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La memoria e la storia locale 1. Le tradizioni memorialistiche

1.3 Storie regionali

In altre aree della penisola, già nel corso del Cinquecento cominciano a proliferare monografie regionali241, espressione – seppur rudimentale – di una nascente coscienza regionalistica, «sotto la forma embrionale di consapevolezza di appartenere a una regione in qualche modo ―naturale‖, come realtà mutevole nel corso della storia, ma proprio per questo più durevole di ogni ripartizione politica»242; diversamente, gli eruditi abruzzesi non manifestano alcuna propensione a pensarsi e a rappresentarsi in termini di appartenenza regionale; come si è visto, tende, invece, a prevalere lungo tutto il XVI secolo, un risveglio del sentimento patriottico cittadino, espressione di un senso di appartenenza legato alla città più che al territorio243.

Bisogna attendere Francesco Brunetti, nella prima metà del Seicento, per individuare una storia della regione, che testimoni la presa di coscienza di un‘identità territoriale più

240 G. GALASSO, Le forme del potere, classi e gerarchie sociali, in Storia d‟Italia. Annali, Einaudi, Torino 1978, Vol. I, p. 481.

241 Un esempio significativo è riscontrabile nella vicina regione marchigiana, dove si individuano due contributi cinquecenteschi: N. PERANZONI, De laudibus Piceni (1510-1527), in G. COLUCCI, Delle

antichità Picene, dai torchi dell‟autore, Fermo 1795, Vol. XXV, e F. PANFILO, Francisci Pamphili praestantiss. Poetae Sanctoseverinatis Picenum hoc est de Piceni quae Anconitana vulgo Marchia nominatur et nobilitate, & laudibus opus nunc primum in lucem Jani Matthei Durastantis philosophi sanctojustani auspiciis ac sumptibus editum, S. Martellino, Macerata 1575.

242 R. VOLPI, Le regioni introvabili, cit., p. 25.

243 La sola storia regionale elaborata nel Cinquecento è quella pubblicata da Cristofaro Scanello: come si è visto, essa rientrava nel progetto storiografico con cui il forlivese intendeva riproporre la Descrittione dell‘Alberti in un linguaggio meno ricercato e in una formula editoriale ripartita tra le varie realtà regionali della penisola. Di conseguenza il Compendio non può essere considerato al pari delle altre storie regionali, dimostrazioni della presa di coscienza dell‘identità abruzzese. Pertanto esso viene qui ricordato principalmente per aver costituito una fonte ampiamente consultata dagli storici abruzzesi e non per il suo ruolo da protagonista tra le storie locali.

ampia dello spazio cittadino e di quello conforme alle circoscrizioni ecclesiastiche. L‘idea di fare una storia generale degli Abruzzi, è resa possibile dall‘incarico ricevuto, nel 1640, dal viceré duca di Medina Torres di numerare i fuochi di tutto l‘Abruzzo Ultra e Citra, e quindi dalla concreta possibilità di consultare i grandi archivi locali e del Regno, primi fra tutti l‘Archivio degli Acquaviva, quello di San Giovanni in Venere e La Regia Zecca napoletana. La notizia di questo innovativo progetto sarebbe circolata presto nei luoghi del sapere, nei quali lo scrivente veniva stringendo importanti conoscenze grazie alle proprie competenze e ai favori di cui godeva sotto la protezione dei Farnese e degli Acquaviva. Le glorie del passato erano, come si è visto, il terreno su cui gli eruditi del Seicento tornavano a cimentarsi per rinnovare, rispetto ai secoli precedenti, la tradizione memorialistica e culturale in generale. Il nobile abruzzese non si sottraeva a questa tendenza e trovava «nel passato momenti comuni di un mondo in crisi che chiede unità»244. I Sacra ac profana monumenta Aprutii giungono a noi incompleti e frammentari ma grazie alle indicazioni che Antinori e altri autori successivi hanno fornito nelle loro opere è stato possibile ricostruire per intero la trama generale dei quattro libri: innanzi tutto Brunetti riferiva la storia degli antichi abitatori dell‘Abruzzo e, dopo aver illustrato la natura fisica e geografica del territorio, dava avvio alla descrizione della ―regione Aprutina‖, cui faceva seguire un approfondimento su Campli, sua città natale.

