Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CNR, Avellino1; Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università “Federico II”, Napoli2; Diabetologia PO di Orvieto, Asl Umbria 2 (ANDID)3; ANDID4
RUOLO DELLA TERAPIA NUTRIZIONALE NELLA GESTIONE DEL DIABETE MELLITO
L’alimentazione è una delle pietre miliari della terapia del diabete mellito tipo 1 e tipo 2. Essa ha come obiettivo prima- rio non solo il miglioramento del controllo glicemico e degli altri fattori di rischio cardio-metabolici (1-2),ma anche la riduzione delle malattie cardiovascolari, che sono responsabili di circa il 70% della mortalità totale in questi pazienti (3). Oltre l’80% dei pazienti affetti da diabete tipo 2 è in sovrappeso o è francamente obeso. È noto che l’obesità, soprattutto la localizzazione del grasso a livello addominale, induce insulino-resistenza e conseguentemente un’aumentata richie- sta d’insulina. Questa condizione rappresenta uno stress che può portare nel tempo ad un declino della funzione della β-cellula con deterioramento del metabolismo glicidico. Un eccesso di peso si associa, inoltre, ad un incremento dei fattori di rischio cardiovascolari, quali dislipidemia, ipertensione arteriosa, etc. La riduzione ponderale è, pertanto, il primo obiettivo della terapia nutrizionale del paziente con diabete tipo 2 perché migliora il metabolismo del glucosio e in alcuni casi induce parziale o totale regressione della malattia.
Diversi studi hanno dimostrato i benefici di interventi intensivi sullo stile di vita, basati sulla restrizione energetica mode- rata della dieta e un aumento del dispendio energetico mediante attività fisica, sulla riduzione ponderale e sui parametri metabolici in pazienti con diabete. In particolare, lo studio a lungo termine Action for Health in Diabetes (Look AHEAD) (4) ha mostrato che l’intervento intensivo sullo stile di vita migliorava i livelli di glicemia, di HbA1c, della pressione arteriosa, dei trigliceridi plasmatici e aumentava i livelli del colesterolo-HDL a 4 anni dal follow-up, nonostante i pazienti non avessero raggiunto il loro peso ideale, confermando i benefici che una perdita moderata di peso (7-10% del peso iniziale) ha nel control- lo delle anomalie metaboliche della malattia diabetica. Pertanto, tutte le società scientifiche per la cura del diabete, sia na- zionali che internazionali, raccomandano di ridurre il contenuto energetico della dieta nei pazienti diabetici in sovrappeso/ obesi al fine di ottenere una riduzione del peso corporeo e il controllo dei fattori di rischio cardiometabolici (5-8).
Un altro aspetto fondamentale della terapia nutrizionale è la composizione in nutrienti della dieta. In particolare, mag- giore attenzione deve essere posta alla quantità e qualità di grassi e carboidrati, che contribuiscono in maggiore quota all’apporto energetico totale della dieta. La quantità di grassi raccomandata non deve superare il 35% delle calorie totali giornaliere, limitando l’introito di grassi saturi a <10% delle calorie e quello di colesterolo a <300 mg/die per i loro noti effetti aterogeni; nei pazienti che hanno valori elevati di colesterolo LDL si raccomanda un’ulteriore riduzione dei grassi saturi (<7-8%) e del colesterolo (<200 mg/die). L’introito di grassi monoinsaturi può rappresentare fino al 10-20% delle calorie totali purché l’apporto di grassi non superi il 35% dell’energia totale. È possibile assicurare un apporto adeguato di acidi grassi polinsaturi omega-3 attraverso il consumo di pesce (≥2 volte la settimana) e di verdure a foglie verdi (una porzione a pranzo e una a cena). In maniera complementare con il consumo di grassi e proteine, la quota di carboidrati può variare tra il 45 ed il 60% dell’energia totale giornaliera, preferendo alimenti ricchi in fibre e a basso indice glice-
mico. L’apporto più appropriato nell’ambito di questo intervallo, per i soggetti con diabete tipo 1 e 2, dipende dalle loro caratteristiche metaboliche. Nei pazienti diabetici tipo 1, in particolare, è necessario assicurare una quota fissa e stabile di carboidrati ai pasti al fine di stabilire un dosaggio corretto dell’insulina ad azione rapida da somministrare prima del pasto. L’apporto di fibra alimentare raccomandata è di 20g/1000 kcal al dì o più, e circa la metà dovrebbe essere del tipo idrosolubile. Gli effetti benefici possono essere ottenuti anche con quantità lievemente più basse, che, per alcuni pazienti, sono anche più accettabili e sostenibili nel tempo. In tutti i pazienti va limitata la quota di saccarosio e di altri zuccheri aggiunti. L’apporto proteico nei pazienti con una normale funzione epatica e renale può variare dal 10 al 20% delle calorie totali (5-6) (Tabella 1).
