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Ivo Iavicoli 1 , Luisella Vigna 2 , Roberto Trevisan 3 , Giovanni Mosconi

Nel documento Consulenza genetica e diabete (pagine 96-101)

Dipartimento di Sanità Pubblica, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli1;

Protezione e Promozione Salute Lavoratori, Clinica del Lavoro L. Devoto, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico Milano2; Malattie Endocrine-Diabetologia, ASST - Papa Giovanni XXIII – Bergamo3;

Medicina del Lavoro, ASST - Papa Giovanni XXIII – Bergamo4

Il lavoro è parte integrante della nostra vita e comprende un intervallo di anni che va, nella maggioranza dei casi, dal compimento della maggiore età alla vecchiaia. Per questo motivo è fondamentale che il lavoro sia sano e sicuro al fine di evitare patologie ed infortuni professionali. La normativa italiana, a questo proposito, prevede una serie di misure ed interventi preventivi e protettivi per la tutela della salute dei lavoratori e la sicurezza degli ambienti di lavoro, in particolare mediante il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ovvero il Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro.

Alla base delle misure di prevenzione e protezione normate da attuare vi è la valutazione dei rischi professionali. Il rischio viene inteso come “la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione” (D.lgs. 81/08, art 2, comma 1, lett. s). Partendo da questo, la valutazione e la gestione dei rischi lavorativi permettono il raggiungimen- to del succitato lavoro sano e sicuro. In questo contesto, una delle misure di gestione del rischio è la sorveglianza sanitaria, un’attività di prevenzione secondaria che consente di individuare eventuali alterazioni, della salute dei lavoratori, in una fase precoce e reversibile, quando cioè la patologia è in uno stadio preclinico. In presenza di specifici rischi occupazionali questa attività è svolta, come previsto dalla normativa, dal “medico competente”, un medico che ha specifiche competenze in medicina del lavoro. Le condizioni alterate di salute di cui può soffrire un lavoratore possono essere sia causate dai rischi presenti nei luoghi di lavoro sia possono essere aggravate dagli stessi in un soggetto con una patologia. Il lavoratore diabetico quindi deve essere adeguatamente tutelato dal me- dico competente con il necessario supporto del diabetologo che conosce appieno le condizioni cliniche del singolo soggetto. È necessario pertanto un intervento individuale. Quest’approccio dovrebbe portare a quanto auspicato dall’American Diabetes Association (ADA) che, nel 2014, riprendendo quanto già stabilito nel 1984 afferma che “una persona affetta da diabete, trattato o non trattato con insulina, dovrebbe essere in grado di svolgere qualsiasi impie- go per il quale sia qualificato” (ADA, 2014). È ovvio che il raggiungimento di questo obiettivo richiede un approccio multidisciplinare nel quale il medico del lavoro e il diabetologo operano sinergicamente. Proprio per questo la Socie- tà Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale e Diabete Italia hanno promosso un documento di consenso che è stato redatto nel 2014 assieme alla Società Italiana di Diabetologia (SID) e alla Associazione Medici Diabetologi (AMD) al quale rimandiamo per gli eventuali approfondimenti (Iavicoli et al., 2014).

Dalle più recenti indagini ISTAT (2015) risulta che nell’ottobre 2015 i soggetti occupati in Italia erano 22.443.000, mentre la percentuale di soggetti diabetici era nel 2013 pari al 5,5% degli italiani (5,3% degli uomini e 5,6% delle donne), ossia oltre 3 milioni di persone (ISTAT, 2014). In questo contesto il diabete risulta una patologia sociale e il lavoratore diabetico deve essere adeguatamente tutelato. Sono diversi i fattori di rischio che debbono essere consi-

D I A B E T E E L AVO RO

derati per la tutela e la promozione della salute e la sicurezza dei lavoratori diabetici nei luoghi di lavoro, tra questi ritroviamo:

– Il lavoro a turni e notturno;

– Il lavoro ad elevato rischio infortunistico e di cadute dall’alto; – Il lavoro ad elevato dispendio energetico;

