Anche l‘amico di Febonio, Lucio Camarra, fu al servizio del casato romano, ricoprendo per anni la carica di Vicario Generale dei feudi marsicani630. Diversamente dal Febonio, egli riuscì a pubblicare il suo De Teate antiquo631 e ad apporre Girolamo sul frontespizio la dedica al cardinale. L‘erudito si era trasferito a Roma ormai da tempo, e lì aveva avuto la possibilità di frequentare di persona Ughelli, Giorgio Walter e, come si è già accennato, Hostenio e Allacci. In quegli anni Camarra non aveva mai interrotto i rapporti con gli altri eruditi abruzzesi, tra i quali Febonio stesso, Toppi, Brunetti, puntualmente citati nella sua opera. In più di un‘occasione Camarra aveva espresso la propria fiducia all‘amico, ritenendolo «Qui sui facula ingenij excutiet, ut spero, tenebras has in Patria Historia,
quam [sic] cus aliis iam apparat ad suorum Praecutinorum gloriam, ad totius Aprutij splendorem». Brunetti, da parte sua, aveva dedicato a Camarra alcuni distici, che furono
629 Lettera inviata da Pescina, il 18 giugno 1661.
630 Probabilmente egli dovette svolgere un ruolo molto più rilevante, stando alle lettere che inviò a Marcantonio V e a Girolamo. Il carteggio è oggi conservato presso l‘Archivio Colonna, nel monastero di Santa Scolastica a Subiaco ed è stato pubblicato in A. LORENZETTI, Il codice Barb. lat. 2291 e il
contributo di Luca Holstenio al De Teate antiquo di Lucio Camarra, in «Miscellanea Bibliothecae
Apostolicae Vaticanae», XIV, Città del Vaticano, Roma 2007, pp. 333-335 n. 4.
inseriti in apertura del testo, insieme agli altri componimenti che la cerchia culturale cittadina aveva tributato all‘autore632.
La comunità degli eruditi attese con partecipazione la pubblicazione di quest‘opera633, in cui si ricostruiva la storia dell‘antica Teate dalle origini all‘età romana, nella comune consapevolezza che essa costituisse l‘ulteriore tassello di un‘unità di intenti che ormai da anni aveva legato a doppio filo tra loro gli storici della regione, e quelli con i protagonisti della scena culturale romana. Febonio, in particolare, aveva potuto collaborare strettamente con il funzionario dei Colonna, inviandogli numerose trascrizioni epigrafiche, e lo stesso aveva fatto Camarra; inoltre, fu proprio lui a consegnare il manoscritto del De Teate a Holstenio, su espressa richiesta dell‘autore, che da Tagliacozzo, il 27 settembre del ‘47, si rivolgeva al filologo dicendo: «La prego [...] di annoverarmi tra suoi più divoti e veri servidori, et a degnarsi nelle hore più otiose di legger una mia operetta che le sarà consegnata dal medesimo Sig. Abbate». E nuovamente il 30 settembre: «La prego istantaneamente a continoarmi gli honori delle sue correttioni e censure, perché all‘hora conoscerò chi ama la mia fama e la mia reputazione». Nelle carte 264v-274 del codice Barberiniano latino 2291 si conserva il testo delle correzioni apportate da Holstenio sulle bozze dell‘opera di Camarra, dal quale emerge la forte influenza che l‘amburghese esercitò sull‘autore abruzzese, innalzando significativamente la levatura del suo scritto. Se nell‘edizione del 1651 erano citati i maggiori contributi di storia, geografia e antiquaria del tempo è proprio grazie alle indicazioni che Holstenio aveva fornito a suo tempo, su espressa richiesta di Camarra634. I riferimenti più importanti sono identificabili nel primo corpus di iscrizioni latine e greche del mondo classico, edito nel 1603 da Jan Gruter635, nell‘Italia Antiqua di Filippo Cluverio636, il celebre geografo tedesco con cui Holstenio ebbe un costante confronto intellettuale, nel Thesaurus geographicus (1611) di Ortelio e nella Crepundia Silana (1646) di Heinsio, opere di cui Holstenio conservava una copia nella propria biblioteca637.
632 Dopo la poesia greca di Leone Allacci, e la relativa versione anonima in latino seguono dieci poesie latine di Carlo de‘ Comiti, di Agostino Favorito, di Giuseppe della Visitazione de‘ chierici regolari delle Scuole Pie, di Domenico Ferrario, di Carlo de Lellis, di Francesco Brunetti, di Giovan Battista Lupo, di Niccolò Ciombolo, di Claudio Pagliono, e di Ascanio Dario.
