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1.2 Annio e le città abruzzesi Cittaducale e Penne
Nel 1498, presso i torchi di Eucario Silber, vedevano la luce a Roma i Commentaria
super opera diversorum auctorum de antiquitatibus loquentium di Giovanni Nanni417 (ca. 1432-1502), frate domenicano più noto sotto il nome di Annio da Viterbo. Questi, dopo aver trascorso un ventennio a Genova, nel 1489 aveva fatto rientro nella città natale e qui si era immerso in studi di carattere storico-letterario riuscendo a pubblicare, prima ancora dello scadere dei dieci anni dal suo ritorno a casa, l‘opera monumentale.
Stampato in un elegante volume reso solenne dalla scrittura gotica «giving a nice impression of classical or biblical status»418, il testo era stato dedicato ai Re cattolici di Spagna, Ferdinando e Isabella, e dunque supportato da una genealogia che, per un indispensabile intento encomiastico, legava i monarchi iberici ad Isis e ad Osiris419. L‘opera comprendeva la pubblicazione, in sedici libri, di testi antichi420 – rigorosamente falsificati dal viterbese – corredati di complessi commentari ricchi di innumerevoli citazioni prese dalle fonti più disparate, dalle Sacre Scritture agli autori classici greci e latini, ad apocrifi421 ed epigrafi, anch‘esse fabbricate dall‘autore. Un‘opera densa che, nel secolo d‘oro della filologia italiana, per la sua – seppur solo apparente – ineccepibile integrità, non aveva suscitato critiche in autorità del campo, quali Ermolao Barbaro e
417 Sulla figura di Annio da Viterbo cfr. R. WEISS, Traccia per una biografia di Annio da Viterbo, in «Italia medievale e moderna», 5 (1962), pp. 425-441; E. FUMAGALLI, Aneddoti della vita di Annio da Viterbo
O.P., I: Annio e la vittoria dei Genovesi sugli Sforzeschi, II: Annio e la disputa sull‟Immacolata Concezione,
«Archivum Fratrum Praedicatorum», 50 (1980), pp. 167-199, e III: Dall‟arrivo a Genova alla morte di
Galeazzo Maria Sforza, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», 52 (1982), pp. 197-218; R. BIZZOCCHI, Genealogie incredibili, cit., pp. 25-28 e passim. Il rientro nella città nativa era stato necessario in seguito al
diverbio scoppiato con le gerarchie dei frati predicatori a causa della decisione del Nanni di sostenere pubblicamente la tesi dell‘immacolata concezione di Maria (tesi cara ai francescani ma avversata dai domenicani), maturata dopo l‘episodio di un presunto miracolo.
418 A. GRAFTON, Traditions of Invention and Invention of Tradition in Renaissance Italy: Annius of Viterbo [1990], in ID., Defenders of the Text: the Tradition of the scholarship in an age of Science, 1450-1800, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1991, p. 80.
419 Il De primis temporibus et quatuor ac viginti regibus primis Hispaniae et eius antiquitate fu probabilmente composto poco prima della stampa – segno che la scelta sulla dedica era stata presa anch‘essa con ritardo – tanto da non comparire nemmeno nel sommario dell‘opera. In merito cfr. E. FUMAGALLI, Un
falso tardo-quattrocentesco, lo pseudo-Catone di Annio da Viterbo, in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, a cura di R. AVESANI, M. FERRARI, T. FOFFANO, G. FRASSO, A. SOTTILI (a cura di),
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1984, p. 359.
420 Di essi si offriva unicamente la traduzione latina, «che diceva essergli stata consegnata da frati misteriosi e indicati sempre in modo piuttosto vago» (E. FUMAGALLI, Tra falsari e politici: Annio da Viterbo, Jean
Lemaire de Belges e un frutto perverso dell‟Umanesimo italiano nella cultura francese, in L. SECCHI
TARUGI (a cura di), Rapporti e scambi tra Umanesimo italiano ed Umanesimo europeo, Nuovi Orizzonti, Milano 2001, p. 185).
