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Ernesto Maddaloni, Paolo Pozzill

Nel documento Consulenza genetica e diabete (pagine 150-157)

Endocrinologia e Diabetologia, Dipartimento di Medicina, Università Campus Bio-Medico di Roma

DIABETE TIPO 1 E LADA: DEFINIZIONE E DIFFERENZE

Il diabete mellito tipo 1 è una patologia a patogenesi multifattoriale e poligenica caratterizzata dalla distruzione delle cellule beta del pancreas, su base autoimmune o idiopatica, con conseguente carenza insulinica assoluta. Ciò si tra- duce nella necessità di intraprendere il trattamento insulinico sin dall’esordio della malattia. La patogenesi immuno- mediata è invece dimostrata dal riscontro sierologico di auto-anticorpi diretti contro la beta-cellula pancreatica (islet cell antibody, ICA), contro l’insulina nativa (IAA), contro l’isoforma da 65kDa della glutammato decarbossilasi (glutamic acid decarboxylase GADA), contro le tirosin-fosfatasi IA2 (IA-2A) ed IA-2β, o contro il trasportatore dello zinco ZnT8. Di recente, anche la presenza di anticorpi diretti contro una forma ossidata dell’insulina è stata associata con buone specificità e sensibilità al diabete mellito di tipo 1. Nei pochi casi di diabete tipo 1 in cui non vengono ritrovati autoanticorpi nel siero si parla di forma idiopatica (diabete tipo 1B), che sembra essere più frequente nei soggetti di origine asiatica o africana. Il diabete di tipo 1 può colpire soggetti di qualsiasi età, anche se insorge con maggior frequenza in bambini o giovani adulti. Il diabete autoimmune latente dell’adulto (Latent Autoimmune Diabetes in Adults, LADA) è invece una forma di diabete autoimmune che insorge tipicamente in età adulta e che mostra una progressione di malattia più lenta rispetto al dia- bete di tipo 1. Ciò è il risultato di una più lenta perdita delle cellule beta-pancreatiche, con conseguente ritardo della fase di insulino-dipendenza. Classificato anche come una variante del diabete di tipo 1, anche il LADA è caratterizzato dalla presenza di uno o più degli anticorpi sopra-citati. Sulla base delle caratteristiche patogenetiche, i seguenti criteri sono stati quindi proposti per la diagnosi di LADA:

1. Età di insorgenza >30 anni;

2. Presenza di almeno uno tra IAA, ICA e GADA;

3. Insulino-indipendenza per almeno 6 mesi dalla diagnosi.

Tale inquadramento nosologico del LADA, per quanto necessario ed ormai accettato dalle maggiori società scien- tifiche internazionali, è comunque soggetto alle limitazioni tipiche di ogni tentativo di categorizzazione di una patologia complessa come il diabete. In particolare i criteri di età alla diagnosi e del timing dell’insulino-dipendenza sono soggetti a bias diagnostico-terapeutici conseguenti a più o meno efficaci attività di screening per una diagnosi precoce di alterazioni del metabolismo glucidico ed a differenti criteri adottati dai medici curanti per l’implementa- zione della terapia insulinica. Per tale motivo è stato suggerito da alcuni autori di abbandonare una classificazione categorica del diabete e di considerare il diabete di tipo 1 ed il LADA come due forme diverse di diabete autoimmune nel contesto di un continuum patogenetico e clinico con diversi gradi di severità di disfunzione immunologica e me- tabolica. A sostegno di tale posizione, diversi lavori scientifici di gruppi italiani ed internazionali hanno dimostrato che il diabete di tipo LADA ha caratteristiche cliniche intermedie tra il diabete di tipo 1 ed il classico diabete dell’a- dulto di tipo 2 (Tabella 1).

