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Gian Pio Sorice, Andrea Giaccar

Nel documento Consulenza genetica e diabete (pagine 122-128)

Centro per le Malattie Endocrine e Metaboliche, Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

Il diabete mellito, nelle sue diverse forme, rappresenta una delle patologie croniche a maggiore diffusione a livello glo- bale. Oltre alle maggiori Società scientifiche di diabetologia, anche i Governi dei Paesi industrializzati stanno mettendo a punto strategie per arginare la diffusione della malattia soprattutto considerando l’alto impatto sociale determinato dalla sua cronicità, dall’incidenza di eventi acuti e delle complicanze croniche invalidanti, dall’interessamento di fa- sce sociali professionalmente attive e, soprattutto nelle ultime decadi, dall’anticipazione della diagnosi (spostamento dell’insorgenza sempre più in giovane età).

Per questi motivi la Commissione Nazionale Diabete del Ministero della Salute nel Piano sulla malattia diabetica (1), oltre a concentrare l’attenzione sulle “principali vie per affrontare le problematiche relative alla malattia, individuando obiettivi centrati sulla prevenzione, sulla diagnosi precoce, sulla gestione della malattia e delle complicanze, sul mi- glioramento dell’assistenza e degli esiti”, focalizza l’attenzione su aspetti non strettamente clinico-gestionali. Si legge infatti che “per prevenire il diabete e ridurne l’impatto sociale è tuttavia necessario che il Servizio sanitario nazionale nelle sue articolazioni, le Associazioni di Pazienti, la Comunità medica e scientifica, le persone con diabete e tutti coloro che li assistono si adoperino per assicurare un efficace coordinamento dei Servizi”.

In quest’ottica, la tecnologia andrebbe vista non soltanto come strumento di cura del diabete (dai microinfusori di insulina ai glucometri, dalla cartella clinica alla telemedicina), ma soprattutto come arma efficace nella prevenzione e nella divulgazio- ne di conoscenze atte a mettere in pratica stili di vita e comportamenti in linea con quanto indicato dalle Società Scientifiche. Di seguito pertanto verranno trattate le modalità di comunicazione (tralasciando quella face-to-face), diffusione delle conoscenze in tema di diabete e di fund raising come mezzi per sensibilizzare l’opinione pubblica e finanziare progetti, appunto, per divulgare le conoscenze scientifiche.

COMUNICAZIONE E DIVULGAZIONE

Nell’attività clinica ambulatoriale gran parte dell’impegno delle figure mediche e paramediche è teso a contestualizzare il diabete, a spiegare probabili cause e possibili evoluzioni della malattia. Ancora più frequente, poi, risulta necessario informare, cercando di scardinare pregiudizi e cultura popolare, fatta di credenze e casi aneddotici. A ciò va aggiunta la sempre più diffusa tendenza di informazione offerta dai mass media e da internet, di acquisire informazioni poco chiare e non sempre corrette.

Da qui la necessità di educare (nel senso stretto del termine, e-ducare: mettere in atto le inclinazioni buone dell’animo e combattere le inclinazioni non buone).

La prima fonte di informazioni è, al giorno d’oggi, internet.

Inserendo su uno dei principali motori di ricerca (Google.it) il termine “diabete mellito”, avremo a disposizione circa 480.000 risultati (di poco superiori a quelli conseguenti alla ricerca di “infarto del miocardio”, 469.000) (2).

C O M U N I C A Z I O N E , D I V U L G A Z I O N E E F U N D R A I S I N G I N D I A B E TO LO G I A

Nella prima pagina, però, nessun link a disposizione ha provenienza “istituzionale”, cioè di provenienza dalle principali società scientifiche (SID o AMD, per esempio) o da fonti più ufficiali (Ministero della Salute). Oltre ad alcuni link a ca- rattere prettamente pubblicitario, a disposizione risultano esserci alcuni siti collegati ad associazioni di pazienti e uno dei principali siti di consultazione quale Wikipedia, che è appunto “un’enciclopedia online, collaborativa e gratuita, […] liberamente modificabile: chiunque può contribuire alle voci esistenti o crearne di nuove”. Pertanto, la libertà di colla- borazione, peraltro gratuita, non garantisce la correttezza del dato inserito così come la veridicità dello stesso.

La laicità delle informazioni disponibili su internet ritarda la presa di coscienza delle malattie, divulgando non raramen- te falsi miti ed errate aspettative (diete non equilibrate, trattamenti farmacologici non testati, ecc.). E questo genera confusione e disorientamento nelle persone con diabete, soprattutto alla diagnosi. Facciamo alcuni esempi.