421 Precisa Grafton: «[…] by real Greek authors like Archilochus, Berosus, and Manetho; by imaginary Greek authors like Metasthenes - a perversion of Megasthenes, the name of a Greek who wrote ca. 300 B.C. about India -; and by noble Romans like Cato, Fabius Pictor, and Propertius - exceptionally, this last text was genuine» (A. GRAFTON, Traditions of Invention and Invention of Tradition, cit., p. 80).
Angelo Poliziano, e che successivamente avrebbe saputo convincere anche eruditi come Jean Bodin e Giuseppe Scaligero422.
Progressivamente, nel corso del Cinquecento, cominciarono a susseguirsi le critiche di numerosi eruditi che, forti di una sensibilità nuova, diffidavano delle scoperte anniane, quali il domenicano spagnolo Melchor Cano423, il coevo teologo e dotto portoghese appartenente all‘ordine francescano Gaspar Barreiros424, e ancora l‘erudito fiammingo Goropio Becano425.
Ma ormai l‘opera anniana si era diffusa a macchia d‘olio in Italia e nel resto d‘Europa, fonte insostituibile per ricostruire le vicende dei primi abitatori delle innumerevoli ―patrie‖ e ―nazioni‖ del Vecchio Continente: Annio, infatti, aveva elaborato le Antiquitates nell‘intento principale di ricostruire le origini remote della sua città natale, Viterbo, e lì aveva trovato terreno fertile per il successo delle sue tesi dal momento che, come ci riferisce lui stesso nel testo, in città vi era un nutrito gruppo di persone che in quegli anni studiava la storia di Viterbo. Al tempo stesso aveva offerto spunti per ricomporre il puzzle della storia delle origini sia delle città italiane sia di quelle d‘oltralpe426.
Facendo riferimento ai falsi Beroso, Manetone e Metastene, il domenicano aveva ricostruito le vicende dei tempi di Noè, che egli identificava con Giano e con Enotrio. Allontanando l‘attenzione dalle Sacre Scritture, Annio si era avvicinato all‘ebraismo attraverso altre fonti: a prevalere sul testo biblico erano ora le tradizioni etniche, e dunque la fonte orale (la ―haggadah‖) su quella scritta (la ―halakhah). Secondo il falsario, lo scrigno più antico del sapere storico, e dunque il più attendibile - perché «antichità nelle concezioni orientaleggianti di Annio equivale a verità e sapienza»427 -, era rappresentato dagli annali sacerdotali che avevano garantito la conservazione della memoria storica dei Quattro Imperi (Assiro, Persiano, Greco e Romano); il filo della memoria era stato poi recuperato e conservato attraverso l‘opera del retore e storico greco Dionigi di Alicarnasso, che aveva saputo condensare nella sintesi storica, ampia e vivace, delle Antiquitates
Romanae il passato della città di Roma dalla sua fondazione allo scoppio della prima
guerra punica, e successivamente dalle cronache cittadine scritte in età medievale.
Dionigi veniva esaltato rispetto al coevo Tito Livio, screditato per essere stato il primo sostenitore della grandezza di Roma e perché prefigurazione del moderno Biondo che
422 Quest‘ultimo avrebbe accettato e addirittura passato al Lachmann le varianti anniane al testo di Properzio: cfr. Catulli, Tibulli, Propertii nova editio. Iosephus Scaliger, Iul. Caesaris f., recensuit. Eiusdem in eosdem
castigationum liber, apud M. Patissonium, Lutetiae 1577 e Sex. Aurelii Propertii Carmina emendavit ad Codicum meliorum fidem et annotavit Carolus Lachmannus, apud G. Fleischer j., Lipsia 1816.
423 Cfr. A. BIONDI (a cura di), L‟autorità della storia profana (De humanæ historiæ auctoritate) di Melchor
Cano, Giappichelli, Torino 1973.
424 Autore di un trattatello scritto in portoghese contro le falsificazioni di Annio, pubblicato in appendice alla sua Chorographia (1561), e successivamente riveduto e edito in latino a Roma nel 1565.