T I P O 1 E L A DA I N C R E S C I TA : P R E V E N Z I O N E E A S S I S T E N Z A OTT I M A L E

DIABETE AUTOIMMUNE IN CRESCITA Diabete di tipo 1

Come suggerito dai risultati dello studio DiaMond, l’epidemiologia del diabete di tipo 1 varia notevolmente da paese a paese. In media, i casi di diabete tipo 1 contano dal 5 al 10% di tutti i casi di diabete. Secondo le più recenti stime dell’In- ternational Diabetes Federation (IDF), l’incidenza del diabete tipo 1 continua a crescere del 3% circa ogni anno e per la prima volta nel 2015 il numero di bambini di età inferiore ai 15 anni affetti da diabete tipo 1 nel mondo ha superato il mezzo milione.

In Italia nel 1996 fu istituito il Registro Italiano per il Diabete mellito Insulino-dipendente (RIDI), nato da una colla- borazione tra la Società Italiana di Diabetologia (SID), l’Associazione Medici Diabetologi (AMD) e la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), con l’obiettivo generale di fornire dati sistematici sull’epidemiologia del diabete di tipo 1 in Italia. Ad oggi il diabete tipo 1 rappresenta all’incirca il 2-3% di tutti i casi di diabete noto. L’inci- denza del diabete tipo 1 è intorno al 10-11 per 100.000 persone per anno con tassi 3-4 volte superiori alla media nazionale in Sardegna. Questi numeri sono in costante crescita nel tempo: i più recenti dati nazionali riportano un incremento medio annuo dell’incidenza del diabete di tipo 1 nella penisola pari a circa il 3.6%, di poco superiore quindi alla media mondiale. Nel Lazio abbiamo invece dimostrato un raddoppio dell’incidenza del diabete di tipo 1 in bambini e ragazzi di età inferiore a 15 anni, passando dai 7.9 casi x 100.000 x anno nel periodo 1989-1993 ai 15.7 casi x 100.000 x anno nel periodo 2004-2009.

Informazioni più dettagliate riguardo l’epidemiologia del diabete di tipo 1 in Italia si potranno ritrovare nel capitolo specifico sull’epidemiologia del diabete di questo volume, cui si rimanda.

LADA

Come per il diabete di tipo 1, anche la prevalenza del LADA varia sensibilmente in base alla regione geografica ed alla popolazione esaminata. Mentre, ad esempio, il LADA rappresenta il 2.5% circa dei casi di diabete dell’adulto in Medio- Oriente, il Diabetes Outcomes Progression Trial riportava una positività per i GADA nel 4.2% della popolazione nord americana con diabete di tipo 2 e due studi stimavano una prevalenza di LADA nella popolazione diabetica cinese pari al 7% circa. In Europa la prevalenza del LADA varia dal 4% allo 10%. Il progetto NIRAD (Non Insulin Requiring Autoimmune Diabetes), sostenuto dalla Società Italiana di Diabetologia, ha valutato la prevalenza del LADA nella popolazione italiana. Iniziato come stu- dio trasversale su più di 5000 pazienti affetti da diabete di tipo 2 reclutati in più di 80 centri diabetologici distribuiti su tutto il territorio nazionale, il NIRAD ha documentato una prevalenza del LADA pari al 4.7% dei soggetti adulti con dia- bete di tipo 2. Al momento non esistono dati pubblicati riguardo trend temporali di crescita della prevalenza del LADA.

Tabella 1

Diabete tipo 1 LADA Diabete tipo 2

Età d’esordio Infanzia-giovane adulto >30 anni Età adulta

Esordio Acuto Lento Lento

Autoimmunità ÇÇÇ ÇÅÆ ÅÆ

Chetosi Frequente Rara Rara

Insulino-resistenza ÅÆ ÇÅÆ ÇÇÇ

Funzione beta-pancreatica ÈÈÈ È (Èin fase tardiva)ÇÅÆ Insulino-dipendenza Sin dall’esordio > 6 mesi o anni dopo la diagnosi Tardivamente Body Mass Index Normopeso Normopeso-sovrappeso Sovrappeso-obeso

PREDIZIONE DEL DIABETE AUTOIMMUNE

Nel corso degli anni numerosi studi hanno contribuito a chiarire la patogenesi e la storia naturale del diabete autoim- mune, fornendo conoscenze e strumenti per migliorare le capacità di predizione della malattia. In particolare il diabete autoimmune insorge in soggetti geneticamente predisposti dopo eventi trigger non ancora del tutto identificati. Ad oggi sono stati diversi i marcatori proposti per la predizione del diabete autoimmune e possono essere classificati in tre cate- gorie: marcatori genetici, immunologici e metabolici.