ADESIONE DELLA POPOLAZIONE DIABETICA ALLE RACCOMANDAZIONI NUTRIZIONALI
Nonostante gli sforzi per diffondere e implementare le raccomandazioni nutrizionali, la loro applicazione nella pratica clinica è ancora largamente insufficiente, come documentato da due studi condotti su una popolazione italiana di pa- zienti con diabete tipo 2.
Lo studio MIND.IT (9), condotto in un gruppo di pazienti con diabete tipo 2 dislocati in sei centri italiani, ha mostra- to che l’apporto calorico era superiore al fabbisogno energetico, considerando l’elevato indice di massa corporea della popolazione studiata. Per quanto riguarda la composizione della dieta, lo studio ha evidenziato due punti critici: un consumo elevato di grassi saturi e un basso introito di fibra alimentare.
Un altro studio più recente, il TOSCA.IT (10), condotto su una più ampia casistica italiana di pazienti con diabete tipo 2, ha confermato che l’adesione alle raccomandazioni nutrizionali dei pazienti diabetici non era ottimale. Anche in questo caso, le raccomandazioni più disattese hanno riguardato il consumo di fibra alimentare e di grassi saturi. Infatti, solo il 6-7% dei pazienti riportava un consumo di almeno 15 g/1000 kcal di fibra alimentare. L’adesione risultava, inoltre, lievemente maggiore nel sud Italia rispetto al centro e al nord. Per quanto riguarda gli acidi grassi saturi, circa l’80% dei pazienti consumava una quantità superiore a quella raccomandata senza alcuna differenza tra le varie parti d’Italia. Interessante è anche notare che la quantità di zuccheri semplici assunti quotidianamente dai pazienti diabetici non mostrava importanti differenze tra le varie aree geografiche e il suo consumo era abbastanza conforme alle raccoman-
Rosalba Giacco, Marilena Vitale, Marco Tonelli, Ersilia Troiano
dazioni nutrizionali. Differenti, però, erano gli alimenti che contribuivano alla quantità di zuccheri semplici assunti; infatti, mentre al sud l’alimento che influiva maggiormente sulla quantità di zuccheri semplici era la frutta, al nord, invece, il maggiore contributo derivava dalle bevande zuccherate (Tabella 2).
Le ragioni di una adesione non adeguata alle raccomandazioni nutrizionali sono molteplici; certamente tra queste va considerato il fatto che le abitudini alimentari anche nei pazienti con diabete risentono molto delle tradizioni gastrono- miche locali. Da questo punto di vista, l’Italia, caratterizzata da forti e radicate tradizioni gastronomiche con notevoli differenze regionali, rappresenta un modello interessante per studiare l’impatto dell’ambiente sull’implementazione delle raccomandazioni nutrizionali nei pazienti con diabete.
I risultati di questi studi indicano che, nonostante gli sforzi compiuti in questi anni per diffondere e implementare le raccomandazioni nutrizionali nelle persone con diabete, non sono stati raggiunti apprezzabili progressi nella pratica clinica. Anzi, va sottolineato che l’apporto di grassi saturi è complessivamente aumentato (dal 10±3% dello studio MIND. IT al 12±2% dello studio TOSCA.IT), a dimostrazione che nella popolazione diabetica italiana c’è un trend verso un mag- gior consumo di grassi saturi in parallelo con quanto si osserva nella popolazione non diabetica (11-12).
La scarsa adesione alle raccomandazioni nutrizionali è stata osservata anche nei pazienti affetti da diabete tipo 1. L’EU- RODIAB IDDM Complications Study (13), condotto su 2868 pazienti con diabete tipo 1 di ambo i sessi, afferenti a 30 centri diabetologici di 16 paesi europei, mostrava che l’apporto medio giornaliero di grassi totali era il 38% dell’energia con un 14% di grassi saturi, mentre quello di carboidrati era del 43% dell’energia con un intake di fibra di 18 g; infine, l’apporto proteico era in media di 1.5±0.5 g/kg di peso corporeo. Nei centri italiani l’introito di grassi totali e saturi risultava più basso rispetto a quello degli altri centri europei ma, comunque, al di sopra dei limiti raccomandati. In questo studio l’adesione alle raccomandazioni nutrizionali sia per i grassi totali che per i grassi saturi era raggiunta solo dal 14% dei pa- zienti, mentre per i carboidrati si limitava al 15%, confermando che la scarsa adesione alle raccomandazioni nutrizionali rappresenta una criticità anche per i pazienti diabetici tipo 1 e li espone ad un aumentato rischio di eventi cardiovasco- lari. Infatti, nella stessa popolazione è stato osservato che per ogni 5 g/die d’incremento di fibra della dieta si riduceva significativamente il rischio di eventi cardiovascolari fatali e non fatali e la mortalità per tutte le cause. Tale riduzione era più forte per le fibre idrosolubili rispetto a quelle non solubili (14).