Inserendo sul motore di ricerca “come curare il diabete”, non si ha la possibilità di consultare, nella prima pagina dei risultati, alcun sito istituzionale e/o scientifico (SID o AMD o di qualunque altra associazione per diabetici) (3). Inoltre, non è raro imbattersi su link ormai datati, anche di 3-4 anni, che pertanto non forniscono un quadro aggiornato e pre- ciso.

Stessa tipologia di risultati scaturisce dalla ricerca di “insulina diabete”. Anzi, nella prima pagina di risultati (spesso l’unica ad essere consultata dalla maggior parte degli utenti di internet), le informazioni fornite sulla terapia insulinica sono fornite da Aziende che producono insulina e/o presidi necessari alla somministrazione della stessa (4).

La situazione peggiora quando si interroga il motore di ricerca su come “guarire dal diabete” e “alimentazione per dia- betici”, in cui davvero esigue sono le fonti attendibili, a fronte della numerosa lista di link disponibili che hanno scarsa rilevanza scientifica (siti che danno anche consigli estetici) e che si basano spesso su credenze popolari.

Peraltro serpeggianti risultano essere ancora le errate conoscenze popolari circa il diabete. Oltre ad essere quotidiana- mente osservato nell’attività assistenziale, questo aspetto è ampiamente confermato da quello che si trova sui principali social networks, da Facebook a Twitter, dove si danno consigli, di non certificata provenienza, su alimentazione e tera- pia in modo non strutturato.

Il panorama internazionale, invece, è caratterizzato dalla ricerca di informazioni più precise e dettagliate. Basti pensare che cercando sul dominio Google.com, la ricerca del termine “diabetes mellitus” darà come risultati siti “scientifici”, come il sito della rivista Diabetes Care o l’homepage dell’Associazione Americana di Diabetologia (ADA) (5).

La caratterizzazione delle informazioni richieste e disponibili risultano maggiormente particolareggiate, tracciabili e attendibili. Questo riflette la maggiore presenza on-line e on-the-web tipica della cultura anglosassone.

Questo è testimoniato anche dalla possibilità di ricercare su Twitter, come anche su Facebook, con maggiore facilità informazioni scientifiche sul diabete, sulla sua fisiopatologia, così come la connessione ad associazioni di persone con diabete.

L’aspetto, però, che non andrebbe sottovalutato ad ogni latitudine, è la capacità di discriminare le fonti attendibili e quelle che affrontano le tematiche sanitarie con superficialità. Se internet ha permesso una diffusione della conoscenza su vasta scala, dall’altra parte consente la presenza di informazioni provenienti da persone o associazioni il cui unico obiettivo sembrano essere i proventi pubblicitari.

Per quanto concerne le associazioni di pazienti diabetici, sempre nel Piano della malattia diabetica è scritto che “le Associazioni di persone con diabete svolgono un’azione collettiva, responsabile, solidale ed hanno un ruolo importante nell’assisten- za, specialmente in questo particolare momento storico in cui le risorse destinate ai servizi si riducono in modo vistoso” e, quindi “devono essere costituite da volontari, che agiscono in forma di attività senza scopi di lucro, coinvolti diretta- mente o indirettamente nella patologia”. Per tale ragione, si sottolinea nello stesso documento che l’associazionismo deve avere “una formazione adeguata nel percorso di salute sia per il diabetico sia per le persone a rischio di diabete”. La situazione italiana è caratterizzata dalla presenza di diverse associazioni di pazienti, soprattutto di quelle per l’assi- stenza e il supporto di famiglie di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1.

Data la natura e la tempistica della malattia (che colpisce in età pediatrica e adolescenziale), le famiglie ricorrono subito ad un secondo consulto, che nella maggior parte dei casi è rappresentato dal web.

Abitualmente, nei centri specializzati per la diagnosi e il trattamento del diabete mellito di tipo 1, si crea una rete di conoscenze che porta i genitori o i familiari del paziente a scoprire, confrontarsi e conoscere gruppi associativi che per il più delle volte sono a carattere locale.

In ambiente extra-ospedaliero, infatti, i campi scuola rappresentano una vera e propria fruizione di conoscenze per la gestione e la cura della malattia, dall’autogestione del controllo glicemico all’utilizzo della tecnologia. La parte teorica e pratica è garantita nella maggior parte dei casi da medici ed infermieri qualificati, con altre figure specialistiche come dietisti e psicologi.