Marcatori genetici. Il rischio di diabete di tipo 1 è aumentato nei familiari dei pazienti affetti, attestandosi intorno al 5-6% circa nelle persone con un fratello o un genitore con diabete tipo 1 rispetto allo 0.4% nei soggetti senza storia familiare. I principali geni responsabili del 50% circa della componente di rischio genetico del diabete di tipo 1 si ritrovano nella regione dell’antigene leucocitario umano (human leukocyte antigen, HLA) sul cromosoma 6p21 (locus IDDM1). La maggio- re associazione con il diabete di tipo 1 è stata descritta per l’HLA di classe 2. In particolare la maggiore suscettibilità è conferita dagli alleli DRB1*03-DQB1*0201 (DR3/DQ2) e DRB1*04-DQB1*0302 (DR4/DQ8), mentre gli alleli DRB1*1501 e DQA1*0102-DQB1*0602 sono stati associati a protezione dalla malattia. Va però tenuto in considerazione che, a causa del- la relativamente alta prevalenza degli HLA di suscettibilità nella popolazione generale, il valore predittivo dell’HLA negli screening di popolazione è molto più basso che nei familiari di pazienti affetti. L’utilizzo combinato di marcatori gene- tici e di familiarità rende possibile stimare il rischio di diabete tipo 1 con maggiore precisione. Ad esempio, in assenza di familiarità e di alleli di suscettibilità, il rischio può essere stimato intorno a 1:5000, mentre il rischio di un soggetto eterozigote per DR3 e DR4 con un fratello affetto da diabete di tipo 1 è del 20% circa. Tra gli altri loci associati al diabete di tipo 1 (circa 40), il locus polimorfico VNTR (Variable Number of Tandem Repeats) nella regione INS, il locus PTPN22 (Protein tyrosine phosphatase, non-receptor type 22), il locus CTLA-4 (Cytotoxic T-lymphocyte-associated protein-4) ed il locus IL2R (IL2-receptor) sono gli unici associati ad odds ratio maggiori di 1.1.

Studi genetici condotti nei pazienti arruolati nel progetto NIRAD hanno dimostrato una maggiore prevalenza del geno- tipo DR3/DR4 e dell’allele di suscettibilità 1858T nel gene PTPN22 nei soggetti affetti da LADA rispetto a soggetti sani o a quelli con diabete di tipo 2. L’associazione risulta comunque meno forte rispetto a quella riscontrata nel diabete di tipo 1. Allo stesso modo, la frequenza del polimorfismo TCF7L2, associato al diabete di tipo 2, è maggiore nei LADA che nel diabete di tipo 1.

Marcatori immunologici. Diversi studi hanno dimostrato che il riscontro sierologico degli autoanticorpi precede di mesi o anni l’esordio clinico della malattia e che gli stessi anticorpi possono ritrovarsi nel siero di soggetti che non sviluppe- ranno mai il diabete. La fase pre-clinica della malattia, che decorre dalla comparsa nel siero degli anticorpi all’esordio clinico, pur variando sensibilmente da soggetto a soggetto, va considerata come una finestra per l’identificazione dei soggetti a rischio di sviluppare la malattia. Come dimostrato da diversi studi prospettici condotti nei familiari di primo grado di soggetti con diabete di tipo 1 (come l’Islet Cell Antibody Registry Users Study (ICARUS) ed altri) la caratterizzazione dell’assetto anticorpale durante la fase pre-clinica aiuta nella stratificazione del rischio. I risultati principali di questi studi possono essere sintetizzati nei seguenti punti:

– Il riscontro sierologico di un solo tra ICA, GADA, IAA e anti-IA2 è associato ad un modesto aumento del rischio di svi- luppare il diabete di tipo 1 (meno del 5% degli individui con un solo autoanticorpo progrediscono fino all’esordio clinico). – Il rischio di evoluzione della malattia dalla fase pre-clinica a quella clinica aumenta parallelamente con il titolo anti- corpale e con la presenza di più di un tipo di auto-anticorpo.