Tabella 2 X Proporzione di partecipanti con abitudini alimentari coerenti con le raccomandazioni nutrizionali (5-6) per i prin- cipali nutrienti nelle diverse aree geografiche.
Pertanto, la scarsa adesione alle raccomandazioni nutrizionali per il trattamento del diabete è un problema che investe sia i pazienti con diabete tipo 1 che quelli con diabete tipo 2 e non solo l’Italia, ma anche altri paesi europei ed è, almeno in parte, dovuta alla difficolta delle persone a cambiare le abitudini di vita.
A fronte di una forte evidenza scientifica che supporta i benefici indotti da un’alimentazione sana sul compenso glice- mico e sui fattori di rischio cardiovascolari nei pazienti con diabete, di fatto solo una piccola percentuale di essi aderisce in modo ottimale alle raccomandazioni nutrizionali.
A questo riguardo una strategia di educazione alimentare, che tenga conto delle tradizioni gastronomiche, culturali e religiose e delle preferenze individuali dei pazienti, potrebbe avere maggiori probabilità di successo soprattutto nei ri- guardi di comportamenti alimentari particolarmente scorretti, quali l’eccessivo apporto di acidi grassi saturi ed il basso consumo di fibra.
CONSULENZA NUTRIZIONALE NELL’ORGANIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA AL PAZIENTE CON DIABETE IN ITALIA
L’assistenza al paziente diabetico rappresenta un modello paradigmatico di assistenza alla cronicità ed uno dei problemi principali di organizzazione dei sistemi di tutela della salute, in virtù del suo elevato impatto sanitario, sociale ed eco- nomico, che impone la ricerca di percorsi organizzativi in grado di minimizzare il più possibile l’incidenza degli eventi acuti e delle complicanze invalidanti.
I modelli organizzativi di assistenza definiti dalle linee guida nazionali ed internazionali per raggiungere con sicurezza gli outcome di controllo delle malattie croniche – Chronic Care Model, Disease Management, Care Management Programs e Population Health Management – possono essere compendiati nel concetto di gestione integrata della malattia (15).
Il Chronic Care Model è un modello di assistenza dei pazienti affetti da malattie croniche, sviluppato dal professor Wagner e dai suoi colleghi del McColl Insitute for Healthcare Innovation, in California (16). Tale modello propone una serie di cambiamenti a livello dei sistemi sanitari utili a favorire il miglioramento della condizione dei malati cronici e suggeri- sce un approccio “proattivo” tra il personale sanitario e i pazienti stessi, con questi ultimi che diventano parte integran- te del processo assistenziale.
Per Disease Management e Care Management Programs si intendono invece metodologie basate su un approccio integrato alla malattia, teso al miglioramento dei risultati clinici e della qualità dei servizi offerti all’utente, anche nell’ottica di una razionalizzazione delle spese. Tali metodologie si basano sull’analisi di dati clinici ed economici e quindi, sulla creazio- ne di un modello dell’intero iter diagnostico-terapeutico legato alla patologia considerata, finalizzato all’individuazione di interventi atti a migliorare i servizi offerti all’utente, nonché ad ottimizzare i costi complessivi (17).
Per Population Health Management si intende invece l’aggregazione delle informazioni sanitarie dei pazienti provenienti da più risorse tecnologiche, l’analisi di tali dati in un unico record del paziente e le azioni attraverso le quali gli operatori possono migliorare sia i risultati clinici che finanziari (16).
