazione (2), abbiamo ipotizzato che questa riduzione sia in parte conseguente all’aumento di sensitività insulinica, ma in parte anche conseguente ad una riduzione dello stress autoimmunitario ed infiammatorio a livello della β-cellula con ripresa parziale della se- crezione endogena dell’insulina. In ogni caso, pazienti diabetici di tipo 1 che vogliano praticare sport, anche solo a livello amatoriale, devono essere istruiti dal diabetologo, dal dietista e dal preparatore atletico (laureato in Scienze Motorie) ad una modulazione della terapia insulinica con dosaggio complessivo inversamente proporzionale al cari- co di lavoro giornaliero (Figura 1).

Inoltre l’esecuzione della conta dei carboidrati e l’utilizzo del microinfusore insulinico possibilmente abbinato al Con- tinuous Glucose Monitoring (CGM) sono senza dubbio da consigliare ai diabetici di tipo 1 che fanno sport.

DIABETE DI TIPO 2

Le problematiche del diabetico di tipo 2 nei confronti dell’attività fisica sono diverse a seconda del regime terapeutico al quale è sottoposto. I pazienti con diabete di tipo 2 in terapia insulinica e/o con sulfaniluree (specialmente la gli- benclamide) vanno di fatto gestiti come diabetici di tipo 1, per quanto riguarda il rischio di ipoglicemie. Quindi, il dosaggio del farmaco va ridotto proporzionalmente al volume di attività fisica eseguita e l’alimentazione va modulata di conseguenza sia per quanto riguarda l’apporto di calorie totali, che la ripartizione in macronutrienti. Viceversa, pa- zienti trattati con analoghi del GLP-1 ed inibitori dei DPP-4 in genere non presentano ipoglicemie e pertanto in questi casi la attività sportiva può essere eseguita più liberamente.

Livio Luzi, Stefano Balducci, Felice Strollo, Pino Pipicelli, Gerardo Corigliano

DIABETE ASSOCIATO AD OBESITÀ

Visto che nella maggior parte dei casi il diabete di tipo 2 si associa ad obesità, si pone il problema di quale tipo di sport suggerire ad un paziente con un elevato BMI. Fatte salve le considerazioni generali precedenti sulla ripartizione tra at- tività fisica aerobica ed anaerobica, un problema specifico in pazienti obesi sono le possibili lesioni muscolo-tendinee da pratica sportiva, soprattutto agli arti inferiori. Pertanto, è consigliabile, almeno nei periodi iniziali, l’esecuzione di sport a basso carico gravitario quali ad esempio il nuoto (assenza di carico gravitario) o la bicicletta (carico gravita- rio limitato al tronco), mentre la corsa è da evitare (o limitare fortemente). Per quanto riguarda l’apporto calorico del diabetico-obeso questo deve essere proporzionato alla durata complessiva della attività praticata. Tale apporto calorico si può facilmente stimare, oppure è possibile quantificarlo con delle metodologie indossabili relativamente poco costose ed accessibili a tutti basate sulla misurazione del movimento da parte di accelerometri.

QUALE TIPO DI ATTIVITÀ FISICA PER IL PAZIENTE CON DIABETE?

Presente: Attività Aerobica ed Anaerobica. Abbiamo già detto che le attuali linee guida delle Società Scientifiche Diabetolo- giche consigliano 3-4 sessioni di attività fisica aerobica di 30-45 minuti ciascuna e due sessioni di attività fisica anaero- bica a settimana. Va sottolineato come precedentemente fosse consigliata al diabetico solo attività aerobica, mentre le sessioni di anaerobica sono state introdotte più di recente con il razionale di incrementare la massa muscolare, quindi il numero totale di trasportatori di glucosio (GLUT 4), ed aumentare anche il consumo di glucosio in condizioni basali. Futuro: High Intensity Interval Training (HIIT). Sebbene non ancora previsto nelle linee guida diabetologiche, l’HIIT è una modalità di allenamento che ha diversi vantaggi rispetto sia all’attività aerobica pura che all’attività anaerobica: 1. Richiede molto meno tempo per mantenere ed incrementare il livello di allenamento (10-15 minuti almeno al 90% della Figura 1 X Esempio di protocollo diagnostico-terapeutico utile per l’impostazione del programma di gestione del paziente da avviare alle attività sportive.