– Il rischio di progressione è inversamente correlato all’età in cui compaiono gli anticorpi. Pertanto i bambini con la più precoce evidenza di positività anticorpale sono quelli a maggior rischio di sviluppare il diabete.

– Lo studio Diabetes Autoimmunity Study in the Young (DAISY) ha dimostrato che livelli persistentemente elevati di IAA confe- riscono un maggior tasso di progressione rispetto a valori fluttuanti nel tempo.

Sulla base dei dati raccolti è stato proposto un calcolatore del rischio “autoantibody risk score (ABRS)” per migliorare la pre- dizione della malattia nei parenti di primo grado di soggetti affetti da diabete di tipo 1.

Marcatori metabolici. Nella storia naturale del diabete autoimmune le alterazioni metaboliche iniziano già nella fase pre- clinica della malattia e si caratterizzano per una diminuita risposta beta-cellulare a stimoli secretivi quali glucosio, ar- ginina o glucagone riscontrabile anche anni prima dell’esordio. Una risposta insulinica di prima fase al carico endovena

T I P O 1 E L A DA I N C R E S C I TA : P R E V E N Z I O N E E A S S I S T E N Z A OTT I M A L E

di glucosio (First Phase Insulin Response, FPIR) al disotto del primo percentile di normalità è un forte predittore di malattia nei soggetti con familiarità di primo grado per diabete di tipo 1. Con il progredire della patologia iniziano le fluttuazioni glicemiche ed un lineare incremento dei valori di glicemia (alcuni autori suggeriscono di classificare questa fase della malattia come diabete di tipo 1 asintomatico), con un finale improvviso picco al momento dell’esordio. Nel Diabetes Prevention Trial-Type 1 Diabetes (DPT-1) la curva da carico orale di glucosio (OGTT) si è dimostrata superiore alla glicemia a digiuno per la predizione della malattia nei soggetti a rischio. In particolare, i ricercatori del DPT-1 hanno proposto un nuovo calcolatore di rischio di diabete di tipo 1, il DPT Risk Score (DPTRS), basato su un modello di rischio proporzionale che include età, body mass index e valori di glicemie e C-peptide a digiuno ed a diversi tempi dopo OGTT.

In generale, è ormai opinione accreditata che la progressione verso il diabete di tipo 1 nei soggetti geneticamente a rischio può essere predetta con una precisione di circa l’80% entro 10 anni se si combinano marcatori immunologici (po- sitività anticorpale) e metabolici (FPIR e OGTT).

PREVENZIONE DEL DIABETE AUTOIMMUNE

Prevenzione primaria: Per prevenzione primaria si intende la messa in atto di misure che possano prevenire l’insorgenza della malattia in epoca antecedente al suo sviluppo. I maggiori trial di prevenzione primaria nel diabete di tipo 1 sono stati interventi volti ad escludere il contatto con antigeni alimentari identificati come possibili fattori ambientali coin- volti nella patogenesi dell’autoimmunità del diabete. In particolare lo studio TRIGR (Trial to Reduce IDDM in the Genetically at Risk), trial internazionale randomizzato a doppio cieco, e lo studio PREVEFIN, trial italiano condotto da diversi centri diabetologici sparsi sul territorio nazionale, venivano disegnati con lo scopo di valutare se nutrire bambini ad alto ri- schio genetico per il diabete tipo 1 con latte idrolisato di caseina diminuisca l’insorgenza degli anticorpi associati al dia- bete tipo 1 e/o l’insorgenza della malattia. L’insulina bovina, l’albumina e la beta-caseina presenti nel latte vaccino sono infatti frequentemente chiamate in causa nel determinismo dell’autoimmunità. I primi risultati del TRIGR sono stati recentemente pubblicati non mostrando alcun beneficio nella riduzione degli auto-anticorpi dopo 7 anni di follow-up. Si è in attesa del termine dello studio (previsto per il 2017) e dei risultati definitivi riguardo l’incidenza della malattia. Lo studio BABYDIET, invece, vuole valutare un eventuale effetto preventivo della posticipazione dell’introduzione del glu- tine nella dieta di bambini nati da madri o padri affetti da diabete di tipo 1. Il più recente report dello studio ha mostrato che, dopo un follow-up medio di 8.1 anni, il ritardo nell’introduzione del glutine nella dieta non è associato a benefici né in termini di positività anticorpale né in termine di incidenza di malattia.