Anche gli “Standard Italiani per la cura del diabete mellito 2014” (6) riprendono questi modelli organizzativi, ap- plicandoli alla gestione della malattia diabetica ed indicando che “il raggiungimento degli obiettivi di cura della malattia diabetica richiede la partecipazione attiva, con il consenso informato, del paziente all’offerta di program- mi di diagnosi e cura, realizzati sulla base di attività di dimostrata efficacia nell’ambito di percorsi assistenziali, in una rete integrata, pluridisciplinare e pluriprofessionale organizzata, e con l’adesione congiunta e responsabile del team diabetologico, del medico di medicina generale e più in generale della medicina territoriale”. Fondamentale, dunque, risulta la partecipazione attiva del paziente al percorso di cura, laddove, come già riportato, il monitorag- gio del paziente e l’adesione al programma nutrizionale rappresentano indubbi fattori prognostici positivi, non solo in termini di controllo delle complicanze, ma anche e soprattutto di riduzione delle alterazioni metaboliche associate.
Gli “Standard Italiani per la cura del diabete mellito 2014” prevedono, infatti, che le persone affette da alterazioni glice- miche o diabete debbano ricevere, preferibilmente da un dietologo o da un dietista, esperti nella terapia nutrizionale del diabete ed inseriti nel team diabetologico, una terapia medico-nutrizionale individualizzata al fine di raggiungere gli obiettivi terapeutici, prima possibile e per tutto il corso del follow-up.
Rosalba Giacco, Marilena Vitale, Marco Tonelli, Ersilia Troiano
La consulenza nutrizionale deve focalizzarsi sui seguenti obiettivi:
1. La definizione di un programma nutrizionale e di attività fisica personalizzati;
2. La collaborazione con l’intero team diabetologico per favorire la modificazione dello stile di vita del paziente; 3. Il monitoraggio dell’adesione del paziente al piano nutrizionale e la valutazione dei risultati;
4. L’educazione del paziente all’utilizzo di liste di scambio, all’identificazione delle porzioni, al calcolo del contenuto in carboidrati del pasto, all’utilizzazione del rapporto insulina/carboidrati, al corretto uso degli algoritmi per la terapia insulinica.
Gli interventi di educazione alimentare e comportamentale di gruppo rappresentano, inoltre, un supporto imprescindi- bile all’intervento nutrizionale individualizzato.
Tali attività, come l’inserimento nell’attività clinica routinaria di modelli educativo-terapeutici di gruppo, si sono di- mostrate efficaci nella gestione della malattia diabetica a medio termine (1, 2, 4).
In considerazione dei consistenti costi sanitari – il costo medio per paziente è di circa 2.600-3.100 euro l’anno, più del doppio rispetto a persone di pari età e sesso ma senza diabete, pari a circa 8,4 miliardi di euro anno (18) – è importan- te sottolineare come una appropriata assistenza nutrizionale al paziente diabetico sia anche costo-efficace. Il lavoro “Cost-benefit analysis of dietary treatment”, condotto su una popolazione olandese di persone obese e diabetiche, ha dimostrato, infatti, che per ogni euro di spesa per consulenza nutrizionale la società ha in restituzione fra i 14 e i 63 € in termini di miglioramento della salute, in termini di risparmi netti sul totale delle spese sanitarie e in termini di guadagni di produttività, e che in 5 anni i benefici sociali complessivi sono stati calcolati fra 0.4 e 1.9 miliardi di Euro. In termini di standard assistenziali, il documento appena citato indica come appropriato, per garantire un’assistenza minima del paziente, un minimo di 10 CU (Counseling Unit)/anno, dove ogni CU ha una durata minima di 30 minuti per il trattamento del diabete (19).
CRITICITÀ DEL PERCORSO ASSISTENZIALE DEL DIABETE IN ITALIA
L’Italia dispone di un sistema di assistenza del paziente diabetico, implementato a seguito dell’entrata in vigore della legge 16 marzo 1987, n. 115, che ha definito il diabete una patologia “di alto interesse sociale”. Tale norma è una legge quadro, e come tale stabilisce alcuni principi generali (prevenzione e diagnosi precoce; miglioramento della cura attra- verso una rete di assistenza specializzata; prevenzione delle complicanze; inserimento dei diabetici nella scuola, nel lavoro, nello sport; miglioramento dell’educazione sanitaria e della conoscenza tra la popolazione; aggiornamento del personale sanitario; individuazione della popolazione a rischio; distribuzione gratuita dei fondamentali presidi dia- gnostici e terapeutici; istituzione della tessera personale del diabetico), demandandone alle Regioni ed alle Province autonome la concreta attuazione attraverso i Piani sanitari regionali.
Il primo livello di assistenza è affidato alle cure primarie rappresentate dai Medici di Medicina Generale (MMG) conven- zionati con il SSN. Il secondo livello di assistenza è rappresentato dai Centri di Diabetologia, ad elevata specializzazione ed attrezzati per assistere le maggiori complessità, situati per lo più all’interno degli Ospedali o delle Università, ma presenti anche in contesti territoriali, con dotazione variabile di risorse tra le diverse regioni italiane.