VO2 massima del soggetto con 10 minuti di riscaldamento da ripetere 3 volte a settimana); 2. Può essere effettuato a casa o all’aria aperta senza bisogno di supporti particolari; 3. Ottiene gli stessi effetti metabolici di attività fisica aerobica prolungata (3, 4).

Va infine ricordato un aspetto dello sport spesso purtroppo tra i meno considerati cioè la importanza dell’adeguato ap- porto di liquidi e di elettroliti (sodio, potassio e magnesio) da determinare in base al volume di attività fisica con parti- colare attenzione nei periodi più caldi dell’anno quando le perdite di liquidi e di elettroliti sono più consistenti. Come esempio, tra le principali cause di squilibrio elettrolitico in corso di attività fisica prolungata vi è la iponatriemia che insorge prevalentemente durante o subito dopo il termine degli sport di lunga durata. Nel diabetico insulino-trattato va posta attenzione particolare anche alla potassiemia. Il reintegro di sali minerali è un elemento fondamentale nella gestione dell’atleta e comunque dello sportivo.

RICADUTE ECONOMICHE POSITIVE DELL’ATTIVITÀ FISICA STRUTTURATA SOPRATTUTTO IN AMBITO DI DMT2

L’enorme peso clinico e sociale della malattia diabetica si traduce in un altrettanto drammatico impatto sul consumo di risorse. Curare il diabete in Italia costa al Servizio sanitario nazionale circa 15 miliardi l’anno, lo certifica il Rapporto Arno 2015 che, attraverso la rete dell’Osservatorio Arno Diabete (31 Asl italiane coinvolte), ha fotografato la situazione nell’anno 2014 su 550.000 persone con diabete. Il costo medio per paziente con diabete è risultato di circa 2.900 Euro l’anno contro i 1600 euro dei non diabetici. Un dato di grande importanza riguarda il peso percentuale delle singole voci di spesa per il diabete. Ben il 90% dei costi è attribuibile a cura e gestione delle complicanze, mentre le visite diabetolo- giche costano solamente l’1-2% del totale. Nell’insieme, la gestione del diabete mellito (DM) e dell’equilibrio metabolico rappresenta solo il 10% (5). Facile intuire quanti risparmi si possano ricavare da una efficace strategia di prevenzione, diagnosi precoce, autocontrollo regolare e sistematico. In sostanza, la persona con diabete costa tanto se è affetta da complicanze: se, al contrario, riesce a mantenere un buon compenso glicemico e a tenere lontane le degenerazioni patologiche croniche del diabete, non richiede spese particolarmente elevate. Non va inoltre dimenticato che ai co- sti diretti dell’assistenza vanno aggiunti quelli indiretti derivanti da pensionamento precoce, disabilità permanente e perdita di produttività non solo della persona con diabete ma anche di chi assiste il paziente. Non esistono dati recenti che consentano di stimare l’ammontare complessivo dei costi indiretti nel nostro Paese, negli Stati Uniti e in altri paesi industrializzati ma è noto che i costi indiretti rappresentano circa la metà di quelli diretti.