425 «Flemish polymath Goropius Becanus» in A. GRAFTON, What was history? The art of history in early
modern Europe, Cambridge University Press, Cambridge 2007, p. 101.
426 A. MOMIGLIANO, Storia e storiografia antica, Il Mulino, Bologna 1987, p. 180. Sulla vivacità cultutale di Viterbo alla fine del Quattrocento si veda Cultura Umanistica a Viterbo, Atti della giornata di studio per il V centenario della stampa a Viterbo, 12 novembre 1988, Assoc. Roma nel Rinascimento, Viterbo 1991.
427 R. FUBINI, L‟ebraismo nei riflessi della cultura umanistica, in ID., Storiografia dell‟Umanesimo in Italia
aveva osato definire Viterbo «urbem parum vetustam»428.Mosè appariva come il testimone di un‘era successiva rispetto a quella delle origini, la testimonianza principale era ora quella dei Caldei e «la precedenza di Beroso su Mosè suppone[va] un primato della sapienza astrologica su quella teologica, al modo stesso in cui, al secolo, Giovanni Nanni astrologo precedeva il teologo per fama ed impegno»429.
In Europa, e in particolar modo laddove la tradizione sulla storia delle origini era povera – come in Spagna e in Germania – le falsificazioni di Annio da Viterbo vennero accolte con particolare interesse perché offrivano la possibilità di far luce sulle tenebre in cui era avvolta la storia dei popoli europei prima del contatto con l‘antica Roma, e di ricostruire il proprio passato affermando una vetustas in grado di competere con l‘imponente storia dei Greci e dei Romani430.
La stessa «tradizione a stampa dell‘opera, pressoché ininterrotta per oltre un secolo, testimonia il successo o comunque la curiosità che essa continuava a suscitare»431; ben presto ne erano stati elaborati i volgarizzamenti, che permettevano una consultazione più scorrevole del testo: in Italia la prima traduzione era stata composta dal modenese Pietro Lauro, pubblicata prima in un‘edizione miscellanea nel 1543432, e finalmente nel 1550 sotto il titolo de I cinque libri de le antichità de Beroso sacerdote Caldeo. Con lo
commento di Giovanni Annio di Viterbo teologo eccellentissimo, per i tipi di Baldassarre
Costantini a Venezia.
428 F. BIONDO, Italia illustrata, G. Frobenio e N. Episcopio, Basilea 1559, p. 311. Al lavoro di ricerca storiografica dell‘umanista forlivese, impegnato a trovare il riscontro del dato storico nelle fonti rinvenute e non a falsificarne di altre, Annio aveva contrapposto un monumentale racconto mitico che legava il nome e l‘origine di Viterbo, «veterum verbum», all‘età post-diluviale, epoca di gran lunga precedente rispetto a quella di tante figure emblematiche delle Sacre Scritture e anche rispetto al tempo dei leggendari viaggi degli eroi troiani lungo le coste della penisola italiana. Inevitabilmente Annio entrava «in implicita concorrenza con la concezione profetica e messianica della successione degli Imperi, opponendovi una prospettiva storica assolutamente regressiva, [...] all‘esterno del tempo e delle attese bibliche. La finalità sta alle spalle, alle mitiche radici della storia in cui si riconosce l‘età dell‘oro: ad essa riconducono i ―veracissimi caldei‖, le cui memorie furono raccolte e autenticate da Beroso, ―et idcirco eum solum sequuntur Persae‖(Antiquitates, I, c. 6vb)» (R. FUBINI, L‟ebraismo, cit., p. 321).