Questa formazione-assistenza offerta alle persone con diabete di tipo 1 è nettamente superiore all’educazione disponi- bile per quelle persone a rischio o già con diagnosi di diabete di tipo 2. Oltre alla frammentazione organizzativa, scarsi sono gli impegni extra-ospedalieri, insufficiente è il coinvolgimento dei familiari e inadeguato risulta il supporto locale. Le iniziative a livello nazionale non mancano di certo, ma sono spesso poco pubblicizzate e, quindi, non riescono a sfrut- tare la cassa di risonanza adeguata per poter diffondere conoscenze e competenze.

E questo è un aspetto altamente limitante, soprattutto se si pensa che la formazione e l’educazione sanitaria che i campi scuola per i piccoli pazienti garantiscono, hanno un grado di istruzione adeguato e soprattutto spesso complementare con quello che la Sanità pubblica, per diversi motivi che non rientrano nelle tematiche qui affrontate, non riesce a garantire. La frammentazione locale, poi, porta ad una organizzazione fondamentalmente su base volontaria. E, come scritto nel Piano della malattia diabetica, “talora i volontari hanno conoscenze, tecniche e amministrative limitate e non in grado di intervenire efficacemente nelle attività previste dall’organizzazione. Ciò, riduce l’efficienza e l’efficacia del loro impe- gno sia nei confronti della persona con diabete, che nei rapporti col sistema sanitario e le Istituzioni”.

A livello internazionale, confrontandoci con realtà con tessuto sociale più organizzato, le associazioni di pazienti hanno un riconoscimento formale, sono ugualmente su base volontaria ma godono di assistenza scientifica da parte di figure mediche specializzate.

Il finanziamento da parte di enti scientifici permette la formazione del volontario, garantisce l’attendibilità delle cono- scenze diffuse e permette, infine, una capillare presenza sul territorio e un monitoraggio continuo delle attività svolte. Il quadro italiano si caratterizza per una forte frammentarietà della conoscenza disponibile su internet, su una cultura popolare che risulta marcatamente radicata e difficilmente modificabile.

Per questo motivo, è necessario che in Italia ci sia una formazione adeguata dei volontari che si affacciano e che vogliono impegnarsi nell’assistenza non-medica dei pazienti diabetici; la formazione adeguata fornisce competenza, affidabilità e professionalità, qualità richieste da parte delle persone con diabete così come dalle istituzioni.

Quali possono essere, quindi, le linee di intervento per superare le criticità.

Tenendo conto dell’impossibilità di modificare la situazione sovrastrutturale (che la contingenza economica impone), è necessario che ci sia una formazione adeguata (formazione come capacità di ascoltare i bisogni e fornire sostegno e soluzioni), che si creino dei gruppi di lavoro e di commissioni centrali e locali in cui sia garantito l’impegno delle Società Scientifiche nella formazione ed educazione del personale volontario. In tal modo, l’endorsement scientifico rende la for- mazione robusta e l’assistenza offerta attendibile e veritiera.

FUND RAISING

Secondo il censimento ISTAT (Censimento industria, istituzioni pubbliche e non profit 2011) (6), in Italia ci sono oltre 347.000 organizzazioni non profit, 4,7 milioni di volontari e poco meno di un milione di lavoratori a vario titolo. I numeri sono in netta crescita rispetto a quelli del 2004 (235.000 organizzazioni non profit). Il settore della cultura e dello sport assorbe il 65% del totale delle istituzioni non profit, seguito dai settori dell’assistenza sociale (con 25.000 istituzioni), delle relazioni sindacali e di rappresentanza (16.000 realtà), dell’istruzione e ricerca (15.000 istituzioni).

Ma, come si legge ne Il Sole 24 ore, “le potenzialità sono enormi ma una normativa di sostegno, frutto di una politica di incentivi fiscali, è ancora ferma alla fase della promessa. Il settore del non profit in Italia macina già grandi numeri: vale oggi il 4% del Pil. A sua volta il fund raising viaggia su una media di 5-6 miliardi di raccolta all’anno. Grandi numeri nello scenario di un Paese che paga il prezzo di un ritardo storico rispetto all’area anglosassone. Microscopici se confron- tati con quelli che arrivano dagli Stati Uniti, dove la raccolta è arrivata a 400 miliardi di dollari […]. Le potenzialità di sviluppo sono importanti, però manca ancora una legislazione che ne favorisca la crescita, a partire da una politica di deduzioni fiscali” (7).