La stragrande maggioranza dei pazienti con DM di Tipo 2 (DMT2) sono sedentari (trascorrono oltre 10 h al giorno seduti) e fisicamente inattivi (non raggiungono i 150 min a settimana di attività fisica). L’impatto degli interventi sullo stile di vita del paziente con DMT2 sulla spesa sanitaria è difficile quantificabile. Confrontare tale aspetto del problema con quanto osservabile nella normale pratica clinica (DSE) in rapporto all’utilizzo di cure mediche e al costo di queste ultime nel DMT2 è stato uno degli obiettivi del Look AHEAD Study (6), che prevedeva un intervento intensivo sullo stile di vita (ILI), atto ad ottenere perdita di peso e ad aumentare i livelli di attività fisica. Durante i 10 anni di follow-up sono stati valutati il numero delle ospedalizzazioni, l’uso di farmaci di vario tipo e i loro costi. Lo studio è valso a suggerire che un intervento intensivo sullo stile di vita nei pazienti con DMT2 si associ a una riduzione delle ospedalizzazioni e dell’uso di farmaci, con diminuzione dei relativi costi economici (rispettivamen- te del 10% e 7%). Il risparmio medio totale per persona nel gruppo ILI, nell’arco dei 10 anni, è stato di 5280 dollari USA. L’inattività fisica comporta costi diretti e indiretti notevoli oltre a quelli dovuti alle classiche associazioni con le malattie coronariche, il tumore del colon e della mammella (7-8). La riduzione del tempo sedentario legata, ad esempio, alla scelta di spostarsi a piedi o in bicicletta limitando l’uso dell’auto, ha un notevole impatto sui costi sanitari. Uno studio del 2012 (9), ha analizzato l’effetto di tale intervento su 7 malattie associate con la sedenta- rietà: diabete, cancro della mammella e del colon, demenza, malattie cerebrovascolari, depressione e cardiopatia ischemica. Gli autori hanno calcolato che in 20 anni, con 3.4 km di bicicletta o 1.6 km di cammino al giorno, la riduzione di tali patologie nei contesti urbani porterebbe il SSN inglese a risparmiare circa 17 miliardi di sterline l’anno (all’incirca l’1% del budget della sanità inglese). In Italia, utilizzando lo strumento Heat (Health economic assessment tool for cycling and walking) è stato calcolato a Modena che per ogni euro speso per potenziare la ci-

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clabilità se ne risparmiano all’incirca 1.000 mentre a Verona è stato stimato che se tutti i residenti del comune percorressero ogni giorno 3 chilometri in bicicletta il risparmio in un anno per i costi sanitari diretti ed indiretti sarebbe di oltre 17 milioni di euro.

Nella post hoc analisi del gruppo del Prof. De Feo dell’Università di Perugia sugli effetti a lungo termine di differenti quantità di attività fisica aerobica volontaria espressi in Mets, è emerso che i benefici statisticamente significativi sul controllo glicemico e i fattori di rischio cardiovascolare comparivano già nel gruppo che accumulava fra 11 e 20 Mets/h/ sett e raggiungevano il massimo con un volume di attività fisica superiore (10). Aspetto molto interessante era rap- presentato dal fatto che i costi per farmaci correlavano inversamente e significativamente con la spesa energetica in Mets, per cui a una maggiore spesa energetica corrispondeva una minore spesa farmacologica nei 2 anni della durata dello studio. 5 Km di cammino al giorno erano in grado di ridurre il costo per farmaci di circa 550 dollari e di circa 1.100 dollari i costi sociali. Inoltre lo studio ci suggeriva che al di sotto di un volume minimo di attività fisica, non si ottenevano effetti sui fattori di rischio cardiovascolare clinicamente e statisticamente significativi ed il risparmio economico era meno evidente.

Anche nello studio Italian Diabetes Exercise Study (IDES) (11) vantaggi statisticamente e clinicamente significativi sul controllo glicemico, sui fattori di rischio cardiovascolare e sul rischio a 10 anni di un evento cardiaco si ottenevano solo chi il superava i 20 Mets/h/sett di volume complessivo di attività fisica ottenuto dalla sommatoria di esercizio prescritto e su- pervisionato (combinato di tipo aerobico e di forza) e di attività del tempo libero. Nel corso dell’anno di durata dello studio, tale volume di attività fisica determinava una riduzione di circa 77 euro della spesa per gli ipoglicemizzanti e di circa 87 euro per le altre classi di farmaci (anti-ipertensivi, ipo-lipemizzanti, etc). C’è da considerare che lo studio IDES è del 2006- 2007, prima dell’ entrata in commercio delle Incretine e dei SGLT-2 inibitori, farmaci dal costo molto più elevato. Possiamo solo speculare sugli effetti positivi prodotti dal miglioramento di molti fattori di rischio cardiovascolare convenzionali e non convenzionali su sviluppo e progressione delle complicanze micro- e macroangiopatiche del diabete. Aspetto di fonda- mentale importanza per la prima volta dimostrato nello studio IDES è poi che l’esercizio fisico supervisionato combinato (aerobico più forza) associato al counseling migliora significativamente anche la salute fisica e mentale, ancora una volta in misura proporzionale al volume di attività fisica a partire da un dispendio energetico >17.5 Mets/h/sett.