633 Scrive Brunetti negli ultimi versi del suo componimento: «[...] Nomen et omen habes Luci: quam condidit ignis / In chartis lucem repperit illa Tuis».
634 Scriveva ancora nella lettera del 27 settembre: «non solo mi obbligherà molto con usar meco di questa cortesia, ma stimarà sopra ogni altro honore che resti ammendato in quelle parti che saranno stimate da Lei degne di correttione, com‘altresì arricchita di qualche altra notizia che le fusse pervenuta con la copia maggiore, che ella havrà potuto haver in coteste Biblioteche, di buoni autori, da me non visti o non potuti havere».
635 J. GRUTER, Inscriptiones antiquae totius orbis Romani, Officina Commeliniana, Heidelberg 1603, 2 Voll.
636 Anche Camarra offrì il proprio contributo all‘Holstenio fornendogli i dati in suo possesso sulla regione abruzzese. Infatti, nelle Annotationes all‘opera dell‘amico Cluverio, Holstenio avrebbe riportato il suggerimento del teatino per l‘identificazione del sito di Interpromium (In Italiam Antiquam Philippi Cluverii
Annotationes, Dragondelli, Roma 1661, pp. 143-144). Si veda R. ALMAGIÀ, L‟opera geografica di Luca Holstenio, («Studi e Testi», n. 102), Città del Vaticano 1942, p. 86.
Dal canto suo, Camarra si era servito costantemente dell‘auctoritas dei latini638 e si era impegnato a cercare nel corredo epigrafico allora esistente la conferma di quelle lezioni. Holstenio verificò scrupolosamente le tesi esposte e, ove necessario, le integrò puntualmente. In realtà Camarra seguì solo in parte le indicazioni fornitegli dal bibliotecario dei Barberini, come ad esempio per quanto riguarda l‘esposizione dei racconti mitologici relativi alla fondazione dell‘antica Teate, duramente condannati dall‘amburghese. Anche le iscrizioni passarono in buona parte al vaglio dell‘amico Holstenio non aveva segnalato nel manoscritto perché ritenute corrette. Complessivamente si può affermare che le iscrizioni riportate nel De Teate antiquo sono in parte trascritte regolarmente, mentre alcune presentano errori dovuti ad omissioni e ad alterazioni commesse dall‘autore. Vale anche in questo caso il discorso che Mommsen estese a tutti coloro che, nonostante le imprecisioni e gli errori commessi, avevano il merito di aver consegnato ai posteri buona parte del patrimonio epigrafico abruzzese, ormai disperso. Un‘iscrizione, in particolare, richiama la nostra attenzione:
DMS.
L. CAESIO L. F. MARCELLO LAU RENTI LAVINATIUM PC TEATIN
ORUM, CAESIUS PROCULUS SEN FILIO DULCISSIMO BMP
Al di là della omissione di «L.» davanti a «Caesius Proculus» nella linea 4 e dell‘alterazione finale di «bmf» in «bmp», la trascrizione di questa epigrafe, allora conservata, a detta di Camarra, nel Palazzo Arcivescovile, assume un‘importanza particolare per la lettura proposta dall‘erudito639. Egli, infatti, si opponeva alla tradizione storiografica precedente, negando che la città antica avesse subito il cambiamento costituzionale da municipium a colonia romana. Nello specifico rifiutava l‘interpretazione che gli altri eruditi e, in ultimo Baroncini, avevano dato del passo di Frontino («Teate,qui Aternus. ager ejus lege Augustaea est assignatus») e assegnava alla città natale un
interrotto status civile di municipio640. Romanelli, ai primi dell‘Ottocento, avrebbe screditato la teoria di Camarra, affermando che «l‘Amor della patria trasportò non pochi scrittori ad alterare i testi, e le idee degli antichi»641. Dopo di lui, Mommsen e numerosi altri studiosi avrebbero recuperato la tesi tradizionale, collocando la trasformazione in
638 Tra le auctoritates richiamate dall‘autore si susseguono, tra gli altri, i nomi di Polibio, di Catone, Livio, Strabone, Plinio, Mela, Frontino, Tolomeo, Prisciano.