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riato, risente molto delle diverse leggi in materia economica e finanziaria che non incentivano la raccolta fondi – oltre alla scarsa conoscenza della normativa vigente (8, 9) –, penalizzando in modo ulteriore le possibilità per fare ricerca. Infatti siamo molto lontani dal poter raggiungere i Paesi di riferimento. E, anche qui, il motore di ricerca di Google ci mostra come il fund raising sia un’attività molto comune e diffusa nei principali Paesi anglofoni, dall’Inghilterra all’Au- stralia, passando ovviamente attraverso gli Stati Uniti, differentemente dall’Italia dove questo aspetto è scarsamente considerato.

E i motivi vanno ricercati nel complesso contesto socio-economico italiano.

Nel non-profit, l’associazione gestisce risorse donate da soggetti esterni, garantendo sostegno a formazione e divulga- zione. In campo diabetologico, i finanziatori risultano essere privati, su base volontaria; quindi beneficiari e donatori spesso coincidono. Inoltre, nelle organizzazioni non-profit, il finanziamento che proviene da privati o da aziende non risponde a necessità di mercato, diversamente dal pianeta diabete, dove, per ovviare a mancanza di finanziamenti pub- blici, le iniziative e le associazioni sono finanziate da aziende che hanno nel campo diabetologico il loro core-business. Oltre a ciò, la raccolta fondi in Italia deve fare i conti con una scarsa pubblicità, quindi scarsa conoscenza della possi- bilità del finanziamento privato, sono poco o mal utilizzati i mezzi di comunicazione, i siti online sono poco curati e difficilmente sono tracciabili donatori e fondi erogati, scarseggia la giustificazione e la rendicontazione delle iniziative finanziate dal fund raising, oltre ad esserci una limitata capacità di inventiva e di progettualità a medio termine. Manca, sostanzialmente, un concetto di fund raising adeguato: si crede sia un modo “per fare la carità” o di “chiedere denaro per nulla”. L’idea, peraltro del tutto anglosassone, è quella che si deve intessere un rapporto tra donatore e orga- nizzazione, tra finanziatore che vuole contribuire a rendere migliore l’assistenza o promuovere una precisa iniziativa di studio-ricerca e beneficiario che si impegna ad attuare un progetto utile e con un fine preciso.

Il diabete mellito di tipo 2, poi, è visto come una “colpa” individuale, che nulla deve richiedere alla comunità. Pertanto, anche nelle Giornate istituzionali di prevenzione per il diabete, c’è un avvicinamento timoroso, quasi pregiudiziale, nei confronti dei volontari che a diverso titolo vogliono offrire mezzi conoscitivi. Il diabete di tipo 2, visto nella sua eccezione negativa della cultura popolare, “lo si merita per quello che si è fatto nella vita”, quindi, non merita attenzione da parte di chi “si crede sano”.

Diversamente, il diabete mellito di tipo 1, per sua natura, sensibilizza l’opinione pubblica in maniera maggiore; risulta più agevole, sebbene non facile, l’associazionismo soprattutto da parte dei genitori di bambini e ragazzi affetti da dia- bete di tipo 1 e, quindi, la possibilità di raccogliere fondi per progetti e finalità ben precise.

E anche per quanto concerne il fund raising, il motore di ricerca con dominio italiano, Google.it, rispecchia la situazio- ne presentata.

Ricercando su Google “fondi per diabete”, quindi topic fruibile da parte di persone con diabete o interessate a finanziare la ricerca scientifica così come da parte di ricercatori, il quadro appare dicotomico. Dopo i primi risultati istituzionali che riguardano società scientifiche che raccolgono e distribuiscono fondi per la ricerca, rimangono a disposizione colle- gamenti molto poco informativi, spesso marcatamente interessati (10).

Il comune denominatore, però, risulta essere sempre l’impossibilità da parte del potenziale donatore di verificare e trac- ciare la propria donazione o risalire alle modalità di utilizzo da parte delle organizzazioni dei proventi del fund raising. Aspetto interessante, inoltre, è la scarsa organizzazione strutturale nella raccolta fondi. A parte alcune associazioni regionali (Emilia-Romagna, per esempio), la raccolta fondi è suddivisa su diverse organizzazioni, anche a carattere sin- golo, che non danno impressione di trasparenza e capacità pianificatrice.