429 Ivi, p. 324.
430 E. FUETER, Storia della storiografia moderna (1911), trad. it. a cura di A. SPINELLI, R. Ricciardi, Milano-Napoli 1970, p. 286. Scrive Anthony Grafton: «Nanni wanted not to complement but to replace the Greek historians» (A. GRAFTON, Forgers and Critics. Creativity and Duplicity in Western Scholarship, Princeton University Press, Princeton 1990, p. 104). A Parigi e a Londra i falsi testi antichi erano usciti dai torchi già nel 1510 (a distanza di soli dodici anni dall‘edizione romana) privi dei commenti anniani. L‘opera veniva dunque messa a disposizione di tutti coloro che avessero voluto più facilmente esaminare gli ―antichi‖ scritti, anche senza la mediazione dei Commentaria, in modo da poter ricondurre, attraverso il mito anniano, l‘origine della propria città agli albori della creazione, oltrepassando la vetustas delle potenti città che governavano il proprio territorio e rivendicando dunque la propria autonomia e la propria identità storica, culturale e politica.
431 G. PETRELLA, Fra Leandro e le falsificazioni di Annio da Viterbo, in ID., L‟officina del geografo . La
«Descrittione di tutta Italia» di Leandro Alberti e gli studi geografico-antiquari tra Quattro e Cinquecento,
Vita e pensiero, Milano 2004, p. 59.
432 Ditte Candiano Della guerra Troiana. Darete Frigio Della rouina Troiana. Declamatione di Libanio
Sofista. Mirsilio Lesbio Dell‟origine d‟Italia, e de Tirreni. Archiloco De tempi. Beroso Babilonio Dell‟antichita. Manethone De i re d‟Egitto. Metasthene Persiamo Del giudicio de tempi, & annuali historie de Persiani. Quinto Fabio Pittore dell‟Aurea eta, e dell‟origine di Roma. Caio Sempronio Della diuisione d‟Italia, & origine di Roma, Vincenzo Valgrisi, Venezia 1543. L‘opera contiene scritti di vari autori, i primi
In quello stesso anno Leandro Alberti pubblicava, a Bologna, la Descrittione di tutta
Italia, nella quale si contiene il sito di essa, l‟origine et le Signorie delle Città et delle Castella. Anch‘egli aveva usato le etimologie anniane per spiegare la storia delle città
italiane e, dunque, anche attraverso la sua opera, il mito noachico aveva pervaso molteplici storie locali. I riferimenti al falso Beroso e alle inverosimili integrazioni di Catone avevano permesso a lui per primo di dare lustro alle grandi città degli Stati italiani e parallelamente anche alle realtà municipali più piccole, soddisfacendo le curiosità di un pubblico di lettori smanioso di venire a conoscenza di mitiche origini, superbe genealogie e leggende legate alla propria terra e ai propri avi433.
Gli scrittori che, lungo il corso del Cinquecento, si erano accinti ad elaborare la storia della propria patria cittadina preferivano sfruttare scritti storici precedenti piuttosto che materiale documentario primario, ed essi individuavano nella Descrittione albertiana il punto di partenza, il caposaldo di qualsiasi indagine di carattere storico-geografico.
«Origini mitiche e origini storiche erano il campo di battaglia dove si scontravano ambizioni di signorotti italiani, glorie municipali, genealogie incredibili di famiglie patrizie per la giustificazione di poteri effettivi del presente o di poteri egemonici per il futuro» e, dunque, «l‘invenzione di una genealogia noachica e post-diluviale»434 permetteva all‘Alberti e agli storici minori di oltrepassare sia la tradizione storiografica romana sia il mito omerico e le sue articolazioni letterarie successive, riuscendo a stupire, divertire e impressionare i propri lettori.