L‘elaborazione dell‘opera rientrava in quell‘«unità di intenti»245, comune alla memorialistica regionale del Seicento, che emerge dalle corrispondenze che l‘erudito intratteneva con Ferdinando Ughelli e Lucio Camarra, dagli scambi e i confronti sulla documentazione, da uno sguardo nuovo verso la ricerca erudita e la sua possibilità di dar voce ad una rappresentazione geopolitica unitaria dell‘Abruzzo.

Camarra, in particolare, considerava l‘amico un attento osservatore del territorio abruzzese e gli chiedeva di superare le inesattezze che gravavano sull‘opera di Muzio Muzii: «Qui sui facula ingenij excutiet, ut spero, tenebras has in Patria Historia, quam

cum aliis iam apparat ad suorum Praecutinorum gloriam, ad totius Aprutij splendorem»246. E in effetti i Sacra ac profana monumenta riuscirono presto a suscitare l‘ammirazione di molti, perché presentavano un metodo storico che anticipava, per molti versi, quello più maturo e scientifico che si avvierà a partire dal Settecento. La metodica ricerca storica si univa, al contempo, all‘eleganza poetica in un‘opera volutamente scritta in latino, per conferirle prestigio e autorevolezza. Agli occhi degli eruditi successivi Brunetti appare «uno scrittore, il quale aveva letto gli autori che lo avevano preceduto e si

244 R. RICCI, L‟opera di Francesco Brunetti nella storia e nella storiografia d‟Abruzzo, Quaderni del Bullettino, 17, DASP, Colacchi, L‘Aquila 1997, p. 13.

245 Ivi, p. 14.

246 Il 18 luglio 1640 Camarra scrive in una lettera a Brunetti: «Il Mutij in quella sua opera non trascrive secondo il mio gusto le iscrizioni antiche di Teramo, né tutte, e perché Vostra Signoria forse le haverà o pure le trascriverà mi favorisca con un suo commodo di mandarmene le copie, così anche di quelle che trascrisse in Castel di Sangro e di tutte le altre che le capiteranno in Atri, o altrove».

servì di essi, senza tralasciare, però, di trarre, dall‘ispezione oculare e dagli archivi, il nerbo e il miglior pregio delle sue opere»247.

È opportuno ricordare che egli aveva scritto una storia, in volgare, della sua città nativa, Campli, di cui riportava i punti basilari nell‘opera latina; e in effetti, nei Sacra ac profana, emergono anche «le ambizioni vescoviste e municipaliste di Campli»248 e questo spinge a supporre che anche quest‘opera nascesse da un intento ecclesiale e municipale, evidenziando «la funzione della cultura come strumento di prestigio e di potere nell‘età moderna»249. Ad ogni modo, l‘indagine locale unita a quella regionale, la descrizione geografica e politica della regione, l‘attenzione erudita alle lapidi, ai marmi, alle iscrizioni e alle pergamene rientrano nel disegno di una grande opera che costituirà la base per l‘elaborazione della Storia ecclesiastica e civile della regione più a settentrione del Regno

di Napoli, data alle stampe da Niccola Palma tra il 1832 e il 1836.

Nel Settecento tutti i propositi di ricostruzione della storia regionale sono riconducibili ad un‘unica figura, quella di Antonio Ludovico Antinori, la cui produzione avrebbe segnato una svolta significativa nella tradizione memorialistica abruzzese, costituendo presto un punto di riferimento indispensabile per tutti coloro che avessero voluto approfondire la conoscenza della storia locale.

Compiuta la formazione giovanile nella capitale partenopea, prima ancora di conseguire la laurea, nel 1725 il giovane aquilano aveva fatto rientro nella città natale, il cui clima culturale era stato in buona parte animato dall‘istituzione del Circolo dell‘Arcadia. Agli occhi dei colleghi accademici egli si distinse per la sua cultura ampia e ricercata, ma presto capì che la propria natura «mal si conciliava con la frivolezza della poesia arcadica»250 e progressivamente dirottò le proprie ricerche verso gli studi di agiografia, dando alle stampe la Vita della beata Cristina251.

Solamente nel dicembre del 1732 l‘erudito aquilano dichiarava di essere finalmente entrato a far parte della Repubblica letteraria di cui Antonio Ludovico Muratori era il «sommo splendore»252. I primi contatti con l‘archivista estense risalivano all‘anno precedente quando Antinori era venuto a conoscenza del recente dialogo che il Modenese aveva instaurato con il magistrato cittadino, e in particolar modo con Giuseppe Alferi Ossorio, tesoriere del comune e barone di Ariccia, dedito alla realizzazione di una cospicua

247 N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile, cit., Vol. V, p. 56.

248 R. RICCI, L‟opera di Francesco Brunetti, cit., p. 12.

249 Ibidem.

250 G. MARIANGELI, Per una bibliografia critica di Anton Ludovico Antinori, in Antinoriana. Studi per il

bicentenario della morte di A. L. Antinori, Vol. IV, DASP, L‘Aquila 1979, p. 280.