– Il lavoro a temperature estreme. LAVORO A TURNI E NOTTURNO

Per la definizione di lavoro a turni e notturno, è bene rifarsi alla normativa italiana che accogliendo le Direttive Comu- nitarie 104 del 1993 e 34 del 2000 attraverso i D.lgs. 66/2003 e s.m.i., 213/2004 e la circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 8 del 2005 disciplina l’organizzazione del lavoro. In tabella di seguito si trovano le definizioni di lavoro a turni, lavoratore a turni, periodo notturno e lavoratore notturno. Ad integrazione si ricorda inoltre che il D.lgs. 66/2003, così come modificato dall’articolo 41 del Decreto Legge 112 del 25/06/2008, definisce anche “lavoro a turni” ogni forma di organizzazione dell’orario di lavoro, diversa dal normale “lavoro giornaliero”, in cui l’orario operativo dell’a- zienda viene esteso oltre le consuete 8-9 ore diurne (in genere tra le 8 e le 17-18), fino a coprire l’intero arco delle 24 ore, mediante l’avvicendamento di diversi gruppi di lavoratori.

L’attuale tendenza globale ad una società che lavora sulle 24 ore sta di fatto determinando che sempre un maggior nume- ro di soggetti diabetici, anche insulino-trattati, lavorino in turni e di notte.

L’esclusione del lavoratore diabetico insulino-trattato dal turno sia diurno sia notturno come criterio assoluto non deve essere preso in considerazione se ci troviamo in presenza di un soggetto altamente motivato e con un’elevata compliance alla terapia farmacologica e dietetica, certificata da valori di A1c o dallo specialista diabetologo. A questo proposito sarà importante la verifica settimanale/mensile delle glicemie (A1c). L’esclusione dai turni dovrà invece essere presa in con- siderazione laddove il turno non consenta regolarità di terapia e di alimentazione.

Per quanto concerne il soggetto diabetico di tipo 2 non insulino-trattato, laddove sia in compenso glicemico, non vi sono limitazioni allo svolgimento di lavori a turni e notturno, fermo restando che le attività lavorative debbono essere svolte consentendo la regolarità della terapia e dell’alimentazione. Laddove invece il lavoratore diabetico di tipo 2 non insulino-trattato non sia in compenso glicemico non dovrà svolgere turni notturni fino al ripristino dello stesso con il raggiungimento di A1c adeguata. La comunicazione del diabetologo al medico competente del ripristino del compenso sarà fondamentale. Questi diabetici di tipo 2 potranno invece, anche se non in compenso, effettuare turni diurni, se sarà garantita la possibilità di una corretta assunzione di terapia e di alimentazione.

Va comunque sottolineato la difficoltà, come alcuni studi di letteratura riportano, nei soggetti diabetici insulino-tratta- ti nell’avere un compenso glicemico ottimale nei turnisti notturni a causa dell’irregolarità nell’assunzione della terapia insulinica e dei pasti.

Inoltre alcuni studi hanno recentemente segnalato nei soggetti che svolgevano, in particolare, lavori notturni, altera-

Tabella 1 X Definizioni previste dalla normativa in relazione alle modalità di turni e dei soggetti che li effettuano.

Lavoro a turni Qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un pe- riodo determinato di giorni o di settimane.

Lavoratore a turni Qualsiasi lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni.

Periodo notturno Periodo di almeno sette ore consecutive comprendente l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino.

Lavoratore notturno a) Qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impie- gato in modo normale;

b) Qualsiasi lavoratore che svolga almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.

zioni delle funzioni metaboliche con incremento di sovrappeso/obesità, ipertrigliceridemia e ipercolesterolemia (con basso colesterolo HDL) e sindrome metabolica. La mancanza però di un’adeguata valutazione del contesto lavorativo e dei suoi rischi che emerge da questi studi mette in evidenza la necessità di effettuare ulteriori ricerche per definire la pa- togenesi di queste alterazioni metaboliche e delle loro complicanze in particolare della malattia coronarica e del diabete di tipo 2. Questo potrebbe permettere di comprendere il ruolo dei fattori lavorativi e le strategie per la migliore gestione del lavoratore diabetico o a rischio di diventarlo.

LAVORO AD ELEVATO RISCHIO INFORTUNISTICO E DI CADUTE DALL’ALTO

Tra i soggetti che svolgono queste attività ritroviamo coloro che sono impiegati nei settori dell’edilizia e delle costruzioni e che svolgono attività che prevedono attività in quota. È bene ricordare che, come previsto dall’art. 107 del D.lgs. 81/08 si intende per lavoro in quota un’attività lavorativa che espone il lavoratore a rischio di caduta da una quota posta ad un’altezza minima di 2 metri rispetto a un piano stabile. Le conseguenze di un’attività di questo tipo, svolta non in sicu- rezza, possono essere la caduta dall’alto, le sollecitazioni trasmesse al corpo dall’imbracatura, la sospensione inerte del lavoratore, l’oscillazione del corpo con urto contro ostacoli, le lesioni per caduta di materiale dall’alto.