Leandro Alberti inseriva il mito di Noè sin nelle prime pagine della sua Descrittione, ponendo l‘opera del falsario e dei suoi autori (in particolare quella di Catone) a fondamento delle sue ricerche. Per primo aveva realizzato una grande opera di commistione tra le invenzioni favoleggianti di Annio e la tradizione delle popolazioni italiche che avevano realmente occupato la penisola in epoca preromana:
«Dico per tanto spiegando al vento le vele, che questa nobilissima Provincia hora ITALIA addimandata, hebbe il suo principio glorioso così di tempo, come di popoli (però che cominciò ne‘ tempi dell‘Aureo secolo) sotto gl‘Illustri Prencipi Giano, Camese, et Saturno, Fenici, et Saggi, riputati da gli antichi Dei. Et fu questa natione la prima, che mandasse habitori per il Mondo dopo il Diluvio universale, come scrive Catone nell‘Origini. A questa parte furono posti diversi, et varij nomi, secondo la diversità, et varietà de‘ tempi. Conciosia cosa che prima fu detta GIANICOLA da Giano, overo Noè, detto altrimenti Enotrio, come più oltre mostra Catone: et da costui similmente trasse il nome il nome di ENOTRIA, per esser egli stato, il primo, che
433 Passata dodici volte sotto i torchi in meno di cinquant‘anni dalla prima edizione, quest‘opera era «destinata, anche in ragione di ciò, a divenire testo di riferimento per ogni discorso relativo all‘Italia, nei due secoli successivi alla sua pubblicazione» (M. DONATTINI, Introduzione a ID. (a cura di), L‟Italia
dell‟Inquisitore. Storia e geografia dell‟Italia del Cinquecento nella Descrittione di Leandro Alberti, Atti del
Convegno Internazionale di Studi (Bologna, 27-29 maggio 2004), Bononia University Press, Bologna 2007, p. X).
434 A. PROSPERI, L‟Italia di un inquisitore, in M. DONATTINI (a cura di), L‟Italia dell‟Inquisitore, cit., p. 22.
ritrovò il vino, et farro atto a i sacrifici; imperò che i Greci addimandano il vino Enos. Nondimeno pare, che Dionisio Alicarnaseo nelle historie di Roma voglia, che traesse detto nome origine da Enotrio figliuolo di Licaone, il quale uscito di Grecia diciasette etadi innanzi l‘assedio di Troia, et navigando per il mar Ionio scese in questo luogo dimandato Ausonio da gli Ausoni habitatori, et quindi havendone scacciati i Barbari, co i compagni vi habitò, onde da lui tenne tutta quella Regione il nome. [...].
Vero è, che saper si dee come furo tre Enotri, il primo de‘ quali fu Giano, secondo Catone, l‘altro il figliuolo di Licaone, da Dionisio citato, et da Mirsillo Lesbio, del quale nella Puglia scriverò: il terzo fu il Re de Sabini, da chi pigliò il nome di Enotria quel paese de‘ Sabini avanti Italo, come scrive Varrone, et dimostra Servio sopra il 7. libro dell‘Eneide: benché Giano fosse quell‘antichissimo, da cui primieramente riportò il nome di Enotria il Latio, et la Etruria secondo Catone. Là onde da questi tre Enotri trassero il nome tre Enotrie, cioè l‘antica Italia da Giano, l‘altra da Enotrio Greco di Arcadia, cioè quella parte di Puglia, ove primieramente habitaro gli Ausoni, et la terza, quel Paese de‘ Sabini avanti descritto, da Enotrio loro Re, a queste Antioco aggiunge, la quarta Enotria, che è quel paese, il quale comincia al fiume Lavo termine della Lucania (hora detta Basilicata) lungo il mare inferiore per li Brutij infino al mare di Sicilia; et quindi al territorio di Metaponte, et appresso vuole, che tutta questa parte da tre lati del mare contenuta, che è fra il seno Ipponiato (detto oggidì il Golfo di Santa Eufemia) et lo Scillatico, al presente nominato di [2] Squilazzo, come poi ne‘ Brutij, overo nella Calabria, e nella Magna Grecia mostrerò, fosse dimandato Enotria, et Italia, e gli habitatori, Enotri, et Itali»435.
Ponendo la figura ―una e trina‖ di Noè-Giano-Enotrio nella genesi dei popoli della penisola, Alberti offriva agli eruditi di piccole e grandi città lo spunto per proiettare la fondazione della propria patria agli albori dell‘umanità, concedendo poi la libertà di disegnarne un percorso storico del tutto particolare, intrecciato alle tradizioni tramandate dai propri avi e alle tracce delle civiltà italiche preromane – monumenti, epigrafi, resti di edifici – che man mano emergevano e venivano recuperate sul territorio.