639 L. CAMARRA, De Teate antiquo, II, 1, pp. 94-95.
640 Scrive Ravizza, alla p. 37 delle sue Notizie biografiche che riguardano gli uomini illustri della Città di
Chieti: «Vuole Camarra, che la sua patria passata fosse dallo stato di Repubblica a quello di Municipio
Romano, ascritta alla Tribù Arniense, ma non vuol riconoscerla affatto per Colonia. Egli interpreta la nota P.
C. Teat. d‘una certa iscrizione per Patron. Civit. o Colleg., non già Patron. Colon. Teatin. nel che fu seguito
dal Reinesio in Class. 12 Inscrip. 144: e si sdegna fortemente con Frontino, e con Sinibaldo Baroncini, autore di un‘opera manoscritta De Metropoli Teate, i quali erano stati di diverso sentimento».
641 D. ROMANELLI, Antica topografia istorica del Regno di Napoli, Vol. 3, Stamperia Reale, Napoli 1819, p. 97.
colonia al III secolo. Tuttavia, negli ultimi anni è venuta meno la certezza assoluta, perché in effetti «le litterae singulares della linea 3 (p.c. Teatin / orum) possono essere sciolte oltre che in p(atronus) c(oloniae) anche in p(atronus) c(ivitatis)»642, esattamente come anticipato da Camarra nel XVII secolo643. La sua tesi era stata approvata da Holstenio, il quale condivideva le due formule in cui egli aveva sciolto la sigla P.C., «Patronus
Collegii» o «Patronus Civitatis», ritenendole entrambe in linea con tutte le testimonianze
letterarie precedenti:
«P.C. id certum sit Casium illum flaminem fuisse ordinis Laurenti [sic] Larinatis puto patronum fuisse collegii Teatinorum vel etiam civitatis Teatinorum sic in magno opere inscriptionum P. Civitatis Asculanorum P. Civit. Foroflorum. Certe ex illis abbreviatis literis [sic] non probari potest Teate fuisse coloniam»644.
Probabilmente Camarra attribuì a questa diversa lettura un valore particolare, alla luce dei fatti che da alcuni anni avevano sconvolto la città. Egli era l‘ultimo erede di una delle più prestigiose famiglie di Chieti: i suoi possedimenti terrieri, nel Teatino, ammontavano a 150 ettari e, nonostante fosse continuamente impegnato a Roma e nei feudi marsicani dei Colonna, egli non aveva rinunciato a partecipare in maniera attiva alla vita politica della città, sull‘esempio dei suoi predecessori645. Per questo il suo impegno civico teso ad evitare la vendita della città era stato incessante, ma alla fine i suoi interventi diplomatici erano risultati vani646. Allora la negazione dello status coloniale dell‘antica Teate poteva esprimere, in un certo senso, anche la polemica e il risentimento dell‘erudito per la violazione che la comunità aveva dovuto subire nel passato recente. In procinto di avviare la redazione di un Teate hodiernus, Camarra lanciava con la penna il monito che non era
642 M. BUONOCORE, Teate Marrucinorum, in Supplementa Italica, 2, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1983, pp. 149, 154-155.
643 Scrive Giulio Firpo: «il municipium di Teate venne istituito da Roma dopo la guerra sociale (91-88 a.C.) e venne iscritto alla tribù Arnensis. Come tale rimase per tutta l‘età imperiale. La scelta da parte di Roma fu dovuta, probabilmente, sia alla rilevante posizione strategica del colle su cui ergeva Teate (e che per l‘età preromana presenta solo tracce sporadiche d‘insediamento), che dominava il tratto terminale dell‘Aterno e la prospicente costa adriatica, oltre all‘arteria tratturale L‘Aquila-Foggia, le miniere di bitume di Scafa e le saline poco a Nord della foce dell‘Aterno, sia al discreto livello demografico del suo comprensorio» (Territorio e società. Prospettive istituzionali e vita cittadina fra III secolo a.C. e IV secolo d.C.: tre aspetti, in Teate antiqua. La città di Chieti, Vecchio Faggio, Chieti 1991, p. 42).