In relazione a queste attività ritroviamo tra le controindicazioni all’idoneità lavorativa il diabete in mediocre compenso o con storia di crisi ipoglicemiche ripetute. Tale situazione è riferibile a soggetti insulino-trattati o comunque in tratta- mento con farmaci che possono indurre ipoglicemia (es. glinidi, sulfaniluree).

Lo strumento per definire tali situazioni è la sorveglianza sanitaria che permetterà di verificare il possesso dei necessari requisiti psicofisici per la mansione. Il lavoro in quota richiede capacità di muoversi in sicurezza in situazioni difficili, capacità cognitive, di giudizio e comportamentali utili ad affrontare le situazioni, assenza di disturbi dell’equilibrio, una funzionalità dell’apparato sensitivo sufficiente, assenza di controindicazioni all’uso dei dispositivi di protezione individuali atti a proteggere il lavoratore dalle cadute dall’alto.

LAVORO AD ELEVATO DISPENDIO ENERGETICO

Il dispendio energetico viene espresso in unità metaboliche MET (1 MET = fabbisogno di ossigeno a riposo: 3.5 ml/kg/ min). I lavori ad alto dispendio energetico sono quelli in cui il dispendio energetico è superiore a 6 MET. Tra questi lavori ritroviamo quelli del settore agricolo, il trasporto di carichi pesanti, il sommozzatore, il vigile del fuoco, le attività di disboscamento per citarne alcuni.

Per i soggetti diabetici insulino-trattati queste attività possono comportare un serio rischio, in particolare per l’alterazione dell’omeostasi glicemica. Infatti la disponibilità di glucosio per il fabbisogno energetico, necessario per l’attività lavorativa richiesta, è legata alla tempistica e alle dosi di insulina. Un’attività fisica impegnativa, a ridosso dell’assunzione di insulina, determina un serio rischio di ipoglicemia conseguente all’iperinsulinemia che stimola l’assorbimento e il consumo di glu- cosio da parte dei tessuti periferici. Al contrario l’ipoinsulinemia, a causa della mancata inibizione della neogluconeogenesi epatica e dello scarso consumo di glucosio da parte dei tessuti, durante l’esercizio fisico causa una elevata iperglicemia. Nel soggetto affetto da diabete di tipo 2, non-insulino trattato, senza complicanze correlate al diabete e con uno stile di vita attivo, le attività ad alto dispendio energetico non sono controindicate. Al contrario dovrà essere attentamente valutata la condizione del soggetto sovrappeso, che pratica scarsa attività fisica e con ridotti valori di performance car- diovascolare o affetti da complicanze. In questi soggetti questo tipo di attività lavorativa, in particolare se prolungata nel tempo, può determinare un aumentato rischio di cardiopatia ischemica e di mortalità per tutte le cause.

LAVORO A TEMPERATURE ESTREME

Nello svolgimento delle attività lavorative l’esposizione ad alte o basse temperature possono costituire un rischio per la salute del lavoratore. In questo contesto la condizione diabetica del soggetto deve essere adeguatamente valutata seb- bene vada sottolineato che una condizione di diabete di tipo 2 ben compensato non controindica l’attività lavorativa in condizione di esposizione a temperature estreme.

D I A B E T E E L AVO RO

Per quanto riguarda le basse temperature, il soggetto diabetico insulino-trattato è a maggior rischio di sviluppare ipotermia a causa dell’ipoglicemia e della chetoacidosi a cui può andare incontro. L’ipotermia inoltre riduce la se- crezione endogena di insulina, causa resistenza all’insulina esogena e una ridotta utilizzazione del glucosio e di altri substrati energetici. Di conseguenza il controllo dei valori glicemici risulta difficile nelle basse temperature e il rischio di scompenso metabolico può aumentare. Purtroppo la letteratura manca di studi epidemiologici sull’espo- sizione a basse temperature e gli effetti nei lavoratori diabetici. L’aspetto comunque che deve essere considerato è la difficoltà che possono incontrare i lavoratori diabetici nell’eseguire le misurazioni glicemiche necessarie se pratica- no la terapia insulinica. La letteratura riporta, infatti, una ridotta accuratezza di queste misurazioni alla presenza di basse temperature.