L’analisi della situazione attuale dimostra che, per quanto buona sia la percentuale di soggetti che raggiungono un ade- guato controllo metabolico e che ricevono gli opportuni controlli periodici, esistono margini di ulteriore e sostanziale miglioramento sia a livello di assistenza primaria che di Centri di diabetologia (15).
L’aspetto di maggiore criticità è rappresentato proprio dall’estrema disomogeneità all’interno delle varie realtà regiona- li. Ogni regione e realtà aziendale ha infatti creato percorsi di cura propri, organizzati sulle proprie risorse economiche e umane; anche sul fronte delle prestazioni erogate esiste una grossa disomogeneità: ad esempio, la “terapia educaziona- le collettiva”, la “terapia educazionale individuale”, la “terapia dietetica” e “valutazione dietetica”, non sono previste da tutti i nomenclatori tariffari regionali; laddove siano previste, solo in Regione Toscana sono esenti dal pagamento ticket da parte dei pazienti con esenzione per diabete, con il risultato di innegabili limitazioni della possibilità di accesso alle cure e, di conseguenza, diseguaglianze di salute.
Numerose sono poi le criticità in termini di personale dedicato all’assistenza nutrizionale. Per citare solo alcuni esem- pi, in Friuli-Venezia Giulia, le 29 strutture diabetologiche dedicate all’assistenza di oltre 83.000 persone con diabete,
dispongono di sole 5 unità di personale dietista full time ed una part-time (ovvero un dietista per circa 16.500 pazienti). Pertanto, ogni dietista può dedicare non più di un quarto d’ora all’anno a ciascun paziente. In Lombardia, su una popo- lazione di quasi dieci milioni di abitanti, nel 2015 erano presenti 155 centri diabetologici per una popolazione diabetica di circa 550.000 persone. In questa situazione il numero di dietisti dedicato è particolarmente esiguo: 6 con contratti full time e 21 contratti part time, ovvero un solo dietista per circa 20.370 pazienti; per cui ciascun paziente può usufruire teoricamente di una consulenza nutrizionale di circa 5 minuti/anno. A questo si aggiunge la completa assenza di dietisti in alcune provincie lombarde.
La Regione Sicilia, con il decreto 9 agosto 2013 sull’Organizzazione dell’assistenza alle persone con diabete mellito in età pediatrica, ha stabilito che i Centri di Riferimento Regionali devono essere dotati almeno del seguente personale dedi- cato alle persone con diabete: medico pediatra diabetologo, infermiere professionale e dietista. Non si può dire la stessa cosa per i centri siciliani di secondo livello e per l’assistenza di base dove il dietista è assente, a dimostrazione del fatto che l’assenza di indicazioni di risorse umane dedicate ad uno specifico percorso, si traduce poi nella inottemperanza a realizzare quanto vorrebbero i documenti di indirizzo nazionali e/o regionali.
Il già citato studio MIND-IT (9) e l’indagine conoscitiva condotta nel 2004 dal GISED (20) sull’educazione terapeutica riconoscono che l’operatore sanitario ha difficoltà nell’operare per scarsità di tempo da dedicare all’attività educativa, che tale attività spesso viene svolta in maniera non strutturata, che poco più della metà dei centri che fanno educazione terapeutica attua interventi di gruppo che sappiamo nell’adulto essere i più premianti, che non sempre si dispone di spazi e orari dedicati, che c’è una carente formazione degli operatori sanitari e quindi una scarsa conoscenza di tecniche metodologicamente adeguate e che spesso non viene eseguita la valutazione e la registrazione dell’attività educativa; non ci sono, quindi, percorsi di audit.
In conclusione, molto è stato fatto ma molto rimane ancora da fare. La realtà italiana è particolarmente variegata sia perché sussistono differenze in termini di offerta sanitaria molto diversificate fra regione e regione, sia perché all’in- terno della stessa regione e delle stesse aziende sanitarie coesistono realtà particolarmente virtuose e realtà dove l’assi- stenza nutrizionale è del tutto assente. Quando anche i documenti regionali o aziendali stabiliscano che bisogna offrire “pacchetti” di prestazioni, in modo tale che il paziente abbia accesso al processo di assistenza nutrizionale con un unico accesso alla struttura sanitaria, questo è possibile solo se tutte le strutture possiedono personale in grado di garantire la