Così sul finire del XVI secolo, nell‘inedita Origine e fine della famosa città di
Cotilia436, l‘anonimo scrittore riconduceva la data di fondazione della città ad «anni cento dopo il diluvio universale» ad opera degli Aborigeni e dei Palatini, portando a sua testimonianza i soliti Dionigi di Alicarnasso e Beroso Caldeo, oltre che Alberti stesso. Cotilia sarebbe stata fondata per volere di Saturno che fu «figlio di Saturno Etiope che, dalla Sacra Scrittura si chiama Cius, cioè lo stesso che Ciano, ò Goroastro, così dalle Sacre Carte nominato, ma figlio di Noè, Padre dell‘umana generatione dopo il Diluvio». La fonte più recente cui l‘autore faceva riferimento era il vescovo reatino Mariano Vittori, figura laboriosamente partecipe durante le sedute del Concilio di Trento. Questi nel 1566 aveva intrapreso la stesura del De antiquitatibus Italiae et Urbis Reatis, primo tentativo – rimasto
435 L. ALBERTI, Descrittione di tutta l‟Italia, et isole pertinenti ad essa. Di fra Leandro Alberti bolognese.
Nella quale si contiene il sito di essa,l‟origine, & le signorie delle città, & de‟ castelli; co‟ nomi antichi, & moderni; i costumi de popoli, & le conditioni de paesi, P. Ugolino, Venezia 1596, pp. 9-10.
inedito – di ricostruzione della storia locale437, in cui ampio spazio era stato dedicato al mito delle origini cittadine nel Reatino.
Analogamente, sul finire del Cinquecento, Sebastiano Marchesi, storico di Cittaducale e tesoriere generale di Ranuccio Farnese I, si apprestava a descrivere la leggendaria fondazione di Cotilia nel suo Compendio istorico di Civita Ducale438, al fine di introdurre anche la propria città nel mitico intreccio delle origini remote.
Fondata nel 1309 dal re Carlo II d‘Angiò, «Città Ducale» – così denominata in onore di Roberto duca di Calabria, figlio di Carlo ed erede al trono – era collocata in un punto cruciale, di scontro e di interazione, tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli439. Nel corso del XVI secolo aveva ottenuto il titolo di Città ed era stata eletta sede di diocesi il 24 gennaio 1502, sotto quell‘Alessandro VI Borgia che tre anni prima aveva nominato l‘ormai celebre Annio da Viterbo ―Maestro del Sacro Palazzo‖. Assegnata dall‘imperatore Carlo V a Margherita d‘Austria, sua figlia naturale, la città entrò a far parte dei cosiddetti ―Stati farnesiani d‘Abruzzo‖, in seguito al matrimonio della Madama con il duca di Parma e Piacenza, Ottavio.
Sebastiano Marchesi si inserì nell‘orbita della corte ducale di Piacenza nel 1593, cum
potestate substituendi440, e vi sarebbe rimasto fino alla morte, avvenuta tra il 24 ottobre 1607 e il 14 gennaio 1608. L‘incarico assunto gli procurò non pochi disagi, che si sarebbero in seguito rovesciati sulle finanze di famiglia, ma al tempo stesso gli consentì di ottenere privilegi altrimenti difficilmente raggiungibili441. In alcune di queste circostanze dovette essere essenziale la mediazione di un altro attore della corte farnesiana. Consigliere segreto del duca di Parma, agente in Roma e luogotenente generale, prima per Alessandro e poi per Ranuccio I, il nobile Papirio Picedi (1528-1614) aveva lavorato e stretto amicizia con Marchesi a Napoli. È a lui che lo scrivente intendeva dedicare la propria opera. Infatti, guardando con più attenzione la più antica copia manoscritta del Compendio istorico, conservata a Parigi presso la Bibliothèque Nationale, sul recto della prima carta, dove compare il timbro regale francese, si scorge una scrittura sbiadita, consumata dal tempo e
437 Se ne conoscono due esemplari, l‘uno conservato presso la Biblioteca Comunale di Rieti (coll. 13s),