Le alte temperature possono essere rischiose per i lavoratori diabetici, in particolare a causa dell’alterazione della funzione endoteliale, spesso presente in questi soggetti. Tale condizione determina l’alterazione dei meccanismi ter- moregolatori con la conseguente riduzione della dissipazione del calore e quindi con un elevato rischio di sviluppare le patologie dovute alle alte temperature. Tale condizione dovrebbe essere prevenuta in qualunque soggetto diabetico permettendo allo stesso di assumere adeguate quantità di acqua e di elettroliti e di monitorare in maniera costante i livelli di glicemia.

ESPOSIZIONI A SOSTANZE CHIMICHE E DIABETE

Una recente revisione sistematica della letteratura (Leso et al. 2016) ha evidenziato come, sebbene ci siano dati positivi che supportano il ruolo diabetogeno di alcuni pesticidi e diossine presenti nello svolgimento di differenti attività lavorative, le variabili condizioni espositive, la mancanza di dati relativi al monitoraggio biologico ed am- bientale degli xenobiotici occupazionali e i differenti parametri valutati non consentono ad oggi di definire uno specifico nesso di causalità tra esposizione a sostanze chimiche e la comparsa del diabete. È chiaro quindi come siano necessari ulteriori studi epidemiologici che valutino adeguatamente l’eventuale azione patogenetica delle sostanze chimiche, definiscano sia le relazioni dose-risposta sia i fattori individuali di suscettibilità che possono determinare la comparsa di patologia. Tutto questo risulta fondamentale per valutare, gestire e comunicare i rischi nel contesto lavorativo, sia per proteggere la salute dei lavoratori sia per costruire condizioni di lavoro più sane e sicure per il soggetto diabetico.

CONCLUSIONI

Nell’ambito della breve trattazione del complesso tema del diabete e lavoro abbiamo tralasciato la guida professionale e le attività che comportano la dotazione del porto d’armi. Infatti per queste attività la definizione dell’idoneità alla gui- da e al porto d’armi non spetta al medico competente, ma ad altre figure mediche che dovranno verificare e valutare le condizioni del soggetto.

A prescindere dalle diverse situazioni di rischio lavorativo, sarà importante che il medico competente che, come abbia- mo detto, ha specifiche competenze in medicina del lavoro, e il diabetologo che conosce appieno la condizione clinica dell’individuo stabiliscano uno stretto scambio di conoscenze. Questo permetterà al medico del lavoro di poter definire, come previsto dalla normativa, l’idoneità lavorativa per i rischi che lo richiedono. Il diabetologo pertanto non si sostitu- irà al medico competente nella definizione del giudizio, ma lo supporterà nella conoscenza della condizione di salute del soggetto, permettendo di definire la congruità della stessa con i fattori di rischi lavorativi al quale sarà esposto.

Ulteriori studi epidemiologici sono comunque necessari per definire il ruolo dello stato di salute del soggetto diabetico nella performance lavorativa e il possibile impatto dei rischi lavorativi nella genesi della patologia.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

1. American Diabetes Association, Anderson JE, Greene MA, Griffin JW Jr, Kohrman DB, Lorber D, Saudek CD, Schatz D, Siminerio L. Diabetes and employment. Diabetes Care 2014 Jan; 37 Suppl 1: S112-7. doi: 10.2337/dc14-S112.

3. Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e s.m.i. Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. (GU Serie Generale n. 101 del 30/4/2008 - Suppl. Ordinario n. 108). 4. Iavicoli I, Gambelunghe A, Magrini A, Mosconi G, Soleo L, Vigna L, Trevisan R, Bruno A, Chiambretti A, Scarpitta A,

Sciacca L, Valentini U. Diabete e Lavoro. Documento di Consenso, Nuova Editrice Berti, Piacenza 2014: 1-90. 5. ISTAT (2014) Annuario statistico italiano 2014. Pp. 1-748 ISBN 978-88-458-1818-9.

6. ISTAT (2015): http://www.istat.it/it/files/2015/12/Occupati-e-disoccupati_ottobre_2015.pdf?title=Occupati+e+disoccupati+% 28mensili%29+-+01%2Fdic%2F2015+-+Testo+integrale.pdf.

7. Leso V, Capitanelli I, Lops EA, Ricciardi W, Iavicoli I. Occupational chemical exposure and diabetes mellitus risk. Toxicology and Industrial Health (2016) in press.

Nel documento Consulenza genetica e diabete (pagine 96-101)