251 A. L. ANTINORI, Vita della beata Cristina già nel secolo Mattia de‟ Ciccarelli di Lucoli religiosa

agostiniana nel monistero di S. Lucia dell‟Aquila scritta da Antonio Antinori prete dell‟Oratorio aquilano,

Roma 1740.

252 Con questa espressione Antinori indica la figura del Modenese nella lettera del 20 dicembre 1732. Nell‘Archivio Muratoriano della Biblioteca Estense si conservano 24 lettere inviate dall‘abruzzese a Muratori (BEM, filza 49, fasc. 65), pubblicate in F. DI GREGORIO (a cura di), Lettere inedite a Ludovico Antonio

Muratori, Bastida, L‘Aquila 1973. Due lettere indirizzate dal Modenese al vescovo aquilano sono, invece,

state inserite da Matteo Campori nell‘Epistolario di L. A. Muratori (1742-1744), Vol. X, Soc. Tip. Modenese, Modena 1907, p. 4403 n. 4684, p. 4644 n. 4965.

raccolta di documenti sulle famiglie e sulle istituzioni aquilane. Antinori riferisce che il nobile aveva accettato di redigere «qualche opera per introdurla nella bellissima raccolta che V.S. Ill.ma fa degli scrittori delle cose d‘Italia»253, ma la sua improvvisa scomparsa aveva spinto il più giovane concittadino ad esporsi in prima persona nei confronti di Muratori per portare a termine il progetto, avendo ricevuto «questa supplica da vari singori di questa città»254. La proposta fu accolta e l‘abruzzese si dedicò interamente alla studio del consistente patrimonio cronachistico aquilano, che progressivamente trascrisse e inviò all‘archivista estense, intrecciando con lui una prolifica corrispondenza epistolare. Purtroppo il suo contributo non poté rientrare nel progetto editoriale del XXIV volume dei

Rerum Italicarum Scriptores, a causa di disguidi nelle consegne e di tutti i disagi che i

tempi bellici portavano con sé, ma Muratori espresse un‘ampia approvazione in merito e salvaguardò le sei cronache aquilane, accompagnate dall‘introductio di Antinori, in vista della pubblicazione del volume VI delle Antiquitates Italicae Medii Aevi. Pur non svolgendo il mestiere di archivista, egli condivise la stessa «passione di indagatore e ricercatore di archivi»255 professata dal Modenese, e in effetti egli non si professò mai «storico latu sensu»256.

Un‘intenzione diversa fu, invece, espressa a distanza di qualche anno, quando l‘oratoriano confidò, in una lettera a Muratori, il desiderio di «compilare un corso di storia dell‘Aquila e della provincia, raunando l‘antico, il mezzano ed il moderno»257. Progressivamente la portata del progetto si ampliò in maniera rilevante perché il metodo adottato spingeva lo studioso ad analizzare una gamma documentaria sempre più corposa, in cui la storia della comunità aquilana si intrecciava con il passato del territorio circostante, al punto che l‘indagine si estese a tutti e tre gli Abruzzi:

«l‘Antinori in questo suo lungo lavoro dimenticò la promessa fatta al Muratori di compiere cioè la storia dell‘Aquila e della sua provincia, e volle essere e fu solamente un raccoglitore di memorie; ma un raccoglitore coscienzioso, il quale sull‘indirizzo nuovo della critica storica ricerca con avveduta diligenza il documento, lo riproduce con la maggiore fedeltà, lo esamina, lo paragona, lo illustra con sani criteri ermeneutici in relazione ai tempi, agli uomini ed alle cose»258.

253 Lettera a Muratori, L‘Aquila 6 ottobre 1731.

254 Sui rapporti con lo studioso modenese si veda U. SPERANZA, La relazione fra L. A. Muratori e A. L.

Antinori, Miscellanea di Studi Muratoriani, Modena 1950.

255 A. LOMBARDO, Antonio Ludovico Antinori e la ricerca archivistica, in Antinoriana. Studi per il

bicentenario della morte di A. L. Antinori, IV, cit., p. 103.