Tali risultati ci hanno indotto a sperare di riuscire a modificare in maniera permanente e duratura lo stile di vita di pazienti con DMT2 solitamente sedentari e fisicamente inattivi ma purtroppo solo una piccola percentuale di pazienti si impegna costantemente in sedute di esercizio fisico bi-tri settimanali per le tante barriere interne ed esterne di cui si discute nell’articolo successivo e dati da trials di prevenzione e trattamento del DMT2 suggeriscono la necessità di identificare adeguate strategie in tal senso. Sfortunatamente gli studi disponibili hanno applicato interventi sul com- portamento eterogenei, non sufficientemente dettagliati di scarsa numerosità e soprattutto non obiettivamente misu- rati (6), ma nello studio IDES il programma ha anche promosso l’attività fisica al di fuori dalle sedute supervisionate, probabilmente perché i pazienti hanno conseguito migliori conoscenze sulla malattia e maggiore fiducia in se stessi grazie anche alla continua opera di counseling esercitata dagli specialisti dell’esercizio. Alla luce di queste considerazio- ni è in corso lo studio IDES 2, un trial randomizzato e controllato (NCT01600937) che esamina l’impatto di un counseling teorico (1 seduta) combinato con uno teorico-pratico (8 sedute in palestra a cadenza bisettimanale) sull’attività fisica e sul tempo di sedentarietà (12). A tal fine, 300 pazienti sedentari e inattivi con diabete di tipo 2 sono stati randomizzati all’intervento una volta all’anno per 3 anni (INT; n=150) o al trattamento standard di controllo (CON; n=150). I risultati definitivi dello studio saranno disponibili nel 2017.

IL RUOLO DEL VOLONTARIATO

In Italia il mondo dello sport e del diabete presenta alcune peculiarità specifiche nel campo del volontariato (13) che lo ren- de originale. Dal 1991 esiste l’Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici (ANIAD ONLUS), unica fra le 220 associazioni aderenti all’IDF a sostenere la formazione degli atleti, la diffusione della pratica sportiva e la promozione della salute anche attraverso l’attività fisica non competitiva fra le persone con diabete.

Nata da un’esperienza spontanea regionale, l’ANIAD ha avuto l’opportunità di aggregare numerosi giovani che praticava- no diverse discipline a buon livello fin dagli anni ’80, quasi sempre con il “fai da te” e spesso “nascondendosi” rispetto al

mondo ufficiale della diabetologia di allora, che – incline a tener conto solo degli aspetti negativi, quali il rischio ipoglice- mico – non era sempre disposto ad accettare e sostenere l’impegno di tali persone. L’associazione ha creato in questi anni una rete diffusa di atleti con diabete contribuendo a diffondere fra questi ultimi opinioni ed attività dalle quali è nata quasi inavvertitamente una cultura nuova, capace di imporre l’immagine dello sportivo diabetico consapevole, attento, capace di valutare sempre il rapporto rischio-beneficio e quindi modello da seguire. In venticinque anni di vita dell’ANIAD, gli at- leti che contribuiscono a tale rete, alcuni dei quali particolarmente abili nel comunicare in modo efficace, sono stati anche in grado di promuovere la diffusione della cultura dello sport fra i diabetologi e gli operatori sanitari. In questo modo essi hanno contribuito a far maturare nel mondo della diabetologia la convinzione che bisognasse analizzare l’attività fisica nei suoi meccanismi e nelle sue metodologie applicative per valorizzarla quale importante strumento di crescita e formazione della persona con diabete oltre che di mantenimento della salute. Dall’ANIAD, in modo organizzato o talvolta spontaneisti- co, sono gemmati molti altri gruppi con particolare interesse in specifiche attività sportive quali ad esempio l’ADIQ (Alpini- sti Diabetici In Quota) esperti di alta montagna che hanno conquistato numerose vette, anche superiori ad 8.000 metri in

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