Ad oggi quindi non esistono ancora interventi che abbiano dimostrato significativa efficacia per prevenire il diabete di tipo 1 in bambini geneticamente a rischio.

Prevenzione secondaria. La prevenzione secondaria interviene a processo autoimmune già avviato e si applica a soggetti positivi allo screening per autoanticorpi. Numerosi studi di intervento di prevenzione secondaria sono stati realizzati. Il maggiore di questi studi è il già menzionato DPT-1 che prevedeva come strumento di prevenzione la somministra- zione di insulina per via parenterale nei soggetti a più elevato rischio (>50% entro 5 anni) o per via orale nei soggetti a rischio intermedio (26-50%). Il razionale risiedeva nella possibile induzione di tolleranza nei riguardi di un autoantigene rilevante come l’insulina. Sono stati randomizzati e seguiti per 5 anni 339 soggetti nel gruppo di somministrazione pa- renterale di insulina e 372 nel gruppo di somministrazione orale di insulina: purtroppo, nessuno dei due trattamenti è risultato efficace in termini di prevenzione, anche se un ritardo nella progressione verso il diabete è stato osservato in un sottogruppo di soggetti con elevati titoli di IAA trattati con l’insulina orale. In Europa è stato realizzato lo studio ENDIT (European Nicotinamide Diabetes Intervention Trial). La nicotinamide protegge la beta-cellula dal danno ossidativo e inoltre au- menta i livelli intracellulari di NADP, sostanza importante nei processi metabolici. Studi in topi NOD (Non-Obese Diabetic) hanno dimostrato che un trattamento precoce con la nicotinamide, quando è ancora presente un sufficiente numero di beta-cellule, può ritardare la comparsa del diabete. Partendo da uno screening anticorpale di oltre 50.000 familiari di primo grado, lo studio ENDIT ha randomizzato a trattamento con nicotinamide o placebo 552 soggetti per un follow-up di 5 anni. Purtroppo nonostante le premesse, i risultati dello studio ENDIT hanno dimostrato l’inefficacia della nicotina- mide in termini di ritardo della progressione verso il diabete di tipo 1. Nell’ambito del progetto internazionale TrialNet è in corso un trial di prevenzione secondaria che prevede la somministrazione di insulina orale con lo scopo di ritardare

l’esordio clinico del diabete autoimmune in soggetti con positività anticorpale. Lo studio è ancora in corso e si attende la pubblicazione dei risultati.

Prevenzione terziaria. La prevenzione terziaria consiste nelle misure terapeutiche atte al mantenimento della funzione beta- cellulare residua ancora presente all’esordio della malattia e può realizzarsi mediante interventi per lo più di immuno- soppressione o immunomodulazione a partire dalla diagnosi clinica del diabete di tipo 1. Se nei modelli murini diverse molecole immunomodulanti si sono dimostrate efficaci nel mantenere o restaurare la capacità di secrezione insulinica da parte del pancreas endocrino, purtroppo tali risultati non si sono dimostrati efficaci nell’uomo. Nonostante i nume- rosi tentativi e trial condotti, il cui trattamento specifico esula dagli scopi di questo capitolo, al momento non esiste un trattamento in grado di prevenire in maniera efficace e duratura la perdita della funzione beta-cellulare residua nei pazienti con diagnosi di diabete autoimmune. Di recente è stato proposto che un trattamento combinato con immuno- modulatori, in grado di diminuire la risposta immunitaria contro le isole di Langherans, e farmaci capaci di stimolare la rigenerazione delle cellule beta possa aiutare nella preservazione delle funzioni endocrine pancreatiche. Questa ed altre strategie sono oggetto di studio di diversi trial internazionali tutt’ora in corso.