256 Ibidem.

257 Lettera a Muratori, L‘Aquila 4 dicembre 1744.

258 O. D‘ANGELO, I manoscritti dell‟Antinori, in Antonio Ludovico Antinori e il II centenario della sua

nascita, DASP, Tip. Di A. Perfilia, L‘Aquila 1904, pp. 109-110. La conoscenza della storia regionale fu

condotta attraverso la frequentazione assidua degli archivi abruzzesi, in primis di quello aquilano, e successivamente di quelli di «Lanciano, di Teramo, di Avezzano, di Sulmona, di Palena, di Rosciolo, di Amatrice, di Caramanico, di Guardiagrele, di Cantalice, di Corropoli, di Leonessa, di Montenero, di Chieti, di Penne, di Pescina, di S. Maria di Propezzano, di Sambuceto, di Gioia dei Marsi, di Trasacco, di S. Quirico, di Antrodoco». Anche in questo caso l‘accesso ai luoghi del sapere fu facilitato dal ruolo sociale svolto dall‘autore, uomo di chiesa chiamato alla guida della diocesi lancianese e successivamente di quella di

Puntuale fu la ricognizione di numerose biblioteche locali e delle principali istituzioni presenti nella capitale pontificia e nel Mezzogiorno. La visita ad archivi esterni serviva a completare la ricostruzione degli eventi regionali, mentre l‘impossibilità di raggiungere determinate raccolte, distanti in senso geografico o a causa delle difficoltà proprie dei tempi di guerra, spinse Antinori a compensare questa lacuna indagando scrupolosamente la produzione memorialistica degli ultimi secoli. Lo studio approfondito di opere locali, come le Memorie historiche del Sannio di Ciarlanti, l‘Historia Marsorum di Febonio, la Reggia

Picena di Compagnoni, si univa alla conoscenza delle opere di più ampio respiro, sul

Mezzogiorno e sulla penisola intera. In gran parte il lavoro archivistico fu svolto personalmente dal prelato abruzzese, ma non mancarono contributi esterni. Anche se s scala ridotta, anche Antinori, come Muratori, aveva dei corrispondenti per ogni zona, i quali gli trasmettevano tutte le notizie reperibili sulla propria località d‘appartenenza. Di ogni documento, l‘erudito realizzava uno scrupoloso studio «filologico, paleografico e storico, fino a farne emergere, quasi senza sforzo, la veridicità, o la falsità»259.

Il gusto dell‘annalistica, ereditato dalla lezione muratoriana, portò alla compilazione di ventiquattro volumi organizzati secondo l‘ordine cronologico, dalla storia dei primi abitatori della regione fino al 1777. La stessa materia trattata nei cosiddetti Annali veniva riproposta nei 18 volumi della Corografia storica degli Abruzzi secondo la classificazione alfabetica: lo studioso formò, infatti, per ogni città prima un regesto e poi una monografia, in alcuni casi completa, in altri ancora in forma di bozza a causa della documentazione incompleta o per le vicende subite dai manoscritti dopo il 1778, anno della scomparsa dell‘autore260. Quattro volumi comprendono, invece, la raccolta delle iscrizioni da lui censite, in parte edite nel Novus Thesaurus di Muratori, in altra parte presentate in appendice agli Anecdota litteraria di Giovanni Cristofano Amaduzzi261. Infine, un‘altrettanto cospicua collana di monografie disposte in ordine alfabetico descriveva

Monumenti, uomini illustri e cose varie. Nella sua complessità, la monumentale

produzione di Antinori rifletteva un‘indagine capillare della storia regionale, destinata a costituire per tutti gli scrittori successivi un riferimento obbligato per la valida conoscenza del passato di questo territorio.

Come è stato osservato, mancò nell‘erudito una «visione organica che superasse i due criteri di ordinamento: il tempo e lo spazio»262. Antinori «guardò, emendò, collazionò, lasciandoci una massa di monumenti sia pur a volte allo stadio di citazione tratti da archivi scomparsi»263. Sicuramente, le delicate condizioni di salute ostacolarono spesso il suo

Matera, e dalla rete di conoscenze che egli aveva allacciato nella città aquilana – si pensi al legame con la famiglia Rivera –, nella capitale pontificia, in quella partenopea e in altre realtà italiane.