644 BAV, Barb. lat. 2291, c. 271v. Si veda A. LORENZETTI, Il codice, cit., pp. 351-352.
645 Il primo incarico ricoperto in città dal Camarra risale al 24 febbraio del 1621, quando è nominato giudice civile. Negli anni successivi è eletto sindacatore dell‘uditore Pedro Lopez De Ocaeta (1623), revisore dei conti del camerlengo Pietro Valignani (1625), mentre sul finire del ‘29 è tra i due sindacatori del giudice dell‘Udienza. Il 24 agosto 1630 è eletto camerlengo della città; questa carica viene riconfermata per il primo semestre del ‘31 e risulta ricoperta dal Camarra ancora nel febbraio dell‘anno successivo. Gran parte della documentazione relativa agli anni successivi è andata perduta e si torna ad avere notizie del Nostro nel primo semestre del ‘39 quando Camarra è di nuovo camerlengo. Gli ultimi interventi pubblici risalgono agli anni dell‘infeudamento della città. Per conoscere più dettagliatamente l‘impegno di Camarra e dei suoi avi nella vita pubblica di Chieti si veda A. LORENZETTI, Il codice, cit., pp. 335-336.
646 Sul ruolo svolto da Camarra nella lotta all‘infeudamento della città si veda A. DE CECCO, “...acciò non
siamo vassalli da liberi che siamo” Chieti 1645-1650, in L‟Abruzzo dall‟Umanesimo all‟età barocca, a cura
stato accolto durante il suo impegno civile647. È, quindi, anche in quest‘ottica che probabilmente va interpretata la scelta di interrompere la narrazione della storia patria al tempo della decadenza dell‘Impero Romano, affinché egli potesse provare «levamentum» nell‘illustrare cosa la gloriosa Teate «fuit, inquam, et quale non est»648.
L‘intero quinto capitolo del secondo libro è dedicato alla «fortitudine»649 della gente marrucina, attraverso la testimonianza degli autori antichi, Strabone, Cesare, Plinio, e la conferma dei ―moderni‖, tra i quali Carlo Sigonio. Emerge anche qui, come per tutte le genti d‘Abruzzo, l‘immagine di un popolo di prodi combattenti («gentem bello duram»650), tenaci sia nello scontro con i Romani, prima e durante la Guerra sociale, sia come soci e alleati di Roma, nelle guerre contro le altre popolazioni. Chieti doveva la sua nobiltà, la sua gloria e il suo passato illustre al popolo da cui discendeva, che si era distinto sempre per il valore e la lealtà:
«Unde si parentum virtus ad generis nobilitatem confert; si avitas in posteros transfundunt glorias stemmata vetusta, gloriosam sanè [sic], ac nobilissimam dicere debemus Marrucinam gentem: Indigenam, Ianigenam, sive, ut Christianè [sic] loquamur, Noëmi in Italia, primum, & illustre genus»651.
Nei confronti del presente, invece, il letterato non poteva far altro che esprimere parole di sconforto, segnate da quell‘alone controriformistico che pervadeva tutte le opere del tempo:
«Coltivare la memoria della patria è l‘unica tra le umane intraprese che le circostanze non possono danneggiare né estinguere con il trascorrere del tempo. Tutto il resto non solo non si protrarrà nel tempo ma verrà esso stesso a perire. Queste sette famose meraviglie del mondo si vedono oggi adeguate al suolo, prima o poi la si vedrà anche la nostra Chieti. Non siamo altro che cose del mondo, un‘ombra, un nulla. E tuttavia in mezzo a tanti mali non c‘è che una cosa che mi sia di sollievo (levamentum) che cioè, se pure è certa la fine della città nostra per legge di natura, spero peraltro che ne rimarrà il nome»652.
647 Già nel febbraio del ‘45 Camarra aveva presentato al Parlamento teatino, insieme ad Alfonso Valignani, un memoriale in cui veniva deposta la carica di «Deputati per la difesa e conservazione del Demanio e recuperatione delle Castella, dicendosi occupati in altri affari». I due aggiungevano: «sono doi anni e più che furono deputati [...] per il qual tempo hanno servito con quel zelo e affetto ch‘è noto al mondo havendo non solo ricuperato le Castella ma conservato sin al tempo presente la Città nel Demanio». In realtà il giureconsulto teatino si sarebbe nuovamente impegnato nella causa pubblica nell‘aprile del‘ 47, ma la vicenda sarebbe rimasta tormentata ancora per diversi mesi, animata ulteriormente dall‘eco dei moti masanelliani (A. DE CECCO, “...acciò non siamo vassalli”, cit., p. 501).
648 L. CAMARRA, De Teate antiquo, cit. p. 6.
649 Ivi, p. 134.
650 Ibidem.
651 Ivi, pp. 18-19.
652 La traduzione del testo è di Raffaele Colapietra in Erudizione e riforma cattolica nella storiografia locale