ASSISTENZA OTTIMALE

Come le altre forme di diabete, anche il diabete autoimmune, sia esso di tipo 1 o LADA, è una patologia cronica e mul- tifattoriale che incide in maniera significativa sulla qualità di vita, sulla morbilità e sulla mortalità della popolazione affetta. Le necessità assistenziali delle persone affette da diabete di tipo 1 sono però diverse da quelle della maggioranza della popolazione diabetica, affetta da diabete di tipo 2. Il paziente con diabete autoimmune è infatti un paziente par- ticolarmente complesso a causa della frequente presenza, già in giovane età, di pluri-comorbidità quali le complicanze micro- e macro-vascolari del diabete stesso o le altre patologie autoimmuni che spesso si associano al diabete. Tali co- morbidità, insieme all’insulino-dipendenza conseguente alla ridotta/assente riserva beta-pancreatica, condizionano in maniera sensibile le abitudini di vita del paziente, comprese l’alimentazione, le attività lavorative e quelle ludiche, con risvolti importanti anche sulla sua sfera psicologica e relazionale. La gestione di tale complessità è un arduo compito per il clinico, che si trova a dover bilanciare la necessità di raggiungere un adeguato controllo glicemico e degli altri fattori di rischio con il bisogno di autonomia del paziente, spesso di giovane età e quindi in piena attività scolastica/lavorati- va. In questo contesto la sicurezza e la multi-fattorialità dei trattamenti, insieme ad una valutazione complessiva del rischio cardiometabolico del paziente, sono i principi fondamentali che devono guidare la gestione del paziente affetto da diabete. Un’assistenza ottimale del paziente inizia da una corretta diagnosi, che prevede, oltre al dosaggio degli autoanticorpi, anche una valutazione della riserva beta-pancreatica residua mediante dosaggio del C-peptide sierico, raccomandato alla diagnosi della malattia.

In generale gli obiettivi dell’assistenza dei pazienti con diabete di tipo 1 suggeriti sono: – Evitare l’insorgenza di complicanze a breve-medio termine (complicanze acute);

– Ottimizzare il controllo glicemico con l’obiettivo di evitare l’insorgenza delle complicanze a lungo termine (compli- canze croniche);

– Assicurare una buona qualità di vita ed un normale sviluppo psico-fisico del paziente.

I grandi trial clinici nel diabete di tipo 1, Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) ed il suo studio di follow-up Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications (EDIC) in particolare, hanno dimostrato una significativa riduzione nell’incidenza delle complicanze vascolari del diabete con un trattamento insulinico intensivo ed obiettivi terapeutici più stringenti. Questo beneficio va però bilanciato con i rischi di ipoglicemia e con l’impatto psichico e relazionale che una terapia in- sulinica intensiva può comportare in pazienti giovani. Esistono infatti ovvie differenze nella gestione della malattia tra bambini, adolescenti ed adulti. Differenze antropometriche, problemi legati alle diverse fasi dello sviluppo psico-fisico ed un aumentato rischio di ipoglicemia e di chetoacidosi sono solo alcuni dei principali fattori da tenere in considerazio- ne nella gestione del diabete in età pediatrica. Gli obiettivi glicemici da raggiungere devono quindi essere individualizzati considerando che una gestione di successo del diabete in età evolutiva deve porsi target realistici e che tengano conto

Nel documento Consulenza genetica e diabete (pagine 150-157)