259 P. F. PALUMBO, Fonti antinoriane e metodologia storica, in Antinoriana, Vol. IV, cit., p. 173.

260 U. SPERANZA, Notizie edite e inedite intorno all‟Antinori, in Antinoriana, Vol. I, cit., p. 325.

261 G. C. AMADUZZI, Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, Vol. IV, A. Fulgoni, Roma 1783, pp. 481-512.

262 A. CLEMENTI, Sulla storiografia antinoriana, in Antinoriana, Vol. IV, cit., 11.

lavoro e, in ultimo, la perdita quasi totale della vista gli impedì di proseguire ancora per molto. «Il dotto ed erudito Collettore» – ricordava a distanza di qualche anno Uomobono Bocache – avrebbe di certo voluto revisionare «con esattezza la sua Collezione, darvi un sistema ed una disposizione istorica a venire de‘ suoi lumi; ma le incumbenze, che la sua integrità ed il suo credito ricevevano dalla Corte, lo tenevano assiduamente distratto, non gli permisero di mandar ad esecuzione la sua notevole brama»264. È possibile, tuttavia, individuare a grandi linee l‘intenzione progettuale concepita dall‘abruzzese: probabilmente egli nutriva la volontà di sistemare la materia storiografica raccolta secondo il modello annalistico, adeguandosi alla tendenza che stava animando la memorialistica italiana coeva, che dal Piemonte al Friuli fino alle aree periferiche del Regno napoletano era sollecitata dall‘esempio muratoriano. Al tempo stesso, però, numerosi passi dell‘opera, in cui la spiegazione approfondita degli eventi descritti si svincola dalla semplice trascrizione delle notizie secondo la scansione temporale, dimostrano che il modello annalistico procedette di pari passo con quello della dissertazione.

A tre anni dalla scomparsa dell‘erudito, nel 1781 una minima parte dei 51 volumi in-folio, oggi conservati presso la Biblioteca provinciale aquilana265, giungeva alle stampe. Con la pubblicazione della Raccolta di memorie istoriche delle tre provincie degli

Abruzzi266 Gennaro Antinori intendeva valorizzare quel contributo, mostrando ad un pubblico più vasto i risultati dell‘indagine che il fratello aveva svolto sull‘intero territorio regionale. Queste ragioni erano state condivise dall‘editore che le dichiarava «a chi legge», nella nota introduttiva al primo dei quattro volumi:

«[...] ove i pregi di cosiffatte opere sien tanti e tali, che di gran lunga superino le loro imperfezioni; ed ove di quel genere sieno, che il Pubblico non tanto ne aspetti diletto, quanto vantaggio, quali per l‘appunto son le opere istoriche, noi siamo di avviso che ingiusta cosa sia e di riprension degna lasciarle perire; e che dell‘incontro lodevolmente si adoperino coloro, che per mezzo delle stampe cercano di consegnarlo all‘immortalità»267.

Purtroppo l‘opera si presentava come l‘esito di un lavoro editoriale frettoloso, incurante del progetto originale perseguito dall‘autore, e s‘interruppe all‘uscita del quarto volume. Di conseguenza l‘intento celebrativo che era alla base di questa impresa si rivelò limitato sotto l‘aspetto critico e non rese il giusto merito a questo straordinario protagonista della cultura abruzzese che, proiettato verso il nuovo orientamento metodologico che ormai stava

264 U. BOCACHE, Raccolta di documenti e memorie lancianesi, cit., Vol. VI, p. 180.

265 Nel 1832 la monumentale produzione antinoriana fu ceduta, per via testamentaria, dal pronipote dell‘autore alla famiglia Dragonetti, che la donò alla Biblioteca provinciale aquilana nel 1887.

266 A. L. ANTINORI, Raccolta di memorie istoriche delle tre provincie degli Abruzzi dell‟arcivescovo di

Matera Antonio Lodovico Antinori in cui si parla delle origini, e de‟ nomi de‟ primi abitatori di esse; delle fondazioni delle distrutte, e delle esistenti Città, Terre, Castelli, Chiese, Monasterj, Badie con li documenti del jus di nominare che hanno in esse, così il Principe, che il Privato: con la descrizione delle Principali Strade, Laghi, e Fiumi, e di tutti gli Uomini, per lettere, per armi e per Santità rinomati, G. Campo, Napoli

1781-1783.

caratterizzando l‘erudizione italiana del XVIII secolo, in particolar modo al nord della penisola, aveva dedicato un‘intera esistenza all‘amata attività di studio268.