In Gran Bretagna, così come in Stati Uniti, le Società Scientifiche e/o istituzionali che si occupano di informare e for- mare, hanno anche il compito di provvedere alla raccolta fondi in continnum (in Italia la sensibilizzazione alla raccolta fondi è occasionale, in occasione di Giornate e/o meeting più o meno pubblicizzati). L’American Diabetes Association, la National Institute of Health, il Centers for Diseases Control and Prevention sono i primi link a disposizione quando ricerchiamo la parola diabete e/o fondi in USA.

Le linee di intervento per migliorare questo aspetto, quindi, devono tendere a: – una maggiore conoscenza della legislazione;

– una migliore organizzazione delle Organizzazioni;

– pubblicizzare intenti e scopi in modo capillare, sul web così come sui principali social networks; – una rendicontazione attenta dei fondi raccolti e dei progetti finanziati.

In conclusione, se le cause del manifestarsi di quella che viene definita come una vera e propria epidemia del diabete sono sostanzialmente le seguenti:

1) iperalimentazione, con regimi alimentari ipercalorici; 2) stile di vita sedentario;

3) diffusione di sovrappeso e obesità; 4) invecchiamento della popolazione;

allora una diffusione capillare di informazioni scientifiche su vasta scala potrebbe essere in grado di modificare la cono- scenza individuale sulla malattia e sui rischi ad essa connessa, e soprattutto sulla possibilità, intervenendo sullo stile di vita e di alimentazione, di ritardare la diagnosi e arrestare, o almeno rallentare la progressione della malattia e delle sue complicanze.

Per poter migliorare le aspettative nella prevenzione del diabete, ottimizzare la gestione della stessa malattia nelle per- sone con diagnosi nota e consentire un supporto migliore da parte delle famiglie, si deve puntare ad assicurare: 1. centralità di pochi siti istituzionali a carattere scientifico: l’eccessivo frazionamento di associazioni e società consen-

te a terze persone di inserirsi nel panorama del web, fornendo conoscenze poco attendibili e non verificabili;

2. aggiornamento continuo: oltre ai pochi siti a carattere scientifico rivolti prevalentemente a professionisti, la mag- gior parte dei siti che forniscono notizie scientifiche sono scarsamente aggiornati, incrementando confusione e ag- gravando il gap tra paziente e malattia;

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che ha limitato ulteriormente il finanziamento dell’attività di ricerca, è necessario garantire una maggiore diffusio- ne dei finanziamenti a disposizione, tenendo traccia degli investimenti fatti e delle progettualità finanziate; 4. incremento degli investimenti sulla comunicazione: poche società scientifiche possono garantire personale ammi-

nistrativo coinvolto nella comunicazione. Questo rappresenta un vero limite che, quando associato alla scarsità degli investimenti possibili, rende la fruizione delle conoscenze frammentaria e scarsamente utile sotto il punto di vista della salute del paziente.

BIBLIOGRAFIA

1. http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_1885_allegato.pdf.

2. https://www.google.it/?gws_rd=ssl#q=diabete+mellito (ricerca eseguita in incognito, 13 marzo 2016 h 18:45).

3. https://www.google.it/search?q=dieta+e+diabete&oq=dieta+e+diabete&aqs=chrome..69i57.4339j0j1&sourceid=chrome& es_sm=122&ie=UTF-8#q=come+curare+diabete (ricerca eseguita in incognito, 13 marzo 2016 h 18:45).

4. https://www.google.it/search?q=dieta+e+diabete&oq=dieta+e+diabete&aqs=chrome..69i57.4339j0j1&sourceid=chrome& es_sm=122&ie=UTF-8#q=insulina+diabete (ricerca eseguita in incognito, 13 marzo 2016 h 18:46).

5. https://www.google.com/?gfe_rd=cr&ei=pqflVsLNIsbD8gf765mIDw&gws_rd=cr#q=diabetes+mellitus&tbas=0 (ricerca esegui- ta in incognito, 13 marzo 2016 h 18:45).

6. http://dati-censimentoindustriaeservizi.istat.it/Index.aspx.

7. http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-05-15/in-italia-fundraising-vale-gia-sei-miliardi-ma-europa-e- ancora-lontana-112509.shtml?uuid=ABd1SRIB.

8. Legge 11 agosto 1991, n. 266, “Legge-quadro sul volontariato”.

9. Decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”.

10. https://www.google.it/search?q=dieta+e+diabete&oq=dieta+e+diabete&aqs=chrome..69i57.4339j0j1&sourceid=chrome& es_sm=122&ie=UTF-8#q=fondi+per+diabete (ricerca eseguita in incognito, 13 marzo 2016 h 18:46).

Nel documento Consulenza genetica e diabete (pagine 122-128)